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Sicuramente Venezia si differenzia dalla maggior parte delle altre zecche medievali italiane, quando meno dal 1100 circa in poi, per almeno due fattori:

1) il non utilizzo dell'appalto a privati per la conduzione della zecca, che permette di adeguare esattamente le attività di coniazione alle necessità del governo, vale a dire della classe mercantile con cui questo si identifica; anche se in ogni caso, a Venezia come dovunque, uno dei compiti primari della zecca era di generare profitto per il Comune;

2) la quasi esclusiva proiezione dell'economia veneziana in ambito commerciale e in particolare verso il traffico a lungo raggio con il Levante; se non sbaglio, di fatto Venezia non possiede l'equivalente di un "contado" almeno fino alla metà del XV secolo; la preminenza commerciale di Venezia faceva sì, tra l'altro, che ad eccezione di alcuni periodi di grande e generale "fame di metallo" la zecca veneziana potesse contare su un flusso stabile ed abbondante di materia prima, il cui mantenimento peraltro era sempre nelle preoccupazioni delle autorità che si occupavano di politica monetaria.

Da questi fattori secondo me si possono trarre indicazioni sul perché a Venezia sembra prevalere la svalutazione "ostile" (svalutare la moneta piccola per sfruttare la legge di Gresham, imporre la propria moneta sui mercati vicini, quindi attrarre l'argento alla propria zecca in modo da massimizzarne i proventi; il tutto mantenendo stabile la moneta grossa, dal momento in cui questa comincia a essere coniata, in quanto segno di prestigio e affidabilità commerciale: in pratica il successo della moneta grossa veneziana è dovuto a motivi opposti rispetto alla moneta piccola della stessa zecca; non a caso si rivolgono a mercati ed aree di circolazione totalmente distinte e separate).

Al contrario, nel resto d'Italia (almeno per quanto posso dire in base alle mie limitate conoscenze) mi sembra che prevalga una svalutazione "di necessità": a parità di metallo disponibile si svaluta la moneta per tenere dietro alla crescita dell'economia. Certo il fatto che a Venezia comandassero i mercanti spiega perché la sua politica monetaria fosse decisamente più sofisticata di quella della maggior parte delle altre città italiane.

E' vero, hai stigmatizzato una verità incontestabile.

Venezia era uno stato creato da mercanti e per i mercanti. La preoccupazione di Venezia fu, dagli albori e per i secoli successivi quella di espandersi "commercialmente" creando colonie lungo le sue rotte navali per ottenere un controllo marittimo; d'altra parte era uno stato di marinai e pescatori e gli era naturale operare in una logica "marittima".

Non pensò mai, in questi tempi, di crearsi un dominio terriero dal quale pretendere rendite; tutta la sua politica espansionistica ebbe un lucido obiettivo....ottenere il controllo marittimo dell'area geografica che gli interessava, per navigare e commerciare.....meglio se in assenza di competitori.

Anche successivamente alla presa di Costantinopoli, quando i vari potentati vincitori (Re, Principi, Baroni crociati, Despoti greci alleati dei crociati, ecc) si azzuffavano per avere dominii e terre come Trebisonda, Nicea, l'Epiro, Salonicco, la Morea......Venezia pretese in primis che nessun cittadino di Stati che si trovavano in guerra con lei sarebbe stato accolto nel territorio dell'impero......... :o Si può ben dire che "costituzionalmente" i veneziani avevano escluso i loro avversari dalla concorrenza.

In seconda battuta pretesero quelle basi strategiche che gli avrebbero consentito di effettuare i suoi trasporti marittimi in sicurezza...ovviamente il porto di Costantinopoli (in verità ottennero i 3/8 della città, inclusi l'arsenale e le banchine portuali ;) ) poi Creta, per ottener la quale non solo dovettero pagare una fortuna in denaro e rinunciare ad altre terre, ma dovettero combattere contro il pirata genovese "Enrico il Pescatore", conte di Malta, ben spalleggiato e aiutato di mezzi e prebende dai Genovesi.

Più a Nord ottenne Negroponte (posta tra Costantinopoli e Creta) e nello Ionio, Modone e Corone (i due occhi della Repubblica).

Sebbene in questa catena di basi navali non tutti gli anelli fossero ben saldi....Venezia aveva ottenuto l'abbozzo di quell'impero coloniale che sarebbe stato più avanti sviluppato e l'assoluta preminenza nel commercio e predominio marittimo nel Mediterraneo orientale.

Saluti

luciano

Modificato da 417sonia
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Inviato

Quanti spunti interessanti in questa discussione! Un primo commento lo faccio a proposito delle "4 repubbliche marinare" che tradizionalmente si studiano a scuola, che dimenticano bellamente Ancona e Ragusa... ma non voglio addentrarmi nelle approssimazioni e verità di parte che la scuola italiana propina nello studio della storia patria.

La guerra di Chioggia ha tante chiavi di lettura: la guerra fra Venezia e Genova è una di queste, poiché era in corso un durissimo conflitto per il predominio navale e commerciale nell'Egeo orientale fra le due repubbliche: la guerra di Chioggia fu solo un capitolo (importante) di questo conflitto. Ovviamente ognuna delle parti belligeranti aveva suoi obiettivi: i Carraresi miravano all'egemonia nell'Italia settentrionale, gli ungheresi per il dominio della Dalmazia e delle porte orientali dell'Italia, vale a dire le Alpi orientali ed il Friuli.

