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Interrogativi sulla magistratura monetaria


Rapax

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Accenni ad alcuni di questi interrogativi sono emersi in più di un'occasione in questa sezione e questo contributo di Luigi Pedroni rappresenta, senza ombra di dubbio, un utile strumento di riflessione e di approfondimento:

http://www.persee.fr/articleAsPDF/dha_0755-7256_2000_num_26_1_2416/article_dha_0755-7256_2000_num_26_1_2416.pdf

Invito a leggere con molta attenzione il tutto, per poi procedere con tutti gli approfondimenti del caso.

A tal proposito potrebbe anche tornare utile questa tabella riassuntiva:

Magistrature - tabella riassuntiva.pdf

Ed al fine di inquadrare il contesto un riepilogo sulle magistrature minori (i sei collegi del vigintisexvirato, ove rientrano i nostri magistrari monetari):

-Decemviri slitibus iudicandis: dieci magistrati incaricati di giudicare le cause di minor peso

-Tresviri aere argento auro flando feriundo: collegio di tre uomini incaricati di sovraintendere al batter moneta

-Tresviri capitales (o nocturni): commissari di polizia che perseguivano i responsabili di ogni tipo di violenza, dirigevano il carcere nel foro e le altre prigioni, esigevano le multe dovute da coloro che avevano perduto cause civili che le prevedevano

-Quattuorviri viis in urbe purgandis: incaricati di controllare le strade a Roma

-Duoviri viis extra urbem purgandis: incaricati di controllare le strade di ingresso e di uscita dalla città

-Praefecti Capuam Cumas: quattro uomini esercitanti funzioni giudiziarie, come delegati del pretore urbano in città campane (eletti verso la fine del III secolo dai comizi).

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Adesso ho capito perché Cr. "riserva" a M. Fonteius una serie (la 347) che tuttavia è vuota !

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Adesso ho capito perché Cr. "riserva" a M. Fonteius una serie (la 347) che tuttavia è vuota !

Esatto, la cosa è decisamente paradossale... l'unico magistrato monetario citato espressamente dalle fonti, per un motivo o per l'altro, non ci ha lasciato alcuna moneta.

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DE GREGE EPICURI

Ho letto e sto meditando l'articolo di Pedroni, che è molto documentato e difficilmente contestabile. Le sue obiezioni al fatto che i nomi che appaiono sui denari repubblicani (a parte i pochissimi che recano anche IIIVIR o IIIIVIR) si possano davvero attribuire ai magistrati monetari sembrano piuttosto sostanziose. La "nuova teoria" sui nomi è invece, per ora, un po' nebulosa. L'ipotesi che prevale, mi sembra, è che i nomi possano riferirsi a chi forniva alla zecca (per quanto tempo?) il metallo da coniare; non come "free coinage" per se stessi, ma per l'uso dello stato, e quindi ricevendone in cambio un compenso. Di che natura fosse tale compenso, in che forma cioè avvenisse il pagamento, non è detto. E l'appalto come veniva vinto? Anche di questo, nulla si sa. Ma c'è un'altra obiezione. E' verosimile (lo dice lo stesso Pedroni) che i progetti delle nuove monete dovessero superare un esame dei senatori. Ora, perchè mai il senato avrebbe dovuto consentire agli appaltatori (fornitori dell'argento alla zecca) di far apporre sulle monete i loro nomi, e addirittura le immagini che raffigurano i miti familiari, gli antenati veri o presunti, ecc.? Sicuramente si trattava di una notevole auto-propaganda, probabilmente in vista di carriere politiche, e non si capisce perchè i senatori dovessero consentirla.

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Di che natura fosse tale compenso, in che forma cioè avvenisse il pagamento, non è detto. ... perchè mai il senato avrebbe dovuto consentire agli appaltatori (fornitori dell'argento alla zecca) di far apporre sulle monete i loro nomi, e addirittura le immagini che raffigurano i miti familiari, gli antenati veri o presunti, ecc.?

Forse, era proprio questa facoltà una parte - immateriale ma molto rilevante - del compenso. Vista la mentalità romana, non mi sembrerebbe impossibile; pensate agli edili che, pur di farsi propaganda, spendevano del proprio (sino a indebitarsi enormemente) per organizzare i giochi.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Un paio di brevissime premesse...

L'aerarium saturni era sostanzialmente diviso in tre parti. Le riserve delle prime due sezioni (aerarium sanctius) venivano utilizzate assai raramente ed in via del tutto eccezionale, mentre quelle della terza rappresentavano le vere e proprie riserve dinamiche, da utilizzarsi anche per la produzione di nuova moneta ma, al tempo stesso, deposito per moneta "acquisita" di proprietà pubblica e, ovviamente, precedentemente battuta.

