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consiglio su libro


Risposte migliori

Inviato

Mi piacerebbe leggere qualcosa sulla storia del collezionismo di monete romane e greche. Del tipo :

chi furono i primi pionieri collezionisti, Papi, principi ecc ecc.

chi furono i primi "antiquari" e le lore collezioni di "medaglie".

quali furono le raccolte storiche da cui ha preso piede la nostra coinvolgente passione.

Sapete qualcosa ??

Caius


Inviato

Finalmente una domanda su un libro :)

Purtroppo non sono in grado di aiutarti, ciò che so è che uno dei primi collezionisti di monete romane è stato il Petrarca, e che, ma di questo sono meno sicuro, una delle più grandi e belle collezioni di monete romane del passato è stata quella della famiglia D'Este, nota signoria

Spero di esserti stato lo stesso utile, ciao ciao


Inviato

Buone notizie:

Guarda cosa ho trovato sul sito della RAI (c'è una ricca bibliografia in fondo alla pagina):

Nel XV secolo le collezioni archeologiche sono ancora un fenomeno ristretto per lo più a principi e umanisti, i centri più importanti, con caratteristiche tra loro assai diverse, sono il Veneto, Roma, Firenze e le signorie dell’Italia centrale.

Veneto

Francesco Petrarca è il primo a mostrare un deciso interesse per l’antico e a formare una piccola collezione nel suo studiolo di Arquà ove conservava medaglie e antiche monete in seguito donate a Carlo IV di Boemia che le sistemò all’interno della sua Cappella di Karlenstein insieme a reliquie e oggetti tipici di una Wunderkammer nordica. Di fondamentale importanza fu soprattutto l’attività di promozione che il Petrarca seppe espletare nei confronti della valutazione dell’antico fungendo da principale stimolo alla nascita della conservazione e della raccolta del materiale archeologico in tutti i principali centri italiani.

Il medico e letterato padovano Giovanni Dondi conosceva bene il Petrarca, la sua collezione era fatta di epigrafi e monete e la sua devota ammirazione per i monumenti antichi, testimoniata dalla lettera scritta da Roma nel 1375, rieccheggia i motivi umanistici, politici e nazionalistici di Cola di Rienzo e dello stesso Petrarca.

Un successivo stimolo alla conoscenza e alla raccolta delle antichità venne dato nel veneto dall’attività di disegnatore e di studioso testimonianze di Ciriaco d’Ancona che ci ha tramandato notizie curiose su raccolte viste in giro per il mondo, come quella del comandante Giovanni Dolfin osservata in una galera veneziana ancorata nel 1445 a Candia. Collezionista accorto era il nobile veneziano amico di Ciriaco Ludovico Trevisan.

A fine Quattrocento Pietro Barbo, eletto papa con il nome di Paolo II, porta da Venezia a Roma la cultura umanistica del nord e il collezionismo archeologico istallando la sua collezione nel palazzo di San Marco. Tra le preziosità possedute dal papa umanista spiccano alcune monete antiche appartenute a Pisanello e cammei preziosi come la gemma di Apollo e Marzia acquistata in seguito dai Medici e finita in collezione Farnese con il matrimonio di Margherita d’Austria, vedova di Alessandro de’ Medici, con Ottavio Farnese. Molti altri oggetti preziosi, tra cui la celebre Tazza Farnese, sono elencati nell’inventario del 1457 redatto forse dall’immancabile Ciriaco d’Ancona.

Roma

La collezione del Barbo, così centrata sul possesso personale e l’arricchimento di oggetti preziosi -emblematico è il trasporto voluto dal papa del sarcofago in porfido di Costantina nel suo palazzo di San Marco che provocò le ire di Pomponio Leto - non è pareggiata da nessuna delle raccolte allestite dalle famiglie patrizie romane nei cortili quattrocenteschi di Roma. Lanciani elenca numerosissime mostre di iscrizioni e pezzi antichi orgogliosamente affissi alle pareti di palazzi e cortili a ricordare, o inventare, antiche origini; ne possedevano la famiglia Sassi in Parione, la famiglia Galli in Rione Ponte e ancora Marc’Antonio Altieri, Angelo del Bufalo, Marcello Capodiferro, Angelo Capranica, Oliviero Carafa, Prospero Colonna, i Maffei, i Mellini, Pomponio Leto, Stefano Porcari, i Della Valle ecc. Questi «mostravano avere una sola ambizione: quella di legare il loro nome a una vigna o giardino nei quali spiccassero sul verde delle spalliere opere d’arte antica». Un primo esempio di orto aperto al pubblico è offerto dalla dieta statuaria che Giuliano Cesarini dedicò, con un’iscrizione, all’honesta voluptas dei suoi concittadini formalizzando un uso che era già in voga ai tempi dell’Accademia di Pomponio Leto.

