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IGNORED

Due zecche misteriose


Risposte migliori

E infine del Sylloge Nummorum ANS (New York):

IRNTHIANS.jpg

Solo solo esempi dell'importanza di poter avere a disposizione cataloghi e Sylloges relativi a una determinata zecca. Purtroppo per la massima parte sono libri che non sono reperibili su internet e una importante voce del collezionista e dello studioso è l'investimento sui libri......

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Per rispondere a Rockjaw, che nel suo post iniziale chiedeva informazioni su Velecha, oltre che su Irnum...

Non ho trovato alcuna citazione di fonti antiche in cui Velecha sia nominata. A quanto pare, ma potrei sbagliarmi, l'unica fonte è la legenda sulle monete. Ti consiglio di dare un'occhiata ai volumi della collana Antica Madre (in particolare "Rasenna", "Alumna" e "Parens"), considera però che, pur essendo ottime pubblicazioni con articoli interessantissimi, questi volumi hanno il terribile difetto di non riportare un indice analitico, quindi dovrai faticare molto per fare una ricerca, anche considerando che parliamo di più di 700 pagine a volume.

Il centro a cui si riferisce il nome di Velecha non è stato ancora identificato con certezza, alcuni lo attribuiscono a Vulci ( http://lib.ugent.be/...010_0001_AC.pdf vedi pag.55), altri a Buccino (http://static.repubb...k102/index.html), altri ancora ad Aversa (http://www.iststudia...\rsc_vol_14.pdf vedi l'articolo a pag.160).

Per ciò che riguarda la monetazione, oltre agli articoli consigliati dall'ottimo numa numa nel post #4, qui trovi un articolo di Alberto Campana in cui si parla anche della monetazione di Velecha:

numis.me/archivio/Meles.pdf

E queste sono le referenze che ho trovato tra i miei volumi indicizzati nel T.A.R.A.S., ma considera che ne mancano molti ancora non indicizzati e quindi la lista è incompleta:

SNG France [6.1] 1210-1212

VelechaSNGFranced.jpg

VelechaSNGFrance.jpg

SNG ANS II 1442

VelechaSNGANSd.jpg

VelechaSNGANS.jpg

HN Italy 1341-1345

ALFA I pag.479 (la foto riportata è la stessa di HN Italy)

VelechaALFA.jpg

IGC Hands pag.45

VelechaIGCHandspag45.jpg

Repertorio pag.29

Repertoriopag29.jpg

Sambon RAMIM pag.58

VelechaSambonRAMIMpag58.jpg

KM Berlin pag.25-26, pag.164

KMBerlinpag25-26.jpg

KMberlinpag164-5.jpg

...continua...

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...

Garrucci II pag.90 PL.LXXXVIII_9-1

GarrucciIIpag90a.jpg

GarrucciIIpag90b.jpg

GarrucciPL88.jpg

BIBLIOGRAFIA:

ALFA I (Catalogo ALFA delle monete antiche; Magna Grecia, Vol.I; Alfa Edizioni, Torino 2006)

Garrucci I (Le monete della Italia Antica, raccolta generale del P. Raffaele Garrucci; Parte prima: monete fuse; Roma 1885)

Garrucci II (Le monete della Italia Antica, raccolta generale del P. Raffaele Garrucci; Parte seconda: monete coniate; Roma 1885)

HN Italy (Historia nummorum Italy; by N.K. Rutter; British Museum Press 2001)

Hunterian I (Catalogue of Greek coins in the Hunterian Collection University of Glasgow – Vol. I: Italy, Sicily, Macedon, Thrace and Thessaly; by George MacDonald; Glasgow 1899)

IGC Hands (Italo-Greek Coins of Southern Italy; by the Rev. A.W. Hands; London 1912)

KM Berlin (Konigliche Museen zu Berlin – Beschreibung der Antiken Münzen; Dritter Band Abtheilung 1 – Italien; W. Spemann, Berlin 1894)

Repertorio (Repertorio, ossia descrizione e tassa delle monete di città antiche comprese ne’ perimetri delle provincie componenti l’attuale Regno delle due Sicilie al di qua del faro. Per Gennaro Riccio – Napoli 1852)

Sambon (Les monnaies antiques de l'Italie – Tome premier; Etrurie, Ombrie, Picenum, Samnium, Campanie, Cumes et Naples; par Arthur Sambon; Paris 1903)

Sambon RAMIM (Recherches sur les Anciennes Monnaies de l’Italie Méridionale; par L. Sambon; Naples 1863)

SNG ANS II (Sylloge Nummorum Graecorum; The Collection of the American Numismatic Society; Part II Lucania; New York 1972)

SNG France [6.1] (Sylloge Nummorum Graecorum France 6.1, Departement des monnaies, medailles et antiques. Italie: Etrurie - Calabre; Paris 2003)

Modificato da TARAS
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Buona l'idea di Taras di creare un archivio bibliografico per ogni zecca, in modo che quando si vuole studiare la monetazione di una determinata zecca italica o magnogreca, lo si rende subito disponibile sotto forma di schede con i vari esemplari noti.

Il passo successivo sarebbe quello di poter creare una monografia completa per quella zecca, similmente a quanto avevo fatto per il CNAI (Corpus Nummorum Antiquae Italiae), pubblicato a puntate in Panorama Numismatico diversi anni fa e che è stato da poco scaricato e quindi disponibile nel sito Numis.me, un nuovo portale degli stessi responsabili di questo forum, con l'obiettivo di agevolare la ricerca di studi e anche la pubblicazione di nuovi lavori.