Tornando invece al tema principale della discussione, trovo che una buona maniera per considerare la produzione di moneta nel medioevo è quella di vederla come una merce, soggetta quindi a domanda ed offerta: la materia prima era il metallo prezioso, il prodotto la moneta. Vista come merce la moneta ha tutte le caratteristiche di un bene fungibile: ha una materia prima più o meno disponibile, dei costi di produzione, un valore di mercato.

- Materia prima

ogni imprenditore sa bene che la materia prima va prima di tutto trovata, e pagata il prezzo più basso possibile. La disponibilità continua di metallo prezioso al prezzo più basso possibile è il problema di ogni zecca. Chi aveva una miniera era ovviamente favorito (Merano per esempio), altrimenti chi non aveva miniere doveva attrarre il metallo diventando una piazza attraente per chi le miniere le aveva, oppure obbligatoria per la varietà di merci che vi si trovavano (Venezia, Genova...). Una piazza commerciale forte acquisiva sufficiente potere contrattuale da riuscire ad influenzare a proprio favore il prezzo del metallo, comunque entro i limiti dell'offerta effettiva di metallo.

- Costi di produzione

una zecca doveva essere ben organizzata per evitare costi inutili per scarti di metallo, furti da parte di funzionari e dipendenti...

- Prezzo di mercato

il prezzo di una moneta è costituito dalla somma del valore intrinseco del metallo e del plusvalore che il mercato accetta di pagare alla zecca. Una zecca di ottima reputazione riusciva a spuntare di più, ma solitamente non molto di più dei concorrenti. Questo a meno che il titolare della zecca non sia riuscito a creare un mercato di monopolio. Un buon esempio è il Regno di Sicilia sotto Federico II di Svevia, che riuscì a vietare ed espellere la moneta straniera dalla circolazione, imponendo denari molto sviliti. In questo caso si parla fiduciarietà della moneta, che però se non sostenuta da un'effettiva fiducia nella zecca emittente, porta alla svalutazione della moneta sopravvalutata.

In questo senso Venezia aveva, come giustamente fatto notare da Paleologo, una politica monetaria molto sofisticata rispetto alle zecche sue concorrenti. Anche Venezia però non riusciva a gestire la massa monetaria fiduciaria circolante, e cadde in varie occasioni nella trappola dell'eccessiva produzione di moneta e quindi dell'inflazione. Questo problema economico fu compreso solo in epoca moderna.

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Inviato (modificato)

Ho letto con interesse gli ultimi interventi... Tuttavia vi ho riscontrato alcune zone d'ombra da chiarire. Intanto vorrei far presente che Venezia non possiede un proprio entroterra fino alla conquista di Treviso alla fine del trecento, ma questo non impedisce alla sua moneta di circolare in tutto il nord-Italia e su tutta la costa adriatica.

Formalmente Venezia era un dominio bizantino (riconosciuto agli inizi dell'ottocento anche dai carolingi). Ma la moneta che batte è su piede carolingio e quindi destinata alla circolazione nei territori dell'impero e quindi in Italia. La sua propensione al commercio con l'oriente, in questo caso, non ha importanza. Non fondamentale perlomeno. La zecca di Venezia fin dalle origini batte moneta per la terraferma, anche se non sottoposta al suo dominio. Questo dato è confermato dai ripostigli in tutto il nord-Italia, nonchè dalle imitazioni del grosso di altre zecche italiane. Quindi, ribadisco, Venezia NON è un corpo estraneo nella monetazione italiana (vedo comunque che la mia battaglia è difficile e piena di ostacoli :D ).

Il secondo punto che mi preme è quello che riguarda la circolazione e la percezione dei fenomeni monetari nel medioevo. Come ho già detto nella discussione richiamata da Dabbene, non sono per nulla d'accordo con Le Goff sul concetto di moneta come ''sterco del diavolo''. E' vero che la chiesa osteggia il prestito di usura e che spesso (nello stato pontificio) i commercianti sono rappresentati all'inferno. Ma la realtà era ben diversa. A Venezia il prestito, anche con interessi molto alti, era tranquillamente praticato e di solito faceva ricchi sia coloro che prestavao che coloro che ricevevano (a tal proposito vedi gli scritti di Lane). Per quanto riguarda le svalutazioni, era chiaro a tutti coloro che battevano moneta che esse fruttavano guadagno. Lo dimistra il fenomeno della ''renovatio monetae'' praticato con scadenze frequentissime in moltissimi stati medievali (Federico II in testa). La renovatio implicava la restiuzione dei denari precedenti ricevendo in cambio un numero pari di denari nuovi svalutati. Pena la morte (non si scherzava). Ovviamente c'era chi rischiava, ma la frequenza delle renovatio conferma che i proprietari dei diritti di zecca ne ricevevano un lauto guadagno.

Ultima considerazione sulla circolazione delle monete nel medioevo e l'uso del baratto. Ultimanente scricchiola anche l'idea che nei secoli bui la circolazione monetaria sia stata circoscritta ad alcune aree più sviluppate e che nelle campagne si adoperasse solo il baratto. Interessanti a tal proposito gli studi della Morrisson sulla circolazione nei balcani (una zona che si considera arretrata economicamente nel medioevo). Ebbene i suoi studi e i ritrovamenti monetari suggeriscono una circolazione monetaria molto più sviluppata e complessa di quel che si credeva. Anzi, anche nelle fiere più povere circolava denaro.

