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I PESI DALLA SIBARITIDE


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PESI DALLA SIBARITIDE

Alcuni giorni fa, prima della famosa nevicata, stavo nella biblioteca dell’Istituto Italiano di Numismatica e ho notato fra le novità ivi arrivate l’estratto di un recente lavoro del prof. Nicola Parise, intitolato:

Pesi e monete dalla Sibaritide”, ASAtene (Scuola Archeologica Italiana di Atene), vol. 87 Serie III, 2009, p. 523-529

una rivista al solito reperibile solo nel circuito accademico e che di rado ospita studi numismatici.

Grazie a tale lavoro ho potuto reperire interessanti informazioni sull’esistenza di pesi monetali di bronzo con incisi numeri greci e rinvenuti nella zona di Sibari.

Tre pesi, segnalati una prima volta dall’epigrafista Lidio Gasperini nel 1986 e attualmente di proprietà privata, sono stati rinvenuti a Torre del Mordillo (nel comune di Spezzano Albanese, in provincia di Cosenza), alla confluenza dei fiumi Esaro con Coscile. Sono tutti di forma di parallelepipedo e in buono stato di conservazione e quindi con massa non molto discostante dall’originale. Sulla faccia principale hanno incisi dei numeri (e a fianco il loro peso):

1. “3 D(racme)” g. 7,6

2. “5” g. 13,3

3. “50” g. 133

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Per gli antichi greci il sistema numerico più diffuso era quello cosiddetto “acrofonico”, in uso fin dal I millennio a.C. “Acrofonico” significa che i simboli per le cifre provengono dalla prima lettera del nome (in greco) del numero. Così per indicare ad esempio il numero 5 si usa la lettera :Greek_Pi_2: , che è l’iniziale del greco Penta.

Per numeri maggiori, al fine di evitare un sistema troppo additivo con la creazione di un numero molto ingombrante, i greci usavano particolari simboli compositi, nei quali la lettera si arricchiva di ulteriori elementi. Così per indicare ad esempio il numero 50 spesso bastava aggiungere una barretta obliqua, come nel terzo peso soprariportato, oppure un triangolino attaccato al braccio corto.

Di contro nel primo e più piccolo peso abbiamo tre delta retrogradi senza simboli aggiuntivi e quindi sono tre unità: la scelta del delta probabilmente, come vedremo, è connessa con l’inizio del nome drachma.

La particolare forma delle lettere incise sui tre pesi sembra riconducibile alla seconda metà del VI secolo a.C.

Un ventennio prima, a metà anni ’60, fu rinvenuto un altro peso di bronzo, a Francavilla Marittima (sempre in provincia di Cosenza), sulle pendici del Timpone della Motta e ora conservato a Reggio Calabria, al Museo nazionale della Magna Grecia. Esso fu edito dalla Zancani Montuori in un volume di AIIN. Anch’esso è un parallelepipedo in ottimo stato di conservazione. Reca incise tre delta retrogradi con un tratto obliquo nel mezzo. E’ in pratica un monogramma formato dalla composizione di delta con epsilon per esprimere deka = 10 nel sistema appunto acrofonico. Quindi il peso in questione reca inciso il valore di 3x10 = 30 e la studiosa l’ha datato all’ultimo quarto del VI secolo a.C.

4. “30” g. 80,50 (misure: 30x27x12 mm)

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Infine nel British Museum è noto un peso squadrato, che fu rinvenuto a Corfù, ma unanimemente considerato come proveniente dall’Italia meridionale (Walters H.B., Catalogue of Bronzes, Greek, Roman, and Etruscan in the Department of Greek and Roman Antiquites, London 1899, al n. 3002). Manca la foto, ma ho reperito il disegno dell’iscrizione sulla faccia principale. Alla luce di quanto detto prima, per interpretare l’iscrizione dobbiamo fare questa lettura: 50 + 10 + 10 + 5.

Quindi il valore complessivo della cifra incisa è pari a 75. E’ difficile stabilire una corretta datazione, ma siamo sempre nel VI secolo a.C..

5. “75” g. 194,014 (dimensioni 42x42x12 mm)

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Dato il luogo di rinvenimento e la datazione delle epigrafi, è possibile supporre che questi pesi di bronzo (almeno i primi 4) appartenessero al sistema ponderale in uso a Sibari nel VI secolo a.C.

(continua)

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Proviamo ora a ricostruire l’unità di riferimento di questi 5 pesi.

Per farlo basta dividere la pesata in grammi per il numero inciso.

1. g. 7,6 : 3 = 2,53 grammi

2. g. 13,3 : 5 = 2,66 grammi

3. g. 133 : 50 = 2,66 grammi

4. g. 80,50 : 30 = 2,68 grammi

5. g. 194,014 : 75 = 2,59 grammi

Colpisce l’intervallo molto ristretto dell’unità di riferimento, da un minimo di 2,53 a un massimo di 2,68.

