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Denario di Aulus Postumius Albinus


L. Licinio Lucullo

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Il nome del monetario si scioglie in A(ulus) POST(umius) A(uli) F(ilius) S(purii) N(epos) Albin(us).

Al D/ è raffigurata la Spagna, ove al tempo imperversava la guerra contro Sertorio. Le prime due Province rappresentate sui denari repubblicani furono Africa e Hispania; quest'ultima è raffigurata come una donna dai lunghi capelli sciolti e scarmigliati, che fuoriescono abbondanti da un velo poggiato sul capo. Strabone (Geografia III,17) ricorda infatti l'utilizzo di questo velo da parte delle donne spagnole, tradizione conservatasi nella mantiglia ancora in uso.

Al R/ è raffigurato un magistrato che, usualmente, si suole identificare nel pretore Lucio Postumio Albino (avo del monetiere?) che nel 180 raggiunse la Spagna, ove sconfisse prima i Vaccei e poi i Lusitani, e nel 178 celebrò il trionfo de Vaccaeis et Lusitaneis ex Hispania Ulteriore ottenendo il consolato. La memoria di queste vittorie contrasterebbe, appunto, con il protarsi della guerra contro Sertorio. Aquila e fascio potrebbero rievocare i successi ottenuti dopo la campagna (trionfo e concolato) o rappresentare la leva militare eseguita prima di iniziarla.

Un'altra ipotesi, avanzata dal Cavedoni, è che il personaggio raffigurato al R/ sia il grande Aulo Postumio Tuberto, dictator e vincitore degli Equi e Volsci, che vestito colla toga arringa il figlio che aveva, durante la battaglia, abbandonato il vessillo (aquila legionaria) e quindi, sebbene avesse combattuto con onore, fu condannato a morte.

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Successo, vittoria e buona sorte avevano accompagnato Silla nella sua campagna d'Oriente ed auspicando le medesime fortune, il vincitore di Mitridate si apprestava ora a dar battaglia agli odiati populares sul suolo italico. Tuttavia, in quanto genitrice dei romani tutti ed essendo una divinità molto amata anche dal popolo, l'immagine di Venere fu scelta il tal frangente anche da monetieri non certo appartenenti agli ottimati; nell'anno 83 fu infatti Caius Norbanus, figlio dell'omonimo console, ad utilizzare Venus in un denario (375/1), caratterizzato da due varianti, avente al D/ la diademata dea ed al R/ i simboli dell'imperium (sia in mare sia in terra per il tipo con prua di nave) insieme ad attributi riferibili a Felicitas. Il padre del magistrato, che rivestì il consolato insieme a Lucio Cornelio Scipione Asiatico, tentò di fermare l'avanzata di Silla già sbarcato a Brindisi, ma fu sconfitto nei pressi di Capua. Nuovamente vinto da Quinto Cecilio Metello Pio pensò di trovar rifugio a Rodi ma, ormai braccato, finì col togliersi la vita.

Dell'anno successivo è poi l'emissione curata da Censorinus, Crepusius e Limetanus, anch'essa di stampo popolare, con al D/ Venere diademata e velata ed al R/ la medesima dea in biga (360/1).

Tuttavia, nonostante l'opposizione del fronte dei populares e dei loro alleati, a seguito del successo di Porta Collina del novembre 82, Silla riuscì ad entrare vittoriosamente in Roma, riottenendo quel potere che mai prima di allora fu tanto grande. Raggiunto il successo e conquistato il suo obiettivo, non spezzò il legame con quella dea che tanti successi gli aveva donato e ciò è ben dimostrato da due tipologie monetali che, secondo la teoria più diffusa, furono emesse dopo la seconda restaurazione (375/2 e 376/1). In entrambe il D/ è riservato a Venere diademata mentre al R/ è presente, nel primo tipo, una doppia cornucopia ornata da un nastro mentre, nel secondo, un singolo corno dell'abbondanza sempre con fascia decorante.

Particolare attenzione va ora posta al soggetto che appare sul R/ dei due tipi, in quanto trattasi di un elemento che molto può dirci circa la polisemia della Venus del I secolo. Attributo di Fortuna, la cornucopia che copiosamente riversa ciò che di meglio la natura può offrire, richiama indubbiamente ad un'Abbondanza di tipo agreste. Una fertile terra e dei generosi raccolti rappresentavano sicuramente uno tra i migliori possibili auspici già nelle arcaiche società di tipo rurale, in quanto da essi dipendeva la sopravvivenza della comunità tutta. Allo stesso modo, fondamentale era la prolificità degli animali allevati ed anche i doni della selvaggia natura risultavano decisamente preziosi. Culti che auguravano simili benefici sono indubbiamente vecchi quanto l'uomo e sicuramente precedenti alla fondazione stessa di Roma. Vegetale, animale o umana, la fecondità è preziosa ed essenziale attitudine presente in tutto ciò che vive e le primordiali divinità telluriche trasmisero tale loro prerogativa ad innumerevoli divinità femminili del pantheon romano. Si pensi a Tellus dea della terra, a Giunone protettrice del matrimonio e del parto, a Cerere che tutela i raccolti, a Diana che assicura parti non dolorosi, a Cibele "Grande Madre" dea della natura e degli animali selvaggi, a Proserpina che "cresce" ed "emerge" come il grano, poi ancora a Fortuna, ad Annona, a Felicitas, ad Abbondanza. Riduttivo ed arduo sarebbe descrivere con poche parole ciascuna di queste figure, ma va comunque evidenziata una non trascurabile ed arcaica compenetrazione reciproca tra alcuni dei vari tratti caratteristici di ciascuna di queste femminee divinità. Nel I secolo Venere rappresenta forse l'esempio più incisivo di questo sincretismo in quanto, da originaria divinità agreste legata ad una pragmatica fecondità, iniziò conseguentemente a governare l'amore e la fertilità umana, per entrare poi in contatto con l'edonismo ed il trascendentale erotismo della greca Afrodite, colei che nacque dalla spuma del mare fecondata dal seme di Urano.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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  • 1 mese dopo...
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