La monetazione antica, almeno limitatamente all'Italia e Sicilia, è di notevole complessità e si sente la mancanza di un vero "Repertorio" che sia correttamente impostato, ove si riesca a unire la giusta dose di sintesi, con la visualizzazione delle varie monete emesse, riordinate per tipi e varianti, con un minimo di analisi che giustifichi l'inquadramento storico-cronologico e le possibili connessioni con altre zecche, spesso accomunate da una medesima area di circolazione (almeno in determinati periodi temporali).

Per le greche manca, in altre parole, un catalogo simile a quello del Crawford per le monete romane repubblicane (anche considerando aperte alcune questioni cronologiche).

E' un progetto estremamente ambizioso e complesso, che andrebbe messo a punto.

Sarebbe utile la collaborazione di tutti quelli che sono veramente interessati almeno a determinate zecche, con bibliografia e magari archivi fotografici. Ci sarà qualcuno, magari più specializzato per una o più zecche, che ha cercato di costruirsi un proprio archivio sulla zecca di proprio interesse, magari scaricando anche da siti che poi scompaiono (come eBay).

Sicuramente il lavoro è più agevole per zecche piccole o rare, come avevo fatto io e come le due zecche oggetto della presente discussione e un primo passo potrebbe essere il prosieguo delle monografie CNAI (io ero solo e a un certo momento non ce la facevo più, per cui ho preferito dedicarmi ai meno faticosi articoli più specializzati, come sulla rivista Monete Antiche).

Se si riuscisse a coordinare tali sforzi e contributi, si potrebbe studiare a un progetto che permetta l'identificazione e classificazione di tutte le monete greche dell'Italia e Magna Grecia, naturalmente utilizzando anche testi già pubblicati.

Adesso sono in partenza per le ferie sulle Dolomiti (ho tanta nostalgia di grandi camminate e anche di buoni funghi....) e colgo l'occasione per salutare tutti i cari forumisti che hanno avuto la pazienza di leggermi e, in alcuni casi, anche di conoscermi.

Buone vacanze a tutti !

Alberto

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Se si riuscisse a coordinare tali sforzi e contributi, si potrebbe studiare a un progetto che permetta l'identificazione e classificazione di tutte le monete greche dell'Italia e Magna Grecia, naturalmente utilizzando anche testi già pubblicati.

L'idea mi sembra molto bella, magari da settembre potremmo provare a mettere su un gruppo di ricerca su questo forum, e aprire delle discussioni "contenitore" per ogni singola zecca (partendo dalle minori non ancora pubblicate da acraf/Alberto sul CNAI), in cui ognuno potrebbe dare il proprio contributo coi testi, le fotografie e le conoscenze che possiede, per poi arrivare infine ad una sintesi. Una volta raggiunti i primi risultati potremmo proporre a questo forum di aprire una nuova sezione su Il Network>Cataloghi online, dedicata alle monete greche dell'Italia antica... e se la cosa funziona passare a zecche più impegnative.

L'idea mi entusiasma molto, spero che si possa formare un bel gruppo di appassionati, e realizzare questo ambizioso progetto.

Buona vacanza caro Alberto, e grazie della passione che riesci a trasmettere :)

Nicola S.

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Ringrazio infintamente Taras per i preziosissimi riferimenti sulla zecca di Velecha!! Vedrò di approfondire e leggere attentamente i testi che ha riportato, non appena avrò un pò più di tempo. Mi fa piacere che si sia creata una bella ed appassionata discussione sull'argomento :D

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  • 2 settimane dopo...

Per rispondere a Rockjaw, che nel suo post iniziale chiedeva informazioni su Velecha, oltre che su Irnum...

...

[EDIT: evitare di citare integralmente messaggi lunghi, rende le discussioni difficilmente leggibili]

Premetto che è la mia prima volta che partecipo a un forum e non sono per niente pratico.

Sto facendo una ricerca su VELECHIA.

Sono arrivato a una conclusione che sottongo all'attanzione.

Riporto uno stralcio di un articolo uscito a mia firma sul Corriere dell'Irpinia di domenica scorsa.

Nella precedente puntata si è parlato delle monete riconducibili all’area osco-sabellica.

Fra queste è ben nota una serie che fa riferimento a un centro che a tutt’oggi non è stato localizzato. Si tratta delle monete in bronzo che recano l’epigrafe VELECHA in caratteri greci. Le monete hanno al dritto una testa raggiante, simbolo del Sole, con luna e stelle, e al verso il busto di un cavallo o un elefante. Alcune monete sono ribattute su monete mamertine.

Raffaele Garrucci (1812 –1885), insigne numismatico e archeologo, fa risalire la monetazione fusa di Velecha all’epoca di Pirro e quella coniata, che ha tipi africani, al tempo delle guerre puniche. La loro provenienza è assegnata dubitativamente alla Campania (Friedlander) o alla città di Volcei (odierna Buccino), a quest’ultima peraltro solo sulla base di una certa assonanza col nome e della vicinanza con Poseidonia-Paestum.

