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TRIENTE DI TEATE DA FIRENZE

Grazie all’intelligente e lungimirante iniziativa del Medagliere del Museo di Firenze è possibile esaminare e analizzare determinati esemplari ivi presenti.

Colgo l’occasione per mostrare un esemplare emesso da Teate (Firenze, inv. 36141) del diametro di 25 mm e peso di 19,48 g.

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Esso era già stato esaminato da Alessandro Guidarelli e pubblicato sul RIN del 2010 in un articolo intitolato “Identificazione di due monete apule dalle originali caratteristiche” (in particolare, paragrafo 2.1: “Una quatruncia di Teate dal peso dubbio”).

La peculiarità di questo esemplare, di sicura autenticità, è data dal suo peso assai elevato per questa emissione con Testa di Atena/Civetta e K e quattro globetti (= 4 uncie).

Infatti il Guidarelli ha elencato altri esemplari noti per questa specifica emissione, nota già nel 1746 (Thomas Pembroke). Trascrivo l’elenco, ma riordinando secondo un ordine decrescente di peso e integrando con altri esemplari che ho rintracciato:

1) 14,00 g circa (diam. 25 mm): coll, privata (dal sito del forum:

)

2) 11,65 g (diam. 22-24 mm): coll, privata (fig. 5 del Guidarelli)

3) 11,60 g (diam. 27 mm): ex coll. Battista n. 6 (Museo di Foggia)

4) 10,89 g (diam. 23 mm): Londra, BMC 9

5) 10.62 g (diam. ? mm=): Copenhagen, SNG 694 (non illustrato)

6) 10.60 g (diam. 24 mm): Nomisma asta 22/2002, n. 3 (fig. 6 del Guidarelli)

7) 9,91 g (diam. 23 mm): Londra, SNG Morcom 229 (fig. 8 del Guidarelli)

8) 9,39 g (diam. 23-25 mm): Eugubium listino 13/2003, n. 8 (fig. 7)

9) 8,76 g (diam. 23 mm): Berlino, catalogo 1894, n. 12

10) ? : Napoli, Fiorelli 1866

11) ? : Napoli, Santangelo 2081

Si nota quindi un picco intorno a 11 g, ma richiamo l’attenzione all’esemplare n. 1, che non era noto al Guidarelli, in quanto di alto peso, anche se non meglio specificato e per di più mancante di un pezzo di metallo, per cui è possibile ipotizzare un pezzo intatto sui 16 g.

Il Guidarelli ha definito tale nominale come una quatruncia, presupponendo un sistema decimale, ampiamente attestato nell’Apulia nella seconda metà del III secolo a.C.

Per spiegare la “anomalia” ponderale dell’esemplare di Firenze, nettamente più pesante degli altri esemplari noti, il Guidarelli ha condotto una lunga disamina che può riassumersi in poche parole: si tratterebbe di uno dei primi esemplari di quatruncia emessi nella serie “pesante” di Teate per facilitare calcoli col sistema duodecimale di Roma.

Qui bisogna fare una importante chiarezza a proposito del sistema duodecimale romano (basato sull’asse di 12 uncie) e del sistema decimale apulo (basato sul nummus o destante di 10 uncie e sulla quincuncia di 5 uncie).

Come giustamente ha rilevato Vincenzo La Notte nel suo recente volume dedicato alla “Monetazione della Daunia” (in particolare sua pagina 66), in realtà non esiste una reale diversità tra i due sistemi, che altrimenti sarebbe veramente inconcepibile per un romano che si recava nelle colonie romane in Apulia, come Lucera e Venusia, anche in Teate, dove altrimenti sarebbe stato costretto a cambiare le proprie monete per fare acquisti.

L’errore (insito nell’articolo del Guidarelli) che si deve evitare è di immaginare che esista una libbra diversa tra Roma (di 327 g) e Teate (di 333 g) (cfr. pagina 94 dell’articolo di Guidarelli), implicando una suddivisione duodecimale per la libbra a Roma e una decimale per la libbra a Teate.

In realtà la prospettiva deve essere ribaltata. Roma, con la conquista dell’Apulia e dell’Italia meridionale, con il suo ben noto senso pratico ha UNIFORMATO il sistema monetario di bronzonelle sue varie riduzioni dal sestantale fino al semunciale.

