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Moneta etrusca di Prestino (Como)


acraf

Risposte migliori

Quoto completamente il buon Paleologo e c'è ben poco da aggiungere.

Gli scavi archeologici sono stati molto numerosi e spesso molto impegnativi, con grande dedizione dei nostri archeologi.

Sicuramente non è semplice il passaggio dagli scavi materiali all'esposizione scientifica dei relativi dati. Non c'è solo la necessità di dare un'adeguata interpretazione, con sufficiente corredo bibliografico, ma anche dotare di adeguati disegni e piantine. E' vero che esistono ormai ottimi programmi, ampiamente usati anche in architettura, che permettono di ricostruire pure a livello tridimensionale, ma è sempre necessario partire da non pochi dati da tenere conto.

Fondamentalmente qui si tratta di lavorare e duramente e non solo sul campo.

Bisogna vedere quanti di questi archeologi hanno i mezzi e anche la stessa possibilità di poter lavorare poi a tavolino per curare le pubblicazioni.

Non essendo un addetto ai lavori, non so se possono esistere anche dei condizionamenti di tipo "ideologico", ossia muoversi secondo una impostazione non scevra di preconcetti, imposti dai responsabili (e credo che siano emersi, e non tanto raramente, dei contrasti tra i partecipanti agli scavi, che possono anche ritardare e non di poco la stessa pubblicazione).

Non sono mai stato "dietro le quinte" in archeologia e quindi non posso sapere quali dinamiche possono inficiare una seria ed esaustiva pubblicazione (specialmente se si è in presenza di elementi che possono essere definiti incoerenti con una determinata ricostruzione, come ad esempio, nel nostro caso, una sequenza numismatica).

Ovviamente esistono sempre dei casi di "buona archeologia", con risultati ampiamente pubblicizzati (come appunto nel casi di Crypta Balbi, anche se forse qui i responsabili hanno potuto contare su mezzi e finanziamenti adeguati).

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Concordo con Vincenzo.

Il problema della “morbidezza” (bello il termine !) mi ha sempre affascinato.

Il punto nodale del problema non sempre è dato dalla ripetibilità del procedimento ma dalla incertezza del risultato che alla ripetizione consegue.

Mi rendo conto che le operazioni di scavo sono irripetibili, ma ci sono tanti settori dove il ripetersi delle operazioni non garantisce un identico risultato.

Statisticamente, nei processi civili, la sentenza di primo grado è confermata soltanto nel 68 % degli appelli.

In breve, si è soliti distinguere tra scienze dimostrative (dove il risultato è il medesimo, al ripetersi del procedimento: si pensi al risultato di una equazione) e scienze argomentative (dove il risultato può non essere il medesimo e tale diversità non è necessariamente frutto di un errore compiuto nel primo o nel secondo procedimento).

Senza contare che pure le scienze “dimostrative” non sono “completamente” dimostrative (si pensi al teorema di Goedel dove si afferma che in ogni sistema c’è qualcosa di non giustificabile dalle regole di quel sistema, si pensi al quinto postulato di Euclide)

Ammesso che il diritto sia una scienza, la ripetibilità del processo sarebbe tendenzialmente infinita se non ci fosse l’istituto del giudicato (se ne parla per due volte nel merito ed una terza volta in diritto, poi basta, ad eccezione di ipotesi marginali ben determinate).

E’ proprio con questi esempi che si comincia a comprendere come la logica occupi soltanto un settore (in verità ridotto, molto ridotto) della più ampia regione della razionalità.

Da qui, la necessità di uno sforzo continuo ed una attenzione costante per non cadere nel relativismo assoluto tipico del postmodernismo (dove Tex Willer vale come Renzo Tramaglino o Lino Banfi come Aristofane).

Polemarco

Plaudo al rigore logico di Polemarco che nei suoi interventi si distingue sempre per la lucidità logica di esposizione.

I teoremi di Goedel pero' sono teoremi limitativi, applicabili nello specifico all'analisi e alla logica matematica piu' che alle "scienze dimostrative", ammesso di far ricadere in tale definizione le scienze cosiddette "esatte".

Ciò che Gödel ha mostrato è che, in molti casi importanti, come nella teoria dei numeri, o nell'analisi matematica, non è mai possibile giungere a definire la lista completa degli assiomi che permetta di dimostrare tutte le verità. Ogni volta che si aggiunge un enunciato all'insieme degli assiomi, ci sarà sempre un altro enunciato non incluso. Questo in realtà è cio' che dovrebbe spaventare.