Ma cosa è questa unità?

Se consideriamo che siamo nel VI secolo a.C. in una zona prossima e soggetta a Sibari, sappiamo che la prima Sibari (come anche Crotone, Caulonia, Metaponto) coniò i famosi nomoi o stateri incusi di peso “acheo” o “acheo-corinzio”.

post-7204-0-42890000-1328829245_thumb.jp Nomos di Sibari (8,09 g)

post-7204-0-38462200-1328829264_thumb.jp Dracma di Sibari (2,5 g)

Colgo l’occasione per raccomandare l’Artcoins di riferire i pesi fino alla seconda cifra decimale e non alla sola prima decimale!

il nomos (o statere) di peso acheo aveva il peso teorico di 8,10 o più esattamente 8,05 grammi (a livello decimale è ancora piuttosto discusso). Come abbiamo visto nella discussione relativa alla monetazione dei Serdaioi (cfr. http://www.lamoneta....e-dei-serdaioi/ ) questo statere corrispondeva a 3 dracme.

Quindi dividendo 8,05 per 3 otteniamo il dracma di 2,68 grammi (esattamente quanto ottenuto con l’unità di riferimento del peso n. 4, trovato a Francavilla Marittima, in ottimo stato di conservazione e quindi con peso vicino all'originale).

Però è anche vero che in realtà gli stateri circolanti nella Sibaritide verso la fine del V secolo a.C. avevano un peso più variabile e ridotto, per la maggior parte tra 7,98 e 7,59 g, che corrispondono rispettivamente a 2,66-2,53 grammi (pari alle unità ricavabili dai pesi trovati a Torre del Mordillo).

Quindi tutti e 5 i pesi si riferiscono a una dracma achea, confermando, ove ci fosse il dubbio, che a quei tempi e in quelle contrade lo statere valeva 3 dracme (sistema "ternario"), un sistema nato a Corinto e importato nelle poleis bruzie e lucane (sembra da trascurare il ruolo di Pitagora, che era arrivato a Crotone da Samo circa 20 anni dopo la nascita della moneta incusa nella Magna Grecia).

Tuttavia nel mondo greco poco dopo circolò anche il sistema “attico”, sulla spinta del potere politico di Atene, basato sul tetradramma di 17,44 grammi e quindi a un didramma o statere attico di 8,72 g, a sua volta corrispondente a due dracme di 4,36 g. (sistema "binario").

Come era possibile una conversione tra due differenti sistemi ponderali come quello acheo-corinzio ("ternario") e quello attico ("binario"). C’è la nota formula di Colin Kraay:

2 stateri achei + 1 triobolo = 2 stateri attici o tetradramma

g. 8,05 x 2 + g. 1,34 = g. 17,44

Ecco perché ad esempio nella monetazione achea a nome dei Serdaioi, che fu piuttosto tardiva e che doveva ormai già confrontarsi con il sistema attico, risultano presenti i trioboli, che sono, guarda caso, il nominale più battuto (con 7 esemplari su un totale di 16 esemplari noti a nome dei Serdaioi distribuiti in ben 5 nominali).

Per concludere, è opportuno capire come era strutturato l’intero sistema ponderale in uso nelle città achee, inclusa Sibari, a partire dal talento, che non fu mai monetato ma era la principale unità di misura greca della massa (un po’ come il nostro attuale kilogrammo).

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Quindi ci volevano 3000 stateri o nomoi achei per formare un talento.

So che è una materia piuttosto “pesante”, ma comunque interessante per le varie implicazioni metrologiche desunte dalla scoperta di alcuni pesi monetali di bronzo con incise varie quantità di dracme achee.

Se qualcuno ha conoscenza di altri pesi simili riconducibili all’ambiente acheo potrebbe darne comunicazione (non ricordo di avere trovato simili esemplari in aste, ma solo pesi riguardanti altre regioni, come la Grecia continentale, Asia Minore e la Sicilia e quindi con diversi sistemi ponderali).

(continua)

Modificato da acraf
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Una piccola nota di colore.

In una passata discussione su LaMoneta:

http://www.lamoneta....__1#entry755372

era stato affrontato il problema del reperimento dell’argento usato per le monete greche antiche.

Nel caso specifico delle monete d’argento di Sibari, che furono fra le prime in assoluto ad essere coniate in Italia, si è spesso posto il problema sulla disponibilità di argento usato per coniare queste monete.

Proprio l’articolo summenzionato della famosa archeologa Paola Zancani Montuoro ("Un peso di bronzo e l’argento di Sibari", AIIN, vol. 12-14, 1965-1967, p. 21-30) accenna a questo problema.

Nella regione della Sibaritide esistono filoni di metallo argentifero presso l’odierno comune di Longobucco (sull’alto corso del fiume Triento). In realtà non pare che siano state rilevate tracce di utilizzo in epoca antica, forse a causa del sopravvenuto forte impiego minerario specialmente nei secoli XIII-XVIII.

