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IGNORED

Gaius Asinius Gallus.


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Salve a tutti. Come anticipato dalla descrizione che accompagna il titolo di questa discussione, vorrei trattare di un noto personaggio della prima dinastia imperiale romana, una delle mie preferite, dal punto di vista storico, soprattutto. Gaio Asinio Gallo era figlio di uno degli uomini politici più importanti e in vista della Res Publica che rispondeva al nome di Gaio Asinio Pollione. Lo ritroviamo con Cesare, Marco Antonio e, infine, riuscì ad ottenere una buona posizione sotto il suo rivale, Ottaviano Augusto. Grazie alla sua capacità di arrampicatore sociale riuscì ad approfittare della situazione politica travagliata di questo periodo per riuscire a ritagliarsi un posto quantomeno indipendente nel nuovo assetto governativo di Roma: il Principato di Augusto. Pollione fu ricordato in particolar modo come oratore e autore di carmi e poesiole che, in primo momento, attirarono critiche fortemente negative da parte del famosissimo Virgilio. Ma, in un secondo momento, il poeta latino lodò l'attività letteraria di Asinio Pollione. Perché questo cambiamento di opinioni da parte di uno dei più famosi scrittori della classicità? Semplice: Virgilio possedeva degli appezzamenti di terreno nei pressi della sua città natale, nelle campagne di Mantova, a cui era molto legato (sembra che fosse l'eredità paterna). Pollione fu incaricato dallo stesso Augusto di provvedere al congedo dei veterani che avevano combattuto per lui nella recente guerra civile. La questione dei veterani era un problema serio che affliggeva Roma fin dai tempi di Cesare e di Gaio Mario, il grande riformatore delle legioni, nonchè zio dello stesso Giulio Cesare. Ebbene, Pollione doveva sgomberare i vasti territori della pianura nei pressi di Mantova e dintorni per frazionarli e consegnarli come dono di congedo ai veterani. Naturalmente questa situazione non era favorevole per Virgilio che, per tenersi le sue proprietà, strinse amicizia con l'inviato di Augusto, riuscendo nel suo intento. Il successo, tuttavia, era solo apparente: una seconda ondata di congedi non risparmiò i terreni di Virgilio che gli furono strappati assieme al loro carico di ricordi. Quindi, il padre del nostro Gallo, fu un politico, un militare e un letterato di grande spessore, nonostante venga dipinto come un uomo poco disponibile e tutt'altro che ben disposto nei confronti dei suoi sottoposti. Sulle orme del genitore, anche Asinio Gallo, di cui non si conosce la data precisa (alcuni propendono per l'anno 41 a.C.) nè il luogo di nascita, intraprese la carriera politica e, conseguentemente, oratorio-letteraria. Infatti, ci rimane la notizia che fu l'autore di un libro dal titolo "De comparatione patris et Ciceronis", in cui dava la palma oratoria al padre, come se si fosse trattato di una gara di eloquenza tra il padre, che, a quanto pare, teneva in grande considerazione, e Cicerone, l'altro grande politico, primo oratore nell'Urbe, unico ostacolo per la carriera oratoria di Asinio Pollione. Con quest'opera, anadata perduta, suo figlio Gallo tenta quasi di riscattarlo mettendolo al di sopra del suo "concorrente" e facendolo uscire vincitore dalla disputa - cosa che nella realtà storica sarebbe stato un po' difficile credere. Entrato, così, in Senato, Gallo, intorno all'11 a.C., sposa Vipsania Agrippina, figlia del celebre Marco Vipsanio Agrippa e prima moglie di Tiberio Claudio Nerone, futuro figlio adottivo del Princeps, nonchè Imperatore a sua volta, a cui, si dice, fosse molto affezionato. Il divorzio forzato fu una triste delusione per entrambi, ma solo in questo modo il nostro Gallo riuscì ad entrare negli ambienti che circondavano la dinastia Giulio-Caludia. Percorrendo con velocità le tappe del Cursus Honorum, venne nominato console nell'8 a.C. e proconsole in Asia tra il 6 e il 5 a.C. Fu l'incarico più prestigioso che ricoprì. Proprio in questo periodo furono coniate le monete recanti al sua effige, unico materiale che ci fornisce, oggi, il suo ritratto. Il suo astro iniziò a calare quando provò a conquistare le attenzioni della vedova di Germanico, Agrippina. Tiberio non vedeva di buon occhio il suo comportamento nei confronti della parente e, nel 30, indusse il Senato a dichiararlo nemico pubblico e detenuto in condizioni davvero ostili. Lo si capisce dalle parole dello storico Cassio Dione (58.3): <<Non aveva compagni o servi con lui, non parlava con nessuno e non vedeva nessuno, eccetto quando qualcuno doveva portargli del cibo, di scarsa qualità e quantità, tanto che non gli dava nessuna forza o soddisfazione da portarlo alla morte>>.

