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Inviato (modificato)

Era calata la notte. Improvvisa.

Cupa. Opprimente.

Sul sentiero sterrato inghiottito dalle tenebre si potevano udire solamente gli zoccoli del cavallo che procedeva a passo sostenuto. Il cavaliere sembrava conoscere bene la zona: avvolto in un mantello nero, il cappuccio calato sulla testa, si manteneva basso sul dorso dell'animale, quasi temesse di essere visto. Gli alberi, alla sua destra, che lui poteva solo intuire, sembravano emanare un alito raggelante di paura concretizzatosi in una leggera nebbiolina che si andava sollevando dal fondo del terreno. Si guardò intorno. Veloce. Un colpo secco di talloni e il cavallo passò ad un galoppo leggero. La mano dell'uomo scorse quasi istintivamente sotto il manto e strofinò un oggetto la cui forma, in quel momento, i suoi soli polpastrelli percorrevano sicuri. La leggera barbetta scura e riccia come la capigliatura folta andava assorbendo tenui bagliori canuti in quell'atmosfera sospesa tra reale e irreale.

"Ancora qualche miglio..." sussurrò tra sè.

L'altra mano teneva strette le redini. Il sentiero deviava a sinistra e il cavaliere fece rallentare la cavalcatura per non finire improvvisamente fuori strada. Mollò l'amuleto che portava al collo e scartò di lato, imboccando la curva che si estendeva su quella che doveva essere una florida vallata durante il giorno.

"Finalmente..." Si lasciava alle spalle gli spiriti della notte.

L'animale era stanco, sudato e cacciava vapore dalle froge. Doveva farcela: non c'erano stazioni o agricoltori da quelle parti. Nessuno. Il corto chitone che indossava sotto il mantello veniva a tratti alla luce, rivelando una spartana decorazione intessuta in rosso lungo il bordo. La foresta aveva lasciato lo spazio ad una vegetazione più rada, ma non meno insidiosa: l'uomo si sforzava di tenere l'animale sulla strada, difficile da vedere per via del buio e delle sue dimensioni ridotte. Era un posto tranquillo, quello, tutto sommato.

"Sì," pensò, "adatto per quando giungerò alla fine della mia carriera..."

Immerso in questi pensieri, sotto un cielo senza luna, dove solo qualche sporadico uccello notturno osava spostarsi da un ramo all'altro, potè ammirare un leggero bagliore all'orizzonte.

"Ci siamo!"

Sembrava rinato.

Il bagliore si allargò fino a diventare una chiazza luminosa, ora ben visibile anche a distanza. E la luce proveniva da una casa.

"Ci siamo!" ripetè nella sua mente.

<<E così ce l'hai fatta.>>

Un semplice piatto in terracotta fu posto sul tavolo di legno al centro della stanza scarsamente illuminata. Conteneva delle olive d'importazione e del formaggio locale. Accanto qualche fetta di pane scuro, duro come la voce che aveva pronunciato quelle parole.

Il cavaliere, che ora, senza mantello, si affacciava sul tavolo per afferrare qualche oliva, sorrise.

Seduto dall'altro lato, su di un semplice sedile, il suo interlocutore tendeva le mani verso il fuoco. Gli occhi piccoli, taglienti, erano incorniciati da una rada capigliatura ben tenuta. Portava il viso rasato, benchè sulla guancia sfoggiasse una vistosa cicatrice, e una semplice tunica grezza dalla cui cintura, alla vita, pendevano un borsello e un pugio.

Afferrata l'oliva tra il pollice e l'indice, l'uomo lanciò un'occhiata all'arma:<<Ancora non riesci a gettarti alle spalle il passato...>>

<<Meno chiacchiere: sei qui proprio per questo, lo so.>> Le lingue di fuoco scolpirono un'espressione truce sul volto dell'armato.

<<Hai ragione.>> Si mise a masticare lentamente<<Non mi tratterrò a lungo. Sono venuto fin qui per una ragione ben precisa: Roma ha bisogno...>>

<<Non mi interessa!>> sbottò <<"Roma ha bisogno..." E dimmi: dove era Roma quando centinaia di commilitoni mi cadevano al fianco per il suo nome..>>

<<Ma...>>

<<Dimmi dove era quando quei poveretti, mutilati, ridotti a residui di ossa e carne macellata, scherniti da tutti e scacciati dalla società a calci nel sedere chiedevano semplicemente del pane per sopravvivere! Dopo tutto quello che avevano passato per...per Roma e per i suoi ingrati e flaccidi abitanti!>> L'uomo si era alzato dal suo posto e adesso divorava con grandi falcate la stanza in cui si trovavano.

<<Be’, il Senato avrà avuto le sue ragioni se...>>

<<Oh, certo! Il Senato! Quell'ammasso di boriosi palloni gonfiati che credono di reggere il mondo con le sole loro forze. E l'esercito? Sh...>> Si raschiò la gola e sputò nel fuoco in segno di disprezzo.

<<Senti Aulo, comprendo la tua rabbia: c'ero anch'io con te tra le fila della Prima Coorte, anni fa>>

Colui che il cavaliere aveva chiamato con quel nome si arrestò all'improvviso e sembrò rilassarsi per un attimo.

Si rimise a sedere:<<Che vuoi?>> tagliò corto.

L'altro uomo sospirò:<<Dopo quasi quarant'anni di pace, l'Etruria del nord si prepara a riprendere le armi contro Roma: Volsinii, Perusia e Cortona sono pronte a mettere in campo un potente esercito.>> Prese un po' di pane e iniziò a spezzarlo per aggiungerci sopra del formaggio.