Lo studioso, rilevato che nelle monete si usano sei globetti per indicarne il valore, le riconduce ai tipi in uso nella Sicilia agragantina, camerinese, misistratese, liparese e mamertina. Quest’ultima area (Messana-Messina) era stata occupata da mercenari sanniti di origine campana nel 472-475 (Polibio, XX) che si erano dati il nome di Mamertini dal nome del dio Mamers (corrispondente osco di Marte). Da qui lo studioso arriva alla suggestiva conclusione che Velecha identifichi un centro campano fondato da mercenari oschi reduci dalla Sicilia, dove avevano operato a servizio dei Cartaginesi per esserne poi ricacciati in patria da Pirro. Il nome dato al nuovo centro – VELECHA - evocherebbe in tal caso il nome del dio VELCANOS: Vulcano, il dio del mare particolarmente venerato nell’area siciliana fra Messina e Lipari.

Dov’era la città fondata dai reduci di Messina tornati sconfitti in Campania? Dov’era l’antica Velecha, la città di Vulcano? Dov’era questa città, nota solo per il nome inciso sulle monete? Ne sono visibili i resti? C’è qualcosa che ne perpetua il ricordo? A queste domande non è stata data ancora risposta. Tuttavia alcune circostanze inducono a delle riflessioni, sulle quali è possibile forse azzardare una suggestiva ipotesi.

E.T. Salmon (Il Sannio e i Sanniti, pag.98) ha osservato che le monete della nostra Veleha sono del tutto simili a quelle emesse da Capua, Atella e Calatia in un particolare periodo della loro storia.

Ci deve essere quindi un filo che univa Velechia con quei tre centri campani.

Tito Livio non cita mai Velechia, però nella sua Storia di Roma per ben due volte ricorrono, tragicamente uniti, i nomi delle tre città di Capua, Atella e Calatia (Livio XXVI 33.12; XXVI 34.6).

In effetti dopo la fatale disfatta di Canne (216), molte comunità italiche, a cominciare da Capua e dai Sanniti irpini e caudini, avevano defezionato da Roma, passando con Annibale. Ben presto però il dominio cartaginese sulla Campania era stato spezzato, e nel 211 Capua, seguita da Atella e Calatia, si arrendeva ai romani. Salmon annota che subito dopo si arrendevano anche i Sabatini, ovvero gli abitanti della valle del Sabato, che occupavano il territorio a sud di Benevento (Salmon, pag. 316). Agli abitanti delle tre città campane e ai Sabatini Roma avrebbe poi riservato la sorte delle deportazione in massa e limitazione dei diritti civili; alle rispettive classi dirigenti quella della confisca dei beni e della riduzione in schiavitù.

Salmon, partendo proprio dall’osservazione che Capua, Atella, Calatia e i Sabatini nel corso della seconda guerra punica erano uniti in una sorta di lega contro Roma e che Capua, Atella, Calatia e Velecha in quel preciso momento storico battevano monete dello stesso tipo, arriva alla ovvia conclusione che Velecha fosse una città dei Sabatini (Salmon, pag. 347), presumibilmente eminente, se non la capitale.

Salmon non formula alcuna ipotesi per la localizzazione di Velecha, ma si limita acriticamente a riportare l’opinione di R. Thomsen (Early Roman Coinage), che la fa corrispondere a Volcei. Eppure proprio Salmon, come detto, aveva localizzato i Sabatini nella valle del Sabato, ben lungi da Volcei!

I Sabatini,occupavano verosimilmente l’area dell’alto e medio Sabato, vale a dire la conca di Avellino, il Serinese e la valle fra Prata e la stretta di Barba, comprese le alture circostanti. Non è da escludere che il loro territorio si proiettasse, oltre il valico di Monteforte, fino al limite della pianura nolana; in tal modo il massiccio del Partenio forse restava tutto all’interno del loro territorio, costituendo l’ultimo inespugnabile rifugio della tribù in caso di necessità, secondo il ben noto schema attestato per i Pentri col massiccio del Matese e i Caudini col Taburno.

Come che sia, al centro del territorio dei Sabatini, in posizione strategica, è situata la collina della Civita (nel territorio dell’odierna Atripalda), presso cui confluiscono nel fiume Sabato il rio Fenestrelle (già Schiti) – Rigatore da Ovest e il Salzola da Est. Ed è proprio sulla collina della Civita, oggi solo in parte esplorata, che è stato localizzata la città romana di Abellinum.

È forse qui da localizzare la misteriosa Velecha, l’antica capitale dei Sabatini, deportati dai romani nel 221 insieme agli abitanti delle tre città campane? Era quindi Velecha il centro sul quale sarebbe poi sorta Abellinum?

contina

in sintesi ci sono ad Abellinum varie testimonianze materiali in linea con l'ipotesi di una fondazione pre-romana.

Poiché non sono né numismatico né archeologo, ma un semplice appassionato-divulgatore di storia, sarei molto grato a chi potesse fornirmi notizie e immagini sulla monetazione di velecha, capua, ecc oltre che un'opinione su quanto ho ipotizzato.

grazie

gerardo troncone

[EDIT: sconsigliato inserire in chiaro il proprio indirizzo email (attira spam), utilizzare i MP del forum]

Modificato da Paleologo
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Molto interessanti le notizie postate da gerardo22 (benvenuto nel forum!) e spero al ritorno dalle mie ferie di poter riordinare un pò le informazioni riguardanti sia Irnum che soprattutto Velecha e approfondire la sua identificazione con la romana Abellinum (sulla collina della Civita).

Naturalmente sarebbero molto utili informazioni relative a rinvenimenti da scavi condotti solo di recente su tale località....

A presto e cari saluti

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Ringazio Visconte dell'attenzione.

