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IGNORED

Quel 2 agosto dell'anno 538 ab Urbe condita...


Risposte migliori

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Salve a tutti. :)

Con questa discussione vorrei portare alla vostra attenzione un avvenimento tanto famoso quanto disastroso per la storia di Roma e dei suoi territori. Una catastrofe con risvolti così ampi da influire negativamente anche sull' economia e sulla monetazione della Repubblica che arricchisce questo intervento che spero sarà di vostro gradimento.

I soldati delle due fazioni.

Come è noto, Annibale, una volta messo piede sul suolo italico, non esitò; a portare dalla sua parte tutti quei popoli che, scontenti del dominio della Repubblica, aspettavano solo l' occasione per la rivalsa contro l'antico oppressore. Il cartaginese, pensarono, faceva proprio al caso loro: era forte, intelligente, carismatico e aveva già dato prova numerose volte, anche in Spagna, della sua abilità sul campo di battaglia. Avrebbe fatto ancora mordere la polvere ai Romani: con un esercito "multietnico", Annibale riunì sotto le insegne cartaginesi le popolazioni più distanti tra loro, non solo dal punto di vista geografico, ma anche ideologico e culturale. Portava con sè, oltre ad africani, numidi e cartaginesi, anche i soldati ispanici che costituivano il bottino più importante della precedente campagna militare, a cui si aggiunsero poi i Galli dell' Italia Settentrionale che volevano riconosciuta la propria vecchia indipendenza. Ma quali armi avevano questi alleati con cui ebbero a che fare i Romani al culmine della Seconda Guerra Punica?

1. Hispanici:

- Cavalleria ispanica: agili, veloci ed efficaci, questi cavalieri esperti avevano un armamento essenziale. Proteggevano il capo con elmi spesso piumati e imbottiti, portavano un doppio disco metallico collegato con legacci di cuoio e metallo a protezione del petto e della schiena, oltre al caratteristico scudo tondo di legno con umbone centrale in metallo che ricopriva l'impugnatura. Un grosso cinturone reggeva la spada inguainata sul fianco sinistro, la cosiddetta falcata iberica a doppia lama, una delle armi più utilizzate in questo periodo presso l'esercito annibalico. La cavalleria leggera ispanica, invece, mancava di corazza a protezione del busto e usava piccoli ma micidiali giavellotti da lancio. Le loro armi principali erano la velocità; e la precisione.

- Fanteria pesante ispanica: erano soldati scelti che riuscivano a sostenere le cariche peggiori. I comandanti di questi reparti erano riconoscibili grazie alla cresta sull' elmo, mentre i militi semplici non potevano fregiarsene. Corazze a scaglie e scudi oblunghi decorati con enigmatici motivi geometrici completavano le armi di difesa di cui erano dotati queste guardie d'èlite. Una falcata e una lancia piuttosto lunga costituivano il loro armamento d'offesa preferito. Vennero definiti scutati dai Romani che notarono il loro armamento difensivo e soprattutto il grande scutum.

- Fanteria leggera ispanica: le uniche protezioni di cui potevano usufruire erano l'elmo in pelle con bande di metallo a rinforzo e il piccolo scudo ligneo di forma tonda chiamato caetra da cui il loro nome di caetrati. Le corte tuniche che usavano come abiti erano tenute alla vita con un ampio cinturone da cui pendevano una guaina dove inserire una particolare spada a lama dritta e, a volte, anche un pugnale. Le armi che preferivano i soldati leggeri erano i giavellotti soliferrum, resistenti agli urti e con una punta così aguzza da penetrare anche le armature avversarie.

- Frombolieri: i più famosi in assoluto per la loro precisione e capacità erano quelli provenienti dalle Baleari. Spesso non avevano quasi protezioni: rivestiti da una semplice tunica con cinturone e pugnale, i frombolieri erano dotati, di solito, di tre fionde, ciascuna per una diversa gittata. I pugnali balearici sono particolari: assomigliano alle falcate iberiche nella forma, ma hanno dimensioni di coltelli affilatissimi. Completava l'equipaggiamento una borsa in cuoio dove i frombolieri potevano riporre le munizioni da scagliare con l'opportuna fionda in base alla distanza a cui si trovava il bersaglio.