Credo, quindi, che la storia monetaria del medioevo sia ancora tutta da scrivere e che ci riserverà non poche sorprese!

Modificato da Arka
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Volevo intervenire già da qualche giorno in questa interessante discussione, ricca senz'altro di molti spunti. Sopratutto la parte di analisi dei vari temi e problemi da tenere conto analizzando la moneta anche come merce di rob mi trova in linea di massima d'accordo.

E tuttavia quando si parla di temi come questo della svalutazione del denaro vorrei richiamare un poco di più l'attenzione di tutti alla questione della cronologia, oltre che dei luoghi (ripeto, come sempre, le parole di Cinzio Violante: "Gli occhi della storia sono la geografia e la cronologia").

La svalutazione del denaro nel corso del XII secolo, fino alla coniazione dei primi grossi (che ricordo si datano ora 1194 per Venezia, 1196-inizi Duecento per Genova, 1199-primo quindicennio del Duecento per Pisa, con Lucca e Siena), in Italia centro-settentrionale avvenne per:

1) l'anelasticità dell'offerta della materia prima, ovvero disponibilità non illimitata o limitata fino ad un certo punto dei metalli monetabili (sop. argento) rispetto all'accresciuta domanda (cfr. apertura nuove zecche e aumento del volume delle coniazioni anche per sostenerne i profitti; maggiore monetarizzazione della società)

2) mancanza, ancora, di una sufficiente organizzazione del sistema creditizio.

Nel XIII secolo nonostante la messa a coltura di nuove miniere e l'arrivo di argento "fresco" (centro Europa, Sardegna etc..) la domanda complessiva di moneta rimase sempre superiore all'offerta. Soltanto che ora si decise, o si provò a dare risposte diverse, che compresero il dispiegamento del sistema creditizio (dalle lettere di cambio degli inizi del Duecento, fino all'emissione di cheques alle origini degli assegni, avvenuta però nel tardo XIV secolo!) , la scelta di buoni standard per le operazioni economiche di un certo livello ed in genere comprendenti pagamenti a breve e medio termine, come i grossi e poi le monete auree.

Si lasciò invece continuare ad agire l'inflazione, ovvero si scaricarono parte dei problemi di cui sopra, sulle monete più piccole, cercando di controllare l'indice di svalutazione fino dove fosse conveniente, sia per i proventi della zecca, sia in senso economico più generale.

L'importante infatti era cercare di bilanciare bene questo tipo di operazione che da un lato penalizzava le rendite sop. fondiarie e/o a lungo termine (canoni, affitti etc. pattuiti in denari o in moneta di conto basata sui denari che rimanevano nominalmente fissi contro una perdita di valore intrinseco) a vantaggio dei contadini, ma sopratutto degli artigiani e dei mercanti, dall'altro rischiava di far salire troppo i prezzi ed i salari, a svantaggio di tutti.

Infine oltre ad un certo limite di svalutazione anche la coniazione stessa non era più conveniente perchè i costi di produzione avrebbero superato i guadagni della zecca, sia gestita direttamente che appaltata. Per ciò talvolta e sopratutto a partire dalla metà del Duecento si poteva sospendere per qualche periodo la battitura di moneta piccola, o alternatamente procedere a piccole rivalutazioni (dei denari stessi, o creando dei denari "nuovi" di valore doppio delle serie precedenti etc..).

Le scelte economico-monetarie delle città italiane sede di zecca dovevano tenere sempre presenti tutti questi aspetti e le svalutazioni non furono mai solo di "necessità" o solo "ostili" (come un poco mi pareva invece di evincere dalle parole di Paleologo), perchè nei calcoli anche complessi di come e quanto coniare o svalutare rientravano sempre anche considerazioni su come e quanto si coniava e si svalutava nelle zecche vicine, e/o sul circolante nel mercato monetario al quale ci si voleva riferire.

Non so se sono stata chiara, sopratutto per ghera. In caso sono disponibile per ulteriori spiegazioni, in questa sede, o via MP smile.gif.

Comunque per questi aspetti per me rimangono insuperate alcune pagine degli studi di Carlo Maria Cipolla (per una sintesi l'ancor valido "Le avventure della Lira" 1975), completate per aspetti più "tecnici" da Spufford (soprattutto "Money and its use..").

Un manuale con specchietti utili e buoni "riassunti" è anche quello di Paolo Malanima "Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo", Milano 1997.

Sul sistema creditizio e la storia della banca, oltre agli studi di De Roover e di Fanfani, è poco conosciuta, ma molto utile anche a livello generale l'opera di Federigo Melis "La banca pisana e le origini della banca moderna", con una prefazione di B. Dini. 1984 : Indice con link_Melis

Per chi legge l'inglese alcuni saggi generali si trovano anche qui: Business, banking, and economic thought in late medieval and early modern Europe, ed. by Julius Kirshner, Chicago & London, The University of Chicago Press, 1974.

saluti a tutt*

MB

Modificato da monbalda
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Inviato

Un caro saluto a tutti .

Considerato che le mie nozioni di storia economica in generale lasciano molto a desiderare volevo chiedervi se le motivazioni della svalutazione del denaro, che avete esposto tutti in maniera egregia, valgono anche per il periodo del X secolo . Infatti se non sbaglio i denari ottolini cominciano la loro svalutazione nell'anno mille circa .

