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IGNORED

Libbra latina e libbra romana


Polemarco

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Il suolo del centro-Italia ha restituito vari esemplari esemplari di monete fuse pesanti: quelle romane sono credo le più numerose, ma ne esistono anche etrusche, latine, umbre, apule, etc. Tenuto conto che tutte prevedono un'unità base, che i Romani chiamiavano as (asse), suddivisa (a seconda dei posti) in 10 o 12 unità frazionarie, che i Romani chiamiavano unciae (once), confrontando il peso dei diversi "assi" sono stati individuati differenti "piedi ponderali" standard. Le differenze di peso fra i vari "piedi" sono notevoli e non hanno, probabilmente, un significato cronologico: il piede ponderale più leggero infatti, quello di Velathri (Volaterrae in Latino), è probabilmente il più antico.

Venendo a Roma, la situazione si complica notevolmente. Gli assi hanno pesi molto diversi tra loro, e questo sconcerta la mentalità moderna. Infatti, l'unica ragione per fondere monete così grandi e ingombranti poteva risiedere nel fatto che venissero scambiate per il loro valore intrinseco: ma allora, come poteva una moneta da 205 grammi (un asse 35/1, 36/1 o 37/1 "leggero") essere accettata alla pari di una di peso quasi doppio (un asse 14/1 o 18/1 "pesante")?

Per fare un po' di ordine, gli studiosi hanno calcolato il peso medio teorico ("teorico", perché la media ponderata può essere fatta solo fra le monete sopravvissute). Come puoi vedere dai risultati in tabella, questi pesi torici variano da circa 270 a oltre 300 grammi. E, comunque, non si può non tener conto del fatto che i pesi reali divergono molto da quelli medi teorici. Per spiegare entrambe queste oscillazioni (dei pesi medi fra loro e dei pesi reali da quelli medi) sono state formulate varie teorie; io ne conosco quattro, così riassumibili:

- Roma avrebbe fatto ricorso a standard ponderali diversi, osco/latino e romano (nonché forse, in misura più ridotta, anche a quello italico/apulo). La successione sarebbe avvenuta nel tempo e il piede più leggero (osco/latino) avrebbe preceduto quello più pesante (romano). In questo senso si spiega la datazione dell'Haeberlin;

- come sopra, ma il piede più pesante avrebbe preceduto quello più leggero. Così credo che vada letta la datazione del Crawford. Molti autori peraltro fanno oggi risalire le monete più pesanti (delle serie 14 e 18) al 320-300 a.C.;

- come sopra, ma il ricorso a differenti standard ha un significato geografico e non cronologico. In altri termini, Roma avrebbe coniato assi di 270 grammi per commerciare con gli Osci e i Latini, assi di 340 grammi per commerciare con gli Apuli e assi di 325 grammi per il mercato interno;

- Roma avrebbe avuto un solo standard ponderale, il proprio, di circa 325 g; gli assi da 270 grammi costituirebbero una prima riduzione ponderale su base dextantale (10 once da 27 grammi = 270 grammi). Quest'ultima teoria, sostenuta da Forzoni, è quella che personalmente preferisco, applicando il metodo del rasoio di Occam: appare infatti come la più semplice e lineare.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Caro Licinio Lucullo,

posso chiederti il vero significato dello standard decimale rispetto a quello usualmente usato a Roma, che è duodecimale.

E' vero che, specialmente nelle zone interne e in Apulia c'era il quincunce, di 5 once, al posto del semisse, di 6 once, ma anche ai fini di una corretta integrazione dell'aes grave soggetto al controllo romano mi sembra un falso problema.

La vera unità di base era l'uncia, che era uguale e veniva moltiplicata per 5 per avere il quincunce (e per 10 per avere il destante) oppure per 6 per avere il semisse (e per 12 per avere l'asse). In questa maniera chi aveva un asse duodecimale romano lo poteva cambiare ad esempio con due quincunces e un sestante (5+5+2=12).

Circa la differenza tra l'asse di poco oltre 300 g, esso corrispondeva al teorico asse romano librale di 327,46 g (pari a 288 scrupoli), come in Crawford 19, mentre quello, di poco posteriore, di circa 270 g era più esattamente un asse librale osco-latino di 240 scrupoli e quindi teorici 272,88 g, come ad esempio Crawford 25.

Esso fu poi svalutato ad asse semilibrale, di 120 scrupoli e quindi teorici 136,44 g, come in Crawford 38.

Le successive svalutazioni dell'asse romano riguardarono invece quello di 327 g (=288 scrupoli).