2. Galli:

- Cavalleria celtica: i componenti di questi ranghi erano ben conosciuti dai Romani. Indossavano elmi ornati con teste simili a orribili bestie con la bocca spalancata e alti pennacchi piumati; portavano scudi di forma diversa, ma solitamente bianchi, due giavellotti e una spada pesante; indossavano, infine, un corsaletto in ferro a protezione del busto. Caratteristiche sono le brache, indumento barbaro che portavano la maggior parte dei guerrieri celti.

- Fanteria: noti per la loro statura massiccia e il loro aspetto feroce ed incolto, i fanti galli sono i più temuti dal nemico. La maggior parte scendeva in campo con protezioni di vario genere, tra cui la cotta di maglia, poi adoperata dai Romani, e si proteggevano con ampi scudi ovali borchiati, indossando l'elmo in metallo di tipo "montefortino" a cui si ispirerà quello romano coevo. Le lunghe spade e i pugnali abbondavano, ma l'arma principale rimaneva una corta e pesante lancia adatta anche per gli scontri ravvicinati. I più temerari, per dare prova del loro coraggio, si gettavano in battaglia seminudi o totalmente nudi e, di solito, erano i primi a scontrarsi col nemico e a gettargli contro urla spaventose e minacce nella loro lingua gutturale. Utili per risollevare il morale dei compagni e per far scoraggiare il nemico, questi coraggiosi "fanatici" avevano meno probabilità di sopravvivenza rispetto agli altri armati.

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Le rappresentazioni dei cavalieri numidi sono piuttosto rare anche sulle monete repubblicane. Uno dei pochi casi è rappresentato da questo denario così classificabile:

Autorità emittente: Publius Crepusius.

D/ Testa laureata di Apollo a destra con dietro uno scettro (lettera di controllo e simbolo sono variabili, in questo caso S dietro la testa e stella sotto il mento).

R/ Cavaliere numida a destra che brandisce un giavellotto con dietro numero di controllo (sempre variabile). In esergo P. CREPVSI.

Rif.: Crawford 361/1c; Sydenham 738a; Babelon, Crepusia 1.

Rif. Cataloghi Lamoneta: http://numismatica-c.../moneta/R-G40/1

Nominale: Denario.

Materiale: AR - Argento.

Datazione: 82 a.C.

Grado di rarità (per esemplare in figura): Comune.

Nota: L'estrazione sociale della famiglia di questo Crepusius e il perchè della raffigurazione di un cavaliere numida sul R/ di questa moneta sono attualmente sconosciuti. Unico dato certo, ricavato dagli studi effettuati su di un esemplare di questo tipo custodito al British Museum di Londra, è che il cavaliere rappresentato è un numida.

E i Romani?

- Cavalleria: i cavalieri giocheranno un ruolo fondamentale nella maggior parte delle battaglie antiche. Di solito il loro ruolo era proteggere la fanteria sui lati da accerchiamenti ed attacchi nemici, ma venivano usati anche come scorte e in brevi passaggi di ricognizione. Le cotte di maglia erano la protezione principale della cavalleria romana, oltre ad uno scudo tondeggiante di legno ricoperto di cuoio o altro materiale come la tela incollata al legno sottostante con un collante ricavato dalla pelle di toro. Le tipologie dell'elmo variavano molto: si potevano trovare quelli beotici oppure del classico tipo "montefortino" entrambi muniti di pennacchio. La spatha, dalla lama più lunga rispetto al gladio della fanteria, veniva usata di solito dopo il lancio del corto giavellotto appositamente concepito con due spuntoni in modo da essere utilizzato anche con l'altra estremità. Una curiosità: i Romani non usarono mai le staffe. Sopperirono a questa mancanza con la creazione di un' apposita sella detta a "quattro corni" poichè aveva delle protuberanze, appunto quattro, due avanti e due dietro, in cui il cavaliere doveva stringere il proprio bacino. L' equilibrio era quasi perfetto se si sapeva gestire l' animale non solo con le redini, che avevano un ruolo non sempre fondamentale, ma anche con le ginocchia, premendo lungo i fianchi dell' equino.

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Un cavaliere romano combatte contro un avversario. Si noti l'elmo beotico con i crini di cavallo e la particolare sella.

(Illustrazione di R. Hook).

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Elmo beotico in bronzo del tipo in dotazione della cavalleria romana all'epoca della battaglia di Canne.