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Nell’articolo della Zancani Montuoro c'è una interessante annotazione.

Accenna a una documentazione pervenuta alla R. Curia che attesta che nel 1268 furono depositate a Castel d’Ovo esattamente 103 marche e 7 once d’argento puro (pari a circa 24,5 kg), registrate come “Argenti de Longobucto” e inoltre 143 marche e 4 once (pari a circa 33,5 kg) nel 1277.

Considerando che alla Curia spettava per diritto circa un terzo dell’intero metallo puro estratto in loco, se ne deduce che nel XIII secolo le miniere di Longobucco producevano in almeno un anno una media di circa 87 kg di argento puro, una quantità che avrebbe in tempi antichi consentito la produzione di oltre 10.000 stateri.

E’ probabile che al tempo della prima Sibari i filoni argentiferi fossero più superficiali e quindi facilmente estraibili e sfruttabili.

Le miniere di Longobucco, dopo intenso sfruttamento specie nel XVIII secolo, quindi sotto i Borboni e sotto direzione di esperti germanici, si esaurirono e furono chiuse nel 1783.

Modificato da acraf
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Ringrazio Acraf per la stimolante discussione sui pesi monetali provenienti dalla Sibaritide, che contribuiscono ad una migliore comprensione e definizione dell'assetto metrologico della moneta. Interessante, a questo proposito, è un peso in AE rinvenuto a Crotone in via XXV Aprile nel 1988 e pubblicato da E. Arslan (Archeologia urbana e moneta: il caso di Crotone, in R. Belli Pasqua - R. Spadea (curr.), Kroton e il suo territorio tra VI e V secolo a. C. Aggiornamenti e nuove ricerche, Atti del Conv. di Studi - Crotone , 3-5 marzo 2000, Crotone 2005, p. 142 n. 423 e tav. LIV, 423).

Il piccolo reperto (mm 14 x 11x 4; gr. 5,09) reca incise due delta prograde interpretabili, secondo sistema acrofonico, come iniziali di nominale (dracma). Considerato il peso dell’oggetto (gr. 5,09) otterremmo pertanto una dracma di gr. 2,545 che rimanda ad uno statere di gr. 7,635, valore perfettamente coincidente con il primo dei pesi monetali illustrati da Acraf.

Modificato da dracma
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Ringrazio il buon Enzo per l'opportuna segnalazione del nuovo peso. Infatti mi ricordavo vagamente che c'era almeno un altro peso oltre alla lista postata al # 1.

Ci sono per caso altri?

Comunque sorprende la varietà di questi pesi con diversi segni di valore.

Ma quale poteva essere la loro esatta funzione?

Ossia a cosa poteva servire avere pesi da 2, 3, 5, 30, 50, 75 dracme? In genere bastava contare i nomoi per avere il valore totale di un gruzzolo.

Molto probabilmente i pesi erano usati da commercianti o anche da autorità della città per essere messi sulle bilance dove nell'altro piatto venivano messe le monete d'argento, ma di diversa metratura, compresi vari frazionali.

In tale maniera se a uno serviva una somma di 50 dracme achee, bastava mettere nell'altro piatto varie monete d'argento (anche di diversa provenienza) fino all'equilibrio della bilancia, agevolando i calcoli economici.

A limite bastava mettere ad esempio circa 99 trioboli per avere l'equivalente di 50 dracme, uno più o uno meno in base al reale contenuto del metallo.

Qulacuno può formulare una idea migliore?

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Aggiungo che il lavoro di Arslan citato da Dracma, piuttisto importante e voluminoso, può essere scaricato attraverso il suo sito personale (un encomiabile caso di estrema disponibilità di un accademico a rendere fruibili i suoi studi):

http://www.ermannoar...ibuti/index.php

E' l'ultimo studio del 2005 e ci vorrà un pò a scaricarlo in quanto ha un ingombro di circa 74 Mb.

Comunque posto qui l'immagine del peso trovato a Crotone (al n. 423 del suo catalogo):

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Dallo stile delle lettere delta, che non sono retrograde, pare essere più alla prima metà del IV secolo a.C. Il suo peso 5,09 g : 2 porta a una dracma di 2,54, un poco più cedente rispetto alle altre già censite e comunque riporta a un nomos di 7,62 g, che appare essere in vigore appunto in quel secolo (cfr. SNG ANS 334-370).

Interessante è anche il pezzo elencato al n. 424, che è però un pezzo in piombo a forma di astragalo. Sulla faccia piana c'è scritto STAT / HPES / III, ossia 3 stateri. Il suo peso è 50,12 grammi, che diviso per 3 porta a un peso di 16,71 g, che corrisponde grosso modo al tetradramma attico (così ha scritto Arslan).

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Come si spiega il numero di 3 stateri in questo peso di piombo?

Modificato da acraf
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