Così da esso si ricavarono:

asse trientale di 96 scrupoli (= 288 : 3), di 109,15 g

asse quadrantale di 72 scrupoli (=288 : 4) di 81,86 g

asse sestantale di 48 scrupoli (= 288 : 6) di 54,57 g

Le svalutazioni trientale e quadrantale sono molto discusse e probabilmente ebbero breve durata efanno parte del vasto gruppo dei fusi cosiddetti post-semilibrali, che scendono fino al sestantale, che fu oggetto di una vera riforma monetaria, forse propedeutica all'avvento del denario (almeno secondo la Middle Chronology).

E' importante sapere che i sistemi decimale e duodecimale devono essere intercambiabili (con i valori bassi) e che i Romani ragionavano in scrupoli e non in grammi....

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E' importante sapere ... che i Romani ragionavano in scrupoli e non in grammi....

Certo, so che i Romani adottavano lo scrupolo come base ponderale; nondimeno, posto che lo scrupolo ha una corispondenza esatta e costante in grammi, nulla cambia nel ragionamento, salvo ovviamente il fatto che si perdono gli arrotondamenti (327,46 anziché 288). Che poi io mi sia preso la libertà, per comodità, di scrivere "circa 325" anziché "327,46", è un azzardo di cui mi scuso.

l'asse di poco oltre 300 g ... corrispondeva al teorico asse romano librale di 327,46 g (pari a 288 scrupoli)

Domanda ingenua: perché noi moderni, a fronte di pesi effettivi che variano almeno da 210 a 352 scrupoli :o ; affermiamo che lo standard teorico delll'asse fosse proprio 288 scrupoli ? :blink:

La libbra pesava 288 scrupoli. Ma perché l'asse doveva pesare proprio una libbra?

Ce lo dice qualche fonte documentale?

Oppure lo ricaviamo con ragionamento induttivo dal fatto che "asse" (la cui etimologia indoeuropea è peraltro discussa) significherebbe "valore esatto di una unità"?

Se veramente l'asse pesava una libbra, perché non l'hanno chiamato libbra (come nel caso dell'uncia, termine che identifica sia l'unità di peso che la moneta)?

Solo per fare l'avvocato del diavolo, non potrebbe darsi che un primo e più antico asse pesasse più di 288 scrupoli? :D

E comunque, se veramente l'asse valeva una libbra, non doveva necessariamente pesare meno di essa, per effetto dell'aggio? :huh:

Ripeto: scusatemi se sono domande ingenue, ma non ha mai trovato spiegazioni ad esse. :(

posso chiederti il vero significato dello standard decimale rispetto a quello usualmente usato a Roma, che è duodecimale.E' vero che, specialmente nelle zone interne e in Apulia c'era il quincunce, di 5 once, al posto del semisse, di 6 once, ma anche ai fini di una corretta integrazione dell'aes grave soggetto al controllo romano mi sembra un falso problema.

La teoria del Forzoni, sempre che io non l'abbia capita male (cercherò il testo e lo citerò in modo esatto, appena possibile) suona più o meno così.

L'asse originario pesava 288 scrupoli (= 12 once). L'asse introdotto contestualmente al denario persava 48 scrupoli (= 2 once), ovvero fu ragguagliato al peso di un sestante. In mezzo ci furono assi ragguagliati al peso di un semisse (cosiddetto semilibrale) e, forse, a quello di un triente e poi di un quadrante. Dopo il sestantale, ci saranno anche assi ragguagliati al peso di un'oncia e, infine, di una semioncia.

Quindi, con le successive riduzioni ponderali l'asse assume i pesi teorici delle monete divisionarie librali, pur restando diviso in 12 once. Orbene, tra l'asse "librale" e quello "semilibrale" ci fu un asse di 240 scrupoli: perché invocare un improvviso cambio di piede ponderale, quando invece tra asse e semisse esisteva effettivamente una moneta divisionaria di 240 scrupoli, il dextans? L'asse di 240 scrupoli fu un asse ragguagliato, con la prima manovra di riduzione ponderale, al peso di un dextans librale; fu cioè, un "asse dextantale", pur rimanendo suddiviso in 12 once. Riduzione ponderale quindi, non cambio di piede.

Forzoni non ignora che l'asse semilibrale fosse di 120 scrupoli (anziché, come ci si sarebbe dovuti attendere, di 144). Tuttavia non ritiene questa anomalia motivo sufficiente per ritenere che il sistema monetarrio romano "saltasse" da un piede ponderale all'altro.