- Fanteria: si divideva in tre reparti:

Hastati: erano i soldati più giovani e con poca esperienza. Venivano messi in prima linea ed erano equipaggiati con un armamento leggero rispetto agli altri uomini. Indossavano un corsaletto o pectorale in ottone, unica protezione che li distigueva dal resto dell' esercito. Avevano in dotazione due tipi di pila, uno leggero, adatto solo per essere scagliato contro il nemico, e un altro pesante, dotato di un pomo spesso in piombo che poteva essere usato anche negli scontri ravvicinati. Il gladio dalla lama corta e l' elmo con crini di cavallo tipo "montefortino" completavano l' equipaggiamento assieme ad uno scudo ovoidale molto ampio e pesante con umbone in ferro o bronzo e una spina centrale che metteva in collegamento i lati superiore e inferiore dello scudo che erano rinforzati con spranghe di metallo.

Princeps: non hanno un armamento molto differente rispetto agli hastati. Indossavano una pesante cotta di maglia (lorica hamata) che poteva raggiungere anche i 15 Kg. Elmo "montefortino" e scutum completavano la categoria delle armi difensive, mentre gladio e pila, pesante e leggero, come sopra, costituivano quelle di offesa. Erano posizionati in seconda fila, pronti a intervenire in caso di fallimento da parte degli hastati.

Triarii: erano i soldati più esperti e meglio armati di tutto l' esercito romano della Repubblica. Posizionati nella terza ed ultima fila dello schieramento di fanteria, intervenivano in caso di estrema necessità. Quando si diceva che la battaglia era in mano ai triarii significava che la situazione si metteva male per i Romani. Elementi distintivi di questa categoria erano l' elmo italico o etrusco-corinzio con al centro il supporto per il pennacchio e quelli laterali per le piume, una lancia molto lunga e pesante che usavano in un modo particolare: i triarii si inginocchiavano a terra e, protetti dallo scudo, fissavano l' arma a terra puntandola verso il nemico che, in formazione compatta, vi finiva contro. Infine, utlimo retaggio di un' epoca già allora lontana, portavano a protezione della gamba sinistra, che avanzava assieme allo scudo in avanti, uno schiniero di bronzo.

Veliti: costituiti ufficialmente dopo il 211 a.C.,durante la battaglia di Canne i veliti erano un po' diversi da come siamo abituati a vederli. Non avevano nessuna protezione personale ed erano armati solo di una serie di giavellotti da scagliare e, al massimo, un gladio o un pugnale per difendersi in caso di combattimenti corpo a corpo. Indossavano una corta tunica di stoffa grezza, compresa nella dotazione basilare per tutti i reparti di fanteria e cavalleria, stretta in vita da una cintura di pelle o cuoio.

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Questa illustrazione mostra: 1. hastatus; 2. princeps; 3. triarius così come dovevano apparire durante la Seconda Guerra Punica.

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Elmo di tipo "montefortino" con paragnatidi e un porta cresta o piume aggiunto in un secondo momento, forse nel corso del I secolo a.C. (Germanisches Nationalmuseum Nürnberg-D).

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Elmo di tipo etrusco-corinzio in dotazione ai triarii. Questo in foto è databile al V secolo a.C. e presenta incisi i resti di alcune decorazioni rappresentati cinghiali e grossi gatti selvatici. Ai lati, i supporti per le piume, al centro quello per la cresta. Altezza totale: 30,2 cm; lunghezza: 32,7 cm; peso: 1535 grammi.

L'avanzata verso Canne.

L'azione si svolse durante il secondo conflitto tra le due potenze che all' epoca si contendevano il dominio del Mediterraneo: Roma contro Cartagine. Penetrato ormai a fondo nella penisola italica, Annibale si ritrovava ad assediare la cittadina apula di Gerunium che, però, fu costretto a lasciare in ritardo a causa delle scorte alimentari che scarseggiavano. Ma il suo ritardo fu calcolato, come tutte le mosse che eseguì nel corso della guerra: aspettò, infatti, l' inizio della mietitura per garantirsi un' adeguata scorta per il suo esercito che, se scontento, poteva abbandonarlo alla mercè dei nemici romani. Il suo obiettivo era Canne, una cittadella diroccata ma ancora fortificata che assicurava un giusto quantitativo di granaglie ai soldati romani. Quelle provviste dovevano essere sue. Con l' occupazione dell' importante snodo commerciale romano il Senato si era visto costretto a reagire per non perdere l' appoggio già provato degli alleati italici: il condottiero cartaginese aveva messo alle strette ancora una volta il nerbo sia politico che militare di Roma. I Consoli per quell' anno erano Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone. Divenuti famosi per essere stati i condottieri della battaglia di Canne, Varrone era convinto che l'unico modo per sconfiggere Annibale e costringerlo ad abbandonare l'Italia era quello di affrontarlo in campo aperto e con uno scontro diretto. Emilio Paolo non era dello stesso avviso e voleva continuare una lotta di logoramento, sapendo che l'esercito di Annibale, dimostrazione reale del suo genio militare ancora imbattuto, avrebbe inflitto ai Romani l'ennesima, umiliante sconfitta. Tito Livio racconta che quando i Consoli partirono a capo di 20.000 legionari e 1500 cavalieri con l'obiettivo di unirsi alle legioni comandate dai Proconsoli Gemino e Regolo già in campo, Quinto Fabio Massimo, appena dismesso dalla carica di dittatore, pronunciò un' esortazione che si rivelò profetica: "Se Varrone si getterà nella battaglia, come io sono certo che accadrà, allora - state bene attenti - in un modo o nell' altro avverrà qualcosa di più terribile del Trasimeno1, o io non sono un soldato e non conosco nulla di questa guerra nè; di Annibale".