Tradizionalmente la procedura standard prevedeva, ad inizio anno, una riunione del Senato finalizzata all'ascolto delle previsioni di spesa e di entrata, insieme ad una dichiarazione sulle monete eccedenti depositate presso l'erario con conseguente determinazione della quantità del nuovo prodotto da monetare.

Tale prodotto veniva successivamente consegnato dai questori urbani ai monetari che, una volta terminato il processo di lavorazione, riconsegnavano quanto ricevuto sottoforma di moneta. Le monete così prodotte, insieme a quelle già presenti nell'erario, mediante autorizzazione di spesa venivano via via ridestinate dal Senato.

Questo è, brevemente, l'iter fino ad oggi ricostruito e comunemente accettato.

L'entrata della variabile "appalti" potrebbe inserirsi dopo la riunione del Senato di inizio anno e prima della consegna del prodotto da monetare fatta dai questori ai tresviri...

E' vero che si tratta di ipotesi difficilmente dimostrabili, ma quanto scrive il Crawford è tuttavia molto più deprimente:

“For the first century or so of the denarius coinage it simply never occurred to a moneyer (or to anyone else) to indicate his magistry on his coins, thereafter the presence or absence of the designation IIIvir, IIIIvir or A.A.A.F.F. depend on the whim of the moneyer and are without significance.”

Ridurre la questione "ad un capriccio del monetario" è a mio avviso un modo poco elegante per eludere totalmente il problema.

Personalmente sto provvedendo a verificare le varie note e, conseguentemente, le varie fonti, con la speranza di trovare qualche nuova notizia o quantomeno qualche pertinente riscontro su cui ragionare.

Ad ogni modo condivido le perplessità esposte da Gianfranco e al tempo stesso mi allaccio al post di Lucullo... non dimentichiamo che, con molta probabilità, non tutto il prodotto da monetare doveva essere costituito da lingotti o da metallo di nuova fornitura... parte di esso infatti era probabilmente costituito da monete da rifondere in quanto non comunemente accettate in territorio romano o eccessivamente usurate.

Considerando il volume di una singola emissione, quanto della materia prima necessaria poteva essere, in linea generale, di "nuova fornitura"?

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Discussione davvero interessante e notevole è la portata direi quasi rivoluzionaria dei contributi scientifici che abbiamo letto nei documenti forniti da Rapax. :)

Non essendo un tecnico della materia, trovo un pò difficile esprimere un parere nei confronti di studiosi tanto autorevoli anche se una qualche resistenza in me sussiste nel pensare che le famiglie celebrate sulle monete del periodo repubblicano siano quelle che possano aver fornito l'argento alla Zecca e non quelle dei soggetti preposti alle emissioni.

Con questa nuova categoria d'analisi, infatti, mi verrebbe difficile inquadrare le emissioni del periodo imperatoriale dove vediamo indicati sia i grandi personaggi delle vicende politiche e militari romane ed i nomi degli addetti alla Zecca. Se questi ultimi nomi non fossero quelli degli ufficiali preposti alle coniazioni, ma quelli delle famiglie fornitrici d'argento, lo cito solo come esempio, dovremmo rivedere interi passaggi storici e riconsiderare la mappa delle alleanze politiche del tempo. E' indubbio che Pompeo, ad esempio, abbia portato a Roma tanto argento grazie alle sue campagne militari, argento che possiamo presumere essere andato in parte anche nelle casse dello Stato, ma sulle monete troviamo celebrato lui ed anche l'ufficiale preposto alla coniazione. Utilizzo vaghi esempi di questa precisa parentesi della storia di Roma perchè appare intuitiva, in questi casi, la necessità di apporre una firma che ufficializzi l'emissione in nome di un mandato del Senato. Firma quindi necessaria che nei più pacati tempi precedenti poteva giustificare, secondo il mio modesto ragionamento, un'intera raffigurazione iconografica che poi può essere stata strumentalizzata.

Altro dubbio che mi sorge considerando la possibilità di famiglie fornitrici di metallo nobile, potenti e quindi utili al punto da giustificare una loro celebrazione numismatica, è relativo alla riforma monetaria di Augusto. Indubbiamente siamo in tempi successivi e quindi diversi, storicamente e politicamente, ma se il tesoro dello Stato non fosse stato autosufficiente, godendo di una sostanziosa autonomia sia di disponibilità di metallo che di norme legali, non penso che avrebbe potuto disporre di una sicurezza tale da permettere una riforma estremamente complessa.