Tornando all'assunto, in numismatica non è raro che su questioni di datazione fondamentali non abbiamo il riscontro, anche per motivi oggettivi (e quindi anceh indipendenti dal rigore dell'analisi condotta) di attribuzioni cronologiche sicure a seguito dell'analisi stratigrafica effettuata. Citero', per tutti, il caso del deposito votivo dell'Artemysion di Efeso dalla cui datazione dipende la data delle prime monete coniate conosciute ..

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Supporter

Cari tutti,

ho letto con vero piacere questo interessante thread e le varie argomentazioni esposte. Vorrei fare solo un paio di considerazioni aggiuntive sulla parte "archeologica" in generale, non avendo modo adesso di approfondire bene e con la serietà dovuta quella particolare della quale state discutendo.

Ovviamente sono d'accordo con Vincenzo che l'unico modo per poter dire qualcosa di diverso, se non di definitivo, sull'argomento sarebbe di avere una pubblicazione analitica del ritrovamento monetale, che oggi secondo me vorrebbe dire (e lo predico da tempo tanto ad archeologi che a numismatici che pubblicano monete da scavo...):

1) topografia del rinvenimento rispetto a quella generale del sito ed anche rispetto alla micro-topografia della zona di rinvenimento nel sito (ad es. vicino ad una porta, presso l'angolo di un ambiente, al centro di un edificio..)

2) stratigrafia, che vuol dire non solo lo strato, ma anche il tipo di sedimento (più o meno argilloso e quindi compatto etcc.), il volume (spessore in cm) e se possibile la collocazione della moneta rispetto ad esso (dentro il volume, oppure vicino all'interfaccia superiore, oppure vicino all'interfaccia inferiore)

3) associazione, ovvero tipo di associazione con gli altri materiali, tipologia e cronologia degli altri materiali in associazione, livello della loro consunzione e/o fluitazione o frazionamento.

> Tutti questi elementi dovrebbero concorrere a definire con la miglior approssimazione possibile il processo formativo dell'unità stratigrafica ed il contesto nel quale la moneta è stata immobilizzata, dislocata o meno, e secondariamente ritrovata.

Purtroppo tutte queste informazioni sono assai raramente comunicate, non solo in pubblicazioni archeologiche un poco "datate" ed in cui la notizia delle monete rinvenute appare , per così dire, "a latere", ma anche in pubblicazioni numismatiche relativamente recenti, anche se c'è una crescente sensibilità da parte di numismatici ed archeologici verso questi aspetti e verso il tema generale della "contestualità" (si vedano i vari convegni e workshop dedicati al tema in questi ultimi anni).

Penso però che se vogliamo davvero migliorare la qualità dei dati sui quali costruire le nostre ipotesi storiche, da numismatici ed archeologi dobbiamo chiedere a chi scava una maggiore analiticità e la massima puntualità nel registrare le informazioni, soprattutto in caso di monete. Non perchè siano più rilevanti di altri materiali, ma perchè spesso negli archeologi digiuni di numismatica c'è un poco il pregiudizio che la moneta da sola contenga tutti i dati necessari a definire non solo se stessa, ma ad informare lo strato di rinvenimenti stesso, se non l'intero contesto. Cosa che non sempre è vera...anzi.

Se questa è la situazione oggi, bisogna ricordare quando è stato fatto lo scavo del quale state parlando e quale era la situazione dell'archeologia in Italia in quel periodo. Penso che Vincenzo sia troppo giovane per averne un'idea diretta, mentre io ho fatto il mio primo scavo all'ultimo anno del Liceo giusto nel 1985, continuando con convinzione negli anni successivi con l'iscrizione all'Università. Ebbene era un periodo di transizione, nel quale il metodo stratigrafico era stato appena importato in Italia proprio dalla Gran Bretagna e si stavano mettendo a punto e testando gli strumenti per redigere la documentazione archeologica come noi la conosciamo oggi (del 1984 è la codifica ministeriale della scheda di Unità Stratigrafica; del 1986 la proposta di Parenti di una scheda anche di USM e solo del 1988 la codifica anche di una scheda di Unità Stratigrafica Muraria).