Per quanto riguarda IERANTO per IRNI la mia ipotesi si basa solo sul nome e sulla circostanza che gran parte dei ritrovamenti riguardano la penisola sorrentina (bisognerebbe forse localizzarli rispetto alla baia di IERANTO, che è vicinissima a Punta Campanella:

Per quanto riguarda VELECHA, allego il resto dell'articolo di cui ho già inviato la prima parte al forum, dove ho sintetizzato la situazione delle emergenze archeologiche pre-romane nella valle del Sabato.

Comunque ho molto altro materiale, che è a disposizione.

Credo che un testo utilòe per inquadrare il fenomeno dell'urbanesimo antico (VI-V secolo) in Campania sia Cerchiai, I Campani, che posso mettere a disposizione di chiunque in formato digitale.

Credo che con Velecha, Caudium, forse Maleventum e altri centri ci troviamo in presenza della cosiddetta Dodecapoli etrusca, sui cui centri sussistono non poche incertezze. Penso che proprio la numismatica potrà essere non poco di aiuto.

A proposito, è statamai ipotizzata un'identificazione di MELES con MALES Maleventum Beneventum?

Benevento, come Avellino, si trova sulla via naturale (Volturno-SCalore-Sabato-Picentino che collegava i due centri proto-etrusci della Campania (Capua e Pontecagnano) fra di loro.

Per il momento, ecco la II parte del mio articolo:

Era quindi Velecha il centro sul quale sarebbe poi sorta Abellinum?

A questo punto è utile ripercorrere sia pur brevemente, a partire dagli insediamenti preromani, la vicenda storica della valle del Sabato e del suo centro capoluogo, sulla base delle inoppugnabili testimonianze archeologiche, seguendo principalmente gli studi di Gabriella Colucci Pescatori (Sellino, Storia dell’Irpinia).

Non vi è accordo tra gli studiosi sul momento della nascita della colonia e sulle rifondazioni della stessa succedutesi nel tempo. Sulla base del Liber coloniarum e della titolatura della colonia attestata nell'iscrizione CIL X 1117 viene ritenuta da alcuni di età graccana (in paricolare Beloch 1926); altri pensano che si tratti di una colonia sillana, nonché augustea (Mommsen e da ultimo Camodeca). Le iscrizioni lapidee provenienti dalla colonia romana di Abellinum e dal suo territorio, ad eccezione delle poche inedite venute alla luce durante i lavori successivi al terremoto del 1980 o nel corso di più recenti scavi , sono state raccolte per la maggior parte nel vol. X del CIL.

Il fiume Sabato era una grande via di penetrazione tra il Beneventano e il Salernitano nel periodo sannitico e in età arcaica, non meno che in quello romano e medievale. Il nome del fiume non appare nell’antica letteratura, tuttavia gli abitanti che risiedevano nella valle, come detto, erano chiamati Sabatini.

Nel territorio della valle del Sabato in età sannitica l’occupazione del territorio appare diffusa e costituita da piccoli nuclei sparsi, il cui elemento di aggregazione e di collegamento è il fiume Sabato, polo di attrazione delle popolazioni che ne occupavano le due rive. Su di esse è testimoniato di una sorta di movimento pendolare tra insediamenti di collina e insediamenti di pianura, determinato da fattori difensivi e produttivi.

Dati utili provengono per l’età arcaica (VI V secolo a.C.) soprattutto da materiali rinvenuti alla località Soprapiano di Capriglia e nell’area dell’ex Ospedale di Avellino, al viale Italia. In particolare Soprapiano poteva costituire uno dei centri fortificati della comunità paganica comprendente la valle.

La stessa funzione poteva avere, sulla riva destra del fiume, Castelluccio di Santo Stefano del Sole, insediamento collinare da cui è possibile una vista a lungo raggio e quindi il controllo di tutta la zona sottostante, documentato da materiali ceramici, arcaici e sannitici, mentre tutta l’area posta ai piedi della collina di Santo Stefano era adibita a produzione agricola che poteva essere sfruttata a integrazione di un tipo di economia pastorale .

Nel corso del IV secolo si regista un incremento quasi improvviso di testimonianze archeologiche, che documentano una occupazione stabile di alcune aree collinari poste in posizione di controllo di importanti nodi di viabilità naturale e delle pianure sottostanti.

I materiali provengono da tombe risalenti ad un periodo che va dal pieno IV secolo agli inizi del secolo successivo, poste lungo la riva destra (Serino, Santo Stefano del Sole, Candida, Manocalzati e Pratola Serra) e la riva sinistra (Cesinali, Avellino, Capriglia e Altavilla Irpina) del fiume Sabato e documentano la presenza di genti di stirpe sannitica.

È il segno dell’arrivo dei mamertini reduci dalle guerre di Sicilia ?

Nasce Velecha ?

Si consolida in questa fase la struttura abitativa paganico vicana con l’organizzazione del paesaggio rurale circostante in insediamenti sparsi, cui rimandano i recuperi di piccole necropoli.

Tutta l’area comprendente le colline di Pratola Serra in località Santo Iorio e Serritiello, e Ponte Sabato in posizione di fondovalle, ha restituito un considerevole numero di tombe che testimoniano, tenuto conto anche delle caratteristiche topografiche differenti (Serritiello e Santo Iorio in collina, Ponte Sabato a valle), funzioni diversificate.

