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In ambito numismatico il "mito romano" tende ad essere letto secondo i tipici parametri della ben più nota mitologia greca e ad essere inteso, senza i fondamentali distinguo, quale prodotto di una troppo generica teologia greco-romana.

Se ai più le sostanziali differenze cultuali e ritualistiche esistenti tra la religione greca e quella romana sono note, già in opere di tipo divulgativo, scolastico e manualistico, le problematiche riguardanti la sola ed esclusiva mitologia romana vengono o ignorate oppure impostate seguendo teorie oggi completamente superate(1). Se definizioni quali "a-mitica", "pre-mitica", "demitizzata", attribuite nel tempo da storici ed antropologi all'antica religione romana, sono familiari a chi ha affrontato in dettaglio l'argomento, le stesse non possono di certo essere considerate come facenti parte dell'attuale cultura collettiva. Tali carenze rappresentano, sostanzialmente, la causa per cui, in contesti non specialistici, determinate formulazioni tendono ad apparire di difficile comprensione o di poco chiara struttura, con ripercussioni inevitabilmente avvertibili anche in ambito numismatico.

Al fine di affrontare, seppur in modo non certo esaustivo, problematiche di questo tipo, è possibile attingere dalla fonte numismatica un caso, tra tanti, particolarmente interessante, ovvero quello del denario emesso da Caius Memmius, databile al 56 a.C.

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[Gemini, LLC - Auction V, L. 240 (06.01.2009)]

Al dritto vi è la testa laureata del dio Quirino mentre, al rovescio, il campo è occupato dalla figura seduta e velata di Cerere, arricchita e caratterizzata dai suoi attributi.

Per quanto concerne il dritto non di rado si accenna all'associazione Quirino-Romolo e, concordemente alle fonti letterarie a noi pervenute, alle problematiche riguardanti questa figura apparentemente sincretica, che fonde un antico dio funzionale all'ormai divinizzato fondatore. E' però di primaria importanza contestualizzare tali affermazioni che, è bene specificarlo, non vanno intese come moderne edificazioni.

"Romulum quem quidam eundem esse Quirinum putant" (Romolo, che alcuni ritengono essere Quirino stesso) (2) sono le parole, permeanti incertezza, usate da Cicerone al fine di citare, primo tra le fonti note, un'associazione evidentemente viva nel periodo tardo repubblicano ma nondimeno caratterizzata da tratti piuttosto fumosi.

Figura sincretica allo stato primordiale e dunque ancora scarsamente definita oppure, al contrario, fenomeno riconducibile a quel patrimonio religioso arcaico di cui, ai tempi di Cicerone, si era quasi persa memoria?

L'Alteri(3) ci riassume le interpretazioni proposte dai numismatici in merito alla questione esponendo, alla prima voce del capitolo trattante i ritratti di personalità leggendarie e storiche, proprio il denario di C. Memmius ed il relativo ritratto di Romulus-Quirinus ove, quasi in contrasto con l'esplicita legenda QVIRINVS presente sulla moneta stessa, nell'associazione viene privilegiato ed anteposto il nome di Romolo a quello del dio. Nella breve lettura del paragrafo emergono pareri discordanti, ovvero quello del Bernoulli, che identifica il prototipo del soggetto monetale del dritto con la statua togata di Romolo sul Campidoglio e quello del Crawford, che vede nel ritratto, concordemente alla legenda, il dio sabino Quirino, etichettando altresì come irrilevante la sua associazione con il fondatore di Roma(4).

Definire errate tali interpretazioni è decisamente inopportuno ma, al tempo stesso, vuoi per la complessità del problema, vuoi per la continua evoluzione delle metodologie d'indagine, è ravvisabile in esse un'essenzialità, a tratti elusiva, da cui traspare una certa reticenza nel recepire i risultati portati dagli studi comparativi sulla storia delle religioni.

Nel caso specifico ci troviamo di fronte a due figure decisamente diverse tra loro, soprattutto se inquadrate nei contesti che ci hanno permesso di conoscerne i tratti fondamentali. Per quanto riguarda la figura di Quirino è il Brelich a fornirci un validissimo quadro riepilogativo(5) che ci induce, inequivocabilmente, a collocare questa divinità nel sistema religioso proprio della Roma arcaica. Il tempio di Quirino è infatti tra i più antichi di Roma(6) ed al culto della divinità era preposto un particolare sacerdote, il flamen Quirinalis(7), terzo in ordine di rango dopo il flamen Dialis e il flamen Martialis. La tradizione attribuisce a Numa Pompilio l'istituzione dei tre flamines maiores(8), così come di antica origine paiono essere le particolari prescrizioni cui queste tre figure sacerdotali dovevano sottostare(9). La notevole importanza attribuibile alle divinità della triade arcaica Giove, Marte, Quirino e, di riflesso, ai rispettivi flamini, è altresì avvalorata dal destino riservato alle sole tre spoglie opime conquistate dai romani, che furono consacrate la prima a Giove Feretrio, la seconda a Marte e la terza a Quirino(10).