Non posso dire (e penso che nessuno lo possa fare con serietà sulla base del solo edito) con quale rigore e adesione ai moderni concetti di archeologia stratigrafica siano stati effettuati gli scavi dei quali state parlando. Bisogna considerare però che concetti che adesso sono il "pane quotidiano" degli archeologi italiani e gli "attrezzi" che adesso usiamo per interpretare le evidenze archeologiche nel nostro paese non erano affatto comuni in quegli anni. E devo dire meno che mai in certe archeologie (certa etruscologia, ad esempio, fa fatica ancora oggi a dotarsi di certi strumenti, e penso che Vincenzo lo sappia bene).

Per ciò sono d'accordo su un certo pregiudizio anglosassone e talvolta di una sorta di complesso di inferiorità che noi italiani possiamo erroneamente soffrire, ma anche quelle indagini archeologiche e quei report, nonostante la serietà di De Marinis, vanno contestualizzati e non valutati solo con gli "occhiali" che possiamo avere oggi. Ad esempio non solo non sono pubblicate planimetrie, come già rilevato, ma neppure un matrix o una tabella delle unità stratigrafiche individuate e tantomeno delle quantificazioni dei materiali in associazione nel famoso contesto di rinvenimento della moneta.

(continua e si conclude nel seguente post, MB)

Modificato da monbalda
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Supporter

(continua da sopra)

Infine: ammiro Vincenzo per la sua solida fiducia nelle "leggi" della stratigrafia archeologica e nella loro rigorosa verifica e certa documentazione. Tuttavia per esperienza personale, e dopo ormai vent'anni di archeologia "militante", ho in mente diversi siti archeologici, soprattutto rurali, in cui i limiti delle Unità Stratigrafiche non sono affatto netti e nei quali la sedimentologia e la stagionalità dello scavo (periodo secco o periodo umido) incidono molto sulla qualità del record archeologico: in questi anche l'archeologo esperto ed attento, a seconda dei casi e condizioni in cui si trova ad operare, può avere difficoltà nel riconoscere subito certe evidenze archeologiche (buche, ad esempio, o rasature orizzontali) ed è costretto a correggersi in fase di scavo, se non di postscavo.

Se a tutto questo si aggiunge la possibilità che non tutti gli scavatori sono sempre preparati allo stesso modo o non hanno tutti lo stesso grado di attenzione, si comprende bene come esista sempre la possibilità di non capire subito quello che si sta scavando e di farlo in modo anche errato (l'esempio tipico: rimuovere insieme il riempimento di una buca e lo strato in cui essa è tagliata, a maggior ragione se si tratta di un sito ad alta residualità e se le associazioni dei materiali dentro la buca e nello strato tagliato possono essere di fatto i medesimi...). Ovvio che tale rischio è molto forte anche quando se si rimuovo strati molto estesi con il mezzo meccanico...

Un'altra cosa che riscontro spesso, ad esempio, è che non si puliscono bene le murature, alle quali può rimanere attaccata qualche zolletta di terreno soprattutto se il sedimento è a matrice argillosa. Poi basta una pioggia forte, che interrompe lo scavo per un giorno o due che dilava bene la muratura portando a volte anche per alcuni millimetri sotto la superficie ressa molle dall'umidità, piccoli materiali, a maggior ragione se pesanti come una moneta. Oggi il bravo archeologo sa come valutare il proprio intervento dopo un eventi di questo tipo, o i ritrovamenti in base alla preparazione dei propri collaboratori, ma ripeto non so se questo avvenga sempre e quanto avvenisse anche trenta o venti anni or sono.

Detto questo mi scuso per essermi dilungata così tanto, e ne approfitto per inviare anche a voi i miei più sentiti auguri per un prospero e sereno 2013.

MB

Modificato da monbalda
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Concordo in gran parte con il ragionamento svolto da Monbalda, soprattutto per quanto concerne la completezza nell'edizione di materiali, però vorrei sottolineare alcuni punti.

La codificazione dell'attuale metodo di scavo della Scuola Italiana è stata edita nel 1981 da Andrea Carandini, con il volume "Storia della Terra".

Ma dal punto di vista pragmatico, il metodo stratigrafico per osmosi da parte di altre scuole era diffuso in Italia già dagli anni '70.

Il metodo stratigrafico venne introdotto in Gran Bretagna e sintetizzato nelle opere di Harris e Barker tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70, ben dopo il famoso Scavo di Morgantina, ancor oggi utilizzato come Magna Prova dalla Scuola Middle.

Quindi o, in quanto svolte con metodologie archeologiche superate, declassiamo il dato di Morgantina o teniamo per buono anche il dato di Prestino. Per me vanno bene entrambe le soluzioni, ma non una scelta che potrebbe essere faziosa.