Alcune tombe rinvenute aPonte Sabato, in prevalenza a cassa e addensate intorno a una a camera, fanno pensare a raggruppamenti familiari e alla presenza di un elemento gerarchicamente superiore in una comunità che dimostra articolazione sociale. Il rituale sembra prevedere la rottura e la bruciatura dei vasi, i cui frammenti sono deposti nella tomba del defunto di sesso maschile in onore del quale si era compiuta una libagione. Le forme ricostruibili dai numerosi frammenti appartengono a coppine, piatti, lekanai. Nelle tombe maschili sono attestate le cuspidi di lancia in ferro. L’insediamento di Ponte Sabato è connesso con la località Cesine di Candida, dove alcuni reperti indicano la presenza di un nucleo abitato di fine IV inizi III secolo a.C., e con Fontanelle di Manocalzati. Questi siti, che rispondono alle esigenze di probabili villaggi aperti verso la pianura, possono essere messi in rapporto ad altri nelle immediate vicinanze, che rispondevano a esigenze difensive, quale San Barbato di Manocalzati ed il moderno centro di Candida.

Accanto ai villaggi aperti di pianura (vici), documentati da necropoli, erano situati i santuari, che rappresentavano i principali luoghi di aggregazione. In base alla tipologia e alla cronologia dei materiali rinvenuti, è possibile porre proprio a partire dal IV secolo l’utilizzo dell’area di Civita di Atripalda per questa funzione comunitaria.

Il sito non è in posizione molto elevata, ma è tale da favorire i traffici e le relazioni, in quanto posto alla confluenza del rio Fenestrelle-Rigatore con il Sabato, all’incrocio di una importante direttrice viaria. L’area assolveva sia a una funzione sacrale, ovvero era identificabile come spazio di santuari, ove le comunità sannitiche svolgevano attività amministrative, politiche, religiose, ma era anche centro di mercati, costituendo una cerniera rispetto agli insediamenti limitrofi e non un confine tra questi.

In base alle indagini archeologiche, a partire proprio dal III secolo a.C. il centro sulla Civita tende a svilupparsi sempre di più, ipotesi confermata dalla costruzione delle mura di difesa del luogo. Un tratto della fortificazione urbana (tre assise), che difendeva l’insediamento, si è rinvenuto sul lato settentrionale. Il muro era costruito in opera quadrata con blocchi di tufo parallelepipedi rettangolari. La tecnica edilizia certamente segna l’influenza dei centri più evoluti della Campania (Pompei) e le mura di difesa evocano momenti difficili, caratterizzati dalle guerre con Roma (IV III secolo a.C.).

Cessa di esistere la sannita Velecha, la cui popolazione è deportata o ridotta in schiavitù ?

Ne prende il posto la nuova colonia di Abellinum ?

La tradizione storiografica attesta la deduzione di una colonia di età graccana, sulla base di un passo del Liber Colonarium: “Abellinum, muro ducta colonia, deducta lege Sempronia” (L. I, 229,16 18). Tale deduzione è ipotizzata dagli studiosi per il titolo di Veneria della colonia e la presenza di praetores duoviri quale magistratura suprema. Le informazioni contenute nel Liber hanno ricevuto parziali conferme dalle acquisizioni conseguite dalla ricerca archeologica.

La deduzione della colonia dovette accentuare il processo di urbanizzazione, favorendo la concentrazione di interventi pubblici e privati nell’ambito del centro prescelto. A questo momento si possono far risalire alcune strutture murarie in opus incertum, ed alcuni elementi decorativi da monumenti funerari, pilastri d’anta ornati da capitelli figurati che trovano confronto con l’ambiente pompeiano. Werner Johannowsky in un’area pianeggiante nella zona di Serino ha individuato una divisione agraria (centuriazione) con la misura ricorrente di 13 actus, che potrebbe le assegnazioni graccane post annibaliche. In questo periodo è dimostrato l’utilizzo dell’agro pubblico, con numerose assegnazioni in Irpinia, dai rinvenimenti dei cippi graccani del 129 a.C. nel territorio tra Abellinum, Aeclanum e Compsa.

La ricerca archeologica, iniziata nel 1975 nell’area urbana dell’antica città, ha permesso di individuare una doppia cinta muraria. La prima, in opus quadratum (grossi blocchi di tufo giallo), da riferire al III secolo a.C., porta all’identificazione dell’oppidum originario. L’altra, in opus reticulatum, di cui è possibile seguire l’intero circuito, con torri semicircolari allineate alla cinta, è da riportarsi della colonia romana di età tardo repubblicana. Il circuito delle mura delimita l’intera collina della Civita di Atripalda per una lunghezza di circa di 2 km, racchiudendo la città antica che occupa una superficie di circa 25 ettari.

L’intervento edilizio del circuito murario attestava espressamente lo scopo difensivo, garantiva sicurezza alla colonia da attacchi esterni e forniva una cinta daziaria all’abitato che, sorto su una via di comunicazione importante, il raccordo tra l’Appia e la Capua Rhegium, doveva essere un centro di sicura rilevanza commerciale. L’impianto originale delle mura presenta una cortina rettilinea, dello spessore costante di circa 3 m alla base e di circa 2 m nella parte più alta, con tufelli di forma piramidale, con andamento abbastanza regolare; internamente sono visibili pilastri rettangolari, che ricordano la fortificazione pompeiana di età sannitica, con testate in tufelli, che si susseguono alla distanza regolare di 3,50 m. Sono riconoscibili lungo il circuito due torri a pianta semicircolare, mentre una, riferibile ad epoca più tarda, impostata su una più antica, è a pianta rettangolare; nell’angolo meridionale, alle spalle della chiesa della Maddalena, si conserva l’emplecton di una torre circolare. Tale disposizione, caratteristica di un tipo di fortificazione frequentemente adottato dagli architetti militari romani, trova riscontro nella cinta muraria di Aeclanum.

