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Alfonsino d'argento "stellare"


Risposte migliori

Buonasera a tutti gli illustri membri del forum.

Era da un pò di tempo che volevo sottoporre alla vostra attenzione questo tondello, ma volevo prima attendere il ritorno del nostro incommensurabile curatore. Inoltre oggi finalmente ho ricevuto la visita del mio amico fotografo che si è portato dietro tutta la sua costosissima attrezzatura per fotografare un pò di monete...così, almeno finché Fabrizio non ha terminato di illuminarmi con le sue lezioni di fotografia, ho un pò di materiale che spero di riuscire a sottoporvi nel corso della pausa natalizia.

Ma veniamo alla moneta. Si tratta di un carlino o alfonsino d'argento del secondo tipo secondo il Pannuti-Riccio (P. R. n. 5). recentemente attribuito da alcuni studiosi alla zecca dell'Aquila (D'Andrea-Andreani, n. 70). Pur privo del segno di zecca nel campo, presenta infatti rilevanti analogie stilistiche con il carlino certamente aquilano (nello stile dell'effigie e nella punteggiatura a coppie di stellette). Non fosse che questo esemplare ha una stella in più. posizionata nel campo del rovescio in basso a destra, sotto la protome di leone. L'esemplare risulta coniato in argento e pesa 3,52 grammi.

alfonsino_sidus.jpg

La stelletta sotto la protome è particolarmente nitida e rilevata, ed è da escludere l'ipotesi di una ribattitura, di cui peraltro non vi è traccia in altri punti del tondello. Potrebbe essere messa in connessione con un altro esemplare (D'Andrea-Andreani n. 68), certamente coniato a L'Aquila (quest'ultimo reca infatti l'aquiletta in campo al rovescio) e che presenta due stellette in eccesso nel campo del diritto (una tra i pali d'Aragona, una sopra la croce di Gerusalemme).

sidus.jpg

Anche la legenda del rovescio a mio giudizio presenta elementi rilevanti. Essa coincide perfettamente con quella descritta nel Corpus XVIII a pagina 74 al n. 173:

alfonsino_AR_legenda.jpg

Si tratta al rovescio di una legenda molto regolare, con le singole parole in epigrafe scandite da coppie di stellette, e con una coppia di rosette in apertura e in chiusura. L'aspetto singolare è che vi è un'altra stelletta, chiusa tra i segni di interpunzione e l'ultima coppia di rosette.

chiusura_R.jpg

Insomma, si tratta di una stelletta a cui viene data in legenda la stessa rilevanza di una parola. La stessa rilevanza che, in un altro esemplare presumibilmente aquilano (D'Andrea-Andreani n.69), veniva attribuita ad un misterioso segno a forma di tenaglia terminante in una croce. Tutto questo sembra voler intenzionalmente investire la stelletta di un significato particolare.

Mi affido alla vostra esperienza, sperando che qualcuno più fortunato di me voglia fornirmi i riscontri con il Perfetto, che molta cura e attenzione ha dedicato a questi piccoli segni nella sua importante opera sulla zecca aquilana.

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Ciao Giuseppe qui siamo un pò lontanucci dal mio campo di sapere (ancora troppo basso per simili costellazioni);

Altro non posso che farti i complimenti per la moneta, per le notizie che hai scritto e per le foto.

Vedrai che qui qualcuno metterà a disposizione di questa discussione il suo "Sapere" ......la seguirò con interesse.

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Ciao Giuseppe qui siamo un pò lontanucci dal mio campo di sapere (ancora troppo basso per simili costellazioni);

Altro non posso che farti i complimenti per la moneta, per le notizie che hai scritto e per le foto.

Vedrai che qui qualcuno metterà a disposizione di questa discussione il suo "Sapere" ......la seguirò con interesse.

A "costellazioni" siamo ancora nella stessa galassia, caro Pietro. :lol:

La differenza è che tu stai viaggiando su un razzo supersonico, io invece sono a bordo di un siluro residuato dei tempi di Jules Verne :lazy:

Mi interessa invece enormemente l'opinione che ti suggerisce il tuo smisurato intuito numismatico.

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A giudizio personale, accogliendo la catalogazione – oramai, d'impronta classica – adoperata da Pannuti e Riccio (n° 5 di p. 42), i quali censiscono questa rara variante del carlino nella produzione argentea della zecca di Napoli, sede centrale nel Reame e per siffatta ragione non bisognevole di alcuna sigla identificativa del locus di origine, a differenza delle tirature coeve liberate all'Aquila, sede della più prolifera officina minore ove i carlini vennero – e andavano – contraddistinti dalla celebre aquiletta ad ali spiegate (arme civica in uso, fin dagli anni Trenta del sec. XV, quale sigla distintiva di zecca), non ritengo pienamente condivisibile la tesi del raffronto stilistico avanzato dalla più recente letteratura (cfr. D'Andrea e Andreani, p. 218 con gli esemplari di cui ai nn° 69-70; più Perfetto, nota 141 di p. 206 con gli esemplari di cui ai nn° 383-385 di pp. 206-207, che aggiunge un'interessante variante da Coll. privata) quale presupposto fondamentale volto ad inserire tale variante di carlino – del tutto simile al conio aquilano, stante poi la più comune diffusione del carlino che Pannuti e Riccio, nn° 3-4 di p. 42, conoscono anche con le sigle personali di svariati maestri della zecca di Napoli – nella monetazione aquilana.