Perdonate la mia ignoranza :)


Inviato

Credo, quindi, che la storia monetaria del medioevo sia ancora tutta da scrivere e che ci riserverà non poche sorprese!

Su questo non potremmo essere più d'accordo! :D

Le scelte economico-monetarie delle città italiane sede di zecca dovevano tenere sempre presenti tutti questi aspetti e le svalutazioni non furono mai solo di "necessità" o solo "ostili" (come un poco mi pareva invece di evincere dalle parole di Paleologo), perchè nei calcoli anche complessi di come e quanto coniare o svalutare rientravano sempre anche considerazioni su come e quanto si coniava e si svalutava nelle zecche vicine, e/o sul circolante nel mercato monetario al quale ci si voleva riferire.

Sì, forse ho generalizzato un po' troppo nel mio post precedente. Volevo parlare in realtà solo di aspetti predominanti (e questo era più che altro un riconoscimento alla scaltrezza dei mercanti veneziani) ma in effetti le vicende monetarie di Lucca vs. Pisa non sono poi così differenti ad esempio da quelle di Verona vs. Venezia, giusto? Comunque è sempre colpa delle poste: sono settimane che ho ordinato Spufford, e ancora non arriva... ;)


Inviato

Credo possa essere utile alla discussioni sapere cosa dice M. Matzke in merito in " La moneta in Monferrato tra medioevo e ed età moderna " di Luca Gianazza : " Solo la lotta per le investiture ( 1076 - 1122 ) e la nascita dei Comuni nelle maggiori città comportarono un'ulteriore dissoluzione del controllo regale sulla monetazione ,.....così in seguito l'uniformità delle monete in Lombardia e Tuscia si dissolse . E' proprio in questo periodo della lotta per le investiture che una grande svalutazione si fece sentire per la prima volta ,col valore delle monete in circolazione che praticamente si dimezzò intorno al 1100 : Forse questo fenomeno fu causato dal generale e contemporaneo bisogno di denaro liquido ,in particolare per i soldati impiegati nella lotta per le investiture e nella prima crociata , ma può anche essere causato dalla generale ascesa economica di quel periodo ."

Indirettamente Matzke risponde anche un pò alla domanda posta da Adolfos.


Inviato

Volevo intervenire già da qualche giorno in questa interessante discussione, ricca senz'altro di molti spunti. Sopratutto la parte di analisi dei vari temi e problemi da tenere conto analizzando la moneta anche come merce di rob mi trova in linea di massima d'accordo.

E tuttavia quando si parla di temi come questo della svalutazione del denaro vorrei richiamare un poco di più l'attenzione di tutti alla questione della cronologia, oltre che dei luoghi (ripeto, come sempre, le parole di Cinzio Violante: "Gli occhi della storia sono la geografia e la cronologia").

La svalutazione del denaro nel corso del XII secolo, fino alla coniazione dei primi grossi (che ricordo si datano ora 1194 per Venezia, 1196-inizi Duecento per Genova, 1199-primo quindicennio del Duecento per Pisa, con Lucca e Siena), in Italia centro-settentrionale avvenne per:

1) l'anelasticità dell'offerta della materia prima, ovvero disponibilità non illimitata o limitata fino ad un certo punto dei metalli monetabili (sop. argento) rispetto all'accresciuta domanda (cfr. apertura nuove zecche e aumento del volume delle coniazioni anche per sostenerne i profitti; maggiore monetarizzazione della società)

2) mancanza, ancora, di una sufficiente organizzazione del sistema creditizio.

Nel XIII secolo nonostante la messa a coltura di nuove miniere e l'arrivo di argento "fresco" (centro Europa, Sardegna etc..) la domanda complessiva di moneta rimase sempre superiore all'offerta. Soltanto che ora si decise, o si provò a dare risposte diverse, che compresero il dispiegamento del sistema creditizio (dalle lettere di cambio degli inizi del Duecento, fino all'emissione di cheques alle origini degli assegni, avvenuta però nel tardo XIV secolo!) , la scelta di buoni standard per le operazioni economiche di un certo livello ed in genere comprendenti pagamenti a breve e medio termine, come i grossi e poi le monete auree.

Si lasciò invece continuare ad agire l'inflazione, ovvero si scaricarono parte dei problemi di cui sopra, sulle monete più piccole, cercando di controllare l'indice di svalutazione fino dove fosse conveniente, sia per i proventi della zecca, sia in senso economico più generale.

L'importante infatti era cercare di bilanciare bene questo tipo di operazione che da un lato penalizzava le rendite sop. fondiarie e/o a lungo termine (canoni, affitti etc. pattuiti in denari o in moneta di conto basata sui denari che rimanevano nominalmente fissi contro una perdita di valore intrinseco) a vantaggio dei contadini, ma sopratutto degli artigiani e dei mercanti, dall'altro rischiava di far salire troppo i prezzi ed i salari, a svantaggio di tutti.

Infine oltre ad un certo limite di svalutazione anche la coniazione stessa non era più conveniente perchè i costi di produzione avrebbero superato i guadagni della zecca, sia gestita direttamente che appaltata. Per ciò talvolta e sopratutto a partire dalla metà del Duecento si poteva sospendere per qualche periodo la battitura di moneta piccola, o alternatamente procedere a piccole rivalutazioni (dei denari stessi, o creando dei denari "nuovi" di valore doppio delle serie precedenti etc..).