Io scavo con l'Università dal 1998 e ricordo bene che la prima cosa che insegnano, non è riconoscere un'U.S. da un'altra U.S., ma un U.S. positiva da una negativa. E non parliamo nel caso Prestino di un piccolissimo taglio di intrusione, ma di qualcosa di molto più evidente e lampante. Sarò pedante, ma ripeto che il riconoscimento di uno strato di intrusione corrisponde alla misurazione di una febbre da parte di un chirurgo.

Quanto al pregiudizio straniero, esso è veritiero, ma non fondato...sic historia dicit.

Come mai la nota Scuola Anglosassone di archeologia viene chiamata solo nei territori delle loro ex colonie, mentre gli archeologi italiani hanno missioni in tutto il mondo? Casualità?
Certo ci sono eccezioni, ma non si possono fare paragoni tra il miglior archeologo inglese e il peggior archeologo italiano. Si facciano giudizi equi.

Anche perchè se dovessi confrontare un Holscher con un Bandinelli, un Becatti, ma anche una Fabricotti o un Carandini, la risposta sarebbe ovvia e unanime.

Continua...

Modificato da Vincenzo
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Il problema, cara Monbalda, non è lo stabilire il valore assoluto di un dato o se è necessario una volta "incrociato" rimuovere completamente prima lo strato di intrusione e poi proseguire con gli strati "normali"; il problema è se un dato, pubblicato da Monbalda o da Vincenzo(a parità di professionalità tra i due) hanno il medesimo valore scientifico o quello di Monbalda deve pesare di più perchè ella fa parte di una determinata Scuola Archeologica?

E' questo su cui si discute, oltre al caso specifico di Prestino.

Il problema, ancor più grave, è il piegare il dato alle proprie esigenze di ricostruzione cronologica, facendo pesare la propria nazionalità e la fortuna, in quel momento, della propria scuola.

Vincenzo.

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Supporter

Caro Vincenzo,

mi fa piacere che tu sia in linea e che tu abbia prontamente risposto :).

Ti assicuro che quella di Andrea Carandini tra la metà circa degli anni Settanta e l'81, anno della prima edizione del suo manuale Storie dalla terra, era una punta piuttosto avanzata rispetto al panorama nazionale, e che non a caso traduceva tendenze anglosassoni (o cose che gli inglesi avevano già scritto, traslate però in ambiente mediterraneo) e che negli anni 70 in scavi condotti solo da archeologi nostrani in rari casi si faceva archeologia davvero stratigrafica. Ricordo che ancora nel 1977 Carandini scriveva un contributo dal titolo: Contro lo sterro e per lo scavo in "Ostia IV".... non sarà un caso, no?

Lo stesso Lamboglia, che per i suoi tempi era davvero all'avanguardia, ancora negli scavi della Loggia di Savona durante gli anni Settanta lavorava piuttosto per "macro-orizzonti" (ho visto direttamente i suoi giornali di scavo, con gli orizzonti colorati a matita: lo scavo di un sito si risolveva in 5 o 6 grandi orizzonti, corrispondenti più o meno ad uno di quelli che oggi chiameremmo "periodi") che seguendo un approccio propriamente stratigrafico. Ed infine la prima traduzione italiana dei Principi di stratigrafia archeologica di Harris è del 1983.

Perchè si effettuasse quell'osmosi di cui tu parli e l'archeologia stratigrafica divenisse pratica comune in Italia ci sono voluti tutti, ma proprio tutti gli anni Ottanta dello scorso secolo, se non qualcosa di più. E proprio osmosi fu, in gran parte mutuata da quanto molti archeologi italiani impararono dai loro colleghi inglesi, ma anche polacchi o tedeschi ad esempio, chiamati a collaborare con loro in Italia.

Per il periodo storico di riferimento in questo caso, inoltre c'è stato un lungo e strisciante confronto tra sostenitori dell'approccio essenzialmente culturale e sostenitori dell'approccio meramente stratigrafico, per giungere oggi all'importanza e necessità di entrambi (senza parlare neppure del processualismo, che da noi non ha mai veramente attecchito, per fortuna o meno).

Tu dici di aver iniziato a scavare nel 1998, se non erro: io ti parlo da testimone oculare della fine di un periodo complesso della nostra archeologia (tra l'altro archeologia di ricerca, sempre fatta con l'Università), ma molto interessante, nel quale almeno si ponevano questioni di metodo e si dibatteva anche duramente, ma con costrutto, a differenza di quanto avviene oggi, che si dà tutto, spesso banalmente, per scontato.