La sua fine è alquanto dubbia, ma grazie alle testimonianze di storici come Tacito, possiamo affermare che morì di fame in prigionia intorno al 33 d.C. Agrippina, la vedova da lui corteggiata, morì nello stesso anno, nel mese di ottobre. Questa coincidenza indusse l'Imperatore Tiberio ad accusarla, nonostante fosse deceduta, di immoralità e adulterio. Per questo subì la damnatio memoriae, ma solo marginalmente, sotto il regno di Tiberio: dopo la morte dell'Imperatore, infatti, questa pratica nei suoi confronti fu ritirata. Si conclude così la vicenda storica e biografica di uno dei personaggi più importanti del Principato di Augusto.

Non potevano mancare le monete coniate a suo nome, prima di tutte quelle emesse durante il suo governatorato in Siria (tratte dal web):

1) Bronzo AE 16, zecca di Temnus, in Aeolis. Battuta intorno al 6-5 a.C. Al D/ si trova la legenda greca ACINIOC GALLOC AGNOC che accompagna la testa nuda rivolta a destra di Gallo; al R/ AROLLAC QAINIOU TAMNITAN circonda la testa coronata di edera di Dioniso verso destra. Rif.: RPC 2447.

Segue la serie di esemplari coniati per Augusto:

2) AE Sesterzio coniato nella zecca di Roma intorno al 16 a.C., quando Asinio Gallo era monetiere di Augusto. Al D/ OB-CIVIS-SERVATOS, dove CIVIS sta in uan corona di foglie di quercia, OB al di sopra e SERVATOS al di sotto, con ai finachi due rami di lauro; al R/ C ASINIVS C F GALLVS III VIR A A A F F , intorno a S-C larghi, nel campo. Rif.: RIC I 370; BMCRE 157 = BMCRR Rome 4594.

3) Dupondio in oricalco della zecca di Roma, datato al 16 a.C. Al D/ AVGVSTVS TRIBVNIC POTEST in una corona di quercia; al R/ CASINIVSGALLVSIIIVIRAAAFF intorno a S-C larghi, nel campo. Rif.: RIC 372.

4) AE Asse in bronzo della zecca di Roma datato al 16 a.C. Al D/ CAESAR AVGVSTVS TRIBVNIC POTEST, testa di Augusto nuda rivolta a destra; al R/ C ASINIVS GALLVS III VIR AAAFF che circonda S-C nel campo. Rif.: RIC I 373; Cohen 369; BMCRE 161.

Modificato da Caio Ottavio
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1) RPC 2447:

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2) AE Sesterzio, RIC I 370:

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3) Dupondio, RIC 372:

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Modificato da Caio Ottavio

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4) AE Asse, RIC I 373:

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Modificato da Caio Ottavio

  • 1 mese dopo...
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Solo oggi ho letto questa biografia,con grande piacere. Ancora una volta applausi a Caio Ottavio!!


Inviato

Chi ne sapeva niente! :P :P Bellissima lettura :) Hai beccato altre informazioni riguardo a tu sai cosa?

