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Inizio utilizzo di lettere gotiche nelle legende


Risposte migliori

..Per il fine settimana tornerei sulla questione dei grossi della metà/seconda metà del XIII secolo sollevata da DZ, ma sopratutto sul perchè ad un certo momento fosse convenuto coniare anche l'oro. Solo FC aveva cominciato ad esporre le sue idee: altre ipotesi ? nessun altro ?

A partire dal 14 luglio 1098 (diploma Boemondo dopo la presa di Antiochia dove concede ai genovesi chiesa, case, magazzino e esenzione da ogni dazio doganale) che è praticamente l'atto di nascita del colonialismo genovese, l'espansione del commercio, con il passar degli anni, fra alti e bassi dovuti alle guerre o schermaglie con pirati e concorrenti, instaura nelle colonie genovesi un germe di organizzazione. Il Comune, sempre a corto di denaro, considera i suoi territori d'oltremare come una fonte di reddito e dà in feudo i suoi possessi a cittadini genovesi, in particolare a membri del gruppo "visconti" che svolgono un ruolo politico di primo piano nella metropoli.

Dopola terza Crociata Genova è riuscita a far confermare i privilegi che aveva in Siria-Palestina ed ottenere anche nuove sedi. Sono ad Antiochia; a Beyrut (dove gli Ibelin accordano loro importanti privilegi), a Gibelletto, a Tripoli (dove Boemondo IV garantisce loro libertà assoluta di commercio e l'esenzione dei dazi), a Tiro (che diventa dopo il 1258, il principale emporio genovese della Siria franca), ad Acri (capitale del regno di Gerusalemme nel XII secolo).Grazie a queste concessioni il commercio genovese conosce il momento di maggior espansione nella prima metà del XIII secolo: panni di lana e tele fini dello Champagne, della Fiandra e d'Inghilterra, tele più ordinarie della Lombardia, i manufatti dell'Occidente prendono la strada della Terrasanta dove vengono scambiati con i prodotti dell'Oriente giunti dal Golfo Persico e dalla Mesopotamia o dal MarRosso e dall'Egitto.

La mancata partecipazione alla 4a crociata da parte dei genovesi (1204)e la spartizione dell'impero bizantino tra gli "avversari" allontana Genova da un dominio su quel territorio ormai controllato dai Veneziani. Ma Genova dimostra di voler far breccia anche in quella zona (c'è un diploma per un nuovo territorio che Genova ottiene ad Atene e a Tebe nel 1240 – che forse non ha nemmeno messo in pratica, ma dimostra la volontà genovese di entrare inquell'area)

Le crociate del XIII secolo rallentano appena il traffico che mobilita gran parte degli investimenti genovesi nel Mediterraneo e anima le principali città costiere della Siria. Inoltre le commesse passate a Genova dal Re di Francia Luigi IX per le sue spedizioni stimolano l'attività cantieristica, aumentano il tonnellaggio della flotta e offrono al Comune i mezzi per una grande politica marittima e commerciale...(sunto,piuttosto mal riuscito da parte mia, da un articolo di Michel Ballard)

Ecco, concludo io, in questo contesto, per contrastare i concorrenti, per sopperire alla mancanza delle monete d'oro bizantine che finivano a Venezia, per inventarsi "una nuova politica monetaria" che desse nuove fonti di guadagno qualche illuminato genovese ebbe l'idea di coniare nuove monete d'oro.

Modificato da dizzeta
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Molto intressante il quesito sollevato da Monbalda sul "ritorno" alle coniazioni d'oro sul territorio italiano.

Argomento sempre interessante e dibattuto anche recentemente su queste colonne ("piccole note di storia economica medievale") ma che vale sempre la pena approfondire.

In realtà quello del ritorno alla coniazione aurea pare essere un falso problema.

Ha un pò il sapore della provocazione :P , ma pensiamo allargando i confini a tutta la Penisola.

L'oro in terra siciliana, e nel Meridione si è sempre continuato a coniare. Dopo le emissioni auree greche e del periodo romano si succedono quelle bizantine (Siracusa..) , longobarde (Benevento), arabe (emiri Aglabidi e Fatimidi), normanne (anche Amalfi, Salerno), sveve, angione (Brindisi..), aragonesi, fino all'avvento di Carlo V.