Del resto, non credo che ci siano altri casi in Italia di cambio di piede ponderale. Viene attributo un cambio a Tudere, ma solo perché le viene tradizionalmente attribuita la serie ovale che invece, secondo studi più recenti, sarebbe etrusca. Cambiò piede ponderale Luceria, ma solo perché da città apula divenne colonia romana (di diritto latino).

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Esso fu poi svalutato ad asse semilibrale, di 120 scrupoli ... Le successive svalutazioni dell'asse romano riguardarono invece quello di 327 g ....

Apro qui una parentesi: preferisco parlare di riduzioni ponderali anzichè di svalutazioni.

Infatti, credo che in un sistema con moneta di valore intrinseco la riduzione ponderale sia un intervento teso ad abbassare (in termini reali) il valore dei debiti, non della moneta.

Esempio. In un'epoca in cui l'asse viene realizzato con 240 scrupoli di bronzo, i Censori devono pagare un appalto di 1.000 assi per la costruzione di due triremi (invento qui dei numeri assolutamente a caso). Quindi, 1 trireme = 120.000 scrupoli di bronzo.

A questo punto il Senato decide di far coniare assi da 120 scrupoli. Perché?

Non certo per svalutarli: non avrebbe senso infatti "far valere di meno" gli assi, per cui con 1.000 assi si andrebbe a pagare 1 trireme anziché 2. La zecca si troverebbe a lavorare il doppio (coniando 2.000 assi anziché 1.000) e nulla si sarebbe ottenuto in termini di risparmio di bronzo: comunque, infatti, 1 trireme = 120.000 scrupoli di bronzo.

Quindi, se il Senato decreta il passaggio dall'asse destantale a quello semi-librale è perché si attende comunque di pagare 2 triremi ai prezzi pattuiti (1.000 assi), risparmiando così, per le esigenze di guerra, una metà del bronzo destinato a onorare il debito originario. In altri termini: le riduzioni ponderali si possono spiegare solo presumendo che il Governo si aspettasse che sul brevissimo termine, grazie alla naturale inerzia del mercato, la moneta non si svalutasse (o comunque si svalutasse meno della sua riduzione ponderale).

Ovviamente le riduzioni ponderali inducevano inflazione e questa causava, sul medio termine, svalutazione; ma la svalutazione era un effetto indesiderato, non lo scopo della manovra, quindi non mi sembra corretto affermare che i Romani "svalutavano" la loro moneta.

In questo modo si spiegano anche le riduzioni progressive cosiddette "post-semilibrali": l'inerzia nell'accettazione delle monete poteva effettivamente verificarsi solo se le riduzioni erano limitate e progressive.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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E' vero che, specialmente nelle zone interne e in Apulia c'era il quincunce, di 5 once, al posto del semisse, di 6 once, ma anche ai fini di una corretta integrazione dell'aes grave soggetto al controllo romano mi sembra un falso problema. La vera unità di base era l'uncia, che era uguale ... E' importante sapere che i sistemi decimale e duodecimale devono essere intercambiabili (con i valori bassi)

Come esempio di sistemi monetari in cui l'asse locale era suddiviso in 10 once anziché in 12, Panvini Rosati (La moneta greca e romana, pagg. 86 e segg.) cita Ariminum, che utilizzava una libbra da 379 g (= 333,33 scrupoli romani).

Non posso io giudicare sull'autorevolezza di quell'Autore: prendo per buono quello che scrive e ne deduco che non è vero che "la vera unità di base era l'uncia, che era uguale".

L'oncia di Rimini pesava infatti 33,33 scrupoli romani. In quella stessa epoca, Roma emetteva assi di 240 scrupoli e, quindi, si rifaceva a un'oncia di 20 scrupoli (se è vero che aveva adottato il piede osco-latino) oppure di 24 scrupoli ridotti a 20 (se invece è vero che aveva ridotto il piede romano su base dextantale); comunque sia, valori non comparabili a 33. All'estremo opposto c'è l'oncia di Velathri, che pur essendo utilizzata prima di quelle di Ariminum e Roma (l'aes grave di Velathri fu il primo di tutta Italia, secondo Panvini Rosati) pesava solamente 11,07 scrupoli romani.

Io credo invece, così come afferma Panvini Rosati, che l'esistenza di piedi ponderali differenti (e incompatibili) fosse un effetto della mancanza di unità politica, nonché un sintomo di circolazione ristretta in ambito locale delle monete non romane.

posso chiederti il vero significato dello standard decimale rispetto a quello usualmente usato a Roma, che è duodecimale. ... mi sembra un falso problema.