Con questo voglio contribuire solo con degli interrogativi ulteriori cercando di sottoporre il lavoro degli studiosi ad un semplice esercizio di logica non per smontarlo, ma evidentemente per tentare di validarlo. :)

Enrico :)

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DE GREGE EPICURI

Credo però che, se vogliamo procedere un po' nel chiarire i problemi non facili che sono stati posti, occorre approfondire diversi argomenti:

- modalità eccezionali e specifiche di approvvigionamento di metalli preziosi. Informazioni importanti sono fornite da Caio Ottavio nella discussione sulla Lex Plautia Papiria (dono al popolo romano delle ricchezze dell'ultimo dei Tolemei).

- arrivo di metallo prezioso tramite bottini militari o pagamenti imposti ai nemici vinti (Cartagine dopo le guerre puniche; oro ottenuto dopo la conquista della Macedonia; oro della Dacia dopo le guerre di Traiano, ecc.)

- attività delle miniere d'oro e d'argento: esistevano miniere con diverse forme di appalto, soprattutto in Spagna; in alcuni casi il concessionario poteva trattenersi una quota importante del metallo estratto, che poi cedeva a privati o allo stato romano.

- necessità di pagamento delle truppe e precise modalità con cui esso avveniva (non sempre in contanti, e comunque a volte con scadenze molto dilazionate; pagamenti a volte compiuti a fine carriera, almeno in parte, tramite concessione di quote di terreno agrario, anche rilevanti). Alcuni, basandosi sul numero delle legioni nei diversi periodi, hanno cercato di quantificare il costo per lo stato. Crawford ha sostenuto che il pagamento delle truppe fosse l'unico reale motivo per cui Roma coniava metallo prezioso.

Ho l'impressione che, su molti di questi argomenti, siano state scritte già tante cose interessanti; quindi sarebbe bene leggerle, prima di scoprire l'acqua calda (e parlo anzitutto per me). In sostanza, occorre capire com' era l'interazione fra stato e privati nei diversi momenti dell'approvvigionamento del metallo, della successiva coniazione e dell'utilizzo (distribuzione) della moneta.

Modificato da gpittini
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Salve a tutti.

Se può interessare riporto quanto detto nel Capitolo VI dedicato ai Magistrati Monetarii della Repubblica dallo Gnecchi nella sua opera "Monete Romane - Manuale elementare", Milano 1896.

<< Fino all'anno 600 di Roma la moneta era fabbricata in nome e virtù di decreti del popolo, e la sorveglianza della officina monetaria non formava una carica speciale, ma era affidata agli alti magistrati, temporaneamente, sotto il controllo del Senato. L'emissione non era continua, ma si faceva a norma dei bisogni del pubblico erario o del commercio privato, oppure si facevano parziali emissioni delle monete correnti, a seconda delle deliberazioni del popolo raccolto nei comizii. Fu nel settimo secolo (650 o 665?) che fu stabilita una carica speciale dei magistrati sopraintendenti alla monetazione. E, siccomequesti ordinariamente erano tre, che duravano in carica due anni, furono chiamati "Triumviri monetarii" (monetarii del tempio di Minerva Moneta sul Capitolino, ove era stabilita l'officina monetaria, vicina al pubblico erario). La qualificazione dei triumviri (III VIR) sulle monete però non appare che verso il 700, e anteriormente non vediamo indicate che altre cariche. I triumviri monetarii erano, per dirla con termine moderno, gli impresarii della zecca, e coniavano i metalli loro consegnati sia dallo stato sia dai privati. Pare però che ciascuno d'essi conservasse una certa indipendenza, perchè abbiamo monete con un solo nome, altre con due e perfino con tre nomi. Abbiamo dei triumviri che coniarono monete d'un solo metallo, altri di due, altri di tutti e tre. Furono questi triumviri che, come si osservò più sopra, modificarono i tipi della vecchia moneta* e li moltiplicarono colle rappresentazioni le più strane, le quali formano la grandissima varietà della serie repubblicana. Nell'anno 44 a.C. Cesare aumentò a quattro il numero dei magistrati monetarii, che quindi furono detti "Quatuorviri" (IIII VIR). Ciò vale per quanto riguarda la moneta coniata in Roma; ma si coniava moneta pure fuori di Roma e in prima linea stanno le monete militari, quelle cioè che esigeva il bisogno delle truppe. In tal caso fungeva da magistrato monetario il comandante militare, il quale riceveva l'oro o l'argento da Roma e, secondo il bisogno o le circostanze, o lo coniava direttamente ponendovi il suo nome colla qualifica di "Dittatore", "Console", "Pretore", o quello generico di "Imperator", oppure lo faceva coniare dal "Questore" o dal "Proquestore"; e tali moente servivano per tutto il territorio soggetto alla sua giurisdizione.>>