Qundi il problema di un ritorno alla coniazione aurea nelle regioni meridionali non è mai esistito.

Diversa, chiaramente , la situazione delle regioni centro-settentrionali della Penisola, dove a seguito della riforma carolingia l'oro scompare per quasi quattro secoli e mezzo.

L'augustale, battuto dopo le Costituzioni di Melfi promulgate da Federico II nel 1231, nonostante il fino (20 carati e mezzo, ovvero 4.44gr. di fino contro un peso nominale di 5.25gr.) ben superiore a quello dei tarì coevi, e la bella, splendida, "presenza" della moneta non ebbe mai una fortuna commerciale eccessiva, anche se esemplari di tale emissione arrivarono addirittura in Inghilterra.

In ogni caso l'augustale e il successivo reale (Carlo I e II d'Angiò) restano monete auree legate ad un sistema bizantino, slegato da quello che vigeva nelle altre regioni della penisola.

Guardando a quanto succede più a nord notiamo che gli stessi bisogni che hanno portato all'introduzione della moneta "grossa", hanno determinato ad un certo punto la necessità di avere nominali maggiori. Fu la conseguenza del tutto naturale dei commerci e dello sviluppo economico conseguito dalle grandi Repubbliche : Genova, Firenze e Venezia.

Alla fine del 1100 in queste regioni circolavano esclusivamente "denari", l'esigenza, man mano che cresceva la potenza mercantile e , insieme , militare delle principali città/repubbliche fece insorgere l'esigenza, per pagare lavori di arsenale e le truppe nel caso di Venezia, dim moneta più grossa, e quindi nel 1202 soto Enrico Dandolo furono battute monete di 2.2gr. (965/1000 di fino) che inaugurarono una nuova stagione monetaria che presto si diffuse rapidamente nei territori e paesi circostanti.

Con l'aumentare dei traffici il ricorso a moneta piu grossa, che riduce la quantità di denari da portare in giro e facilita, velocizzandoli, gli scambi è solo una naturale conseguenza del più elevato livello di attività economica.

Ricordiamoci che la moneta è essenzialmente un fenomeno economico , che implica da un lato motivazioni di tesaurizzzione, dall'altro di agevolazione degli scambi, (mai almeno a quest'epoca un fenomeno numismatico!) e quindi l'introduzione di nuovi nominali o riforme monetarie vengono realizzate in base a d una precisa esigenza e non tanto per introdurre una novità e vederne l'effetto..

Parimenti si è avuto con l'introduzione delle grandi monete auree del XIII secolo. Gli svaultati tarì siciliani che in pratica sopperivano, assieme all'altrettanto svalutato oro bizantino (anche se veniva chiamato Hyperpyra = superpuro ..) costituivano la moneta d'oro disponibile a quell'epoca non bastavano più a sopperire la struttura degli incrementati trafficie scambi commerciali. Fu quindi solo una naturale evoluzione e conseguenza l'introduzione di nominali aurei nuovi e purissimi, sulla base di quanto già fatto pochi decenni prima con il grosso, da parte delle tre maggiori potenze economiche nella penisola.

E se possiamo , credo, riconoscere al genovino il primato dell'introduzione rispetto alle altre due, da un punto di vista di importanza economica e di diffusione furono il fiorino e il ducato veneziano che influenzarono con una rilevanza senza pari la storia monetaria europea.

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Supporter

Molto intressante il quesito sollevato da Monbalda sul "ritorno" alle coniazioni d'oro sul territorio italiano.

Argomento sempre interessante e dibattuto anche recentemente su queste colonne ("piccole note di storia economica medievale") ma che vale sempre la pena approfondire.

In realtà quello del ritorno alla coniazione aurea pare essere un falso problema.

Ha un pò il sapore della provocazione :P , ma pensiamo allargando i confini a tutta la Penisola.