Awards

Inviato

Grazie ad entrambi: sono contento che vi sia piaciuta questa piccola ricerca. :D

ggpp The Top, ho appena finito di prendere appunti. Provvedo a passarteli. :)


Inviato

Bellissima ed affascinante discussione Caio Ottavio.

Si legge tutta d'un fiato. :good:


Inviato

Non ero a conoscenza degli intrallazzi di Virgilio :D

Complimenti, Caio Ottavio, per l'ottimo studio oo)

Enrico :)

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Inviato

Grazie mille anche a Minerva e Cometronio. :)


Inviato (modificato)

Volevo aggiungere una curiosità. Virgilio non solo cambiò idea su Asinio Pollione, ma nella quarta ecloga predisse la nascita di un puer, che avrebbe riportato il mondo all'età dell'oro. Naturalmente nel medioevo questo puer fu identificato con Cristo, ma oggi l'ipotesi più accreditata è che Virgilio si riferisse al figlio di Asinio Pollione.

Buona lettura ;)

Sicelides Musae, paulo maiora canamus!

Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae;

si canimus silvas, silvae sint consule dignae.

Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;

magnus ab integro saeclorum nascitur ordo:

iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna;

iam nova progenies caelo demittitur alto.

Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum

desinet ac toto surget gens aurea mundo,

casta fave Lucina: tuus iam regnat Apollo.

Teque adeo decus hoc aevi te consule inibit,

Pollio, et incipient magni procedere menses.

te duce, si qua manent sceleris vestigia nostri,

inrita perpetua solvent formidine terras.

ille deum vitam accipiet, divisque videbit

permixtos heroas, et ipse videbitur illis,

pacatumque reget patriis virtutibus orbem.

At tibi prima, puer, nullo munuscula cultu

errantis hederas passim cum baccare tellus

mixtaque ridenti colocasia fundet acantho.

Ipsae lacte domum referent distenta capellae

ubera, nec magnos metuent armenta leones;

ipsa tibi blandos fundent cunabula flores,

occidet et serpens, et fallax herba veneni

occidet, Assyrium volgo nascetur amomum.

at simul heroum laudes et facta parentis

iam legere et quae sit poteris cognoscere virtus,

molli paulatim flavescet campus arista,

incultisque rubens pendebit sentibus uva,

et durae quercus sudabunt roscida mella

Pauca tamen suberunt priscae vestigia fraudis,

quae temptare Thetim ratibus, quae cingere muris

oppida, quae iubeant telluri infindere sulcos:

alter erit tum Tiphys, et altera quae vehat Argo

delectos Heroas; erunt etiam altera bella,

atque iterum ad Troiam magnus mittetur Achilles.

Hinc, ubi iam firmata virum te fecerit aetas,

cedet et ipse mari vector, nec nautica pinus

mutabit merces: omnis feret omnia tellus:

non rastros patietur humus, non vinea falcem;

robustus quoque iam tauris iuga solvet arator;

nec varios discet mentiri lana colores:

ipse sed in pratis aries iam suave rubenti

murice, iam croceo mutabit vellera luto;

sponte sua sandyx pascentis vestiet agnos.

Talia saecla, suis dixerunt, currite, fusis

concordes stabili fatorum numine Parcae.

Adgredere o magnos - aderit iam tempus - honores,

cara deum suboles, magnum Iovis incrementum!

Aspice convexo nutantem pondere mundum,

terrasque tractusque maris caelumque profundum!

Aspice, venturo laetentur ut omnia saeclo!

O mihi tam longae maneat pars ultima vitae,

spiritus et quantum sat erit tua dicere facta!

Non me carminibus vincet nec Thracius Orpheus,

nec Linus, huic mater quamvis atque huic pater adsit,

Orphei Calliopea, Lino formosus Apollo,

Pan etiam, Arcadia mecum si iudice certet,

Pan etiam Arcadia dicat se iudice victum.

Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem,

matri longa decem tulerunt fastidia menses.