Notevole, tuttavia, risulta essere la presenza della stellina a cinque raggi sotto la zampa del leone (nel R/, alla destra del tondello), alla luce altresì dell'ottimo stato di conservazione con il quale è giunto questo simbolo, notoriamente utilizzato come segno d'interpunzione per le leggende della moneta e che in virtù dell'insolita ubicazione lascia ipotizzare – forse con maggior probabilità – un segno distintivo di qualche ufficiale in servizio nella zecca della capitale, pertanto al fine ultimo di riconoscere, in sede processuale, i nummi lavorati in filiera sotto la propria responsabilità, quale garanzia d'osservanza alle regie prescrizioni di zecca.

A.G.

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Giusè.....qui la vedo dura.....secondo me si possono fare un sacco di supposizioni su stà moneta.

E' da stamane che guardo e rigurado questo simbolo....stò ammattendo ma dato che mi hai chiesto un'opinione in base al mio intuito non posso altro che fare delle mie brevi constatazioni personali (forse sbagliate, ma dico la mia) anche perchè qui la vedo complicata anche per i più esperti;

Io osservo che quella che tu chiami stella in più, potrebbe non essere la forma della stessa stella usata come interpunzione nella legenda (osserva le linee sono molto meno grossolane di quelle e secondo me hanno anche una forma diversa, è come se fossero a vortice); il 5° addirittura, per capirci, quello che si appoggia al bordo perlinato, non ha questa caratteristica (anche leggermente più lungo e più sottile degli altri e molto ben dritto) tanto da farlo sembrare un' astina o un gambo; per me non è una stella, ma un simbolo.

Bisognerebbe verificare quelle di D'Andrea/Andreani 68 se sono uguali a questa....io questo non posso verificarlo.

Ultima considerazione, non meno importante, sempre secondo il mio parere e che la cosa strana che noto, facci caso, è che questo simbolo in confronto all'usura generale dell'intero modulo (sia nei caratteri delle lettere che nei particolari tutti) mi dà la sensazione di essere intatto cioè nemmeno sfiorato dai segni del tempo.

Di più non sò.

Pietro

Modificato da peter1
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A giudizio personale, accogliendo la catalogazione – oramai, d'impronta classica – adoperata da Pannuti e Riccio (n° 5 di p. 42), i quali censiscono questa rara variante del carlino nella produzione argentea della zecca di Napoli, sede centrale nel Reame e per siffatta ragione non bisognevole di alcuna sigla identificativa del locus di origine, a differenza delle tirature coeve liberate all'Aquila, sede della più prolifera officina minore ove i carlini vennero – e andavano – contraddistinti dalla celebre aquiletta ad ali spiegate (arme civica in uso, fin dagli anni Trenta del sec. XV, quale sigla distintiva di zecca), non ritengo pienamente condivisibile la tesi del raffronto stilistico avanzato dalla più recente letteratura (cfr. D'Andrea e Andreani, p. 218 con gli esemplari di cui ai nn° 69-70; più Perfetto, nota 141 di p. 206 con gli esemplari di cui ai nn° 383-385 di pp. 206-207, che aggiunge un'interessante variante da Coll. privata) quale presupposto fondamentale volto ad inserire tale variante di carlino – del tutto simile al conio aquilano, stante poi la più comune diffusione del carlino che Pannuti e Riccio, nn° 3-4 di p. 42, conoscono anche con le sigle personali di svariati maestri della zecca di Napoli – nella monetazione aquilana. Notevole, tuttavia, risulta essere la presenza della stellina a cinque raggi sotto la zampa del leone (nel R/, alla destra del tondello), alla luce altresì dell'ottimo stato di conservazione con il quale è giunto questo simbolo, notoriamente utilizzato come segno d'interpunzione per le leggende della moneta e che in virtù dell'insolita ubicazione lascia ipotizzare – forse con maggior probabilità – un segno distintivo di qualche ufficiale in servizio nella zecca della capitale, pertanto al fine ultimo di riconoscere, in sede processuale, i nummi lavorati in filiera sotto la propria responsabilità, quale garanzia d'osservanza alle regie prescrizioni di zecca. A.G.
Sono in parte d'accordo con l'amico Achille, in parte perchè se volessimo analizzare lo stile delle stellette dovremmo attribuire la paternità di questa variante a L'Aquila anzichè a Napoli, attenzione però, attribuire non vuol dire aver la certezza di ciò che si viene ipotizzato. E' vero che l'istinto e gli studi (presentati in un certo modo) ci portano a pensare al capoluogo abruzzese ......... ma dove sono i documenti che attestano ciò? E' molto probabile che sia stata battuta a L'Aquila, ma in assenza dell'aquiletta non c'è alcuna certezza. Per sensibilizzare l'attenzione sull'argomento propongo di postare un po'di immagini di monete riportanti questo tipo di stelletta,infatti sappiamo benissimo che su un'infinità di monete da un cavallo per L'Aquilla ne troviamo di simili, proviamo quindi a postare anche qualche cavallo per Napoli e che Dio ce la mandi buona! Al numero 379 del testo di Prefetto (spero di non aver sbagliato a consultare) c'è l'immagine di un interessante carlino con la stelletta "impalata" nello stemma al rovescio , questa di Giuseppe con stelletta al dritto sotto la protome del leone è stupefacente, a mio parere una variante di grande interesse numismatico (qualcuno ne ha già viste altre? Sarebbe interessante fare un'indagine sulla rarità di questa variante), chissà, forse come dice Achille è un segno di riconoscimento di qualche maestro di zecca, anche se però devo ammettere che sarei più propenso ad attribuirla a qualche "incisore". Su quest'ultimo punto gradirei conoscere, a titolo di curiosità personale, qual'è la motivazione che vi spinge a pensare al maestro di zecca e non all'incisore, in fondo se riflettete bene la stelletta non si trova là per caso. Se qualcuno di buona volontà nota altri particolare di rilievo si faccia avanti. Ogni commento sarà utile e gradito. Modificato da francesco77
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Come detto sopra meglio di me da Achille (se ho ben decifrato l'iniziale) e da Francesco, non ci sono assolutamente elementi incontrovertibili per assegnare questo carlino alla zecca de L'Aquila e il mio intervento non era volto a tentare di corroborare o confutare questa tesi, su cui peraltro non avrei l'autorità per pronunciarmi.