<<Quindi?>> Ad Aulo scorrevano davanti agli occhi numerose scene della sua vita trascorsa.

"Ora ti interessa" pensò il cavaliere, mandando giù un boccone: <<Come ben saprai, il Console Quinto Fabio Massimo Rulliano è stato messo a capo delle legioni con l'obiettivo di stroncare sul nascere le resistenze armate etrusche>>

<<Con quale esito?>>

<<Una vittoria schiacciante! Per Giove, se lo è stato!>> L'uomo si era infervorato e passò a descrivere la situazione che regnava in quel momento nel Lazio e a nord di Roma: la vittoria del Console Fabio Massimo presso Perusia aveva costretto gli alleati etruschi a sottoscrivere un ennesimo trattato di pace con i Romani che imposero lo scioglimento della Lega filoetrusca, la quale aveva l'obiettivo primario di abbattere la potenza dell'Urbe una volta per tutte.

<<Naturalmente, per nostra fortuna, quegli incapaci hanno fatto un grosso buco nell'acqua.>>

<<E quale sarebbe il problema?>> Aulo sembrava perplesso. Incrociò le braccia sul petto e squadrò il suo conoscente da capo a piedi.

<<Vedi, amico, gli Etruschi hanno capito che da soli non possono più battersi contro di noi con successo, come facevano un tempo...>>

<<Allora?>> Aulo era davvero attento in quel momento. E l'uomo ne approfittò:<<I Galli! Loro sono il vero incubo per Roma>>

Le fiamme sembrarono all'improvviso fioche, nonostante illuminassero l'intera stanza. Gli occhi di Aulo si spalancarono e la sua mano corse alla cicatrice che portava sul viso.

"I Galli". Il momento era arrivato. Dopo tutto quel tempo! Tardi, ma era lì, alla sua portata.

<<Resta qui per la notte, Celso, se vuoi. Domani stesso verrò con te!>>

<<Così mi piaci, mio buon Aulo!>>

Una pacca sulla spalla massiccia dell'uomo gli riportò alla mente un'ombra altissima, possente, con lunghi e fluenti capelli tra il biondo e il ramato che lo guardava con odio straziante.

Un sorriso amaro che sembrava più una smorfia di dolore si dipinse sul suo volto.

Quell'espressione fece raggelare il sangue nelle vene di Celso più di quanto avessero fatto quei tetri alberi a lui ignoti.

Un venticello fresco spirava quella mattina, agitando la tunica scarlatta che usciva dalla cotta di maglia. Le decorazioni che da tanto non indossava sul petto erano lucenti, mentre l’elmo crestato emanava bagliori riflessi di luce solare. Alcuni legionari attendevano alle sue spalle: appoggiandosi con le braccia sul bordo dei grandi scudi, i soldati chiacchieravano tra di loro mantenendo un atteggiamento piuttosto rilassato. Il centurione Aulo scrutava l’orizzonte boscoso. Sicuramente i suoi uomini si chiedevano cosa stesse cercando di guatare.

<<Davvero singolare quell’uomo>> sussurrava uno.

<<Si dice che sia sopravvissuto a strani scontri avvenuti anni fa: nessuno sa come abbia fatto>> bisbigliava un altro di rimando.

Aulo era a conoscenza delle voci che circolavano sul suo conto. Ma lasciava correre: quei pettegolezzi avrebbero rafforzato il suo prestigio e la sua autorità presso i sottoposti.

<<Optio!>> urlò, poi, d’un tratto.

L’ uomo smise di arricciarsi la barbetta e si fece avanti salendo sulla collinetta aiutandosi col suo bastone.

<<Signore?>> Celso salutò formalmente il superiore e rimase in attesa di ordini.

Aulo indicò un punto in lontananza.

Benché l’optio cercasse di vedere qualcosa aguzzando la vista, non riuscì a comprendere cosa ci fosse a valle.

<<Un buon punto di osservazione, signore>> si limitò a commentare Celso continuando a guardare dove gli era stato indicato.

<<Torna dagli uomini: voglio la coorte in linea, immediatamente>>

L’optio era visibilmente perplesso:<<Sì, signore>>

Chiedendosi cosa stesse succedendo laggiù di tanto rilevante, Celso si avviò verso i legionari e si atteggiò con uno sguardo severo.

<<Avanti, scansafatiche! La pacchia è terminata: su quei gomiti, voglio vedere una linea di legionari, non un ammasso di vecchie comari!>>

Col bastone picchiò su qualche scudo ritardatario che svogliatamente si mise subito al posto. In pochi minuti la coorte fu allineata in pieno assetto da battaglia.

Celso guardò il centurione che, senza muoversi, fissava lontano con gli occhi lucenti come due lame di pugnali. Improvvisamente, si avviò giù per la collina tenendo una mano fissa sull’impugnatura del gladio.

<<Sono pronti?>> alitò sul volto di Celso.

<<Sì, signore, come ordinato>>

Aulo annuì e poi prese posizione alla testa dello schieramento, dando ordine di avanzare.

Le suole chiodate batterono sul terreno all’unisono provocando una leggera vibrazione che scosse il terreno intorno alla pattuglia romana.

Adesso l’optio lo vedeva. Un uomo correva verso di loro facendo svolazzare i brandelli di tessuto che gli pendevano ancora addosso. Era sporco, sudato e la polvere si impastava ad una sostanza che gli ricopriva braccia, gambe e faccia.