Circa la funzionalità specifica del terzo dio della triade, grazie a Stazio e a Livio siamo a conoscenza di un rapporto, piuttosto enigmatico, tra Quirino e le armi sacre utilizzate dall'antico collegio sacerdotale dei Salii(11) e, grazie a Varrone, ad Ovidio, a Festo e a Plutarco, ci è noto che i Quirinalia, celebrati il 17 febbraio, rappresentavano la data ultima per la celebrazione dei Fornacalia, antica cerimonia propria delle singole curiae(12). Purtroppo null'altro ci è stato riportato circa la festività di febbraio dedicata al dio e lo stesso vale per la funzione del flamen Quirinalis in rapporto con il culto specifico di Quirino; sappiamo tuttavia che questo sacerdote ricopriva ruoli non secondari in occasione di altre antiche festività, compiendo infatti sacrifici in occasione dei Robigalia del 25 aprile(13), dei Consualia del 21 agosto(14) e dei Larentalia del 23 dicembre(15).

Nei rituali dedicati a Quirino è invece attestato il ruolo del flamen Portunalis, un flamine minore che, in un'imprecisata occasione, doveva ungere le armi del dio(16) ; un certo rapporto tra il terzo dio della triade arcaica e Portumno pare anche essere confermato dal fatto che i Portunalia del 17 agosto cadono a sei mesi esatti dai Quirinalia del 17 febbraio.

Figure divine quali Hora Quirini, Mars Quirini o Ianus Quirini, il sacrificio "QVIR IN COLLE" nei Volcanalia del 23 agosto, il probabile natale di un tempio di Quirino celebrato il 29 giugno e le scarse fonti epigrafiche a disposizione, doverosamente citate dal Brelich(17), in questa fase possono essere poste in secondo piano anche se, più in là, su alcune di queste tracce sarà doveroso ed importante tornare. Per ora è meglio non mettere troppa carne al fuoco e, per prima cosa, è importante provare a capire la natura di Quirino: dio della guerra, come suggerirebbero sia i legami col collegio dei Salii che l'oggetto dell'azione del flamen Purtunalis? Oppure dio agricolo, rappresentante della terza funzione duméziliana, come suggerirebbero sia il legame Quirinalia-Fornacalia che l'azione del flamen Quirinalis in occasione di altre festività?

Al fine di fornire qualche aiuto utile a dare il via ad una spero interessante discussione, posso dire che ho volutamente omesso un altro indizio, di tipo etimologico, facilmente reperibile anche online e che, fino ad ora, ho solo accennato alla figura di Romolo, il cui mito è decisamente più conosciuto. Attinente al discorso esiste poi un altro denario che, pur non rivelandoci nulla di nuovo, sarebbe comunque interessante mettere in evidenza.

La discussione è indubbiamente pesante, ma garantisco che, con un po' di impegno, sarà possibile mettere in luce aspetti relativi alla cultura ed alla religione romana che ci porteranno ad osservare particolari soggetti monetali sotto un'altra luce (tale "metodologia d'indagine" può infatti essere applicata a numerose altre emissioni repubblicane).

Forza e coraggio! Ci sono più modi per dare continuità al discorso e, con molta probabilità, ciascuno di questi nasconde un fondo di verità utile a portarci verso la retta via.

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(1) Ubaldo Lugli, Miti velati dell'antica Roma, pp. 9-11.

(2) Cicerone, De Natura Deorum, II, 62.

(3) Giancarlo Alteri, Tipologia delle monete della repubblica di Roma, pp. 197-198.

(4) Michael H. Crawford, Roman repubblican coinage, pp. 451-452.

(5) Angelo Brelich, Quirinus, una divinità romana alla luce della comparazione storica, annesso all'edizione di Tre variazioni romane sul tema delle origini curata da Andrea Alessandri, pp. 181-186.

(6) Plino, Naturalis Historia, XV, 120: "inter antiquissima namque delubra habetur Quirini...".

(7) Gaio, Institutiones, I, 112: "flamines maiores, id est Diales, Martiales, Quirinales...".

(8) Livio, Ad Urbe condita, I, 20: "Huic (al flamine di Giove) duos flamines adiecit, Marti unum, alterum Quirino...".

(9) Tacito, Annales, III, 58: "non licere Dialibus egredi Italia neque aliud ius suum quam Martialium Quirinaliumque flaminum"; Festo, De Verborum Significatione -Lindsay 292-: "•Praeciamitatores• dicuntur qui flaminibus Diali, Quirinali, Martiali antecedentes exclamant feriis publicis, ut homines absticant se opere, quia his opus facientem videre religiosum est".