* F. Gnecchi, Op. Cit. pagg. 27-28 << Il tipo semplice di queste monete (i denarii) con rappresentazioni ispirate unicamente dalla Divinità e dall'autorità dello stato, dura fino verso l'anno 600 di Roma (154 a.C.), allorchè, venendo affidata la coniazione delle monete ai triumviri monetarii i tipi si moltiplicarono all'infinito [...]. Le successive modificazioni di tipi avevano anche lo scopo di togliere ogni confusione fra i denari nuovi e i vecchi ancora in circolazione, perchè giova notare che nel 610 (144 a.C.) il valore del denaro viene portato a 16 assi e conseguentemente a 8 quello del quinario e a 4 quello del sesterzio. Sui denari di quest'epoca si vede sovente la cifra XVI (16 assi).>>

Modificato da Caio Ottavio
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Al fine di tentare di capire qualche cosa in più circa prestiti privati e sostentamento dell'aerarium posto questo intervento che tende a riassumere alcuni concetti presenti nel capitolo "Aerarium: I cittadini e le finanze pubbliche" dell'opera di Claude Nicolet, "Il mestiere di cittadino nell'antica Roma" [Editori Riuniti, 1980], testo illuminante che, in lingua italiana, è purtroppo di difficile reperibilità.

Per prima cosa va sottolineato che il tributum, un'imposta proporzionale relativa alle proprietà del cittadino e prelevata solo in caso di necessità, non fu mai soppresso ma, dalla sconfitta di Perseo del 167, fu semplicemente sospeso e, all'occorrenza, le autorità avrebbero avuto tutto il diritto di ricorrere nuovamente a questa forma di tassazione straordinaria. Riporto testualmente: "I romani dunque sapevano che erano dispensati dall'imposta diretta soltanto nella misura in cui il Tesoro era ben alimentato e ben amministrato".

Se in tempi prosperi anche in caso di guerra il cittadino romano era esentato dal pagamento del tributum va ricordato che le esenzioni erano applicate a proprietà nell' ager Romanus fino all'89 e su tutto il suolo italico dopo. I cittadini romani aventi proprietà al di fuori di questi territori erano regolarmente sottoposti al fisco, che gravava, com'è noto, principalmente sulle province. Ai vectigales aggiungiamo poi i diritti di dogana, di pascolo, pedaggi, monopoli ed altri prelievi che di certo contribuivano all'approvvigionamento dell'aerarium.

Dopo il 167 si ricorse al tributum solo nel 43 (per sette anni), sotto il consolato di Irzio e Pansa e ciò fa supporre che nel periodo compreso fra queste date l'aerarium fu sufficientemente alimentato. Punto di riflessione è, ad esempio, il periodo della Guerra Sociale, che sfociò appunto nell'estensione dell' ager Romanus a tutta l'Italia peninsulare a sud del Po, relativi sgravi fiscali inclusi. C'è ora da domandarsi come Roma, per giunta priva del sostegno tributario italico, riuscì a sostenere le spese di guerra senza ricorrere al tributum.

L'eredità di Tolomeo poco ci interessa, essendo essa arrivata a Roma non prima dell'88 e monetata, secondo il Crawford nell'86-85 o, secondo il Pedroni, tra l'88 e l'87.

Qui mi riallaccio brevemente alla discussione di Caio Ottavio, a cui va indiscutibilmente il merito di aver affrontato un argomento così complesso, allo scopo di fare una precisazione. La Lege Papiria de Assis Pondere (o de Aere Publico) del 91 (secondo Crawford), citata da Plinio (N.H., XXXIII, 46), non va confusa con la Lex Plautia Papiria de Civitate Sociis Danda dell'89. La prima ufficializza la riduzione semionciale e reintroduce l'emissione di sesterzi, la seconda, ben più importante per tutti i non numismatici, estende, quale ampliamento ed integrazione della Lex Iulia de Civitate Latinis Danda del 90, la cittadinanza romana agli italici a seguito della guerra sociale. Cronologicamente prossime (Catalli propone come possibile datazione della legge monetaria l'anno 89, il medesimo della legge sociale) ma differenti nella sostanza, è comunque assai facile fare confusione.

Chiarito questo aspetto è certo che dal 91 all'88 Roma si trovò in gravi difficoltà e ciò è dimostrato dalla nuova riduzione ponderale dell'asse; tuttavia non si ricorse al tributum.