Ma c’era un uso propriamente politico delle antichità, e questo emerse con forza già ai tempi di Cola di Rienzo e ancora con l’invettiva di Pier Paolo Vergerio nel 1398 che accusava i romani distruttori di libri e monumenti. Questa manipolazione politica trova la sua espressione più evidente nel 1471 quando Sisto IV "restituisce" al popolo romano le statue antiche conservate in Laterano trasportandole in Campidoglio.

Questa "auto espropriazione" doveva essere sanata poco più di trenta anni dopo da Giulio II. Nel 1505 prende forma infatti la più celebre collezione di antichità di tutta Italia: per volere del papa Bramante crea un cortile con nicchie all’interno del Vaticano destinato ad ospitare le più rinomate statue antiche del tempo tra le quali l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte e la Cleopatra. Ma a questa data il collezionismo archeologico stava già mutando tralasciando la strumentalizzazione storica e politica per divenire assai più curato dal punto di vista formale dell’allestimento e dell’esposizione ai fini di un prestigio basato sulla cultura, ricchezza e raffinatezza rivendicato ora da famiglie di vecchia e nuova nobiltà.

Firenze

La scarsità di reperti in loco orienta il collezionismo fiorentino del Quattrocento verso forme per così dire umanistiche; sono soprattutto studiosi, scrittori e storici a raccogliere monete, cammei e frammenti come materiale di studio per la ricostruzione dell’antico portata avanti parallellamente da poeti ed artisti.

Le più celebri collezioni quattrocentesche sono quelle degli umanisti Poggio Bracciolini - che raccolse materiale nella sua villa di Terranova modellata sull’antica accademia ciceroniana-, di Niccolò Niccoli -appassionato di glittica- e di Leonardo Bruni.

La famiglia Medici cominciò a collezionare dal tempo di Cosimo per via di scambi diplomatici e arricchendo enormemente la raccolta ai tempi di Lorenzo. A questa data le statue e i rilievi erano disposti nel giardino e nei portici del palazzo di Via Larga, i busti degli Imperatori e di uomini illustri sulle sovrapporte del primo cortile, mentre gli oggetti di piccolo formato vennero conservati nello studiolo. All’interno i saloni erano decorati preferibilmente con opere di pittura commissionate ai massimi artisti del tempo (Paolo Uccello, Pollaiolo e Benozzo Gozzoli). Un nucleo di sculture antiche era invece riservato ad un giardino che, a detta di Vasari, Lorenzo volle dedicare ad una sorta di Accademia per gli artisti: nel giardino di San Marco, tra statue e rilievi antichi e moderni si educò il giovane Michelangelo.

Le corti dell’Italia centrale

Nelle corti dell’Italia centrale le collezioni di antichità si concentrano soprattutto negli studioli dei signori di Ferrara, Mantova e Urbino: a Ferrara lo studiolo di Lionello e Borso d’Este, descritto da Sebastiano degli Arienti, è decorato secondo un programma dettato dal celebre umanista Guarino da Verona; a Torrechiara vicino Parma costruisce uno studiolo Pier Maria Rossi; a Urbino lo studiolo di Federico da Montefeltro, descritto da Vespasiano da Bisticci e poi da Bernardino Baldi, si configura come il luogo di studio e riflessione del signore costituendo un modello insuperato per gli studioli a venire. Ma è soprattutto Isabella d’Este a fare del suo studiolo, costruito nel secondo piano del Castello di San Giorgio tra il 1491 e il 1505-06, una versione raccolta di museo di opere antiche e moderne. Animata da un «insaciabile desiderio di cose antique» la principessa si avvalse di ogni mezzo diplomatico e di agenti tra i quali Francesco Malatesta, il fratello Ippolito d’Este, Michele Vianello e Gian Cristoforo Romano, musico, poeta e scultore inviato nel 1501 a Roma per procacciarle statue e ritornato con una statua di Cupido ritenuta di Prassitele.