Le parole di Fabio avevano espresso una dura invettiva non contro l'uomo Varrone, ma contro la sua strategia che veniva appoggiata e condivisa dal gran numero di uomini che si trascinava dietro. Questa decisione non era propria solo di Varrone e dei suoi sostenitori, ma oggi si è capito che fu proprio il Senato a comandare al Console di dare battaglia ad Annibale ed annientarlo una volta per tutte. Finalmente i due Consoli si unirono a Gemino e Regolo a due giorni di marcia da Canne dove si era stanziato Annibale. "Il secondo giorno (29 luglio)" dice Polibio "giunsero in vista dei cartaginesi e piantarono il campo a circa cinque miglia di distanza (8 chilometri)". L'accampamento romano si trovava in una posizione sopraelevata dove potevano scorgere i nemici, in quanto in quel periodo dell'anno la foschia da calore e il pulviscolo portato dal vento di sud-est possono impedire la visibilità a una distanza maggiore. I Romani, quindi, si sarebbero fermati intorno all'odierna Trinitapoli. I giorni successivi furono trascorsi dai generali romani a studiare il terreno più adatto su cui si sarebbero scontrati con i cartaginesi: Emilio Paolo sapeva che il nemico aveva una potente quanto efficiente e numerosa cavalleria e un territorio pianeggiante avrebbe avvantaggiato la sua azione a discapito della cavalleria romana, potendo mettere in serio pericolo la fanteria. Pare che Varrone, a detta di Polibio e Tito Livio, avesse "scarsa esperienza in campo militare" e che non si trovò mai in accordo con Emilio Paolo sul da farsi. Infatti, quest'ultimo, giudicava il terreno intorno a Canne troppo pianeggiante ed aperto per attaccare battaglia con Annibale: era vero che l'astuto nemico non poteva trovarvi buoni luoghi per tendere imboscate ai Romani, ma poteva sfruttare al massimo la cavalleria, da sempre considerata migliore rispetto a quella romana. L'uso della cavalleria da parte di Roma, in effetti, risultò più tarda rispetto ad altri popoli del Mediterraneo o dell'Europa centrale che, a differenza di Roma, basarono la loro forza proprio sulla cavalleria e non sulla fanteria. Ma la questione che ancora fa riflettere storici e studiosi è un'altra: chi era realmente al comando dell'esercito della Repubblica quel giorno? Varrone, come affermano Polibio e Tito Livio, o Emilio Paolo? I Consoli si dividevano il comando a giorni alterni durante le campagne militari. Gli storici antichi avevano buoni motivi per scagionare Paolo che, essendo uno dei rappresentanti più illustri e rinomati della sua famiglia, protettrice, tra l'altro, anche dello stesso Polibio, ne avrebbe risentito parecchio di questa disfatta. L'onta si sarebbe abbattuta sulla sua gens e nulla avrebbe più potuto salvarla. Così, a Varrone fu addossata ogni responsabilità. Si sa che Paolo prese il comando della cavalleria romana e non degli alleati italici. E questo era un posto riservato al capo supremo dell'esercito. Perchè Paolo lo occupò se, stando a Tito Livio e a Polibio, Varrone deteneva il comando supremo? Quell'incarico sarebbe spettato a lui non a Paolo. Eppure sono gli stessi storici ad affermare prontamente il contrario. Se si anticipa di un giorno il calendario della narrazione di Polibio, il cambio nella rotazione del comando resta un problema aperto. Se, invece, la battaglia ebbe inizio il terzo giorno seguente all'installazione dei campi, allora al comando vi era Paolo e non Varrone.