Facevo riferimento alla tesi recente di alcuni studiosi di monete abruzzesi perché sono quelli che più accuratamente hanno indagato questa precisa tipologia, che a mio giudizio diverge dal tipo napoletano più comune in modo drammatico. La cuspide fogliata dello scettro è smisurata, la testa del re ha una forma a pera, i boccoli ai lati sono più divaricati, la figura in generale più corpulenta e ci sono rilevanti differenze anche nel modo in cui sono poste le mani e le protomi di leone.

Interessante anche l'osservazione di Pietro, che rileva la conformazione più "tagliente" e aguzza di questa stelletta rispetto alle altre che compaiono in legenda. Ci avevo fatto caso anch'io e non ho saputo darmi una spiegazione, se non che per questa stelletta deve essere stato usato un punzone diverso e forse più nuovo.

Riguardo al carlino descritto al n. 68 del D'Andrea-Andreani (con aquiletta) e giustamente ricordato da Francesco, se la fotografia non è un'opinione, questo presenta al rovescio (volendo aderire alla correzione di Francesco) non solo una ma ben due stellette in eccesso, diversamente dalla descrizione del catalogo che riferisce solo di una. La prima si trova nel palato d'Aragona nella seconda partizione dello stemma, ma ce n'è un'altra che spunta sopra la croce potenziata nella prima partizione. Vi invito a ricontrollare il catalogo e la foto a fine volume, e dirmi se ho le traveggole. Quest'ultima stelletta in particolare, si direbbe più sottile e definita, esattamente come quella sotto il leone. Ma dovrebbe dirlo chi ha potuto osservare dal vivo quell'esemplare di tipo estremamente raro.

Ma la stelletta ripetuta a fine legenda, isolata tra i segni d'interpunzione, mi fa pensare a qualcosa di più di un maestro di zecca o di un incisore. Probabilmente sbaglio, ma mi chiedo perché inserire di nuovo una stelletta in quella posizione. Per riempire lo spazio? Del resto, come detto, ci sono almeno altri due esemplari con questa caratteristica legenda, censiti dal Corpus al n. 73 e appartenenti alla collezione reale. Mi chiedo se anche questi presentassero la stelletta sotto il leone, magari più consumata e difficilmente distinguibile dalle zampe in quella collocazione così improbabile. E' una posizione che si presta facilmente a nascondere qualsiasi segno se inciso male o consumato dal tempo. Spero che qualcuno ci proporrà altri esemplari di carlino di tipo simile utile ad ulteriori confronti. Grazie a tutti gli amici per i preziosi interventi.

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Argomento indubbiamente interessante.

Credo che però la parola fine, senza un riscontro documentale sia difficile da mettere. Bisogna ammettere che l'ipotesi avanzata da D'Andrea/Andreani sul fatto che questa tipologia di carlini sia stata coniata nella città de l'Aquila ha un suo riscontro oggettivo osservando gli esemplari in questione. Lo stile, come anche sottolineato da Junomoneta, è diverso da quello di conio partenopeo, ma è altrettanto vero che l'assenza del simbolo di zecca, porta l'ago della bilancia a pendere per una coniazione nella città di Napoli.

Cercando cmq di approfondire la cosa, la presenza della stella nell'esemplare postato da Junomoneta (stella che di certo non sembra messa lì in maniera casuale), confrontato con le due stelle presenti nell'esemplare catalogato al n°68 del D'Andrea/Andreani (Perfetto n°379) dove comunque va precisato che vi è il simbolo di zecca, potrebbe far supporre una certa corrispondenza tra la presenza di questa stelletta e l'officina di zecca de l'Aquila. Naturalmente parliamo sempre di ipotesi.

Sempre D'Andrea/Andreani rafforzano la loro interessante ipotesi con il fatto che spesso in alcuni esemplari l'aquiletta (ossia il simbolo di zecca) venisse all'epoca abrasa per far confondere l'esemplare abruzzese, con contenuto di fino minore, con quello napoletano, in modo da evitare un eventuale rifiuto della moneta.

E' altresì vero che Perfetto a pag. 206, in nota 141, pur condividendo l'ipotesi di D'Andrea/Andreani, puntualizza che a seguito di esperimenti effettuati sul metallo dei carlini di Alfonso I, questi solo in parte sono risultati con un contenuto di fino inferiore agli esemplari napoletani e mai con un contenuto superiore, concludendo quindi che le rimozioni del simbolo di zecca avvenivano molto spesso solo per precauzione e/o per recuperare qualche mg d'argento.