Una probabile spiegazione a questo mancato prelievo potrebbe essere identificata con la volontà di non alimentare ulteriormente le forti tensioni sociali presenti nella stessa Roma, ma resta il fatto che l'Urbe, in un modo o nell'altro, senza tributum e senza il supporto finanziario degli italici, riuscì ugualmente a portare avanti il conflitto. Ricordiamo poi che stiamo già entrando negli anni della guerra civile. E' in questi momenti di difficoltà che andrebbe probabilmente inquadrato un eventuale approvvigionamento di metallo di fornitura privata e, per trovare la genesi di tale pratica, dobbiamo tornare ad un precedente momento critico della Roma repubblicana, ovvero il periodo della guerra annibalica.

Tutto nasce nel 210, come conseguenza del doppio tributum richiesto per il 215 e del provvedimento del 214 che, per far fronte alle spese straordinarie non previste in precedenza, impose l'obbligo a ciascun cittadino di fornire un determinato numero di schiavi (proporzionale al censo), da impiegare per la flotta, con relativo soldo per un anno (Livio, XXIV, 11, 7-9).

Dopo oneri così gravosi un'ulteriore richiesta fu accolta, nel 210, con un accesissimo rifiuto, che obbligò i consoli a prendere tre giorni di tempo al fine di trovare una soluzione alternativa (Livio, XXVI, 36, 4-9). A questo punto il console Marco Valerio Levino propose:

"Così come i magistrati sono superiori al senato in dignità, e il senato al popolo, così essi devono essere i primi a sopportare gli svantaggi e gli oneri. Se voi volete imporre qualcosa a un inferiore, e se prima avete imposto lo stesso obbligo a voi stessi e ai vostri, troverete tutti disposti a sottomettersi. E l'onere non apparirà loro pesante, se vedranno tutti i principali cittadini assumersene una parte maggiore di quella che spetta loro. Dunque [se vogliamo equipaggiare una flotta] e che i cittadini forniscano dei rematori senza resistenze, cominciamo con l'imporre una parte dell'onere a noi stessi" (Livio, XXVI, 35, 2-5).

A tale arringa seguirono poi delle proposte concrete e precise, ovvero la consegna di tutto l'oro e l'argento da parte dei senatori (eccezion fatta per qualche anello, per le bolle dei bambini, le falere degli antichi magistrati curuli e qualche vasellame per i sacrifici); a ciascun senatore fu concesso di conservare al massimo una libbra d'argento e cinquemila assi come padre di famiglia. Tutto il resto fu consegnato allo scopo di sollecitare l'emulazione dell'ordine equestre prima e della plebe poi (Livio, XXVI, 36, 6-9).

Ecco il sostanziale cambiamento, dal tributum imposto ed obbligatorio si passò ad un "prestito volontario". Va da sé che in tale situazione i ceti medio bassi, già impoveriti dai prelievi del 215 e del 214, poco avevano da dare e, di fatto, il contributo volontario proposto da Levino andò ad interessare principalmente i ceti alti e medio alti.

Così come il tributum, anche questa nuova forma di prestito prevedeva, negli anni a seguire e ad emergenza rientrata, il rimborso, che iniziò ad essere corrisposto a partire dal 204, in tre pensiones (204, 202, 200). Il terzo pagamento, quello del 200 (Livio, XXXI, 13, 3-9), fu corrisposto, almeno in parte, nella forma delle trientabula, ovvero in terre prese dall' ager publicus. Lo Stato manteneva la proprietà sui terreni ed il beneficiario poteva godere dei benefici del loro sfruttamento pagando un vectigal simbolico di irrisoria entità. E' qui che inizia la speculazione ed è qui che iniziamo a comprendere la natura del tornaconto dei prestiti privati verso lo Stato.

Riporto testualmente dal Nicolet: "E se malgrado ciò [con riferimento al successivo trasferimento degli oneri fiscali sulle province] lo Stato avrà bisogno ancora di fare appello ai propri cittadini, lo farà sotto forma di prestiti che risulteranno un buon affare per tutti."

Da tutto questo personalmente ricavo:

1. Il prestito dei privati nei confronti dello Stato trova nelle fonti solidi riscontri e, al tempo stesso, abbiamo capito la natura del tornaconto di una simile azione.

2. Vedo in tale pratica caratteristiche di straordinarietà. Che tutto il monetato del periodo repubblicano derivi da prestiti privati mi lascia piuttosto perplesso.

Gli interrogativi sono ancora molti ed altrettanto numerose sono le variabili. Ad ogni modo abbiamo fino ad ora approfondito degli importanti meccanismi, fondamentali per l'indagine in questione.

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