Nel 1522 Isabella lascia il castello di San Giorgio e si trasferisce nei nuovi appartamenti della Corte Vecchia ove l’architetto Giovanni Battista Covo aveva approntato due nuovi ambienti pronti ad ospitare le antichità e i dipinti della principessa suddivisi in due ambienti dello Studiolo e della Grotta. L’inventario del 1542, conservato nell’Archivio Gonzaga di Mantova, descrive la sistemazione delle opere commissionate a Correggio (Allegoria delle Virtù e Allegoria dei Vizi ), Mantegna (il Parnaso e Minerva caccia i Vizi dal giardino della Virtù ), Lorenzo Costa (il Regno di Como e l’Allegoria della corte di Isabella ), Giovanni Bellini (il Festino degli dei ) e Perugino (la Battaglia di Amore e Castità ); soprattutto elenca nella loro disposizione un gran numero di pezzi antichi di cui solo alcuni sono stati identificati: in armadi e su mensole tra le finestre e le porte erano disposte statue classiche e riproduzioni eseguite da Jacopo Alari-Bonacolsi detto l’Antico, vasi di onice, medaglie e busti di Faustina, Caracalla, Tiberio, Lucio Vero; sopra la finestra era fissato un bassorilievo da sarcofago con Plutone, Proserpina, Mercurio e Cerbero. Alla fine della sua vita (1539) Isabella lascia così al figlio Federico le preziose opere d’arte disposte nello studiolo, negli adiacenti camerini e nella sottostante grotta. Nel 1627 Vincenzo II Gonzaga vendette la collezione in blocco al re Carlo I d’Inghilterra.

Caterina Volpi

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Inviato

grazie Galba, un aiuto veramente prezioso.

io devi segnalare 4 paginette sul libro di Wayne Sayles "collecting ancient coins", ben fatte, ma inevitabilmente brevi. Mi piacerebbe sapere meglio qualcosa sul collezionismo in generale, sulle collezioni in epoca romana (i romani collezionavano opere d'arte). tutto sommato i musei stessi sono frutto della malattia del collezionismo, che poi malattia non è. Vorrei trovare conforto in un libro sul fatto che raccogliere tondelli metallici corrosi del tempo non è un disturbo psichico.

Mi risulta che Cesare fosse interessato alle monete delle popolazioni galliche che conquistava, ma che addiruttura dal neolitico sono segnalati raggruppamenti di oggetti "preziosi" (conchiglkie ecc ecc) che in qualche modo possono far pensare ad una collezione.

grazie

Caius


Inviato
Vorrei trovare conforto in un libro sul fatto che raccogliere tondelli metallici corrosi del tempo non è un disturbo psichico.

Mi risulta che Cesare fosse interessato alle monete delle popolazioni galliche che conquistava, ma che addiruttura dal neolitico sono segnalati raggruppamenti di oggetti "preziosi" (conchiglkie ecc ecc) che in qualche modo possono far pensare ad una collezione.

grazie

Caius

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Ciao Caius :)

puoi stare tranquillo, l'unico disturbo psichico è non avere interessi :P :P :P

Si dice che Cesare collezionasse denari repubblicani, quelli di migliore fattura e in molte tombe, anche egizie, si sono ritrovate conchiglie fossili e, se non si può parlare con certezza di collezionismo, almeno si deve parlare di curiosità e interesse tali da farle conservare e valorizzare nei corredi funerari.

I Romani erano grandi collezionisti: basta pensare alle opere d'arte he adornavano le loro ville

Se hai voglia di leggerti le Lettere di Cicerone all'amico Attico, noterai quanto lo stressasse per farsi comprare statue in Grecia per la villa di Tuscolo.

Ti consiglio un libro scritto da un grande ricercatore al servizio di collezionisti del '700, che è considerato il padre della Storia dell'Arte Romana:

Winckelmann - Storia dell'arte dell'antichità - Bompiani (ed economica Eur 17.50

salvo modifiche recenti)

Buona lettura - P


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