Le scelte economico-monetarie delle città italiane sede di zecca dovevano tenere sempre presenti tutti questi aspetti e le svalutazioni non furono mai solo di "necessità" o solo "ostili" (come un poco mi pareva invece di evincere dalle parole di Paleologo), perchè nei calcoli anche complessi di come e quanto coniare o svalutare rientravano sempre anche considerazioni su come e quanto si coniava e si svalutava nelle zecche vicine, e/o sul circolante nel mercato monetario al quale ci si voleva riferire.

Non so se sono stata chiara, sopratutto per ghera. In caso sono disponibile per ulteriori spiegazioni, in questa sede, o via MP smile.gif.

Comunque per questi aspetti per me rimangono insuperate alcune pagine degli studi di Carlo Maria Cipolla (per una sintesi l'ancor valido "Le avventure della Lira" 1975), completate per aspetti più "tecnici" da Spufford (soprattutto "Money and its use..").

Un manuale con specchietti utili e buoni "riassunti" è anche quello di Paolo Malanima "Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo", Milano 1997.

Sul sistema creditizio e la storia della banca, oltre agli studi di De Roover e di Fanfani, è poco conosciuta, ma molto utile anche a livello generale l'opera di Federigo Melis "La banca pisana e le origini della banca moderna", con una prefazione di B. Dini. 1984 : Indice con link_Melis

Per chi legge l'inglese alcuni saggi generali si trovano anche qui: Business, banking, and economic thought in late medieval and early modern Europe, ed. by Julius Kirshner, Chicago & London, The University of Chicago Press, 1974.

saluti a tutt*

MB

E' stata chiarissima. Ora vado a rileggermi il Cipolla ;)

Grazie per l'intervento :)


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Buona serata a tutti

Io non credo che si possa minimamente pensare che la zecca di Venezia e la sua politica finanziaria e monetaria sia da considerarsi avulsa dal territorio ad essa attiguo o nel quale esplicava la sua politica.

Certo è che può considerarsi un "unicum" nel panorama dell'epoca; come sottolineava Arka, uno Stato che risulta formalmente soggetto a Bisanzio, i cui dogi all'origine erano portatori di dignità bizantine, come "protosevasto" o "archipato" o "antipato" o "protopoedro" ma che di fatto operava in sostanziale autonomia, equidistante tra l'imperatore d'oriente e quello d'occidente...nonché del Papa; che di fatto svolgeva una politica marittima così potente da condizionare la stessa Bisanzio e....che di fatto coniava monete al tipo carolingio, da spendere nei territori ad aessa attigui, non può considerarsi "normalità".

Sono sempre convinto che la morfologia ed il territorio "salso" di Venezia abbiano contribuito a ciò; una città stato insediata in un posto che non è normale, non può comportarsi normalmente (o come ce lo possiamo aspettare noi).

Riguardo alle tante e buone informazioni che ho raccolto dagli scritti di chi mi ha preceduto e allontanandoci un attimo da Venezia, porto un altro argomento di discussione in merito alle politiche monetarie.

Spesso uno stato sopravvalutava la sua moneta "buona", (a scapito di quelle "nere") affinchè non venisse incettata e portata fuori dai suoi confini per essere fusa; era un escamotage ritenendo che fosse più conveniente spenderla nel proprio dominio, per merci o servizi, piuttosto di esportarla.

E' un'altro "granello" alla discussione.

saluti

luciano


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Inviato (modificato)

Salve a tutt*,

anzitutto volevo rispondere ad Adolfo che chiedeva

volevo chiedervi se le motivazioni della svalutazione del denaro, che avete esposto tutti in maniera egregia, valgono anche per il periodo del X secolo . Infatti se non sbaglio i denari ottolini cominciano la loro svalutazione nell'anno mille circa .

In realtà la svalutazione del denaro era già iniziata anche prima con una certa intensificazione verso la metà del X secolo. Durante il primo periodo ottoniano, quando si cercarono di riordinare le emissioni sotto il controllo imperiale, si cercò anche di riaggiustare gli standard dal punto di vista metrologico (intrinseco e peso), per quanto di fatto riducendolo, e di riallineare le valute delle zecche imperiali attive nel centro-nord della penisola.

Tuttavia a questa operazione, come già anticipato da Arka alcuni post or sono, sfuggì subito Venezia che nella seconda metà del X secolo perseguì, e con successo, una politica inflazionistica.

Per le altre zecche si riuscì a mantenere gli standard di peso e intrinseco per un paio di decenni o poco più, ma verso la fine del X secolo era già ricominciata la tendenza all'alleggerimento e/o svilimento dei denari.

Questo dipende sempre dal fatto che nel corso del X secolo l'economia aveva già ripreso a girare più velocemente (questo lo confermano ormai molteplici fonti archeologiche) e che erano già presenti una parte degli stessi fenomeni già illustrati per il XII secolo: quantità limitate di argento difronte a realtà economiche che avevano già necessità di aumentare i propri introiti producendo un numero maggiore di monete sulle quali guadagnare (signoraggio), oltre che fenomeni economici e politici per i quali era richiesta una maggiore disponibilità di circolante.