Il sistema stradale interno è appena individuato con le due arterie principali, il cardo e il decumanus maximi. A nord di questo, nel settore orientale della città, un importante complesso residenziale si affaccia alla sommità delle mura e comprende un intero isolato della città: una domus di tipo pompeiano ad atrio e peristilio che, per il suo impianto definitivo, è riferibile cronologicamente agli inizi del principato. La domus mantenne certamente, almeno sino ad età severiana, il suo aspetto di dimora residenziale unitaria; viceversa, durante il tardo Impero, cadde in abbandono per gran parte della sua estensione, presumibilmente in conseguenza di un terremoto (346 d.C.), continuando a vivere attraverso il riutilizzo di determinati ambienti. Ad ovest della domus è ubicata l’area destinata agli edifici pubblici, con l’impianto termale che veniva a disporsi parallelamente al decumano. Recenti scavi hanno permesso di individuarne diverse fasi costruttive: la prima, costituita da strutture murarie in opus incertum, si riconduce alla cronologia alta della colonia, di età graccana, che precede quella in opus reticulatum di età tardo repubblicana. Non mancano rifacimenti tardo antichi, con presenza di tombe intra muros, obliterate da un’eruzione vesuviana ascrivibile tra il 472 e il 507 d.C., che testimoniano il periodo di abbandono del centro.

Il rinvenimento di iscrizioni onorarie, basi di statue, vasti ambienti con mosaici policromi e la presenza dell’edificio termale confermano che il settore nord orientale della città è da identificarsi con il foro. Dell’edificio termale è visibile il sistema di riscaldamento ad ipocausto, con pavimento poggiante su pilastrini di mattoni (suspensurae).

L’anfiteatro, ora ricostruito nella sua planimetria, era situato fuori le mura, nel settore meridionale della città, e sfruttava una depressione naturale. Il sistema stradale interno, da mettere in relazione con le porte della città, permette di ipotizzare un accesso nel settore meridionale. Nel 1983 una esplorazione archeologica nella necropoli meridionale (già individuata nel XIX secolo), lungo la direttiva che collegava Abellinum con la regione nocerina, ha restituito tombe tipologicamente differenziate recinti funerari con ipogei, tombe “alla cappuccina”, sia ad inumazione che ad incinerazione, con defunto in anfora, sarcofagi in terracotta e piombo con un arco cronologico dalla fine del I al V secolo d.C. Un altro ingresso alla città era ad est la cosiddetta Porta decumana da cui si dipartiva la via verso oriente (Aeclanum). La necropoli pagana, situata lungo tale arteria, esplorata dal 1986, ha confermato un utilizzo della stessa anche da parte della comunità cristiana.

Preziose sono le informazioni su alcuni importanti edifici, le cui rovine, ora interrate e in parte scomparse, potevano osservarsi nel primo ventennio del presente secolo. Francesco Scandone scrive nel 1930: “Appena dieci anni or sono nel centro della Civita si vedevano due grandiose aree con avanzi di muri perimetrali, e con tracce di pavimentazione, il più ampio di questi fabbricati, che ritengo doveva essere la basilica, aveva i muri elevati su forti basamenti calcarei, e rivestiti con marmi alternati a mattoni triangolari o quadrati, la platea aveva traccia di pavimentazione a mosaico (opus settile) e conteneva numerosi avanzi di capitelli corinzi e di trabeazioni con architravi a trave o lisci oppure finemente lavorate a mensole e rosoni”. Lamenta lo storico: “tutto questo è stato asportato e tuttora continua la devastazione, perché è stata aperta una cava di tufo, proprio in mezzo al fabbricato, ed i muri a mattoni sono stati demoliti per liberare i grandi lastroni di marmo nel basamento. L’altro edificio, forse la Curia, è stato distrutto da un’altra cava di tufo, e sono rimasti in piedi alcuni tratti di muri a mattoni o a reticolato. Qui … potei scorgere alcune lastre marmoree, tolte al loro sito primiero. Il colono pretendeva che appartenesse ad una fontana monumentale, anch’essa distrutta”.

Per Abellinum si coglie dalla documentazione archeologica una particolare fioritura in età augustea. A tale periodo infatti si riferisce l’impianto complessivo degli edifici pubblici, in opera reticolata, il quale, come abbiamo detto, costituì una tappa fondamentale dello sviluppo sociale ed economico di Abellinum, soprattutto per l’arrivo di genti nuove, connesso ad una febbrile attività edilizia. Investimenti assai remunerativi in imprese produttive, quali le industrie laterizie, sorsero numerose per far fronte alla simultanea e cospicua domanda di materiali da costruzione, secondo un processo destinato ad accentuarsi e a raggiungere il suo culmine tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. La presenza ad Abellinum di una tegola menzionante i magistrati eponimi (duoviri), fa ritenere non improbabile l’esistenza di una officina laterizia pubblica.

Se per il periodo augusteo, a cui si riferisce anche la costruzione del grande acquedotto romano Fontis Augustei Aquaeductus posto nel territorio della colonia, si hanno numerose testimonianze, soprattutto per quanto attiene alla produzione di monumenti commemorativi e funerari, per quello successivo, sino alla metà del IV secolo a.C., sono scarse le informazioni. Una dedica all’imperatore Gordiano III del 240 d.C. testimonia una deduzione di coloni voluta da Alessandro Severo, che rientra probabilmente nell’ottica della politica agraria perseguita in Campania. A quest’epoca si riferiscono la costruzione della basilica e, presumibilmente, molti rifacimenti e restauri in opere di edilizia pubblica e privata che gli scavi ci hanno documentato.