Incipe, parve puer, cui non risere parentes,

nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est.

Oh Muse sicule, alziamo un poco il tono del canto:

non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;

se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console.

E' arrivata l'ultima età dell'oracolo cumano:

il grande ordine dei secoli nasce di nuovo.

E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno,

già la nuova progenie discende dall'alto del cielo.

Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,

con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo

sorgerà quella dell'oro: già regna il tuo Apollo.

Sotto di te console inizierà la gloria di quest'era,

o Pollione, e i grandi mesi cominceranno a trascorrere.

Con te guida, se resteranno vestigia dei nostri delitti,

esse saranno vanificate e le terre sciolte da perpetua paura.

Egli riceverà la vita degli dei, egli vedrà gli eroi

misti agli dei, ed egli stesso apparirà ad essi,

e reggerà l'orbe pacato dalle virtù patrie.

Per te, o fanciullo, la terra senza essere coltivata,

spargerà i primi piccoli doni, le edere erranti

qua e là con la baccara e la colocasia con il ridente acanto.

Le capre riporteranno da sole le mammelle piene

di latte, e gli armenti non temeranno i grandi leoni.

La stessa culla spargerà per te blandi fiori.

Anche il serpente scomparirà, anche la fallace erba di veleno

scomparirà; ovunque nascerà l'assiro amomo.

E quando già leggerai le lodi degli eroi

e le imprese del padre, e potrai conoscere cosa sia la virtù,

a poco a poco la campagna imbiondirà di molle spiga,

dagli incolti pruni penderà l'uva rosseggiante,

e le dure querce stilleranno miele rugiadoso.

Tuttavia resteranno poche vestigia dell'antica frode,

che faranno affrontare Teti, che faranno cingere di mura

le città, che faranno incidere di solchi la terra.

Allora vi sarà un altro Tifi e un'altra Argo

che trasporti eroi scelti; vi saranno anche altre guerre,

e di nuovo sarà mandato a Troia il grande Achille.

Poi, quando la salda età ti avrà fatto uomo,

il mercante da solo si ritirerà dal mare, né le navi di pino

scambieranno merci; la terra produrrà tutto.

Il suolo non patirà rastrelli, né la vigna la falce;

anche il robusto aratore scioglierà i tori dal giogo;

e la lana non imparerà più a fingere i vari colori,

ma l'ariete da sé nei prati muterà il colore del vello

con la porpora soavemente rosseggiante, con giallo del croco:

spontaneamente il carminio vestirà gli agnelli pascolanti.

"Tali secoli affrettate", dissero ai loro fusi

le Parche concordi nell'immutabile volontà del Fato.

Sarà già tempo di raggiungere gli alti onori,

o cara prole degli Dei, o grande rampollo di Giove!

Guarda il mondo che scuote la convessa mole,

e le terre e le distese del mare, e il profondo cielo!

O mi rimanga l'ultima parte di una lunga vita,

e mi basti lo spirito per celebrare le tue imprese:

Né il tracio Orfeo né Lino mi potranno vincere

nel canto, sebbene l'uno assista la madre, l'altro

il padre, Orfeo Calliope, il bel Lino Apollo.

Anche se Pan gareggiasse con me, a giudizio di Arcadia,

persino Pan si dichiarerebbe vinto, a giudizio di Arcadia.

Comincia, o piccolo fanciullo, a riconoscere col sorriso la madre:

alla madre nove mesi arrecarono lunghi travagli.

Comincia, o piccolo fanciullo: a chi non sorrisero i genitori,

né un dio concesse la mensa, né una dea un letto.

Questo brano l'ho studiato l'anno scorso (faccio il classico) ed è quello che mi è piaiuto di più, la descrizione dell'età dell'oro è veramente meravigliosa.