Se tra la fine del X secolo e gli inizi dell'XI secolo, furono motivi politici ovvero militari a far innalzare spesso il livello di produzione di moneta (come dice ad esempio Saccocci per gli eserciti a servizio degli imperatori a proposito degli ottolini di Pavia e di Lucca, o Matzke per il periodo della lotta per le investiture e la I crociata intorno al 1100 relativamente agli enriciani lucchesi ed altre valute), con il XII secolo sembrano prevalere quelli di genere economico-commerciale che danno un'ulteriore e generale sterzata al deprezzamento del denaro.

Quindi, per rispondere ad Adolfo direi che i motivi di fondo erano gli stessi e la tendenza al deprezzamento del denaro era cominciata in realtà non molto tempo dopo la sua "nascita", mentre le cause congiunturali, ovvero quelle che potevano creare delle intensificazioni del fenomeno, potevano essere leggermente diverse, o comunque differente poteva esserne la preponderante natura. Per quello che si può valutare dalle monete queste "accellerazioni" nella cronica tendenza alla svalutazione del denaro - come dice Cipolla - si ebbero a cavallo della metà del X secolo, intorno al 1100 e di nuovo nella seconda metà del XII secolo etc...fino al XIV secolo con gli esiti dei denari e frazioni di denari ormai in rame e la necessità di battere quattrini o sesini/petachine in mistura.

Scusate sono andata di nuovo "lunga". Ora taccio: poi se volete un'altra volta vi racconto di come una cosa analoga nel Medioevo succeda anche per un altro bene venduto a numero e non a peso, ovvero...i mattoni smile.gif!

Saluti MB

Modificato da monbalda

Inviato

Mi incuriosisce la storia dei mattoni...


Inviato

Mi incuriosisce la storia dei mattoni...

Grazie MB

era questo che volevo essermi confermato e che intendevo nei miei interventi precedenti .

Anche io come Arka sono curioso sui mattoni . Ma penso tutti gli amici ;)

Cari saluti


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Inviato

Mi incuriosisce la storia dei mattoni...

Anch'io sono curioso....


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Inviato (modificato)

Vista la curiosità dichiarata da qualcuno di voi, provo a raccontare in breve questa storia dei mattoni. Perdonatemi per ciò la digressione (ma in fondo sempre di storia si tratta...).

Anzitutto per chi non lo sapesse è bene ricordare che il laterizio da costruzione in Italia centro-settentrionale non è presente per tutto il Medioevo: la sua produzione si fa già rara in epoca longobarda, per cessare in pratica fino al XII secolo (diverso è il reimpiego di mattoni antichi, che, laddove esistano ruderi a vista, continua lungo tutto l'arco cronologico).

Per motivi ancora non del tutto spiegati progressivamente tra la fine del secolo XI ed il corso del successivo si ricominciarono a "sfornare" mattoni, dapprima solo da costruzione e per le pavimentazioni, poi anche per le coperture (coppi ed altro tipo di manufatti, ma non le tegole che torneranno più tardi). In area toscana e medio-tirrenica il boom del laterizio si ha tra il pieno XIII secolo e la prima parte del secolo successivo, per poi rimanere diffuso e costante con picchi produttivi alternati a periodi di stasi in fase di recessione demografica ed economica (p.e. metà Trecento).

Il dato che ci porta in qualche modo alle monete è che anche i laterizi venivano prodotti per essere venduti a numero, ovvero a centinaia. Che cosa si verifica dunque con il tempo ? Accade che i mattoni con il passare dei secoli riducano le dimensioni, sopratutto lo spessore ed in alcuni casi anche la larghezza.

E' stato infatti verificato che in molte città del centro-nord queste misure diminuiscono (ad eccezione forse di Bologna) in modo apprezzabile. A Pisa, per farvi un esempio, nel XII secolo i laterizi misurano circa 7 cm di spessore, per passare a 6,5-6 nel Duecento, a 5,5-5 cm nel Trecento, per rimanere stabili nel XV secolo e poi riprendere la "discesa" nel XVI secolo fino a giungere a 4 cm nel Settecento. Tali dati sono stati verificati misurando mattoni di edifici datati e da scavi stratigrafici di cronologia ben definite, costruendo un utile grafico del possibile andamento di questa curva mensio-cronologica. L'utilità è che se si trovano mattoni di cui non conosco la datazione, tramite il confronto delle misure con quelle di questa curva posso ragionevolmente definire una cronologia.

Quindi anche in questo caso a partire dalla stessa quantità di materia prima e con gli stessi costi di produzione (combustibile, personale etcc.) con il passare del tempo, in risposta ad una domanda in crescita tendenziale (fase di espansione edilizia per l'aumento demografico con crisi di sistema nel Trecento e successiva ripresa) , si produce una quantità sempre maggiore di pezzi al fine di aumentare i guadagni. Tra l'altro più bassi erano, maggior numero di laterizi erano necessari per tirare su una parete. E sono registrati anche fenomeni di concorrenza tra fornaciai di città contigue che "giocano" su leggi e misure diverse (ad esempio Lucca e Pisa, dove alla fine i prodotti fittili da costruzione almeno nel medioevo assumono anche nomenclature differenti).