Nel corso del IV secolo l’opera più importante è il restauro, per volontà dell’imperatore Costantino, dell’acquedotto augusteo, il che dovette costituire un segno di vitalità per la stessa colonia.

Le recenti ricerche archeologiche hanno permesso di attestare la sopravvivenza della città non solo all’evento sismico del 346 d.C. ma anche ad un’eruzione del Vesuvio della fine del V inizi del VI secolo d.C. Ma da questo momento si manifestano evidenti i segni, attraverso una radicale trasformazione dello spazio urbano e dei modi di occupazione del territorio, che ben collocano Abellinum, con Cimitile, Napoli e Capua, tra i centri più importanti della Campania antica.

Qui inizia la grande storia di Abellinum cristiana e del suo vescovo Sabino.

SAluti a tutti e grazie per l'attenzione.

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Ho letto l'ultimo interessante intervento di Gerardo 22, con grande difficoltà. Mi rivolgo ai curatori di la Moneta, non è possibile eliminare i disturbi di scrittura degli accenti e altro? Grazie.

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Purtroppo non siamo ancora riusciti a trovare l'origine del malfunzionamento che sostituisce ai caratteri accentati il loro codice ASCII. Sembra comunque che aprendo in modifica il messaggio, selezionando "Usa editor completo" e salvando nuovamente il messaggio il problema si risolva.

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  • 1 mese dopo...

@rockjaw

ciao! ho letto la tua discussione sulle monete con leggenda irnthi, davvero molto interessante, ti volevo chiedere se avevi altri esemplari e se magari mi potevi vendere qualche esemplare!

saluti arkegeta

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Ti auguro che tu possa trovare un bel pezzo di Irnthi, che proviene dalla tua zona (Salerno), anche se è di buona rarità e mi raccomando sempre di rispettare la vigente normativa (evitare cioè di comprare magari da un "trovatore").

Colgo l'occasione per confermare che esiste anche la rarissima variante con toro a destra, accennata sul Garrucci.

Un esemplare proveniva dagli scavi di Punta Campanella, pubblicati da Mario Russo e illustrati da Attilio Stazio. Avendo potuto consultare il volume sugli scavi di Punta Campanella, ho trovato anche i dati ponderali che mancano nell'articolo di Stazio e quindi anche di questa variante con toro a destra (di 4,0 grammi):

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Purtroppo dalla foto non si legge bene la leggenda, che comunque è retrograda.

Modificato da acraf
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  • 6 mesi dopo...

In relazione a quanto letto su questo LINK, relativo alla moneta della prima zecca IDNO,che mi ha tolto tanti dubbi, segnalo che ho inserito delle monete simili o uguali e che sono state rinvenute dallo scrivente in località Campomanfoli di Castel San Giorgio (SA), quindi vicino a Fratte ed un'altra su S. Maria a Castello di trivio di Castel San Giorgio ove comunque esistevano stanziamenti antichi riferiti al periodo Ellenistico- Romano IV - II Secolo a.C. - GRAZIE A TUTTI PER LE INFORMAZIONI.

Chi mi sa dire qualcosa di preciso e darmi qualche nozione e qualche testo (magari specifico, se ne esistono) di riferimento su queste due zecche alquanto misteriose? Ho aperto la discussione in questa sezione in quanto sono generalmente considerate zecche magnogreche (rispettivamente campana e lucana), ma in realtà sarebbe più corretto considerarle pre-romane e italiche, considerando l'origine dei due insediamenti di riferimento. Ecco che, però, parlando delle città alle quali sono state ascritte le monete in questione, sorgono numerosi interrogativi e si apre la reale questione della corretta attribuzione. Al momento ci si muove nel terreno delle congetture, basate più che altro su alcune legende. Ma i ritrovamenti in loco supportano queste attribuzioni o rivelano nuovi interessanti scenari?

Per quanto riguarda la prima zecca, parliamo delle monete con dicitura IDNO, dove la D potrebbe essere in realtà una RO greca corrotta o una lettera di un locale alfabeto italico, probabilmente comunque corrispondente alla nostra "R". Queste monete, per l'assonanza con il fiume Irno che scorre a Salerno e nelle sue vicinanze, sono state attribuite all'insediamento etrusco-sannitico (quindi italico) della frazione salernitana di Fratte, identificato con la città di Irna proprio in virtù delle iscrizioni monetali. Altre monete attribuite a questo insediamento commerciale recano la dicitura in genitivo IRNTHI. Siamo, dunque, sicuri che sia le monete con dicitura IDNO che le monete con dicitura IRNTHI siano ascrivibili alla stessa zecca di produzione? (a prescindere dall'identificazione con la Fratte di Salerno).
Di seguito allego una foto dell'unica moneta che sono riuscito a trovare sul canale acsearch. Dimenticavo che di questa località si conoscono solo monete bronzee.

Al D/ Apollo con corona d'alloro e al R/ toro androprosopo con etnico

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Corretta la sua nota di monete " a nord del fiume picentino" poiche' personalmente ho trovato e consegnato tre monete con toro ecc. in localita' Castel San Giorgio vicino l'antica Nuceria.

interessante la collocazione dei ritrovamenti su mappa, anche se io sapevo che ve ne fossero degli altri (probabilmente ancora inediti) a nord del fiume picentino.