Alla luce di questi ulteriori dati oggettivi non credo sia nemmeno ipotizzabile una decisione nella zecca abruzzese di non inserire il proprio simbolo onde non rendere immediatamente riconoscibili i propri esemplari prodotti e quindi poterli in questo modo confonderli con gli esemplari coniati a Napoli. Anche perchè in questo caso credo che una qualche riscontro documentale ci sarebbe stato.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla "famigerata" stelletta. Sui carlini della zecca del l'Aquila (con il simbolo di zecca) spesso troviamo la stelletta presente nel I quarto, sopra la croce potenziata o più raramente nel II quarto dopo il palato e nel IV quarto sotto la croce potenziata. Mai questa stelletta (o almeno a me così risulta) è presente in esemplari che sono stati certamente coniati a Napoli e quindi, come precedentemente detto, la combinazione Stelletta/Zecca de l'Aquila torna prepotentemente a riportare l'ago della bilancia verso l'ipotesi di coniazione nella zecca abruzzese.

Poi aggiungiamoci che, nostante già i dubbi a riguardo, a complicare le cose (per fortuna :blum: ) arriva Junomoneta che posta un carlino dove non vi è traccia di stellette al D/ quindi non rientrante nella categoria di cui sopra, ma ne ha una in bella evidenza al R/... :shok:

Credo di essermi dilungato anche troppo e spero di essere stato chiaro in quello che ho scritto (dopo il turno di notte non garantisco nulla), penso quindi di poter concludere con la frase con la quale ho iniziato, cioè senza una prova documentale è difficile chiudere definitivamente la questione.

Accolgo l'invito di Francesco77 a postare immagini per cercare di avanzare ulteriori ipotesi e se può essere d'aiuto posto un esemplare con stellette nell'interpunzione ma senza simboli di zecca e senza stellette nel campo al D/ per poterlo comparare stilisticamente con altri. Chiedo scusa per la foto, ma fatta al volo e con luce artificiale.

11uuofb.jpg

Modificato da fedafa
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Aspettavo con ansia l'intervento di Fedafa, che è sempre di una precisione inappuntabile, particolarmente quando si parla di conii aragonesi. Indubbiamente il fil rouge della stelletta che unisce i carlini sicuramente aquilani (con aquiletta nel campo) a quelli con effigie variata è un argomento suggestivo.

Ignoravo l'esistenza di altri carlini con stellette nella IV partizione dello stemma. L'unico carlino con stellette nel campo a me noto è quello già citato (n. 68). Intuisco che possa trattarsi delle varianti ulteriori individuate dal Perfetto cui accennava Achille. Vi sarei pertanto grato se aveste la bontà di darmi ulteriori dettagli a riguardo. Vedrò quanto prima di procurarmi la ricercatissima opera sulla zecca de L'Aquila.

Grazie per la foto del carlino che è splendidamente definito e utile a rendere l'idea dello stile differente. Noto che anche tu hai osservato l'orientamento "tradizionale" (credo in origine dovuto al Cagiati) fra diritto e rovescio. Stiamo attenti che se insistiamo Francesco ci banna :lol:

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Ignoravo l'esistenza di altri carlini con stellette nella IV partizione dello stemma. L'unico carlino con stellette nel campo a me noto è quello già citato (n. 68). Intuisco che possa trattarsi delle varianti ulteriori individuate dal Perfetto cui accennava Achille. Vi sarei pertanto grato se aveste la bontà di darmi ulteriori dettagli a riguardo. Vedrò quanto prima di procurarmi la ricercatissima opera sulla zecca de L'Aquila.

Sicuramente ti è sfuggito ma anche al n°2 del CNI è riportato un esemplare con stelletta al II e IV quarto. Perfetto al n°376 poi ne descrive un esemplare (con immagine) con la stella nel I quarto sopra la croce e la stella nel IV quarto sotto la croce. Al n°379 riporta la descrizione dell'esemplare già pubblicato da D'Andrea/Andreani al n° 68, mentre al n° 382 classifica un esemplare (sempre con immagine) con una stella molto particolare al D/ nel I quarto sopra la croce e con quello che sembra essere un globetto sotto la croce nel IV quarto.

Per il volume sinceramente mi sento di consigliartelo.

Grazie per la foto del carlino che è splendidamente definito e utile a rendere l'idea dello stile differente. Noto che anche tu hai osservato l'orientamento "tradizionale" (credo in origine dovuto al Cagiati) fra diritto e rovescio. Stiamo attenti che se insistiamo Francesco ci banna :lol:

Io seguo l'indicazione generale di indicare come D/ il lato della moneta che riporta l'autorità emittente, ma sono certo che Francesco non ci bannerà per questo :) . Il discorso D/ e R/ delle monete è lungo ed ancora non risolto, se non erro c'è una discussione in proposito, ma non approfondiamo altrimenti andiamo OT e ci perdiamo rispetto all'interessante quesito da te proposto in questo post.

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Perfetto Davide.....io però sarei curioso di vedere se le stellette nei campi al dritto sono uguali a quella presente nell'esemplare di Juno. ^_^

Se qualcuno ha quest'esemplare...vedremo !!

Da asta Aureo & Calicò lotto 0532 coll. Crusafont Dinastia dels Trastàmara. Alfons IV (1416-1458). Àquila. Carlí. (Cru.C.G. 2938) (Cru.V.S. 893). Anv.: Rey en el trono, águila a izquierda. DNS M DIVT ET EGO D I M . Rev.: Armas catalanas en 2º y 3er cuartel y napolitanas en 1º y 4º. LFONSVS D G R AR S C V R . 3,60 grs. Bella. Muy rara y más así.