Le magistrature cittadine cercavano di regolare questo aspetto, fissando le misure alle quali ci si doveva riferire per mattoni fabbricati entro il proprio territorio e custodendo la cassaforma per un mattone in legno, inchiavardato in ferro per evitare le manomissioni, con le misure legali. Tuttavia, difronte al calo dimensionale di fatto imposto dal mercato, non rimaneva loro che adattarsi, e dopo un certo periodo di "resistenza", ridurre le misure ufficiali.

Come vedete non è nulla di particolare, ma mi pare interessante da conoscere come meccanismo tipico per i prodotti commercializzati a numero in momenti di forte domanda, sottolineando che invece un fenomeno di questo tipo non avviene per altri materiali edilizi venduti a peso, come ad esempio la calcina.

Se a questo per le monete aggiungiamo la difficoltà ed il costo per reperire la materia prima...

Spero che questa deviazione dal topic principale sia stata di vostro interesse.

In attesa di vostre eventuali osservazioni

saluti a tutt* MB

Modificato da monbalda

Inviato

Buongiorno e complimenti a tutti per l'interessantissima lettura.

Awards

Inviato

Molto interessante Monbalda ,da ingegnere edile l'ho apprezzato molto,l'unica osservazione che mi viene spontanea però è questa : fin che si lucrava sull'intrinseco del tondello ,

svalutandolo ,gravi danni non venivano fatti ,però quando si portava il mattone a 4 cm . nel 700 ,entravano in gioco la stabilità e la sicurezza degli edifici e tutto allora cambia perchè il prezzo ricadeva sugli eventuali malcapitati ,sulla collettività : sarebbe interessante vedere ,alla luce di quanto dici ,se gli stabili del 700 hanno sopportato meglio o peggio gli stress sismici e del tempo ,comunque questo dimostra che tutto si lega ,numismatica ,storia ,economa ,anche l'ingegneria strutturale !.


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Inviato

Buona giornata a tutti

Cara MB,

leggendo il tuo articolo, mi è venuta in mente una discussione che ho aperdo lo scorso dicembre riguardante la "peste nera"; nell'articolo in parola, però, la premessa era un'altra e cioè il sostanziale depauperamento del legname avvenuto tra il 1000 e il 1350.

Dall'articolo che presi a riferimento, lessi che a fronte di una esplosione demografica nel Vecchio Continente in tale periodo, le aree boschive che lo ricoprivano per i suoi 3/4, vennero ridotte di circa il 70%.

Allora, se non sono note con certezza le cause per le quali il mattone ha avuto questa riduzione di dimensioni, ne butto una......così......a logica e da ignorante di questa tematica, magari dico una "castronata".....ma questo è un forum paziente e mi auguro verrò perdonato. ;)

Il mattone generico, da sempre, è fatto di acqua e argilla....elementi che ci sono nel centro-nord Italia in quantità pressoché illimitate e da sempre.....elementi praticamente da prendere gratuitamente.

Il mattone, però, per esplicare la sua funzione, deve essere cotto ad alte temperature e per molto tempo.

Certo è che, alle nostre latitudini, non si può far conto sul sole, quindi ci voleva il legname da bruciare e in gran quantità per sviluppare calore.

Ecco che torniamo alla penuria di legname ed ai suoi costi sempre più onerosi. Può essere uno dei motivi per i quali i mattoni si sono "ridotti"?

Certamente non si poteva ridurre il legname necessario per la cottura dei mattoni, ma riducendo le dimensioni di questi ultimi, serviva meno tempo per la loro cottura e conseguentemente, con lo stesso legname, si cuocevano più mattoni.

Così facendo, a parità di legname (che costava sempre più), si cuocevano più mattoni "ridotti"; mattoni che dovevano essere acquistati in maggior misura rispetto ai precedenti di dimensioni maggiori e quindi il maggior costo del legname veniva ammortizzato dal maggior numero di mattoni che bisognava acquistare.

Saluti

Luciano


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Inviato (modificato)

Buona giornata a tutti

Cara MB,

leggendo il tuo articolo, mi è venuta in mente una discussione che ho aperdo lo scorso dicembre riguardante la "peste nera"; nell'articolo in parola, però, la premessa era un'altra e cioè il sostanziale depauperamento del legname avvenuto tra il 1000 e il 1350.

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Dall'articolo che presi a riferimento, lessi che a fronte di una esplosione demografica nel Vecchio Continente in tale periodo, le aree boschive che lo ricoprivano per i suoi 3/4, vennero ridotte di circa il 70%.

Allora, se non sono note con certezza le cause per le quali il mattone ha avuto questa riduzione di dimensioni, ne butto una......così......a logica e da ignorante di questa tematica, magari dico una "castronata".....ma questo è un forum paziente e mi auguro verrò perdonato. ;)

Il mattone generico, da sempre, è fatto di acqua e argilla....elementi che ci sono nel centro-nord Italia in quantità pressoché illimitate e da sempre.....elementi praticamente da prendere gratuitamente.

Il mattone, però, per esplicare la sua funzione, deve essere cotto ad alte temperature e per molto tempo.

Certo è che, alle nostre latitudini, non si può far conto sul sole, quindi ci voleva il legname da bruciare e in gran quantità per sviluppare calore.

Ecco che torniamo alla penuria di legname ed ai suoi costi sempre più onerosi. Può essere uno dei motivi per i quali i mattoni si sono "ridotti"?