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1. La Battaglia del Lago Trasimeno, una delle più importanti della Seconda Guerra Punica, fu combattuta nel 217 a.C., a Tuoro sul Trasimeno, all'alba del 24 giugno (secondo il calendario non riformato, corrispondente all'aprile di quello giuliano), fra le forze cartaginesi, comandate da Annibale, e le legioni romane, comandate dal console Caio Flaminio. Più che di una battaglia si trattò di un massacro. Le forze romane furono colte di sorpresa durante una marcia di spostamento.

La battaglia di Canne.

I Romani, prima della battaglia, avevano in campo non meno di otto legioni con un numero equivalente di truppe alleate. Il totale dei cittadini romani era di poco superiore a 150.000 uomini, ai quali dev'essere aggiunto lo stesso numero di alleati, arrivando ad un totale di poco superiore a 300.000 uomini. Le cifre ci fanno capire che l'evento a cui stiamo per assistere fu davvero epocale, una "cosa che mai era accaduta prima presso i Romani". Le legioni schierate a Canne erano:

Prima: Menzionata da Polibio come truppa dislocata nella Gallia Cisalpina sotto il comando del Pretore Lucio Manlio fu formata nel 219 a.C. e operò nella valle del Po. Presa al seguito di Scipione fu sconfitta nella battaglia della Trebbia2 dai Cartaginesi e i superstiti si rifugiarono a Cremona o Piacenza. Dopo essere stata al comando di Fabio come dittatore, passò sotto Gemino e subì l'assedio di Gerunium da parte di Annibale. Fu rafforzata con circa 5000 uomini, pronta per combattere a Canne nell'estate del 216 a.C.

Seconda: Legione formata da Cornelio Scipione. Operò sotto il Pretore Gaio Attilio nella Gallia Cisalpina, alternando le azioni con la Legio Prima che era assediata dai Boi.

Dodicesima: Legione arruolata da Gemino nel 217 a.C. Successivamente alla sconfitta del Trasimeno fu inviata a Fabio che la prese sotto il suo comando in quanto dittatore. Anch'essa come la Prima fu incrementata di 5000 uomini dopo aver subito l'assedio di Gerunium e combattè a Canne.

Tredicesima: Legione arruolata da Gemino nel 217 a.C. Successivamente alla sconfitta del Trasimeno fu inviata a Fabio che la prese sotto il suo comando in quanto dittatore. Anch'essa come la Prima fu incrementata di 5000 uomini dopo aver subito l'assedio di Gerunium e combattè a Canne.

Quattordicesima: Fu arruolata da Fabio per l'emergenza che Roma stava correndo in quel periodo. Rinforzata di 5000 uomini, partecipò alla battaglia di Canne, avendo subito, al comando di Attilio, l'assedio di Gerunium.

Quindicesima: Fu arruolata da Fabio per l'emergenza che Roma stava correndo in quel periodo. Rinforzata di 5000 uomini, partecipò alla battaglia di Canne, avendo subito, al comando di Attilio, l'assedio di Gerunium.

Sedicesima: Arruolata per l'emergenza dal dittatore Fabio, a differenza delle precedenti questa legione rimase a presidio di Roma stessa. Venne condotta da Varrone e Paolo nella marcia che portò i due Consoli ad unirsi alle truppe dei Proconsoli Gemino e Regolo. La Sedicesima, così come la seguente, non era adatta ad un combattimento campale, essendo stata addestrata come legione urbana. Dopo Canne non fu più disponibile come forza armata.

Diciassettesima: Anche questa legione fu creata dal dittatore per difendere Roma e come la precedente fu sconfitta a Canne dai Cartaginesi e non rientrò più nell'elenco delle legioni immediatamente disponibili.

Passiamo, ora, a trattare della battaglia vera e propria.

Era il 2 agosto del 216 a.C. quando iniziarono i primi scontri tra le fanterie leggere. Poche e brevi scaramucce che non ebbero un esito decisivo nè per i Romani nè per i Cartaginesi che usavano questi reparti per provocare gli avversari. Le condizioni atmosferiche erano piuttosto buone: bel tempo, forse accompagnato da un leggero vento che soffiava un po' di polvere negli occhi dei Romani.

Prima fase.