L'oro in terra siciliana, e nel Meridione si è sempre continuato a coniare. Dopo le emissioni auree greche e del periodo romano si succedono quelle bizantine (Siracusa..) , longobarde (Benevento), arabe (emiri Aglabidi e Fatimidi), normanne (anche Amalfi, Salerno), sveve, angione (Brindisi..), aragonesi, fino all'avvento di Carlo V.

Qundi il problema di un ritorno alla coniazione aurea nelle regioni meridionali non è mai esistito.

Diversa, chiaramente , la situazione delle regioni centro-settentrionali della Penisola, dove a seguito della riforma carolingia l'oro scompare per quasi quattro secoli e mezzo.

L'augustale, battuto dopo le Costituzioni di Melfi promulgate da Federico II nel 1231, nonostante il fino (20 carati e mezzo, ovvero 4.44gr. di fino contro un peso nominale di 5.25gr.) ben superiore a quello dei tarì coevi, e la bella, splendida, "presenza" della moneta non ebbe mai una fortuna commerciale eccessiva, anche se esemplari di tale emissione arrivarono addirittura in Inghilterra.

In ogni caso l'augustale e il successivo reale (Carlo I e II d'Angiò) restano monete auree legate ad un sistema bizantino, slegato da quello che vigeva nelle altre regioni della penisola.

Guardando a quanto succede più a nord notiamo che gli stessi bisogni che hanno portato all'introduzione della moneta "grossa", hanno determinato ad un certo punto la necessità di avere nominali maggiori. Fu la conseguenza del tutto naturale dei commerci e dello sviluppo economico conseguito dalle grandi Repubbliche : Genova, Firenze e Venezia.

Alla fine del 1100 in queste regioni circolavano esclusivamente "denari", l'esigenza, man mano che cresceva la potenza mercantile e , insieme , militare delle principali città/repubbliche fece insorgere l'esigenza, per pagare lavori di arsenale e le truppe nel caso di Venezia, dim moneta più grossa, e quindi nel 1202 soto Enrico Dandolo furono battute monete di 2.2gr. (965/1000 di fino) che inaugurarono una nuova stagione monetaria che presto si diffuse rapidamente nei territori e paesi circostanti.

Con l'aumentare dei traffici il ricorso a moneta piu grossa, che riduce la quantità di denari da portare in giro e facilita, velocizzandoli, gli scambi è solo una naturale conseguenza del più elevato livello di attività economica.

Ricordiamoci che la moneta è essenzialmente un fenomeno economico , che implica da un lato motivazioni di tesaurizzzione, dall'altro di agevolazione degli scambi, (mai almeno a quest'epoca un fenomeno numismatico!) e quindi l'introduzione di nuovi nominali o riforme monetarie vengono realizzate in base a d una precisa esigenza e non tanto per introdurre una novità e vederne l'effetto..

Parimenti si è avuto con l'introduzione delle grandi monete auree del XIII secolo. Gli svaultati tarì siciliani che in pratica sopperivano, assieme all'altrettanto svalutato oro bizantino (anche se veniva chiamato Hyperpyra = superpuro ..) costituivano la moneta d'oro disponibile a quell'epoca non bastavano più a sopperire la struttura degli incrementati trafficie scambi commerciali. Fu quindi solo una naturale evoluzione e conseguenza l'introduzione di nominali aurei nuovi e purissimi, sulla base di quanto già fatto pochi decenni prima con il grosso, da parte delle tre maggiori potenze economiche nella penisola.

E se possiamo , credo, riconoscere al genovino il primato dell'introduzione rispetto alle altre due, da un punto di vista di importanza economica e di diffusione furono il fiorino e il ducato veneziano che influenzarono con una rilevanza senza pari la storia monetaria europea.

Sottoscrivo

Saluti

Luciano

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Supporter

Sì sì, le questioni in ballo sono diverse ed alcune anche di interesse generale...proprio per parlarne meglio non ce l'ho fatta nel fine settimana, come mi ero riproposta.

Nel frattempo dovevo un poco recuperare tutti gli "arretrati" anche nella discussione sul denaro lucchese.

Interverrò sicuramente nei prossimi giorni, appena riesco a ritagliarmi un poco di tempo. Grazie per intanto dei vostri post così "densi" e stimolanti.