Certamente non si poteva ridurre il legname necessario per la cottura dei mattoni, ma riducendo le dimensioni di questi ultimi, serviva meno tempo per la loro cottura e conseguentemente, con lo stesso legname, si cuocevano più mattoni.

Così facendo, a parità di legname (che costava sempre più), si cuocevano più mattoni "ridotti"; mattoni che dovevano essere acquistati in maggior misura rispetto ai precedenti di dimensioni maggiori e quindi il maggior costo del legname veniva ammortizzato dal maggior numero di mattoni che bisognava acquistare.

Saluti

Luciano

Caro Luciano,

grazie per aver ricordato a tutti anche questo aspetto, che tra l'altro può valere anche per la produzione di oggetti in vetro e metallo, e quindi anche per le monete.

Il fenomeno di cui parli, che pure ha inizio nel tardo XII secolo, si mostra in modo più evidente tra il pieno Duecento ed il Trecento quando i dissodamenti di terre prima incolte (i cosiddetti "ronchi" delle fonti medievali che hanno lasciato traccia anche nella toponomastica di molte zone italiane) da un lato, e l'aumento demografico dall'altro coinvolsero in modo massiccio i boschi, che vennero ridotti drasticamente (a questo proposito è interessante un piccolo libro di Vito Fumagalli "L'uomo e l'ambiente nel Medioevo", Laterza Bari 1993).

Tuttavia quella che tu rammenti la considererei una sorta di concausa, visto che la causa ultima e generale è l'aumento di domanda legato alla crescita demografica che richiede una maggiore produzione con una riduzione delle misure e di fatto anche con un aumento dei prezzi, permettendo non solo di compensare meglio i costi ma anche di aumentare il margine di guadagno, giocando tra inflazione e tempi di pagamento. C'è da ricordare infatti che nello stesso tempo in cui i mattoni diminuivano le proprie misure ed il legname si faceva più raro, la moneta in cui si stabilivano i prezzi di questi beni erano le libbre ed i soldi di denari minuti di conto, che come abbiamo visto erano soggetti a ripetute e - potremmo dire - quasi continue svalutazioni nel tempo.

Nel mio studio su Pisa ho fatto proprio un approfondimento sui prezzi dei materiali per l'edilizia nel medio/lungo periodo (calce, laterizi), perchè meno soggetti di altri a fluttuazioni legate ad elementi congiunturali climatico-metereologici etc.. che spero di inserire nella seconda parte del lavoro (numero di pagine ed editore permettendo), visto che può essere interessante per testare gli effetti di questi fenomeni monetari su certi mercati.

Altro indicatore interessante, e ritenuto abbastanza affidabile per una verifica sull'andamento dei prezzi espressi in denari di conto, sono le uova, di cui nel Medioevo si faceva largo consumo.

Saluti a tutt* MB

Modificato da monbalda

  • 2 settimane dopo...
Supporter
Inviato

Anche se questa discussione non è proseguita (o si è esaurita? ...ma senz'altro ci sarebbero altri spunti emersi da analizzare con il contributo di tutti),

mi pareva importante ricordare un saggio di Andrea Saccocci, "sfuggito" alla mia prima serie di riferimenti, che invece è molto utile in merito al topic in oggetto, ed oltre a presentare una buona sintesi della letteratura in materia, fa riferimento in modo particolare alla lettura di Cipolla del fenomeno: si tratta di A. Saccocci, Struttura dei rinvenimenti monetali in Italia centro -settentrionale nel periodo della grande svalutazione del denario (secc. X-XIV), in I ritrovamenti monetali e i processi inflattivi nel mondo antico e medievale, IV Congresso Internazionale di Numismatica e Storia Monetaria (Padova, 12-13 ottobre 2007), a cura di M. Asolati, G. Gorini, Padova 2008, pp. 95-112.

Probabilmente molti di voi lo conoscono già, ma chi non lo avesse letto e volesse informazioni su questo argomento, lo troverà senz'altro utile.

Saluti a tutt* MB


Inviato

Hai ragione MB. In questo momento c'è un poco di fiacca in giro :) . Ma ogni tanto capita, sperando che non duri a lungo.

Il saggio di Saccocci è scaricabile in internet? Sarebbe molto utile a tutti poterlo leggere

Cari saluti a tutti.


Supporter
Inviato

Hai ragione MB. In questo momento c'è un poco di fiacca in giro :) . Ma ogni tanto capita, sperando che non duri a lungo.

Il saggio di Saccocci è scaricabile in internet? Sarebbe molto utile a tutti poterlo leggere

Cari saluti a tutti.

No, no, capisco... anche io riesco ad intervenire poco ultimamente: purtroppo ve lo avevo preannunciato. Magari, più avanti, se avremo voglia, riprenderemo questi spunti e ci confronteremo ancora in merito.

Purtroppo il saggio di Saccocci non si trova in rete, o almeno io non l'ho trovato. Quindi per ora bisogna riferirsi alle biblioteche, o direttamente all'autore.

Un caro saluto MB


Inviato

Si, certo avremo tempo . Per Saccocci ho risolto, grazie all'intervento di un nostro caro amico ;) . Non vedo l'ora di leggerlo.

A presto e cari saluti


  • 2 settimane dopo...
Inviato

complimenti per la discussione, come sempre ghera innesta bene... sono alquanto ignorante sulla materia delle svlutazioni di questi periodi, ancora un' occasione per allargare le conoscenze...

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