Come?

Semplicemente uniformando il valore più basso e cioè la semuncia e l’uncia. In questa maniera, quando era entrato in vigore il sistema sestantale, prima delle sue graduali successive riduzioni, era prevista l’uncia di 4,55 g (derivante da 1/12 dell’asse di 48 scrupoli ossia 54,57 grammi).

I nominali immediatamente superiori, sestante, quadrante e triente, erano perfettamente identici sia col sistema duodecimale sia col decimale. Mentre i Romani moltiplicavano x 6 per arrivare al semisse e x 12 all’asse, gli Apuli semplicemente moltiplicavano x 5 per arrivare alla quincuncia e x 10 al destante (o nummus).

Di Notte correttamente scrive che “il sistema si presentava coerente perché la quincuncia apula non era altro che 5 volte superiore all’uncia romana e di conseguenza 5/12 parte dell’asse romano; il nummus era 10 volte l’uncia romana e di conseguenza la 10/12 parte dell’asse romano. Un cittadino dell’Urbe, che si recava in Apulia, sapeva esattamente che il suo asse equivaleva come peso e valore a 1 nummus apulo + 2 uncie apule (o romane, essendo uguali)”.

Fatta questa necessaria premessa, se ne deduce chiaramente che non sono corrette (anche perché fuorvianti) le denominazioni biuncia, teruncia e quatruncia, in quanto IDENTICHE rispettivamente al sestante, quadrante e triente.

Quindi la vera denominazione della moneta sopra illustrata deve essere un TRIENS (triente in italiano) e un peso sui 19 grammi si riconduce al pieno piede sestantale (teorici 4,55 g x 4 oppure 1/3 di 54,57 g = 18,19 g).

Naturalmente tale emissione dovrebbe porsi all’inizio del sistema sestantale a Teate, che però molto rapidamente subì una svalutazione o quanto meno una progressiva riduzione.

Senza essere troppo schematici, è possibile che l’asse di 48 scrupoli (asse sestantale) sia passato a 36 scrupoli (svalutazione ottantale, con asse pari a 40,93 g e quindi uncia di 3,41 g) e poi a 24 scrupoli (svalutazione unciale, con asse pari a 27,29 g e quindi uncia di 2,27 g).

In realtà già a partire dal piede sestantale la moneta romana ha assunto progressivamente un carattere fiduciario e non è raro trovare due assi coniati da una stessa coppia di conii (e quindi stesso diametro standard, definito dal circolo di puntini) ma con pesi diversi e quindi la riduzione ebbe un carattere progressivo ma anche variabile.

In questa ottica sembra ovvio concludere che gli altri esemplari noti del triente di Teate con K semplicemente sono stati emessi quando il piede sestantale aveva già iniziato la sua discesa ponderale. Moltiplicando x 4 l’uncia ottantale di 3,41 g otteniamo 13,64 g e l’uncia unciale di 2,27 g otteniamo 9,08 g, anche se in realtà, come già accennato si deve parlare più semplicemente di riduzione postsestantale con pesi abbastanza variabili, ma dimensioni grosso modo costanti (più che il diametro della moneta in toto, si dovrebbe lacolare il diametro standard dato dal bordo a puntini, che quindi doveva avere una sua funzione e non solo estetica).

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Inviato (modificato)

TRIENTE DI TEATE DA FIRENZE

....I nominali immediatamente superiori, sestante, quadrante e triente, erano perfettamente identici sia col sistema duodecimale sia col decimale. Mentre i Romani moltiplicavano x 6 per arrivare al semisse e x 12 all’asse, gli Apuli semplicemente moltiplicavano x 5 per arrivare alla quincuncia e x 10 al destante (o nummus).

La Notte correttamente scrive che “il sistema si presentava coerente perché la quincuncia apula non era altro che 5 volte superiore all’uncia romana e di conseguenza 5/12 parte dell’asse romano; il nummus era 10 volte l’uncia romana e di conseguenza la 10/12 parte dell’asse romano. Un cittadino dell’Urbe, che si recava in Apulia, sapeva esattamente che il suo asse equivaleva come peso e valore a 1 nummus apulo + 2 uncie apule (o romane, essendo uguali)”.