(10) Servio, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, VI, 859: "(Numa) praecepit prima opima spolia Iovi Feretrio debere suspendi, quo iam Romulus fecerat; secunda Marti, quod Cossus fecit; tertia Quirino, quod fecit Marcellus" (simile anche in Plutarco, Marcellus, 8).

(11) Stazio, Silvae, V, 2, 129: "...umeris quatere arma Quirinus, qui tibi iam tenero permisit plaudere collo nubigenas clipeos intactaque caedibus arma"; Livio, Ad Urbe condita, V, 52: "Quid de ancilibus vestris, Mars Gradive tuque, Quirine pater".

(12) Varrone, De Lingua Latina, VI, 13:"Quirinalia a Quirino, quod ei deo feriae et eorum hominum, qui Furnacalibus suis non fuerunt feriati"; Ovidio, Fasti, II, 513-514:"Lux quoque cur eadem stultorum festa vocetur accipe: parva quidem causa, sed apta subest", 527-532: "curio legitimis nunc Fornicalia verbis maximus indicit nec stata sacra fecit: inque foro, multa circum pendente tabella, signatur certa curia quaeque nota, stultaque pars populi quae sit sua curia nescit, sed facit extrema sacra relata die" (simile anche in Festo, De Verborum Significatione -Lindsay 304- e in Plutarco, Quaestiones Romanae, 89).

(13) Ovidio, Fasti, IV, 907-910: “flamen in antiquae lucum Robiginis ibat, exta canis flammis, exta daturus ovis. protinus accessi, ritus ne nescius essem; edidit haec flamen verba, Quirine, tuus...”.

(14) Gellio, Noctes Acticae, VII, 7, 7: “Ob id meritum a flamine Quirinali sacrificium ei publice fit et dies e nomine eius in fastos additus”.

(15) Tertulliano, De Spectaculis, 5, 7: “sacrificant apud eam nonis Iuliis sacerdotes publici, XII. Kalend. Septembres flamen Quirinalis et virgines”.

(16) Festo, De Verborum Significatione (Lindsay 238): “•Persillum• vocant sacerdotes rudiculum picatum quo ungine flamen Portunalis arma Quirini unguet”.

(17) Angelo Brelich, Quirinus, una divinità romana alla luce della comparazione storica, annesso all'edizione di Tre variazioni romane sul tema delle origini curata da Andrea Alessandri, pp. 186-188.

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Carandini ("La nascita di Roma", "Remo e Romolo" si dilunga molto su questo importante dio. Secondo lui (scusatemi se sintetizzo una ricerca lunga e complessa) Quirino era il dio principale dei Quiriti, organizzati in Curie: tutti e tre i nomi derivano da C-Vir, ossia da *Co-vir, simile a cum-vir; fanno, cioè, riferimento a riunioni di uomini, le Curie appunto.

Secondo Carandini quindi Quirino non era un generico dio saboino, ma il dio dei primi abitatori del sito di Roma, i Quiriti appunto, che (prima dell'atto di fondazione occupavano l'area dei montes-colles organizzati in curie; infatti, in epoca storica un'antica formula sacrale diceva ancora "Senatus [et] Populus Romanus [et] Quirites", ladove Populus significa esercito. Questa formula include quindi il potere politico dei Patres, l'esercito che fa capo al re (e quindi al Palatino inaugurato, e quindi alla "città" di Roma: di qui l'aggettivo Romanus) e la generalità dei sudditi, i Quiriti appunto. Nel prosieguo la formula diverrà Senatus [et] Populus Quiritium [et] Romanorum; poiché infine si perse memoria di cosa fossero esattamente i "Quiriti" (in epoca storica questo sostantivo indica, in modo altisonante, i Romani), si approderà al ben noto Senatus PopulusQue Romanus, SPQR appunto.

Ma c'è di più. Quirino non sarebbe stato in origine un sostantivo, bensì un aggettivo: più precisamente, sarebbe stato un attributo di Giano, primo mitico abitatore del sito di Roma (sul Gianicolo) e prima vera divinità "superiore" degli Indoeruropei stanziati attorno alle rive del Tevere. Da qui, l'esistenza di un antichissimo monumento (una porta, se ben ricordo) dedicato a Ianus Quirinus. Se poi ai tempi della tarda repubblica l'iconografia di Giano diverge da quella di Quirino, è perché, come detto, delle origini quiritarie, e delle connesse tradizioni, si è persa memoria.

In quest'ottica, e tenuto conto dell'estrema antichità di queste credenze, la contrapposizione dio-guerriero e dio-agricolo perde significato: il sommo protettore poteva essere invocato tanto in tempo di guerra quanto in tempo di pace. Del resto, la sclerotizzazione delle associazioni dio-funzione sarebbe un fenomeno tardo, influenzato dall'Ellenismo.