Stella nel I quarto sopra la croce e stella nel IV quarto sotto la croce.

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Perfetto Davide.....io però sarei curioso di vedere se le stellette nei campi al dritto sono uguali a quella presente nell'esemplare di Juno. ^_^

Se qualcuno ha quest'esemplare...vedremo !!

Da asta Aureo & Calicò lotto 0532 coll. Crusafont Dinastia dels Trastàmara. Alfons IV (1416-1458). Àquila. Carlí. (Cru.C.G. 2938) (Cru.V.S. 893). Anv.: Rey en el trono, águila a izquierda. DNS M DIVT ET EGO D I M . Rev.: Armas catalanas en 2º y 3er cuartel y napolitanas en 1º y 4º. LFONSVS D G R AR S C V R . 3,60 grs. Bella. Muy rara y más así.

Stella nel I quarto sopra la croce e stella nel IV quarto sotto la croce.

Grazie Davide e come sempre tempestivo, senza alcun dubbio......alcune di loro sono perfettemanente identiche a quella dell'esemplare di Giuseppe. :good:

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Perfetto Davide.....io però sarei curioso di vedere se le stellette nei campi al dritto sono uguali a quella presente nell'esemplare di Juno. ^_^

Se qualcuno ha quest'esemplare...vedremo !!

Da asta Aureo & Calicò lotto 0532 coll. Crusafont Dinastia dels Trastàmara. Alfons IV (1416-1458). Àquila. Carlí. (Cru.C.G. 2938) (Cru.V.S. 893). Anv.: Rey en el trono, águila a izquierda. DNS M DIVT ET EGO D I M . Rev.: Armas catalanas en 2º y 3er cuartel y napolitanas en 1º y 4º. LFONSVS D G R AR S C V R . 3,60 grs. Bella. Muy rara y más así.

Stella nel I quarto sopra la croce e stella nel IV quarto sotto la croce.

La sfida sulla questione della classificazione dritto/rovescio è ancora aperta, sono pronto a qualsiasi confronto :good: , anzi, mi fa piacere che se ne parli, tutti dobbiamo imparare, ed io sono parte di quei "tutti", quindi anche io sono qui per apprendere. Scusa Fedafa, forse mi sbaglio ma ho notato che nel paese iberico si classifica da sempre il dritto con l'effigie più importante (il sovrano). Hai appena postato l'immagine di un carlino passato da Aureo e Calicò con al dritto il re, mi permetto di sottolineare questo perchè so che gli spagnoli sono i massimi cultori di monete aragonesi. ;)

Un'altra domanda tecnica; secondo Andreani/D'Andrea l'aquiletta venne abrasa dalle monete: non ho capito bene se tale simbolo venne abraso dal conio o dai tondelli. Dico questo perchè se fosse abraso dal conio ci ritroveremo con monete deturpate nei campi, visto che sul conio l'aquiletta era in incuso e per eliminarla si sarebbe dovuto scavare nel conio. Nella seconda ipotesi i manovali della zecca, o i coniatori, avrebbero dovuto effettuare abrasioni di grande precisione su ogni tondello, un lavoraccio! Non trovi?

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<p style="margin-bottom: 0cm;">Faccio un piccolo passo indietro rispetto al cammino seguito dal discorso per puntualizzare che con il termine “ufficiale di zecca” – da me adoperato, e non solo per il caso di specie – non intendo e non va inteso il (solo) “maestro di zecca”, cioè colui che su nomina regia o pubblico appalto dirigeva la zecca, bensì il titolare di un “ufficio” della zecca; solo per citarne alcuni effettivi all'Aquila nel XV secolo: il “maestro di prova”, il “maestro del conio e delle stampe”, il “credenziere”. Validissima, quindi, appare la tesi della stellina riconducibile a colui che dirigeva l'incisione dei coni o, magari, saggiava la bontà della moneta.</p>

<p style="margin-bottom: 0cm;"> </p>

<p style="margin-bottom: 0cm;"> </p>

<p style="margin-bottom: 0cm;">Data l'attribuzione alla zecca di Napoli, cui seguito a propendere per l'assenza di fonti dirette e contesti archeologici volti a testimoniare questo discusso processo di monetizzazione, ritengo utile mettere un accento su quel filo artistico-dirigenziale – in auge proprio nell'età aragonese – tessuto su binari paralleli – e a volte, addirittura, incrociati – proprio fra le zecche di Napoli e l'Aquila.</p>

<p style="margin-bottom: 0cm;"> </p>

<p style="margin-bottom: 0cm;">La documentata mobilità delle maestranze lungo la “Via degli Abruzzi”, l'atavico asse stradale che univa la seconda città più importante del Reame alla sua capitale, sembra essere – sempre a sindacabile giudizio personale – una valida chiave di lettura per quell'alterna evoluzione-involuzione stilistica delle matrici monetarie che servirono a liberar moneta proprio nelle due zecche più fiorenti. Per quanto lo standard qualitativo delle monete aquilane, dimostrabile non ultimo dai lungimiranti tentativi – di chiara matrice politico-finanziaria, qualora si esca dalla miope veduta numismatica – di soffocare l'impulso autonomista degli Aquilani e della sua scomoda zecca civica (si ricordano, in tal senso, le fallite azioni repressive messe in atto da Ladislao d'Angiò e, a più riprese, da Ferdinando I d'Aragona, ma riuscita, invece, al governo dei Viceré nella prima età Spagnola), non giustifichi assolutamente la fraudolenta abrasione (o presunta tale) dell'aquiletta: chiara garanzia di bontà da e verso l'autorità emittente, la classe mercantile e, particolare niente affatto trascurabile, il popolino.</p>