I Romani schierarono le truppe leggere dietro la loro prima linea difensiva, lasciando 10.000 triarii a guardia del più grande accampamento. Annibale, invece, dispose insolitamente la sua fateria in formazione convessa così da interrompere o rallentare l'avanzata della fanteria romana, numericamente superiore.

Sulla destra i Romani schierarono la cavalleria romana forte di 1600 unità al comando del generale Emilio Paolo, mentre la cavalleria alleata era comandata da Varrone e, costituita da 4800 uomini, si dispose dal lato opposto in difesa dei fianchi della fanteria che occupava il centro secondo il classico schieramento a tre linee (triplex acies). La fanteria alleata, quattro legioni al centro dello schiermento, era al comando di Paolo, così come le quattro legioni romane schierate sui lati. Ammontavano a quasi 70.000 effettivi.

Annibale affidò la cavalleria celtica ed ispanica ad Asdrubale sul lato sinistro. Qui, infatti, il fianco destro dei Romani era protetto dal fiume Aufidus e i cavalieri cartaginesi dovevano essere veloci e spietati per poter risolvere il problema della mancanza di spazio per le manovre. Così, Asdrubale si trovò a fronteggiare Emilio Paolo, mentre Maarbale, l'altro fedelissimo di Annibale, si dispose con l'agile cavalleria numida sul lato opposto, pronto ad ingaggiare battaglia con Varrone e i suoi italici. Al centro, la formazione convessa caraginese comprendeva 40.000 fanti, mentre i cavalieri ammontavano a circa 10.000. Una posizione arretrata spettava alla fanteria pesante africana che sarebbe intervenuta in un secondo momento.

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Schema della fase iniziale della battaglia.

La battaglia iniziò con Annibale che lanciava la sua cavalleria pesante contro l'ala destra dell'esercito romano. Paolo schierò l'ala destra della sua cavalleria ancorandola all'Aufidus, così che i cartaginesi non ebbero altra scelta che attaccare frontalmente il fitto della cavalleria nemica disposta a scaglioni. Tale disposizione aveva il compito di evitare a tutti i costi penetrazioni da parte dei cartaginesi prima che le legioni centrali rompessero le linee nemiche. Asdrubale, però, era perfettamente consapevole che il successo del suo piano dipendeva dal veloce annientamento dell'ala destra romana. Lo scontro con quest'ala di cavalleria fu molto cruento.

A destra dei cartaginesi, Maarbale inchioda la cavalleria italica. Incoraggia Varrone a rimanere sul posto mentre gli infligge numerose perdite, sfruttando la tattica di molestia continua tipica dei cavalieri numidi.

Gli squilli delle trombe e la gragnuola di pila furono il segnale dell'inizio dell'avanzata delle otto legioni romane. Queste ultime si scontrarono con i primi cartaginesi, ma la disposizione del fronte nemico le spinse sui lati e le ricacciò verso l'interno. La disposizione particolare dell'esercito cartaginese ridusse lo slancio dell'avanzata dei romani, proprio come Annibale aveva previsto. Le legioni persero molto tempo nello scontro frontale che in normali circostanze, grazie alla schiacciante superiorità numerica, avrebbero vinto in un batter d'occhio.

Seconda fase.

Dopo una battaglia cruenta, la cavalleria pesante di Asdrubale ruppe la formazione di Paolo. La cavalleria romana si disgregò e i sopravvissuti si diedero alla fuga; così tra la cavalleria romana e le legioni che avanzavano si aprì un varco nel quale Asdrubale condusse la sua cavalleria pesante.

A quel punto l'inarrestabile pressione dei legionari ricacciò indietro la linea centrale della fanteria cartaginese. Le legioni, intuendo che il fronte nemico iniziava a cedere, avanzavano, quelli al centro più velocemente rispetto a quelli sui fianchi, così la linea di Annibale da convessa divenne concava. Tuttavia questo espediente obbligava i legionari delle ultime file a compattarsi, fino a privarsi dello spazio necessario per maneggiare le armi.

Annibale, al crescere della pressione romana, raggiunse a cavallo la linea di battaglia ed esortò i suoi uomini a cedere lentamente, ma senza ritirarsi, così da dare ad Asdrubale il tempo di cui aveva bisogno. Proprio come aveva previsto, quella protuberanza nella sua retroguardia provocò il caos tra la fanteria romana e ne osctacolò la forza belligerante.