Per quanto attiene a Romolo, della cui storicità Carandini è convinto, l'archeologo è convinto che sia più risalente e, quindi, più "autentica" la leggenda che lo vuole smembrato e seppellito un pezzo in ciascuna delle curie: una forma magico-simbolica di riappropriazione del potere regale.


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L'intervento di Lucullo ha colto pienamente nel segno. Mi preme ora spendere qualche parola su alcuni concetti appena messi in luce.

In quest'ottica, e tenuto conto dell'estrema antichità di queste credenze, la contrapposizione dio-guerriero e dio-agricolo perde significato: il sommo protettore poteva essere invocato tanto in tempo di guerra quanto in tempo di pace. Del resto, la sclerotizzazione delle associazioni dio-funzione sarebbe un fenomeno tardo, influenzato dall'Ellenismo.

Questo giudizio va sottolineato e meglio chiarito. Giustamente, non sono infatti le divinità funzionali ad essere considerate quale frutto dell'influenza greca, ma lo sono invece le "sclerotizzazioni" ad esse riferibili, che hanno portato il conservatorismo romano a chiudersi sui propri principi al fine di moderare o respingere pratiche e culti, di stampo ellenico, ritenuti indegni e non conformi al mos.

Tale fenomenologia, che così descritta è propria del periodo romano repubblicano, può trovare riscontri anche in ambito italico e protolatino, con radici che affondano quindi nella tarda protostoria? Difficile proporre incontestabili prove, soprattutto per i complessi problemi di stratificazione etnica che, ad oggi, rappresentano un fronte aperto della moderna archeologia.

E' però utile fissare delle "espressioni convenzionali" che, pur se discutibili in termini assoluti, ci consentiranno di evitare fraintendimenti.

Per fare questo sfrutterei un altro quadro riassuntivo, questa volta del Devoto(1), utile a sintetizzare la situazione.

In Italia, agli albori della storia, è possibile distinguere tre componenti fondamentali: una preindoeuropea, una protolatina ed una italica.

Circoscrivendo il discorso ad un'area geografica limitata, alla prima componente apparterrebbero gli Etruschi e, forse, i proto-Umbri ed i Piceni, alla seconda gli originari populi Albenses (i futuri Latini) ed i difficilmente collocabili Ausoni-Aurunci, alla terza i Sabini, i neo-Umbri, i Sanniti, gli Osci e le popolazioni delle minori stirpi sabelliche (Marsi, Peligni e Marrucini, Ernici, Equi e Volsci).

In tarda fase protostorica, le differenti realtà proprie delle aggregazioni protolatine ed italiche sono spiegabili in quanto prodotto delle migrazioni di due differenti stirpi indoeuropee, le cui permeazioni su suolo italico sarebbero avvenute in periodi diversi, interessando aree diverse.

Il retaggio indoeuropeo, rintracciabile sia nelle aggregazioni protolatine che in quelle italiche, si traduce in una mancanza di omogeneità causata da differenze di sostrato, ancor meglio giustificabili se tra le variabili si includono probabili influssi ellenici, anche di etrusca mediazione.

Sclerotizzazione dell'associazione dio-funzione oppure contatto tra realtà che interpretavano le funzionalità divine in modi differenti concependo, ad esempio, chi triadi divine e chi dei polifunzionali? In ottica dinamica potrebbero essere vere entrambe le cose, parzialmente o totalmente a seconda dello specifico contesto temporale e territoriale preso in esame (si pensi ad esempio alla triade iguvina e alla Giunone Lanuvina).

Mi pare che anche il Carandini accetti implicitamente il sinecismo protolatino-italico, o latino-sabino, proprio della Roma in formazione. Secondo le sue teorie all'insediamento pre-urbano ne segue uno proto-urbano, non riconosciuto dalla storiografia ufficiale e caratterizzato dall'inglobamento dei colles da parte dei montes (Septimontium)(2). La formazione del Septimontium esteso (quindi formato da montes e colles) è datato dalla storiografia tradizionale alla prima età regia, mentre per il Carandini tale forma di associazione è anteriore al 775 a.C.

L'organizzazione in curie è applicabile a tale contesto, non ancora urbano, ma definibile come aggregato non centralizzato di quartieri.

Resto in attesa di eventuali correzioni, osservazioni o puntualizzazioni in merito (sempre bene accette), per poi proseguire sulla base delle numerose e preziose indicazioni poste in evidenziate da Lucullo.

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(1) Giacomo Devoto, Gli antichi Italici (anche in Dei e miti italici di Renato Del Ponte)

(2) Andrea Carandini, Roma. Il primo giorno, pp. 5-33

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