“Ma quello è…”

<<Coorte, alt!>> Aulo si fermò. I legionari si arrestarono fragorosamente, poggiando gli scudi al suolo.

Ora tutti potevano vedere l’uomo che correva verso di loro. Ansimava. Gridava qualcosa che il vento disperdeva lontano. Quando fu più vicino, Celso potè distinguere il mascherone sanguinolento a cui l’uomo era ridotto.

Aveva gli occhi sbarrati, il fiato corto e le narici dilatate all’inverosimile.

Si voltava per brevi attimi indietro, quasi come se temesse che qualche fantasma lo assalisse alle spalle.

<<Signore,>> Celso era accigliato <<ma quello è un soldato romano>>

<<Sembri sorpreso, optio>> la voce di Aulo era atona.

Celso non rispose.

L’uomo inciampò, ma prontamente trovò la forza di rialzarsi e di rimettersi a correre. Era la voglia di sopravvivere che evidentemente lo portava a resistere.

<<Non dovremmo intervenire, signore?>>

<<Senza sapere cosa stia accadendo?>>

“E così,” pensò Celso “neanche tu, dall’alto della tua fermezza, sei infallibile”

Ben presto, però, la situazione fu chiara a tutti: l’uomo in fuga emise un grido disperato verso i suoi compagni e sembrò compiere un ultimo, disperato scatto verso la salvezza.

Improvvisamente un uomo a cavallo sbucò dal folto della vegetazione che faceva da sfondo: non indossava protezioni, solo un ampio mantello di lana e delle brache variopinte. Controllava l’animale con le sole ginocchia e brandiva due mannaie opache di sangue ancora fresco. Non urlava e il suo comportamento sembrava estremamente saldo e controllato. Pochi colpi di tallone e il cavallo fu addosso al fuggitivo. Il barbaro si proiettò giù dalla groppa in pieno galoppo e schiacciò letteralmente sotto di sé il romano. Ormai non aveva più speranze: sotto gli occhi di tutti, il gigante dai tratti nordici alzò un braccio armato e conficcò l’arma nella spalla del suo prigioniero inchiodandolo a terra.

<<E’ uno solo, Aulo, possiamo batterlo!>> Celso sembrava davvero agitato, ma non si muoveva.

Il centurione non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Si tolse l’elmo piumato e si deterse la fronte sudaticcia con l’avambraccio. I legionari alle sue spalle si guardavano attoniti: il barbaro, dopo aver bloccato il malcapitato, gli tagliò la gola pian piano facendo morire le sue grida disumane in un gorgoglio di sangue. Tutto il corpo era percorso da fremiti e i muscoli incominciarono a guizzare da soli per l’agitazione. Alla fine, un caldo fluido si mescolò al sangue che bagnò l’erbetta fresca circostante.

Celso osservava impietrito: possibile che Aulo non avesse trovato il coraggio di attaccare? Anzi, non riusciva a togliere gli occhi di dosso a quella bestia!

Alla fine il cadavere fu decapitato e la cosa che stupì di più l’optio fu l’atteggiamento del nemico: afferrato il macabro trofeo per i capelli lo elevò e con un ruggito furioso lo puntò dritto verso il centurione, i cui occhi si erano ridotti a due fessure luminose, le mascelle contratte per la rabbia repressa. Farfugliò qualcosa nella sua lingua gutturale e poi scagliò la testa del romano nella direzione della pattuglia guidata da Aulo. Rotolò per qualche tempo, poi si fermò e dondolò su se stessa quasi cullandosi per un profondo sonno eterno.

Quando il barbaro sparì nell’ombra raccogliendo le armi e il suo cavallo, Celso vide la mano del suo superiore stringere l’impugnatura del pugio, le nocche diventare bianche per la pressione e un brivido gli percorse la schiena.

<<Perché?>> Celso si alzò dal tavolo e guardava Aulo in cagnesco.

<<Siediti e abbassa la voce>> Il centurione sembrava tranquillo: sorseggiava il suo vino speziato con estrema lentezza, come se stesse fabbricando qualcosa nella testa. Sembrava non badasse più di tanto al mondo circostante.

Ogni tanto qualche avventore della taverna in cui si trovavano i due militari finiva inevitabilmente per essere attirato dagli attacchi d’ira dell’optio, ma si teneva alla larga dal loro tavolo, piuttosto isolato ed immerso nella semioscurità in un angolo della stanza. Aulo, infatti, benché non fosse in servizio e non indossasse l’armatura, portava con sé sempre il cinturone con il pugio ed il gladio.

Celso si accomodò nuovamente, gettando rumorosamente gli avambracci sul tavolaccio sudicio. Fissava nel vuoto qualcosa che solo Aulo poteva vedere.

<<Vuoi qualcosa? Offro io>>

<<No, signore. Nulla.>> rispose con voce atona e formale.

<<Suvvia, ragazzo: perché reagisci in questo modo? Non hai mai visto un soldato morire?>> Aulo sembrava adesso infastidito dal comportamento del compagno.

Silenzio. Solo il baccano degli altri clienti di quella bettola risuonava loro intorno: il taverniere che riempiva boccali con del vino e teneva sotto controllo uno stufato di montone in un calderone di bronzo da cui uscivano volute di fumo grigiastro che andavano ad addensarsi sotto il soffitto, unendosi ad una grande chiazza nera provocata dal cattivo utilizzo del focolare. Degli schiavi robusti tenevano sotto controllo tutti gli avventori per cacciare a pedate chiunque avrebbe iniziato una rissa. Evidentemente erano armati e da un po’ di tempo tenevano d’occhio proprio il centurione e il suo secondo.