<p style="margin-bottom: 0cm;"> </p>

<p style="margin-bottom: 0cm;">Saluto e ringrazio gli amici intervenuti o che interverranno per compiere nuovi passi verso la ricerca della verità.</p>

<p style="margin-bottom: 0cm;"> </p>

<p style="margin-bottom: 0cm;">A.G.</p>

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Faccio un piccolo passo indietro rispetto al cammino seguito dal discorso per puntualizzare che con il termine “ufficiale di zecca” – da me adoperato, e non solo per il caso di specie – non intendo e non va inteso il (solo) “maestro di zecca”, cioè colui che su nomina regia o pubblico appalto dirigeva la zecca, bensì il titolare di un “ufficio” della zecca; solo per citarne alcuni effettivi all'Aquila nel XV secolo: il “maestro di prova”, il “maestro del conio e delle stampe”, il “credenziere”. Validissima, quindi, appare la tesi della stellina riconducibile a colui che dirigeva l'incisione dei coni o, magari, saggiava la bontà della moneta.

Data l'attribuzione alla zecca di Napoli, cui seguito a propendere per l'assenza di fonti dirette e contesti archeologici volti a testimoniare questo discusso processo di monetizzazione, ritengo utile mettere un accento su quel filo artistico-dirigenziale – in auge proprio nell'età aragonese – tessuto su binari paralleli – e a volte, addirittura, incrociati – proprio fra le zecche di Napoli e l'Aquila.

La documentata mobilità delle maestranze lungo la “Via degli Abruzzi”, l'atavico asse stradale che univa la seconda città più importante del Reame alla sua capitale, sembra essere – sempre a sindacabile giudizio personale – una valida chiave di lettura per quell'alterna evoluzione-involuzione stilistica delle matrici monetarie che servirono a liberar moneta proprio nelle due zecche più fiorenti. Per quanto lo standard qualitativo delle monete aquilane, dimostrabile non ultimo dai lungimiranti tentativi – di chiara matrice politico-finanziaria, qualora si esca dalla miope veduta numismatica – di soffocare l'impulso autonomista degli Aquilani e della sua scomoda zecca civica (si ricordano, in tal senso, le fallite azioni repressive messe in atto da Ladislao d'Angiò e, a più riprese, da Ferdinando I d'Aragona, ma riuscita, invece, al governo dei Viceré nella prima età Spagnola), non giustifichi assolutamente la fraudolenta abrasione (o presunta tale) dell'aquiletta: chiara garanzia di bontà da e verso l'autorità emittente, la classe mercantile e, particolare niente affatto trascurabile, il popolino.

Saluto e ringrazio gli amici intervenuti o che interverranno per compiere nuovi passi verso la ricerca della verità.

A.G.

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Faccio un piccolo passo indietro rispetto al cammino seguito dal discorso per puntualizzare che con il termine “ufficiale di zecca” – da me adoperato, e non solo per il caso di specie – non intendo e non va inteso il (solo) “maestro di zecca”, cioè colui che su nomina regia o pubblico appalto dirigeva la zecca, bensì il titolare di un “ufficio” della zecca; solo per citarne alcuni effettivi all'Aquila nel XV secolo: il “maestro di prova”, il “maestro del conio e delle stampe”, il “credenziere”. Validissima, quindi, appare la tesi della stellina riconducibile a colui che dirigeva l'incisione dei coni o, magari, saggiava la bontà della moneta.

Data l'attribuzione alla zecca di Napoli, cui seguito a propendere per l'assenza di fonti dirette e contesti archeologici volti a testimoniare questo discusso processo di monetizzazione, ritengo utile mettere un accento su quel filo artistico-dirigenziale – in auge proprio nell'età aragonese – tessuto su binari paralleli – e a volte, addirittura, incrociati – proprio fra le zecche di Napoli e l'Aquila.

La documentata mobilità delle maestranze lungo la “Via degli Abruzzi”, l'atavico asse stradale che univa la seconda città più importante del Reame alla sua capitale, sembra essere – sempre a sindacabile giudizio personale – una valida chiave di lettura per quell'alterna evoluzione-involuzione stilistica delle matrici monetarie che servirono a liberar moneta proprio nelle due zecche più fiorenti. Per quanto lo standard qualitativo delle monete aquilane, dimostrabile non ultimo dai lungimiranti tentativi – di chiara matrice politico-finanziaria, qualora si esca dalla miope veduta numismatica – di soffocare l'impulso autonomista degli Aquilani e della sua scomoda zecca civica (si ricordano, in tal senso, le fallite azioni repressive messe in atto da Ladislao d'Angiò e, a più riprese, da Ferdinando I d'Aragona, ma riuscita, invece, al governo dei Viceré nella prima età Spagnola), non giustifichi assolutamente la fraudolenta abrasione (o presunta tale) dell'aquiletta: chiara garanzia di bontà da e verso l'autorità emittente, la classe mercantile e, particolare niente affatto trascurabile, il popolino.

Saluto e ringrazio gli amici intervenuti o che interverranno per compiere nuovi passi verso la ricerca della verità.