A sinistra, la cavalleria alleata subì molte perdite da parte dei numidi senza essere in grado di reagire. Le grida e gli scherni della cavalleria numida, il cui roteare e lanciare giavellotti innervosiva la cavalleria di Varrone, rese i romani incapaci di affrontare la situazione.

Terza fase.

Asdrubale condusse la sua cavalleria pesante nelle retrovie della cavalleria di Varrone che, appena vide i nemici, ruppe le righe e si diedero alla fuga. Varrone non fu in grado di reagire nel momento in cui la sua cavalleria rientrò e inesorabilmente si abbandonò alla fuga inseguito dalla cavalleria numida. Quelli che non furono uccisi in battaglia abbandonarono il campo.

Paolo, nonostrante fosse gravemente ferito, si portò a cavallo nel mezzo delle fila legionarie, incitando i soldati alla vittoria. I romani avanzarono sempre più e lo schieramento divenne sempre più profondo, ammassando la fanteria. Il grosso delle truppe romane, sospinte dall'impeto della battaglia, era così serrato da non essere in grado di alzare le braccia e impugnare le armi. Il loro numero spropositato diventò, in un certo senso, l'artefice del loro destino.

Annibale, ritenendo di aver raggiunto il punto massimo di arretramento, rafforzò le proprie linee con le truppe leggere ancora non utilizzate, lasciandole libere di combattere come meglio si sarebbero trovate. Annibale osserò che l'avanzata romana si era ormai esaurita senza che lui avesse ancora usato la fanteria pesante africana, posizionata ai lati estremi della linea di battaglia, concava e già quasi semisferica. Annibale segnalò a queste formazioni di tornare al combattimento e queste, disposte in falangi, con le picche abbassate, cominciarono ad avanzare, scontrandosi con la massa dei legionari presi dal caos. La reazione dei romani fu un vero fallimento.

Asdrubale, al comando della cavalleria pesante, si diresse verso le retrovie delle legioni, dando il via all'accerchiamento definitivo. Le otto legioni romane, completamente circondate, cedettero alle truppe di Annibale che compì un vero massacro: circa 50.000 uomini vennero cancellati in un sol giorno dall'ordinamento degli effettivi romani.

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Schema della fase finale della battaglia di Canne.

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2. La battaglia dellaTrebbia avvenuta il 18 dicembre del 218 a.C. durante la seconda guerra punica, è stato il secondo scontro ingaggiato al di qua delle Alpi fra le legioni romane del console Tiberio Sempronio Longo e quelle cartaginesi guidate da Annibale.

Gli effetti economici della battaglia.

La gravissima disfatta che Roma subì a Canne aggravò ulteriormente la situazione economica e monetaria della Repubblica. Come eventi memorabili, da questo punto di vista, erano accadute due cose: l'introduzione del denario come moneta romana propria (di cui non ci occuperemo in questa sede) e la graduale svalutazione del bronzo. Le monete enee, infatti, divennero numerari spiccioli, perchè tutta la sfera finanziaria ruotava intorno al neonato denario. Precedentemente il bronzo era fuso e non coniato: con la quarta riduzione dell'asse, detta anche sestantale, il peso dell'asse bronzeo varia dai 45 ai 35 grammi evidentemente calante a causa del primo conflitto con Cartagine. L'ultima riduzione è quella che ci riguarda più da vicino: la quinta dell'asse, altrimenti detta riduzione onciale. Questa fu la diretta conseguenza della disfatta di Canne. Nel 217 a.C. (secondo la cronologia tradizionale), infatti, ogni denario valeva 16 assi che raggiunsero il peso dell'oncia. Questa riduzione affonda le sue cause nelle pressanti necessità che Roma si vide costretta ad affrontare nel corso dello scontro con Annibale. In questo periodo si videro anche sporadiche emissioni auree che la Repubblica coniò solo dopo le lotte con i cartaginesi in Italia.

Un esempio, contenuto nei nostri Cataloghi, di una moneta d'oro da 60 assi emessa da Roma nel 211 a.C.: http://numismatica-c...t/moneta/R-A4/1

Modificato da Caio Ottavio
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Grandissimo, pensavo non finisse più :P

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Grandissimo, pensavo non finisse più :P

Grazie! :)

In effetti è un po' lungo, ma spero interessante allo stesso tempo. :D


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In aggiunta all'esauriente resoconto propostoci da Caio Ottavio direi che dobbiamo sottolineare che le legioni impiegate in questa fase della guerra annibalica erano a struttura manipolare (polibiana) e basate su quell'unità tattica, il manipolo appunto, che per hastati e principes prevedeva 2 centurie di 60 uomini più 40 velites (totale 160 uomini) e 2 centurie di 30 uomini, più 40 velites, per i triarii (totale 100 uomini).