Saluti a tutt+ MB

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Due considerazioni su Venezia. Per quanto riguarda la coniazione del grosso d'argento, gli studi degli ultimi anni danno quasi per certo l'inizio delle coniazioni agli ultimi anni del XII secolo e quindi slegato dalla preparazione alla IV crociata (vedi Saccocci, Sthal, Travaini e altri...).

Per quanto riguarda l'oro, Venezia fece ampio uso di oro bizantino, esattamente come il sud Italia. E lo stesso vale per l'iperpero (chiamato bisante) che continuò ad essere usato anche ben dopo la coniazione del fiorino. Venezia si decise a coniare il proprio ducato solo quando la quantità dell'oro bizantino cominciò a scarseggiare. L'oro fiorentino e quello genovese (e questo è un po' più strano) non presero mai piede in oriente...

Modificato da Arka
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Due considerazioni su Venezia. Per quanto riguarda la coniazione del grosso d'argento, gli studi degli ultimi anni danno quasi per certo l'inizio delle coniazioni agli ultimi anni del XII secolo e quindi slegato dalla preparazione alla IV crociata (vedi Saccocci, Sthal, Travaini e altri...).

Per quanto riguarda l'oro, Venezia fece ampio uso di oro bizantino, esattamente come il sud Italia. E lo stesso vale per l'iperpero (chiamato bisante) che continuò ad essere usato anche ben dopo la coniazione del fiorino. Venezia si decise a coniare il proprio ducato solo quando la quantità dell'oro bizantino cominciò a scarseggiare. L'oro fiorentino e quello genovese (e questo è un po' più strano) non presero mai piede in oriente...

Concordo che l'origine del grosso potrebbe essere spostata all'indietro di qualche decennio, ma si può individuare un fattore (o piu fattori) polarizzatore per l'introduzione di tale nominale ?

Per l'oro direi che forse non fu tanto la quantità di oro a scarseggiare ma il debasement (svalutazione) progressivo del contenuto di fino, soprattutto dopo la riconquista bizantina di Costantinopoli, nel 1261 da parte di Michele Paleologo, che rendeva certamente più difficili gli scambi commerciali . Da quel momento la valuta bizantina subì un'interrotta serie di svalutazioni e riforme che portarono l'hyperpyron (superpuro), introdotto da Alessio Im Comneno con la riforma monetaria del 1092, a evolvere da una moneta a buon contenuto di fino (20 carati e mezzo) ad una d'argento svalutata e debased battuta fino all'epoca di Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354).

Modificato da numa numa
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Supporter

Prima di esporre in modo più disteso e dettagliato le mie riflessioni circa il momento in cui le principali zecche dell'Italia centro-settentrionale cominciarono a coniare una propria moneta d'oro, volevo sottoporvi alcune considerazioni.

1) mi sono riletta quanto avete fino ad ora postato sull'argomento e mi pare che:

- ci sia una prevalenza di opinioni nell'individuare una delle cause principali nella necessità di trovare uno strumento economico e finanziario più adeguato alle grandi transazioni a fronte della crescente svalutazione dei tarì e degli iperperi bizantini, o comunque per sostituirsi a questi

- questo sarebbe avvenuto circa a metà del Duecento come "evoluzione" quasi naturale del sistema, dopo l'introduzione delle monete grosse d'argento...

Ma correggetemi se ho sbagliato...oppure se ci sono altre cose da aggiungere.

2) Per utilità di riflessione volevo ricordare quali erano le zecche di città toscane eminentemente mercantili oltre a Firenze che batterono moneta aurea in questo periodo e quelle che invece non la produssero fino al XIV secolo:

- Lucca: batte il suo grosso d'oro probabilmente tra il 1253 ed il 1257 (prima attestazione documentaria); le menzioni si fanno più frequenti dal 1260; un esemplare si trova nel Ripostiglio dei Banchi di Pisa, che nell'ultima revisione (ormai dieci anni oro sono) ho datato come deposiz. al 1270 circa (trovate la moneta anche nel catalogo online del sito: http://numismatica-i...oneta/W-FE2LU/1)