A.G.

Ora ho capito a quali mansioni all'interno della zecca ti riferisci quando parli di ufficiale di zecca. :good: Grazie

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La sfida sulla questione della classificazione dritto/rovescio è ancora aperta, sono pronto a qualsiasi confronto :good: , anzi, mi fa piacere che se ne parli, tutti dobbiamo imparare, ed io sono parte di quei "tutti", quindi anche io sono qui per apprendere. Scusa Fedafa, forse mi sbaglio ma ho notato che nel paese iberico si classifica da sempre il dritto con l'effigie più importante (il sovrano). Hai appena postato l'immagine di un carlino passato da Aureo e Calicò con al dritto il re, mi permetto di sottolineare questo perchè so che gli spagnoli sono i massimi cultori di monete aragonesi. ;)

Un'altra domanda tecnica; secondo Andreani/D'Andrea l'aquiletta venne abrasa dalle monete: non ho capito bene se tale simbolo venne abraso dal conio o dai tondelli. Dico questo perchè se fosse abraso dal conio ci ritroveremo con monete deturpate nei campi, visto che sul conio l'aquiletta era in incuso e per eliminarla si sarebbe dovuto scavare nel conio. Nella seconda ipotesi i manovali della zecca, o i coniatori, avrebbero dovuto effettuare abrasioni di grande precisione su ogni tondello, un lavoraccio! Non trovi?

scusami Francesco ma ti rispondo solo ora perchè con la funzione "visualizza nuovi contenuti" mi era sfuggito il tuo post e lo sto vedendo solo ora.

A mio avviso non c'è nessuna sfida sulla questione D/ e R/ di una moneta, ma forse modi diversi di vedere le cose. Concordo con te che gli spagnoli sono indubbiamente "esperti" sulle monete aragonesi ma non per questo noi (inteso come italiani) siamo da meno.

Come ho accennato prima la diatriba tra D/ e R/ è ancora lontana dal essere sciolta, almeno in maniera definitiva.

Normalmente gli studiosi concordano nell'attribuire il D/ di una moneta il verso in cui è riportata l'autorità emittente e questa soluzione che potremmo definire "convenzionale" è accettata in larga parte da tutti (me compreso). Ovviamente però possono esserci dei casi o eccezioni che possono rendere questa soluzione poco chiara e nella monetazione di Napoli sai meglio di me che i casi non mancano e questo è uno di quelli, ma cmq si tende a rispettare come dritto il lato con l'autorità emittente.

Chi a ragione? Io credo entrambi.

Basta osservare listini d'asta o cataloghi stessi o articoli per vedere come a volte questa discordanza sia evidente.

Ho fatto una ricerca su mcsearch ed il risultato è il seguente:

http://www.mcsearch....ort=&c=&a=&l=#0

Ritornando in argomento, rispondo al secondo quesito, cioè l'abrasione dell'aquiletta. O meglio posso darti la mia interpretazione (la risposta la possono dare solo gli autori). Per me non è stato abraso il conio, non avrebbe avuto senso, al limite non si sarebbe messo proprio il simbolo di zecca, ma è stata abrasa l'aquiletta. Da chi? Non credo in zecca (ricordo che è la mia interpretazione) ma dal popolo che temeva il rifiuto della stessa per via del contenuto di fino più basso.

Fermo restando le divergenze di opinioni ed il pacifico confronto fra D/ e R/ trovo questa particolare moneta di dubbia attribuzione veramente interessante e meritevole di approfondimenti.

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Ringrazio di nuovo "zecche del sud", Francesco e Fedafa per i preziosissimi contributi - davvero memorabili, da antologia - dribblo la questione D/ e R/, e vado dritto all'ultimo quesito aperto...ma questi tanto discussi carlini con aquiletta abrasa, qualcuno di voi li ha visti dal vivo? Sia nel caso in cui l'abrasione dovesse essersi applicata ai conii, che nel caso in cui questa sia stata perpetrata sulle monete già coniate, avrà pure lasciato qualche segno sui campi...diversi appunto a seconda della fase in cui si è verificata, ma certamente non ha potuto lasciare il campo perfettamente liscio e omogeneo.

L'unico alfonsino con aquiletta abrasa che mi sia capitato di vedere (sfortunatamente non di persona) l'ho trovato su un mitico listino del Ragionier Nascia del settembre 1975, pieno zeppo di rarità abruzzesi. In questo caso il carlino non presenta soltanto l'abrasione, ma anche due delle famose stellette accanto alle croci di Gerusalemme. Certamente la foto, peraltro vecchia e sgranata, non è sufficiente nemmeno ad occhi esperti per stabilire il tipo di abrasione (sia essa ex ante o ex post). Ma per quelli come me, meno esperti di questo tipo di monetazione, forse vale la pena postarla.

IMG-14.jpg

Detto questo vi saluto e vado a nanna. Sarò fuori fino a venerdì e mi rincresce non poter seguire "dal vivo" - giorno per giorno - l'evoluzione di questa seducente discussione. Venerdì sarò senz'altro impaziente di leggere tutti gli aggiornamenti. Buona settimana a tutti i carissimi amici lamonetiani!

Giuseppe.

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Questa è una bella domanda !