Comunque sia, come ho esposto, gli assi italici suddivisi in 10 once sono una cosa diversa dall'asse romano dextantale, suddiviso sempre (così come quelli trientale, quadrantale, sestantale etc.) in 12 once

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Innanzi tutto ringrazio di cuore Licinio Lucullo per la sua ottima esposizione.

Mi scuso se "di proposito" avevo usato il termine molto equivoco di svalutazione, spesso adottato da vari autori, nella speranza di una adeguata rettifica, puntualmente avvenuta.

Concordo che è molto più corretto il termine "riduzione" rispetto a "svalutazione". Sono due concetti diversi, anche se, come già rilevato da Lucullo, talvolta una riduzione può portare alla svalutazione, che però non era il reale scopo della politica monetaria di Roma.

D'altra parte, in quel frangente storico e politico, la cultura romano-latina (e italica in generale) era inizialmente propensa a dare un valore intrinseco al bronzo e solo dopo, a seguito dei contatti con la civiltà greca in Campania e Magnogrecia e anche per opportunismo, si è fatta strada la concezione di assicurare un valore sempre più fiduciario al bronzo, garantendo la sua equivalenza con la vera valuta reale che è in argento (e raramente anche oro). Non è un caso che a un certo momento, in una situazione di crisi politica ed economica, il bronzo si era ormai attestato a un livello ormai fiduciario (con ampia variabilità ponderale) e quindi era sempre più necessario assicurare un adeguato cambio con una moneta in argento, per mantenere la fiducia nell'autorità emittente.

E' possibile che il noto quadrigato serviva per garantire il cambio col bronzo postsemilibrale che appunto stava già abbandonando la concezione del reale valore intrinseco del metallo bronzeo. Passando e attestandosi all'ulteriore riduzione dell'asse a livello sestantale, a Roma si fece strada l'idea di creare una moneta in argento totalmente nuova e con chiara indicazione del cambio con un certo numero (10) di assi, da destinare inizialmente alle aree ancora sottoposte al controllo romano e il vittoriato, che era una moneta in argento più allineata al vigente sistema greco (corrispondeva al dracma) e quindi destinato prima all'Italia del sud (ancora da contendere) e poi all'Italia settentrionale (popolata dai Galli), come attestano i ripostigli.

Circa il concetto che avevo espresso a proposito dell'uncia, forse non sono stato chiaro, ma esso ovviamente era limitato all'area di circolazione sottoposta al controllo romano e quindi all'asse prima di 327 g e poi di 272 g e sue successive riduzioni. Quindi mi riferivo al cambio che un cittadino romano poteva fare passando dalla moneta di Roma a quella, ad esempio di Luceria (che rientrava nel circuito della moneta romana), anche se Luceria aveva adottato il sistema decimale, mentre a Roma vigeva il sistema duodecimale.

Però esistono anche altre distinte aree di circolazione, ciascuna con un proprio standard ponderale, in genere più pesante presso le popolazioni con maggiore predilezione verso un pieno valore intrinseco (come i Galli di Ariminum) e un poco più leggero presso le popolazione con un concetto di valore più "elastico" e con una minima "contaminazione" di fiduciarietà, come gli Etruschi di Velathri, che avevano comunque maggiori contatti e dimestichezza col mondo greco....

Infatti quando si deve trattare della monetazione fusa in tutta l'Italia bisogna suddividerla in tante aree di circolazione, che non sempre coincidono con i confini regionali (che furono definiti solo al tempo di Augusto).

Appare quindi molto interessante poter individuare e definire le varie aree di circolazione, anche se esistono molte emissioni anepigrafe e note in pochi esemplari e in pochissimi nominali, rendendo difficile ua corretta identificazione dell'appartenenza a questo o quello sistema di circolazione.

Sono sempre lieto di poter confrontare le idee su questo argomento.

Modificato da acraf
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Ringrazio per le approfondite informazioni. Vorrei chiedere se nell'esame delle monete in parola qualcuno ha mai fatto riferimento alla percentuale di stagno utilizzata (adesso va dal 3 all'8%): c'è uno standard o varia tra titpi di asse ? Ringrazio anticipatamente

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Non so risponderti. Posso dirti che se anche qualcuno ha fatto ricerche in merito, non sono abbastanza famose che un ignorante come me ne abbia sentito parlare. :huh:

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