Modificato da cometronio

Inviato

Un commento che ho trovato

Durante l'ottobre del 40 a.C., mentre Virgilio scriveva l'opera, l'atmosfera nell'Urbe era molto tesa, e la guerra civile era al suo culmine: nel 40 a.C. Ottaviano e Marco Antonio si scontrarono nella cruentissima battaglia di Perugia e, dopo di essa, alcuni mediatori (Nerva, Mecenate, e lo stesso Pollione, amico di Virgilio e console in carica per quell'anno) riconciliarono i due triumviri, che stipularono quindi la pace di Brindisi; in base a questo trattato, ad Ottaviano fu assegnato l'Occidente, e ad Antonio l'Oriente; la penisola italica apparteneva ad entrambi. La tregua fu sancita con un matrimonio tra Ottavia, la sorella di Ottaviano, e Marco Antonio. Questa accordo fu salutato con grande speranza e gioia da parte dei veterani e degli abitanti di Roma, ed i due triumviri, tra il tripudio della folla, celebrarono l'ovazione.

Anche Virgilio, di solito lontano dalla vita politica, dimostra grande entusiasmo per questo accordo: nella IV Egloga, in particolare, con un registro stilistico notevolmente più alto rispetto alle altre, il poeta celebra l'imminenza del ritorno dei Saturnia Regna, in seguito alla nascita di un “bambino divino”, che avrebbe posto fine al tragico presente per inaugurare una nuova età dell'oro. Il poeta non fa il nome del puer, e il componimento assume così un tono profetico e misterioso. Secondo alcuni studiosi, questo bambino a cui, senza immaginare che sarebbe stata una femmina, Virgilio si riferisce, sarebbe il figlio derivante dall'unione tra Ottavia e Marco Antonio; secondo altre interpretazioni, potrebbe essere Asinio Gallo oppure Salonino, figli di Asinio Pollione, ipotesi questa concepita già dagli antichi commentatatori, o anche il nascituro figlio di Antonio e Cleopatra; gli amanuensi cristiani videro nel puer la figura di Gesù Cristo, e nella Virgo la Madonna, e questa interpretazione fece sì che per tutto il Medioevo Virgilio venisse venerato come un saggio dotato di capacità profetiche; potrebbe rappresentare, infine, una metafora per indicare quel sogno di pace di una generazione disperata che sembrava in procinto di concretizzarsi con la pace di Brindisi. Un'altra interessante interpretazione è quella di Norden, che considera il puer come personificazione del "Tempo" che ricomincia il suo ciclo, a partire dalla favolosa età dell'Oro.


Inviato

Un altro, sul web se ne trovano tantissimi :)

A mio avviso Virgilio è egregiamente riuscito nel suo intento, ossia innalzare il tono e lo stile rispetto allo standard bucolico. Sicuramente la materia cantata, ossia la profezia della venuta di un “puer” ha fortemente influito sull’innalzamento del tono, che assume quindi un valore profetico.

Sin dall’inizio Virgilio quasi impone alle “Sicelides Musae” di innalzare il tono della poesia, per farla divenire degna anche di un console. Egli evidenzia l’umiltà della poesia bucolica anche nella scelta lessicale di “humilesque myricae”, indicandone la bassezza e l’umiltà. Successivamente Virgilio, sempre col fine di elevare la sua poesia, riprende la profezia della Sibilla cumana, riallacciandosi quindi alla teoria neopitagorica che vedeva le vicende del genere umano scandite in grandi cicli composti da un gran numero di secoli ciascuno. Quindi egli si rifà alla “Teogonia”, alla generazione degli dei, ed in questo suo riallacciamento all’ambito divino è implicito un innalzamento del tono. Inoltre anche nell’esposizione della sua profezia, attraversata da figure retoriche quali l’anafora, ed anche nella disposizione stessa delle parole viene sottolineata l’importanza della stessa. Egli parla del ritorno di una “Virgo” (poi in chiave cristiana, soprattutto durante il medioevo, interpretata come la Vergine Maria), del ritorno dei regni di Saturno, colui che nella prima età dell’oro aveva regnato, di una nuova progenie divina inviata direttamente dal cielo. Questa è un’importantissima e solennissima profezia… Virgilio crede fermamente che sotto il consolato e la guida di Asinio Pollione prima, e del figlio successivamente “incipient magni procedere menses”. Infatti grazie a loro saranno cancellate le scelleratezze dei predecessori e inizierà un nuova età dell’oro, durante la quale il “puer” potrà vedere ed essere visto dagli dei, e “pacatumque reget patriis virtutibus orbem”. La numerosità e la densità delle figure retoriche, sia di significato che di suono, è sicuramente spia di un innalzamento del tono. A consolidare tutto ciò vi è anche l’utilizzo di un ricercato, vasto e specifico lessico, riscontrabile quando l’autore ci descrive la reazione della natura che, “nullo cultu”, produce per il “puer” fiori a profusione come “prima munuscula”: hederas, baccare, colocasia, acantho e Assyrium amomum. Una serie di reazioni della natura, impensabili in condizioni normali, sono per l’appunto spia di un cambiamento epocale di estrema ed universale rilevanza; tutto questo solo per “tibi”, ossia per il puer…