Facendo un veloce richiamo al mio secondo intervento “““Per quanto lo standard qualitativo delle monete aquilane (…) non giustifichi assolutamente la fraudolenta abrasione (o presunta tale) dell'aquiletta”””, con la debita premessa che in un caso del genere la valutazione più vicina all’oggettività implica necessariamente una cospicua monetazione superstite pervenuta in buono stato di conservazione (scevro, cioè, di localizzate concrezioni, usure da circolazione e/o debolezze di conio volte a distorcere la lettura dei rilievi fisici della moneta), non avendo ancora letto o rinvenuto tra i materiali d’archivio elementi fattivi di riscontro né esaminato in maniera diretta – sia di persona sia da riproduzione fotografica, ma in alta risoluzione – simili esemplari, aleggia in me un certo scetticismo circa la presunzione di frode monetaria sostenuta, negli ultimi anni, dagli ormai noti studiosi della zecca aquilana; verso i quali (e non soltanto loro), al di là dell’amichevole stima e del vivo scambio d’idee, la divergenza d’opinione ha sempre stimolato, spero reciprocamente, la nuova ricerca, da convinto sostenitore che la numismatica medioevale – purtroppo o per fortuna ? – non sempre beneficia di quella verità univoca che ci sforziamo di raggiungere approfondendo, ciascuno nel campo di maggiore interesse, questa affascinante branca scientifica.

A.G.

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Questa è una bella domanda !

Facendo un veloce richiamo al mio secondo intervento “““Per quanto lo standard qualitativo delle monete aquilane (…) non giustifichi assolutamente la fraudolenta abrasione (o presunta tale) dell'aquiletta”””, con la debita premessa che in un caso del genere la valutazione più vicina all’oggettività implica necessariamente una cospicua monetazione superstite pervenuta in buono stato di conservazione (scevro, cioè, di localizzate concrezioni, usure da circolazione e/o debolezze di conio volte a distorcere la lettura dei rilievi fisici della moneta), non avendo ancora letto o rinvenuto tra i materiali d’archivio elementi fattivi di riscontro né esaminato in maniera diretta – sia di persona sia da riproduzione fotografica, ma in alta risoluzione – simili esemplari, aleggia in me un certo scetticismo circa la presunzione di frode monetaria sostenuta, negli ultimi anni, dagli ormai noti studiosi della zecca aquilana; verso i quali (e non soltanto loro), al di là dell’amichevole stima e del vivo scambio d’idee, la divergenza d’opinione ha sempre stimolato, spero reciprocamente, la nuova ricerca, da convinto sostenitore che la numismatica medioevale – purtroppo o per fortuna ? – non sempre beneficia di quella verità univoca che ci sforziamo di raggiungere approfondendo, ciascuno nel campo di maggiore interesse, questa affascinante branca scientifica.

A.G.

Oggi mi è venuta voglia di porre un quesito riguardante i soli conii.

Risulta in qualche documento d'archivio che alcuni conii di carlini aragonesi vennero incisi a Napoli e successivamente portati a L'Aquila?

Porgo questa domanda perchè da alcuni documenti dell'epoca di Carlo V d'Asburgo (riportati nel noto studio a firma G.Bovi), risulta che la zecca aquilana, seppur per pochi anni, venne riattivata in epoca imperiale e che alcuni conii ed attrezzi vari provenivano dalla zecca di Napoli. Di conseguenza, se si scoprisse che una tale politica organizzativa ebbe luogo anche in epoca aragonese, allora si potrebbe "ipotizzare" (senza però aver la certezza matematica) che questi carlini "stellati" senza aquiletta vennero battuti (a Napoli?) da conii incisi inizialmente a Napoli e modificati/ultimati/contrassegnati nella zecca aquilana. Se così fosse si svelerebbe parzialmente il mistero dell'esistenza di esemplari "stellati" simili tra loro ma con o senza aquiletta. Il problema però rimane...... già ...... perchè seppur fossero frutto dello stesso conio modificato, non potremo mai stabilire con certezza quali coniati a Napoli e quali a L'Aquila.

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Questa domanda è ancora più bella !

Permettimi di dire che simili eventi andrebbero contestualizzati, l'episodio del 1529 cui ti riferisci ha una chiave di lettura – per ciò che attiene la storiografia generale della zecca aquilana – fine a se stessa; nel senso che l'azione coercitiva spagnola, tanto pretestuosa quanto vile (sull'argomento rimando al mio ultimo lavoro storico, che già conosci e che ho presentato a suo tempo sulle pagine del Forum in altra discussione, si veda all'http://www.lamoneta.it/topic/82637-carlo-v-zecca-di-napoli-aquila/), servì ad annientare l'impulso economico e politico della città, in perfetta linea con l'assolutismo imperiale di Carlo V... un astuto programma fallito, miseramente, dalle precedenti dinastie che governarono su Napoli (case d'Angiò-Durazzo e d'Aragona).

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  • 2 anni dopo...

Caro Vincenzo @@vox79 , che dici? La riesumiamo questa discussione o non ti va? Mi sembra molto interessante e certamente merita l'attenzione di tutti. Grazie

Modificato da francesco77
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Caro Vincenzo @@vox79 , che dici? La riesumiamo questa discussione o non ti va? Mi sembra molto interessante e certamente merita l'attenzione di tutti. Grazie

Ce n'è un'altra di discussione identica. Avevo postato li il mio esemplare con stellette.

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  • 2 anni dopo...

Riprendo la discussione in quanto non sono più visibili le foto del carlino con le stellette . 

Sarebbe interessante vederlo per dare un valore aggiunto alle varie ipotesi di zecca .

Grazie Lem 

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