<<Chiedo venia, Aulo. Hai ragione, forse.>> Disse infine con tono sommesso.

Il centurione si sciacquò la bocca con un’ultima spruzzata di vino dolciastro e poi posò il recipiente. Si asciugò le labbra con la manica della tunica e si alzò, avviandosi verso il banco per pagare il conto.

Celso lo guardava quasi fosse un mostro appena uscito dall’Ade: non l’aveva degnato di una risposta nonostante lui avesse ammesso la sua colpa.

<<Andiamo>> lo richiamò poco dopo Aulo, incamminandosi verso l’uscita.

Gli schiavi addetti alla sicurezza seguivano l’uomo barbuto con lo sguardo torvo. Fu un sollievo per i servitori smagriti e puzzolenti che lavoravano lì vedere quei due strani tipi andarsene.

Immessisi sulla stradina, un vicoletto buio e pieno di pozzanghere, Aulo e Celso camminavano senza parlare, l’uno con i pollici nel cinturone, l’altro con il capo chino a fissare gli escrementi che galleggiavano nei rivoletti di acqua putrida e che, ogni tanto, incontravano le suole chiodate dei suoi calzari militari, producendo un rumore secco e prolungato.

<<Ah, optio, ho dimenticato di dirti una cosa…>>

Celso si fece immediatamente curioso ed attento: un suono gutturale fu emesso in segno d’assenso.

<<Sono stato convocato dal tribuno militare, qualche giorno fa>> disse Aulo con voce piatta. <<Mi ha comunicato che il dittatore Lucio Papirio Cursore ha deciso, insieme al suo magister equitum, Caio Giunio Bubulco Bruto, di ingaggiare battaglia col nemico>>.

<<Cosa?>> Celso si fermò un attimo e guardò incredulo il suo superiore.

<<Sì, hai capito bene: tra qualche settimana ci sarà battaglia.>>

<<Quali gli ultimi sviluppi?>> l’optio si mise al passo accanto al centurione.

<<Quei barbari, i Galli Boi, hanno accolto la domanda d’aiuto degli Etruschi. Le nostre spie ci hanno informato di grandi movimenti di truppe intorno alla città di Horta: sembra che lì si stiano riunendo le forze di una enorme coalizione.>> spiegò brevemente Aulo.

<<Stai dicendo che tra qualche settimana ci ritroveremo di fronte migliaia di barbari come quella bestia che abbiamo visto?>>

<<Così sembra. Gli uomini devono essere pronti ad ogni evenienza: Roma ha bisogno dei suoi migliori soldati per questa che sarà una vera impresa.>>

<<Una pazzia…>> le parole di Celso si persero nel vuoto in un sussurro incerto.

Calpestò qualcosa di viscido e per poco non scivolò.

<<Attento: ti voglio tutto intero quando dovrò salvarti quella dura pellaccia davanti ad un gallo>>

Mentre l’optio lo guardava accigliato, senza cogliere la sua ironia, Aulo si sfogò in una risata allegra e chiassosa, soprattutto per la reazione scontata dipintasi sul volto dell’amico.

<<Avanti, optio: la centuria ci aspetta!>>

Celso si avviò brontolando nella viuzza scrollando le spalle intirizzite per il disgusto provato al contatto con quella sostanza.

Questa volta non c’era un alito di vento a far garrire gli stendardi e le insegne dei vari manipoli, delle coorti e delle legioni. Le pattuglie che erano state mandate in avanscoperta avevano riferito di un’enorme assembramento di soldati riunitisi nei pressi di quello che chiamavano lago Vadimone. Il cielo, fortunatamente, era sereno: le candide nubi vi stagnavano come navigli attraccati in un porto di provincia. Così come la vegetazione circostante, neanche i volatili sembravano interessarsi più di tanto a ciò che gli uomini stavano facendo sulla terraferma.

<<Spero che almeno gli dei abbiano pietà di noi, oggi>> Celso era armato di tutto punto. Da quando aveva appreso la notizia del combattimento imminente fremeva come non gli capitava da tempo.

<<Suvvia, ragazzo, questo non è il nostro primo combattimento e non sarà nemmeno l’ultimo>>. Era Aulo, adesso, ad essere di buon umore e sicuro di sé. Con le sue armi che gli pendevano dal cinturone sembrava fosse rinato.

La sua unità era stata posizionata, come avveniva sempre, in prima linea. In qualità di centurione anziano il suo compito era quello di condurre gli hastati incontro al nemico, travolgendone le linee per rendere la vita più semplice ai princeps, e, se tutto fosse andato a rotoli, addirittura ai triarii.

<<Voglio un rapporto completo della posizione di quei cani>> Aulo era serio, quasi come se avesse fagocitato la sua ilarità che, Celso lo sapeva, era abile sfoggiare al momento giusto. E quello non lo era:<<Sì, signore, mi metterò subito al lavoro>>

L’optio salutò e trotterellò via.

Molti dei legionari erano ormai pronti: mancava poco per la resa dei conti. Gettò lo sguardo lontano, ma non riuscì a cogliere alcuna presenza ostile. Si voltò e prese posizione tra i ranghi, scudo nella sinistra e la destra sull’impugnatura d’avorio del gladio. Quella spada.