Scusandomi per le divagazioni che forse interessano solo noi archeologi,

vi invio un caro saluto e ... alla prossima (penso ormai per me al prossimo anno :)) MB

P.S. L'ultimissimo post di Vincenzo lo vedo solo adesso ed in linea di massima posso anche essere d'accordo...però bisogna valutare se questo è davvero il caso, cioè esserne sicuri.... E su questo torno a leggervi, lasciandovi la parola.

Modificato da monbalda
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Ringrazio di cuore Monbalda e Vincenzo per avere offerto interessanti problematiche sugli scavi archeologici e sui rinvenimenti monetari.

Il problema mi sembra ancora maggiore in presenza di rinvenimenti isolati, come nel caso di Prestino, rispetto a interi e intatti tesoretti. Anche questi ultimi, ovviamente, vanno attentamente contestualizzati in quanto essi stessi possono avere origine diversa, come un deposito votivo (che copre un arco di tempo più o meno lungo), un gruzzolo di tesaurizzazione privata (dove può essere effettuato un certo grado di selezione da parte dell'originario proprietario e non necessariamente in un breve arco di tempo), gruzzolo di immediato deposito (in genere per motivi bellici e in genere composto da nominali in circolazione in quel momento) e così via.

Sicuramente le informazioni provenienti da scavi abbastanza datati, e quindi con criteri che possono discostarsi da quelli attuali, devono essere valutate con una certa precauzione.

Restano utili informazioni, che però devono a loro volta essere comparate con altre, anche da diversi contesti.

E' quindi necessaria una visione molto ampia, che sarà tanto più utile quanto migliori sono le stesse informazioni.

Accennando brevemente al solito problema della datazione delle monete etrusche e anche dello stesso denario romano non si dovrebbe avere preconcetti e valutare allo stato attuale l'intera mole delle varie evidenze e arrivare a formulare una teoria (solo una teoria e non una verità assoluta) che permetta di soddisfare al meglio i vari problemi che possono derivare dai vari contesti (in Magna Grecia come in Sicilia).

Finora la "Middle theory" è quella che è riuscita a offrire il maggior numero di risposte attendibili, anche se il discorso è ancora lontano dalla definitiva conclusione.

A mio giudizio è molto importante analizzare i rapporti tra la moneta romana e la moneta locale (compresa quella etrusca) per meglio chiarire certe dinamiche monetarie e talvolta anche possibili contesti storici e cronologici. E' anche importante evitare una eccessiva visione "romano-centrica", presupponendo l'esistenza di una sorta di primato della moneta romana su quella di altre comunità fin dalle sue fasi iniziali (è vero che i Romani uscirono vittoriosi e imposero la loro moneta, ma il loro "primato" non fu subitaneo e non sempre è agevole comprendere i reali rapporti tra Roma e gli altri centri politico-economici).

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Finora la "Middle theory" è quella che è riuscita a offrire il maggior numero di risposte attendibili, anche se il discorso è ancora lontano dalla definitiva conclusione.

Su questo assioma, mi permetto di dissentire.

La middle chronology si è basata su tutti argomenti ex silentio, tranne uno ex facto, che è il dato di Morgantina, peraltro accettato anche dai tradizionalisti.

La middle chronology ha volutamente ignorato altri argomenti ex facto, come i dati di Monte Adranone, per non citare la violenta esclusione e marginalizzazione delle fonti antiche.

La middle chronology ha spesso piegato il dato al "proprio interesse" ed è sufficiente vedere la pubblicazione di alcuni tesoretti da parte dei "middleniani", così profondamente diversa dalle originarie edizioni e con materiale espunto in quanto reputato spurio.

La middle chronology ha infine compiuto un errore metodologico molto grave, in quanto l'archeologia e la numismatica non hanno risultato esatto, ma buona e cattiva prassi.

E buona prassi dice che prima si confuta totalmente e definitivamente una teoria precedente e poi si può reputare assioma veritiero, o anche molto probabile, il nuovo.

Ciò non è stato compiuto ed attendiamo ancora che avvenga, con fatti e non rindondanza mediatica, in quanto non sarà il ripetere più volte una teoria a renderla maggiormente veritiera.

Vincenzo.

Modificato da Vincenzo
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