Tale struttura, particolarmente inefficace contro le milizie iberiche, fu modificata pochi anni dopo la battaglia di Canne da Scipione, che introdusse quella struttura coortale che divenne ordinaria con la riforma di Mario del 107 a.C. In questo lasso di tempo la legione manipolare continuò comunque ad esistere ed a dimostrarsi estremamente efficace in molti contesti, in particolare durante le campagne macedoniche.

E' curioso sapere che il manipolo, su cui già si basava la legione manipolare liviana del IV secolo a.C., deve il suo nome alla parola latina manipulus, ovvero manciata, atta ad indicare quella presa di fieno avvolta intorno ad una lunga asta che fungeva da insegna sotto cui l'unità tattica operava. In seguito l'insegna del manipolo non fu più costituita da una manciata di fieno ma, pur mantenendo il medesimo significato intrinseco, venne sostituita dalla famosa mano aperta.

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La medesima rappresentazione della mano aperta appare anche su quadranti appartenenti alle prime serie fuse:

Quadrante Giano/Mercurio

http://numismatica-c...moneta/R-RRB1/4

Quadrante Giano/Mercurio con falcetto

http://numismatica-c...moneta/R-RRB6/4

Quadrante Roma/Roma

http://numismatica-c...moneta/R-RRB4/4

Quadrante Roma/Roma con clava

http://numismatica-c...moneta/R-RRB8/4

Come ben sappiamo le rappresentazioni di questi tipi monetali sono piuttosto enigmatiche ma, oltre ad un eventuale riferimento alla romana sacralità della mano destra, come per l'insegna del manipolo la mano aperta potrebbe richiamare ad un bene afferrabile e maneggevole, qual' è appunto la moneta e nello specifico il quadrante, nominale ben più "pratico" dell'asse e del semisse o dei trienti di maggior peso. Si tratta ovviamente di una indimostrabile supposizione, che lascia il tempo che trova.

Per quanto riguarda la ritariffazione del denario a 16 assi e conseguente riduzione onciale, è bene anche ricordare che Crawford, Grueber e Buttrey propongono un inquadramento cronologico compreso tra il 150 ed il 130 a.C., piuttosto lontano quindi dalla battaglia di Canne. Ma qui entriamo nelle note problematiche... :)

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Inviato

Grazie Rapax per il tuo intervento. :)

Ho notato che la mano per i Romani aveva una funzione magica: con speciali attributi, ma anche da sola, fungeva da talismano contro il malocchio. Frequenti erano le raffigurazioni in bronzo di gesti apotropaici che si facevano con le mani come questo, il più comune della romanità eseguito rigorosamente con la destra:

post-24898-0-75620900-1329929562_thumb.j

(Immagine Christie's).

Le insegne da te mostrate erano considerate quasi sacre e custodite gelosamente dai soldati che le portavano. Adesso, a Roma, come ben sapete, la religione si confondeva ocn la superstizione e la magia: alcune di queste insegne, oggetti consacrati per i legionari, erano quindi sormontate dalla mano proprio per scongiurare i pericoli ed invocare la protezione contro il malaugurio. Un esempio della valenza religiosa della mano è quest'altra scultura bronzea che reca una dedica in lingua greca incisa sul palmo: ΝΑΒΟΥCΑΜΕ ΕΥΞΑΜΕΝΟC ΑΝ(Ε)ΘΗΚΕN, che si può leggere come un ringraziamento verso il dio Asclepio per una guarigione ricevuta. Una specie di ex voto moderno con l'aggiunta di una buona dose di superstizione. :D

post-24898-0-56939100-1329929938_thumb.j

(Immagine tratta dal web, proveniente da una vecchia collezione privata inglese).

Stesso significato potevano avere le mani effigiate sulle monete che hai postato.

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Staff
Inviato

:good:

Esattamente, le ipotesi sul significato della mano le abbiamo ora ben illustrate :)

Astragalo, conchiglia, ghianda, caduceo, chicchi d'orzo... sulle serie fuse vengono rappresentati oggetti che pare abbiano una duplice valenza, sacrale e materiale.

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Inviato

Veramente molto interessante, gran bella discussione.


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