“Quanti ricordi…” sospirò Aulo.

La lama era stata prima di suo padre, un hastatus della Repubblica proveniente dall’Etruria che aveva fatto strada nell’esercito fino a diventare un triario.

“Quale scherzo mi sta giocando il Fato…?” Già, quale? E di che specie?

“Delle peggiori, di sicuro” Aulo, etrusco di nascita, ma nato a Roma con cittadinanza e pieni diritti, si ritrovava lì, sotto un pallido sole mattutino per massacrare, sventrare, amputare e sgozzare quelli che poteva considerare come fratelli. Forse, se suo padre avesse scelto di rimanere in Etruria, in quel momento il centurione si sarebbe trovato dal lato opposto del campo di battaglia, con una panoplia di stile ellenistico indosso e un pesante scudo di bronzo al braccio, magari al comando di qualche reparto di bellicosi opliti.

<<Signore!>>

Il debole filo dei suoi pensieri fu spezzato come un evanescente ponte di legno abbattuto dalle asce di forsennati fuggitivi in cerca di salvezza. Puntò il suo sguardo su Celso che gli andava in contro con passo svelto.

<<Signore…>> fece una pausa. Era visibilmente affannato.

<<Il…tribuno dice che...il nemico si sta muovendo>>

<<In che direzione?>> Aulo si accigliò.

<<Vengono dritti verso di noi, signore! Saremo i primi ad entrare in contatto con loro.>>

<<Quanti sono?>>

<<Migliaia, signore. Le informazioni raccolte dagli esploratori sono discordi al riguardo, ma tutti concordano sul fatto che la fanteria etrusca ha occupato il centro, mentre ai lati hanno preso posizione i cavalieri Boi>>. Celso era visibilmente scosso. Il solo nome di quei Galli lo faceva tremare.

<<E così a noi tocca sbattere il muso contro quei giganti nordici…>> Pareva che il centurione stesse ragionando tra sé.

<<A quanto pare, signore…>> Neanche un fruscio si alzò dal suolo morbido oppresso da centinaia di suole chiodate che ferivano tutto ciò che incontravano. Una pausa riflessiva che diede modo agli ufficiali di studiare la situazione. Le unità più vicine erano altre due centurie di hastati e ai margini della formazione romana era stata posizionata un’esigua schiera di cavalieri. Più che altro il loro compito sarebbe stato quello di contenere i nemici e spingerli verso la fanteria.

<<Dovremo vedercela noi, questa volta, Celso. Nessuno ci sarà di grande aiuto se resteremo ancora un minuto di più qui, impalati. Quali sono gli ordini dello Stato Maggiore?>>

<<Al segnale che passerà tra le truppe bisogna avanzare, signore. Intanto è necessario tenersi in formazione.>>

Aulo assentì. I due si salutarono e si diressero alle proprie postazioni all’interno della schiera di legionari allineati, muti e febbricitanti per l’aria tesa che si respirava ovunque.

“Che Marte ci protegga!” Così come l’invocazione trapassò la mente dell’optio, un rivolo di sudore freddo si fece strada nella sua schiena, scendendo fino alla cintola dove fu assorbito dal grezzo tessuto della tunica militare, sotto la lorica hamata, facendolo sussultare.

<<Colonna, alt!>>

All’ordine centinaia di hastati si fermarono allineati quasi all’unisono.

I loro sguardi sotto gli elmi lucenti riflettevano i raggi del sole, ora alto nel cielo. Bagliori di luce naturale provenivano anche dalle piastre pettorali che proteggevano i toraci dei soldati. Gli scudi oblunghi e pesanti e i giavellotti leggeri erano pronti per essere adoperati.

In lontananza si scorgevano le prime sagome scure: i cavalieri si confondevano con gli animali quasi come se fossero diventati un tutt’uno. Sembravano centauri che avanzavano veloci, pronti a seminare morte tra le fila nemiche.

Celso stava al lato opposto dello schieramento per trasmettere gli ordini del suo superiore. Il terreno pianeggiante e senza grandi ostacoli naturali avrebbe favorito la carica della cavalleria gallica, rischiando di mandare in frantumi la linea romana. E per loro sarebbe stata la fine.

Aulo si guardò intorno: sullo sfondo le colline sparivano all’orizzonte mentre sul lago era salita una leggera nebbiolina che nascondeva arbusti bassi e canneti molto più vasti ed alti. Alberi e cespugli circondavano tutto il campo. Mugugnò qualcosa tra sé e poi diede ordine agli uomini di aspettare fino al suo segnale. La tensione era palpabile: tutti gli hastati erano presi dall’agitazione che caratterizzava i momenti immediatamente precedente una battaglia.

Man mano che i Boi accrescevano l’andatura dei cavalli il terreno incominciò a tremare sotto i calzari dei romani. Aulo si avvicinò a Celso e gli sussurrò poche parole indicandogli contemporaneamente un gruppetto di alberi sulla destra. L’optio annuì e portò con sé una mezza centuria, mentre agli hastati di Aulo se ne aggiungevano altri al comando di un altro ufficiale, un certo Avidio Marcio.