Fatta questa necessaria premessa, se ne deduce chiaramente che non sono corrette (anche perché fuorvianti) le denominazioni biuncia, teruncia e quatruncia, in quanto IDENTICHE rispettivamente al sestante, quadrante e triente.

Quindi la vera denominazione della moneta sopra illustrata deve essere un TRIENS (triente in italiano) e un peso sui 19 grammi si riconduce al pieno piede sestantale (teorici 4,55 g x 4 oppure 1/3 di 54,57 g = 18,19 g).

Naturalmente tale emissione dovrebbe porsi all’inizio del sistema sestantale a Teate, che però molto rapidamente subì una svalutazione o quanto meno una progressiva riduzione.

Senza essere troppo schematici, è possibile che l’asse di 48 scrupoli (asse sestantale) sia passato a 36 scrupoli (svalutazione ottantale, con asse pari a 40,93 g e quindi uncia di 3,41 g) e poi a 24 scrupoli (svalutazione unciale, con asse pari a 27,29 g e quindi uncia di 2,27 g).In realtà già a partire dal piede sestantale la moneta romana ha assunto progressivamente un carattere fiduciario e non è raro trovare due assi coniati da una stessa coppia di conii (e quindi stesso diametro standard, definito dal circolo di puntini) ma con pesi diversi e quindi la riduzione ebbe un carattere progressivo ma anche variabile.

In questa ottica sembra ovvio concludere che gli altri esemplari noti del triente di Teate con K semplicemente sono stati emessi quando il piede sestantale aveva già iniziato la sua discesa ponderale. Moltiplicando x 4 l’uncia ottantale di 3,41 g otteniamo 13,64 g e l’uncia unciale di 2,27 g otteniamo 9,08 g, anche se in realtà, come già accennato si deve parlare più semplicemente di riduzione postsestantale con pesi abbastanza variabili, ma dimensioni grosso modo costanti (più che il diametro della moneta in toto, si dovrebbe lacolare il diametro standard dato dal bordo a puntini, che quindi doveva avere una sua funzione e non solo estetica).

Tutto perfetto!!!

L'unica notazione che mi sento di fare è che mentre la riduzione sestantale e onciale sono attestati per via letteraria, quella ottantale no.

Credo che il processo di svalutazione de facto inizi immediatamente e progressivamente dopo la produzione monetale di un determinato valore. Cioè dopo il raggiungimento della quota sestantale, nel caso specifico, si passa immediatamente a una fase post-sestantale...ecc. ecc., non legata a una riduzione specifica, cioè frutto di una volontà apriori(o attestazione di una situazione di fatto, comunque cosciente).

La definizione delle riduzioni con i corrispettivi valori nominali standard(sestantale, onciale e semionciale)è piuttosto convenzionale(già voluta in antico) e legato appunto al fatto che questi valori sono presenti nella scala nominale romana.

Per tal ragione, più che di riduzione(peso se riferito all'esemplare) ottantale, manterrei la dicitura "di peso sestantale calante all'onciale", in quanto legato non a una particolare riduzione, ma al naturale processo svalutativo.

Altrimenti dovremmo definire per OGNI valore REALE dei pesi delle monete giunte fino a noi una scala nominale corrispondente, creando riduzioni settantali, ottantali, nonantali, decimali e così via.

In conclusione, la moneta postata in foto credo che possa essere così definita:

"TRIENTE, di riduzione sestantale calante all'onciale", perfettamente uniformato alla scala nominale romana del coevo periodo.

Saluti,

Vincenzo.

Modificato da Vincenzo

Inviato

Come giustamente ha rilevato Vincenzo La Notte nel suo recente volume dedicato alla “Monetazione della Daunia” (in particolare sua pagina 66), in realtà non esiste una reale diversità tra i due sistemi, che altrimenti sarebbe veramente inconcepibile per un romano che si recava nelle colonie romane in Apulia, come Lucera e Venusia, anche in Teate, dove altrimenti sarebbe stato costretto a cambiare le proprie monete per fare acquisti.

L’errore (insito nell’articolo del Guidarelli) che si deve evitare è di immaginare che esista una libbra diversa tra Roma (di 327 g) e Teate (di 333 g) (cfr. pagina 94 dell’articolo di Guidarelli), implicando una suddivisione duodecimale per la libbra a Roma e una decimale per la libbra a Teate.