Inoltre mi sembra degno di nota anche il fatto che più che a Punta Campanella, le monete si concentrano nelle necropoli del litorale stabiese e il dato è interessante. Di solito ci si fa seppellire con le monete che si utilizzano quotidianamente oppure, nel caso persone non autoctone, con la moneta che li rappresenta.

Altro dato interessante, infine, è forse dato dall'evidenza archeologica. Questa porzione di territorio rappresenta uno dei primi sbocchi delle merci prodotte da Cuma e la stessa città regola in modo egemonico i santuari dell'area campana. Punta Campanella, quindi, rientrerebbe molto bene in un sistema molto più vasto di gestione del territorio.

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Ringrazio il nuovo utente Pupillo per la notizia relativa ai nuovi esemplari, premettendo di tracciare meglio la "mappa" dei rinvenimenti delle monete IRNTHI e quindi la possibile ubicazione della zecca che resta ancora misteriosa.

L'antica zecca di Nuceria Alfaterna dovrebbe essere ubicata presso l'attuale Nucera (Superiore e Inferiore), mentre Castel San Giorgio è situato più a nord di Nucera di quasi 5 km.

Non so se è stato identificato l'antico nome della città greca che stava sotto Castel San Giorgio. Non conosco bene la sua situazione archeologica. Potrebbe essere l'antica Irnthi ? E' sempre territorio sorrentino, ma ancora più a nord rispetto a Punta Campanella dove è concentrato il maggiore numero di esemplari noti (forse però a causa della sacralità del sito).

Puoi darmi ulteriori notizie in merito all'archeologia di Castel San Giorgio.

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  • 2 settimane dopo...

Grazie per la segnalazione e ottima conservazione per questo tipo di moneta.

Interessanti le due legende diverse (ci sono diverse varianti nella disposizione e forma delle lettere).

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  • 1 mese dopo...

Ringrazio il nuovo utente Pupillo per la notizia relativa ai nuovi esemplari, premettendo di tracciare meglio la "mappa" dei rinvenimenti delle monete IRNTHI e quindi la possibile ubicazione della zecca che resta ancora misteriosa.

L'antica zecca di Nuceria Alfaterna dovrebbe essere ubicata presso l'attuale Nucera (Superiore e Inferiore), mentre Castel San Giorgio è situato più a nord di Nucera di quasi 5 km.

Non so se è stato identificato l'antico nome della città greca che stava sotto Castel San Giorgio. Non conosco bene la sua situazione archeologica. Potrebbe essere l'antica Irnthi ? E' sempre territorio sorrentino, ma ancora più a nord rispetto a Punta Campanella dove è concentrato il maggiore numero di esemplari noti (forse però a causa della sacralità del sito).

Puoi darmi ulteriori notizie in merito all'archeologia di Castel San Giorgio.

Ti ringrazio per la risposta. Adesso ti comunico dettagliatamente i luoghi del rinvenimento : la prima moneta con il toro androposopo e' stata rinvenuta da me il 18 Maggio 2010 nella frazione Campomanfoli di Castel San Giorgio (SA) , luogo archeologico vincolato. La seconda moneta con impresso un granchio e' stata rinvenuta nello stesso luogo il 14 Settembre 2009. Le due monete furono consegnate alla Soprintendenza. In ultimo , la moneta in argomento identica alla prima ma con patina verde scuro, cioè un toro adroposopo e' stata trovata sulla montagna di S. Maria a Castello Lanzara/Trivio di Castel San Giorgio, dove anticamente esisteva una città chiamata Fractanova; un luogo dove sono stati rinvenuti reperti arch. a vernice nera del IV secolo a.C. Nei tempi passati furono trovate delle monete dello stesso tipo : una con il toro, ed un'altra con conchiglia. Per la storia di questa moneta di Irno, segnalo che il luogo Fractanova è quasi a confine con Nocera , dista 4 Km. circa , mentre Campomanfoli più a Est da Nocera , ma sulla strada che conduce a Fratte dista da Nocera circa 6 Km. Per quanto riguarda l'archeologia a San giorgio, oltre a questi due luoghi antichissimi , c'è l'acquedotto AUGUSTEO che proveniente da Serino attraversa tutto il territorio del nostro Comune ed è ancora visibile a S. Croce e Lanzara due frazioni del Comune. E' chiaro che potresti farti una domanda : come mai trovo delle monete. Ebbene ti posso dire che essendo stato un appartenente della P.S. appassionato di storia e archeologia, scrivendo anche due libri sulla storia locale,ogni tanto vado per questi luoghi nella speranza di trovare dei frammenti che documentano la storia, per questo non guardo in altro ma a terra.......ed ogni tanto arriva la sorpresa che regolarmente denuncio alla soprintendenza. Comunque ritornando alla moneta e per farti riscrivere la mappa, posso inviarti le copie conformi agli originali dei verbali della consegna delle monete all'Ufficio scavi di Nocera. Dovresti inviarmi la tua e-mail a [email protected] . Cordiali saluti. Pupillo

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Buon giorno .In relazione alla discussione riguardante la zecca di Irnthi, faccio presente che nelle vicinanze di Fratte (SA) a circa 20 Km, nel Comune di Castel San Giorgio ho rinvenuto nei mesi scorsi due monete di questa zecca nei luoghi Campomanfoli e S.Maria a Castello del predetto Comune. Allego i verbali redatti dalla soprintendenza - Sezione di Nocera. Spero di essere stato utile . Un grazie immenso ad ACRAF per la collaborazione e sensibilità.

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