<<Signore,>> il centurione salutò il collega con riguardo, essendo più anziano di lui <<il tribuno mi ha inviato qui con la mia centuria: il dittatore Lucio Papirio Cursore ha ritenuto opportuno rinforzare i lati che verranno a contatto con i Galli. Sappiamo tutti che genere di guerrieri sono questi barbari.>>

<<Ottimo. Rimaniamo compatti per resistere alla carica>>

Avidio Marcio assentì con il capo mentre i suoi uomini si allineavano di seguito a quelli già disposti di Aulo rimpinguando, così, notevolmente i ranghi. Adesso il centurione era visibilmente più sicuro e allungò lo sguardo sugli alberi a destra: abbozzò un sorriso e prese il suo posto non perdendo di vista i cavalieri galli.

<<Hastati pronti! Preparate i giavellotti!>>

I nemici si stavano avvicinando pericolosamente. La terra era scandita dal ritmo confuso di migliaia di zoccoli che si abbattevano impietosi su tutto ciò che incontravano. Le sagome si erano tramutate in figure ben definite: i Boi, con le brache variopinte, ed equipaggiati nei modi più disparati, erano passati dal trotto al galoppo. Ora anche loro avevano avvistato gli hastati romani e iniziarono a caricare credendo di avere a che fare con i reparti più insignificanti dell’esercito.

Aulo non staccava gli occhi dall’avanzata nemica. Spadoni, asce e mazze chiodate si agitavano contro il cielo sereno che continuava a restare immobile, così come le fronde degli alberi ombrosi.

Aspettò qualche altro minuto, poi il centurione sfoderò il gladio con uno stridio metallico e l’alzò in alto, in modo che riflettesse sullo stendardo della centuria.

Fissò il cinghiale di bronzo lucido che brillava più di ogni altro elmo, più di ogni altra armatura.

<<Tirate!>> L’urlo fu accompagnato dalla sagoma del gladio che si abbassava con un movimento rapido. La voce fendè l’aria rimbombando tra le fila dei soldati.

La prima linea di hastati, gli scudi imbracciati, tirarono indietro l’arto destro e scagliarono i giavellotti con tutta la loro forza. Le aste disegnarono parabole perfette, si fermarono per un istante che ad Aulo sembrò interminabile, e poi ricaddero sui Boi in corsa ancora più veloci dei calzari alati di Mercurio.

La pioggia di armi si abbatté sui nemici con violenza: alcuni cavalli caddero trafitti, altri, innervositi, scaraventarono a terra i loro padroni che finivano calpestati dagli altri compagni. Molti dei giavellotti si conficcarono in terra: alcuni frenarono la corsa di qualche animale che vi inciampava crollando più avanti con le zampe spezzate, arrestando l’avanzata degli altri che sopraggiungevano.

La carica, però, vacillò solamente. I Galli non si persero d’animo e avanzavano, anzi, con più foga e determinazione. Nei loro occhi si poteva leggere il desiderio di vendetta misto a quello più pericoloso del timore che nutrivano, ben sapendo di come i loro avversari Romani avessero in passato sconfitto e ricacciato i loro fratelli Senoni.

Ad ogni urlo del centurione la rispettiva fila di hastati si faceva avanti, sostituiva la prima scagliava una salva di giavellotti che rallentava la carica nemica, scompaginando i reparti, provocando vittime e feriti agonizzanti.

<<Serrate i ranghi!>>

Un boato accompagnò la costruzione di una muraglia di scudi vermigli, gli umboni allineati a creare pericolose protuberanze. Gli unici vani che si potevano scorgere erano quelli sottili per le lame delle spade fuoriuscite dai foderi. I Boi, a pochi passi, si erano ripresi dall’ultima pioggia di aste e con cieco fervore si abbatterono sugli scudi romani con uno spaventoso frastuono. Nel momento in cui Galli e Romani vennero a contatto ad Aulo sembrò di avere dinanzi una visione dell’Ade: molti cavalieri avevano spronato gli animali con le bocche schiumanti affinché scavalcassero con possenti balzi il muro di scudi dietro cui erano rannicchiati gli hastati. Alcuni ci riuscirono e sotto gli zoccoli degli animali perirono i primi soldati: crani fracassati, toraci schiacciati e corpi spappolati ricoprivano il campo dietro le prime fila dei romani aprendo vuoti pericolosi. In altri punti, invece, la linea difensiva reggeva bene e i cavalieri galli erano stati fermati con successo. L’ordine era mantenuto a stento dagli ufficiali, dato che, soprattutto al centro, la linea di battaglia era notevolmente arretrata a favore dei nemici. Le lame rotearono veloci, precise e letali cercando il bersaglio nella mischia di elmi piumati. Qualche testa saltò lontano e fiotti di sangue imbrattarono il suolo che da verde divenne di uno strano colore, una specie di fanghiglia formata dagli umori della battaglia e dal terriccio polveroso.

<<Avanti, non vi fermate!>> Aulo incitava i propri uomini, mentre il signifero che portava l’insegna della sua centuria gli si era raccolto al fianco, protetto da un nutrito gruppo di hastati che si mantenevano saldi. Quattro cavalieri si erano isolati dal resto dell’orda e alcuni soldati li circondarono sperando di disarcionarli: proprio mentre il primo di loro veniva trascinato a terra e fatto a pezzi, i centurioni udirono alcuni squilli di buccina e capirono che anche la fanteria oplitica si era scontrata con il centro delle legioni romane.

La situazione si faceva sempre più difficile. Con un ruggito incredibilmente potente un gallo armato di ascia saltò da cavallo e si parò di fronte ad Aulo. Con evidente sorpresa il centurione si accorse che quel barbaro l’aveva appositamente cercato e l’aveva riconosciuto in quella babele di urla, stridio di armi e grida di terrore. Anche lui l’aveva riconosciuto: dopo anni si rivedevano.