In realtà la prospettiva deve essere ribaltata. Roma, con la conquista dell’Apulia e dell’Italia meridionale, con il suo ben noto senso pratico ha UNIFORMATO il sistema monetario di bronzo nelle sue varie riduzioni dal sestantale fino al semunciale.

Rileggendo il post(ho piacere di farlo per post così ben strutturati), mi sento di fare un'ulteriore notazione, o meglio di esplicitare qualcosa che il caso particolare (TEATI)può sottindendere.

L'adeguamento totale al sistema romano, per il caso specifico avviene dalla riduzione sestantale dell'asse romano, perchè Teati utilizza precedentemente a questa riduzione, monete di taglio greco e osco prima.

Per quanto concerne le colonie Luceria e Venosa, tale adeguamento, avviene prima, a seconda dell'epoca di fondazione della colonia stessa.

Nello specifico tale adeguamento per le due colonie avviene con la riduzione semilibrale dell'asse romano.


Inviato

Ringrazio Vincenzo per le opportune puntualizzazioni.

In effetti la riduzione ottantale non è attestata da alcuna fonte: l'avevo accennata in quanto poteva esistere come una possibile tappa di riduzione, ma in realtà solo molto teorica.

Le riduzioni postsestantali sono molto diffuse in tutta l'Italia meridionale e anche in Sicilia dopo l'occupazione romana e appaiono piuttosto rapide e anche variabili, senza possibilità di identificare precisi picchi ponderali, anche all'interno di una specifica emissione, come d'altronde capita in una economia ormai di emergenza bellica e fiduciaria.

Concordo con l'importante precisazione:

"TRIENTE, di riduzione sestantale calante all'onciale, perfettamente uniformato alla scala nominale romana del coevo periodo".

Quello che volevo evidenziare nel mio intervento è che è sbagliato separare il sistema monetario romano (duodecimale) da quello apulo (decimale). Ovviamente stiamo parlando di una fase storica ed economica in cui le zecche apule hanno abbandonato il precedente sistema greco per appunto uniformarsi a quello romano. Giustamente Vincenzo ha evidenziato che alcune zecche apule, come Luceria e Venusia, si sono uniformate al sistema romano già durante la fase della riduzione del piede semilibrale, altre, come Teate, un poco più tardi, al momento dell'introduzione del sistema sestantale (poi rapidamente degradato).


Inviato (modificato)

Ringrazio Vincenzo per le opportune puntualizzazioni.

In effetti la riduzione ottantale non è attestata da alcuna fonte: l'avevo accennata in quanto poteva esistere come una possibile tappa di riduzione, ma in realtà solo molto teorica.

Le riduzioni postsestantali sono molto diffuse in tutta l'Italia meridionale e anche in Sicilia dopo l'occupazione romana e appaiono piuttosto rapide e anche variabili, senza possibilità di identificare precisi picchi ponderali, anche all'interno di una specifica emissione, come d'altronde capita in una economia ormai di emergenza bellica e fiduciaria.

Concordo con l'importante precisazione:

"TRIENTE, di riduzione sestantale calante all'onciale, perfettamente uniformato alla scala nominale romana del coevo periodo".

Quello che volevo evidenziare nel mio intervento è che è sbagliato separare il sistema monetario romano (duodecimale) da quello apulo (decimale). Ovviamente stiamo parlando di una fase storica ed economica in cui le zecche apule hanno abbandonato il precedente sistema greco per appunto uniformarsi a quello romano. Giustamente Vincenzo ha evidenziato che alcune zecche apule, come Luceria e Venusia, si sono uniformate al sistema romano già durante la fase della riduzione del piede semilibrale, altre, come Teate, un poco più tardi, al momento dell'introduzione del sistema sestantale (poi rapidamente degradato).

Non mi resta che quotare. Non c'è nulla da aggiungere.

Sempre precisi e interessantissimi i post di Acraf.

Vincenzo.

P.S. Mi associo, ovviamente, ai complimenti per il lavoro condotto dal Monetiere di Firenze, sperando al più presto nella pubblicazione cartacea di un SNG, Firenze.

Modificato da Vincenzo

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