A partire da qui poi il poeta si rivolge direttamente al “puer”, senza mai però scendere ad un livello di parlata colloquiale. Virgilio rimarca ancora una volta la rinascita di una nuova età dell’oro, mettendo come condizione indispensabile la venuta di una nuova Argo e di un nuovo Achille. Lo stile raggiunge qui uno dei suoi massimi all’interno dell’egloga, grazie anche alla presenza di due metonimie affiancate l’una all’altra, ma grazie soprattutto alla scelta ed alla disposizione lessicale. Anche la ripresa dell’appellativo “magnus” per Achille, in ricordo di quello omerico “” (grande, immenso, gigantesco) è significativa di un tentativo di collegamento all’epos omerico, e quindi a quell’esempio di perfezione stilistico-formale propria di Omero. Questa crescita del giovane, che da “puer” è divenuto prima “adulescens” e poi “virum” viaggia parallela alla produzione della Terra, che arriverà a tal punto che “omnis feret omnia tellus”, quando tutto sarà spontaneo e non saranno più necessari i trasporti per mare: è l’età dell’oro. L’uomo rivivrà in simbiosi con la natura, ma dal canto suo la terra non sopporterà più di essere soggiogata e sottomessa. Questa situazione è perfettamente resa dal poeta quando dice “patietur”, una sofferenza fisica ma anche interiore, che riprende tutto il filone semantico del  ; e quando la terra viene sollevata da questa sottomissione Virgilio dice “solvet”, ad indicare quasi la liberazione da un giogo. A partire da questo momento gli elementi naturali offriranno spontaneamente tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno e anche qualcosa in più senza che l’uomo si debba sforzare. Anche il riferimento alle Parche è spia dell’innalzamento di tono. Le numerose figure retoriche e i numerosi e continui riferimenti non solo all’ambito divino ma anche al cosmo, costituito di masse sferiche (Aspice convexo nutantem pondere mundum) enfatizzano ancora l’elevato stile della bucolica. Virgilio infine, sentendosi degno di narrare le imprese del “puer” meglio di chiunque altro (meglio addirittura di Orfeo, di Lino e di Pan), pronuncia una sentenza e quasi un avvertimento per il “puer”: colui cui non hanno mai sorriso i genitori, né un dio lo degnò della sua mensa né una dea del suo letto. Infatti è necessario che un figlio venga ritenuto come tale dai propri genitori che hanno dovuto affrontare innumerevoli sacrifici (soprattutto la madre) proprio per lui.

A mio avviso Virgilio è riuscito pienamente nel suo intento, modulando bene il suo lessico ed utilizzando al momento giusto le corrette ed idonee figure retoriche.

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Inviato

Davvero molto interessante, Cometronio, grazie dell'ottimo ed utile materiale :)

Enrico :)


Inviato

Davvero molto interessante, Cometronio, grazie dell'ottimo ed utile materiale :)

Enrico :)

Grazie Enrico. :)

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