“Chissà se questa volta potrò portare a compimento ciò che lasciai in sospeso…”

Aulo si riprese e caricò collo scudo lanciando un urlo feroce. Il barbaro non si muoveva. L’umbone lo colse il pieno petto gettandolo a terra senza fiato. Aulo gli fu addosso bombardandolo con continui fendenti. Nonostante il nemico avesse incassato il colpo con estrema tranquillità, ora faceva fatica ad evitare i colpi che il centurione menava con la propria lama. Tutto intorno era il caos più totale. Improvvisamente il gallo girò l’ascia e bloccò il gladio di Aulo. Lo respinse indietro e si rimise velocemente in posizione. Gli corse incontro pronunciando con voce carica d’odio il suo nome. Il centurione socchiuse gli occhi e, rendendosi conto che la spada gli era volata lontano, estrasse il pugio e lo bilanciò alla meglio nel pugno destro. Rannicchiato dietro lo scudo, accolse il nemico in corsa. Al barbaro bastarono un paio di colpi d’ascia impressi con tanta violenza per rompergli la difesa. Aulo fu costretto a gettarlo via, reso ormai inutilizzabile. Deciso a non far vedere di essere leggermente in difficoltà, il centurione si scagliò sull’avversario e con velocità eccezionale gli recise una mano che reggeva l’arma. L’ascia cadde a terra con un tonfo e fu ricoperta dal sangue che scorreva caldo dal moncherino che reggeva con l’altra. Un grido di dolore, simile ad un richiamo animalesco, echeggiò per tutto il campo di battaglia. Aulo stava per saltargli alla gola e finirlo, ma il nemico lo anticipò: portandosi dietro il segno indelebile che il pugio dell’ufficiale romano gli aveva impresso a vita, corse verso il cavallo che aveva lasciato poco lontano e vi saltò in groppa. Così fuggì via dalla battaglia e dal centurione che lo seguiva con lo sguardo. Quando il barbaro ebbe raggiunto un’adeguata distanza di sicurezza, girò il cavallo e lanciò una maledizione nella sua lingua gutturale ad Aulo, scandendo per la seconda volta il suo nome.

“…molto presto…puoi starne certo, barbaro!”

<<Lanciate il segnale! Avanti con quel corno!>>

Una sola nota, lunga e lugubre, trapassò l’aria, maestosa e misera allo stesso tempo, per arrivare fino alle orecchie di Celso che, assieme ai suoi uomini, stava aspettando solo il brivido che quel suono gli fece provare sulla pelle.

<<E’ ora! Andiamo femminucce, avanti!>> Celso si portò in prima fila e sguainò il gladio, presto imitato da tutti gli altri hastati che si disposero ordinatamente appena fuoriusciti dalla boscaglia. Lo sferragliare delle armi si confondeva con le grida di guerra dei barbari mentre i romani, con passo cadenzato, battevano a ritmo le lame affilate sugli scudi, creando un fracasso che attirò l’attenzione dei soli Boi che non erano impegnati nello scontro. Ad un ordine dell’optio la mezza centuria si scatenò in una corsa ordinata e tremenda che travolse silenziosa tutti i cavalieri che si trovava davanti. I Galli, da parte loro, non si aspettavano d essere presi sul fianco e, del tutto impreparati cercavano di porre rimedio a quella situazione come potevano. Quando vennero in contatto con il nemico, Celso vide due hastati scaraventati a terra e calpestati dagli zoccoli ferrati dei cavalli. Altri vennero decapitati con un solo colpo dai lunghi spadoni dei Boi. Molti avversari, però, vennero trascinati giù dalle cavalcature e, in un miscuglio di viscere, sangue e fango, furono massacrati senza pietà. Persino Celso, alla fine, si ritrovò stanco, spossato, con le armi appiccicaticce e viscide, avendo ormai perso il conto dei cavalieri che aveva affrontato e ucciso o messo in fuga. I suoi calzari affondavano ad ogni passo nel terreno e, guardandosi attorno, vide che anche i legionari di Aulo erano riusciti ad attestarsi su di una solida linea e che il destino dei cavalieri nemici era ormai segnato. Fu solo allora che si accorse di quell’uomo barbuto, ricoperto di ferite irritate dal sudore. Gli si avvicinò silenziosamente quasi contro ogni regola di guerra del suo popolo. Alzò la spada, la lama pronta a colpire la sua testa. Celso non riuscì a muovere un muscolo per lo stupore e il terrore. Non un brivido. Dopo un’eco dal sapore del ferro, il buio più profondo si parò davanti ai suoi occhi.

<<Finalmente!>>

La voce che aveva pronunciato quella parola gli suonava familiare.

Non riusciva ad aprire la bocca. Era impastata e i suoi occhi socchiusi, tumidi. Voleva rispondere qualcosa, ma non vi riuscì.

<<Non sforzarti.>>

Di nuovo quella voce. Non riusciva a distinguere l’ombra sbavata che gli sedeva accanto. Riuscì a percepire, però, che si trovava su di una branda militare, immobile.

Voltò la testa fasciata da una parte e dall’altra ma si fermò quasi subito: tutto il cranio fu percorso da un lampo lancinante. La bocca si contrasse in una smorfia di dolore, gli occhi, già gonfi, si ridussero a due fessure. Le pupille scomparvero.

<<Stai fermo>> recitò la voce con un filo di apprensione.

<<Co…cosa mi…è…a…accaduto?>> Alla fine riuscì a biascicare quei pochi termini.

<<Sei stato qui a dormire per circa tre settimane>>

<<Co…così ta…tanto?>>

<<Sei stato fortunato a risvegliarti oggi dopo quel colpo: è stato davvero un brutto affare e i capsari dell’esercito dubitavano che potessi riprenderti.>> La voce assumeva una forma più precisa man mano che riusciva ad aprire gli occhi. E che vi interloquiva.

<<Uno di loro – che Plutone lo colga – voleva addirittura astenersi dal curarti perché ti dava già per spacciato>> asserì dopo una breve pausa, lo sguardo cupo.

<<Per fortuna sono riuscito a fargli cambiare idea>> disse alla fine, abbozzando un sorriso, soddisfatto.

Celso sembrava non aver sentito.

<<A…abbiamo vi…vinto?>>

Un silenzio pesante calò nella stanza. Nella semioscurità si potevano intuire le semplici forme di un mobilio essenziale, quello tipico dell’infermeria da campo. Qualche branda, delle casse di legno dove riporre bendaggi e attrezzature mediche e due soli recipienti per l’acqua.

<<Una vittoria schiacciante!>> Aulo sorrise mostrando una duplice fila di denti bianchissimi.

Anche Celso mosse leggermente le labbra. Socchiuse gli occhi. Una goccia gli solcò il viso e gli bagnò l’orlo della tunica pulita che si ritrovava ad indossare.

<<Li abbiamo completamente massacrati: le legioni al centro dello schieramento hanno fatto breccia tra i ranghi etruschi mietendoli come spighe mature al sole.>>

L’optio ferito ascoltava con attenzione ed interesse.

<<Dal canto nostro abbiamo fatto il possibile.>> Aulo si fermò per un attimo e colse l’ombra che si addensò sulla fronte dell’amico.

<<No, non preoccuparti: i Galli sono stati sconfitti. Messi in fuga su entrambe le ali dello schieramento. Purtroppo, proprio i nostri reparti di hastati hanno subito le perdite maggiori.>>

Dopo una breve pausa, Celso chiese da bere. Aveva la gola totalmente secca e la lingua schioccava sonora nella bocca asciutta. Il centurione si alzò dal sedile dove aveva preso posto ore prima e si diresse verso una cassa che si intravedeva in fondo all’ambiente. Su di essa trovò una fiasca in bronzo, una delle tante in dotazione dell’esercito. L’accostò alle labbra di Celso e lo aiutò a mandar giù qualche sorso. Rimesso al suo posto l’oggetto, Aulo ritornò a sedersi accanto all’optio.

<<Adesso è tutto finito. Da giorni bruciamo cadaveri e soccorriamo i nostri feriti.>>

Pausa.

<<Be’, almeno quelli che hanno resistito fino al nostro arrivo>>

Sorrise.

<<Ora riposati>>

Un’ombra gli sfrecciò dinanzi agli occhi.

Ferito. Con un moncherino stillante sangue, imprecava furiosamente.

Le brache a quadri blu e bianche, la barba folta e selvaggia. Il mantello che correva nel vento. Sotto, il cavallo al galoppo con le froge dilatate, il manto lucido per il sudore.

<<Riposati…>> sussurrò quasi tra sé. Celso, infatti, non lo seguiva più e stava ritornando nel suo debole torpore.

<<Non è finita qui…>> continuò il centurione con lo sguardo perso nel vuoto <<ci puoi scommettere quella testa vuota che ti ritrovi sul collo. E quando accadrà non ti lascerò andar via…>>

“Puoi starne certo, barbaro!”

Modificato da Caio Ottavio
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Inviato

Salve a tutti.

Ho iniziato a scrivere il presente racconto basato su fatti storici (principalmente narrati da Polibio) per il suggerimento che l'utente Arrigome ha avanzato nella discussione "Le grandi battaglie di Roma antica". Egli, diligentemente, proponeva di trattare il combattimento che si svolse presso il lago Vadimone (in foto). Ho colto l'occasione per presentare l'avvenimento in modo, penso, più gradevole. Spero di aver fatto cosa gradita e che piaccia anche a voi. Non mi resta che ringraziare Arrigome per la proposta e tutti coloro che avranno la pazienza di leggere questo piccolo resoconto storico "romanzato". :)

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Inviato

Magnifico equivale a sminuirlo! Eccezionale :)

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Awards

Inviato

Forse abbiamo scoperto un nuovo scrittore "storico".

Ho notato una buona vena letteraria e un'attenzione per l'atmosfera e dettagli storici, forse più accurati di un certo Valerio Massimo Manfredi.

Al limite si potrebbe creare per la pubblicazione una raccolta di simili racconti, con un adeguato corredo illustrativo e magari avviare una nuova e interessante attività oltre a quella di collezionista.....

Provare per credere!

  • Mi piace 1

Inviato

Grazie infinite per i vostri commenti che ho apprezzato davvero tanto. :)

Pur non essendo un collezionista (:lol:) mi piace ogni tanto esporre gli avvenimenti storici sotto una forma più discorsiva e, forse, anche di più facile divulgazione.

E' bello per me vedere che questo lavoro è stato di vostro gradimento: grazie ancora. :D


Inviato

Vivissimi complimenti anche da parte mia Caio Ottavio.


  • 4 settimane dopo...
Inviato (modificato)

Grazie anche a te, Claudio I. :)

Modificato da Caio Ottavio

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