- Pisa: a partire dal 1254 batte un nuovo grosso da due soldi in argento (pesante), attestato dalle fonti scritte fino dal 1256; conierà una moneta d'oro solo intorno al 1330-1340, almeno secondo le mie ultime ipotesi ricostruttive (purtroppo non posso postare alcuna moneta di questo tipo, ma bruttissime immagini, scansionate dal mio articolo del 2003 - senza permesso o segnalazione di sorta ... - si trovano qui: http://www.stilepisa...ini/index41.htm )

- Siena: tra il 1250 ed il 1279 conia tre tipi di grossi in argento (seriazioni Toderi maggiormente articolata MIR); conierà il suo sanese d'oro dal 1376. (qui, il tipo post 1390, http://www.mcsearch.....html?id=155004 ).

3) Come ricorda Lopez, citando una cronaca fiorentina, fino al 1290 circa non c'era "nessuno che l'volesse" (il fiorino d'oro). Il suo balzo in avanti e la sua diffusione avvenne proprio a partire da quel periodo , similmente al ducato. Cfr. anche il numero varianti principali di conio fino a dine Duecento/inizi Trecento non elevatissimo...soprattutto se messo a confronto con le varianti attestate per il genovino di I tipo.

Ora non so se è un caso, ma Pisa e Siena, dove, a giudicare dai documenti e dai ritrovamenti, di monete auree e di oro di pagliola nella prima metà circa del Duecento ne circolavano in una certa abbondanza, ma che "controllavano" dei distretti minerari (Sulcis-Iglesiente e colline metallifere toscane), si scelse di rimanere fedeli ad un sistema argenteo fino alle crisi e ai rincari trecenteschi, per Pisa seguiti alla perdita della Sardegna in conseguenza della conquista catalana (1324-1330).

Invece Lucca, le cui miniere versiliesi dovevano essere insufficienti alla domanda ormai da tempo, seguirono la strada di Firenze, altra zecca che nonostante la penetrazione di suoi mercanti ed imprenditori nel volterrano, non ne avrà mai a disposizione completa i filoni estrattivi di una certa rilevanza, anche a causa dell'aggressiva presenza senese.

Ecco: io penso che come del resto già ha scritto il buon Lopez, e con argomenti diversi hanno ripreso anche Grierson e Spufford, sia necessario pensare ai flussi di oro e argento ed alla ratio oro:argento derivante, e quindi al costo dei due metalli in Italia centro-settentrionale in quel periodo (metà XIII secolo e di nuovo anni '80-'90 del Duecento) ed al> possibile vantaggio economico che poteva derivare dalla coniazione dell'uno piuttosto che dall'altro metallo. La svalutazione delle monete auree islamiche, del regno e bizantine sono effetti causati da un altro tipo di relazione tra i due metalli creatasi nelle aree monetarie tradizionalmente trimetalliche, o comunque legate alla monetazione aurea…

Infine per la metà del Duecento non scarterei delle considerazioni di prestigio politico, oppure di rivendicazione di alcune città della compagine filoguelfa (Genova, Lucca e Firenze), nei confronti della monetazione sveva del Regno ed in almeno come con-causa, che nessuno finora mi pare abbia ricordato.

Non so se sono stata sufficientemente chiara: intanto che ne dite di queste cose ?

un saluto a tutt* MB

P.S. prossimamente risponderò anche ad altri quesiti rimasti in sospeso su Genova :rolleyes:

Modificato da monbalda
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Supporter

Buona serata

non posso che condividere quanto si è detto su Venezia ed in proposito ripropongo una mia risposta fatta qualche mese fa sullo stesso tema: perchè ci fu l'esigenza di coniare monete d'oro da parte dei grandi stati mercantili, in primis Genova ed a seguire Firenze, Venezia, ecc. ecc.?

Da parte mia condivido la tesi che Venezia ritardò l'emissione di una moneta d'oro, rispetto a Genova, Firenze, per sola ed esclusiva opportunità.

Venezia aveva un governo costituito da mercanti; gli stessi che organizzavano e lucravano con il commercio. I veneziani pagavano le importazioni dall'Oriente con l'invio di sacchi di Grossi e di lingotti d'argento raffinato allo stesso titolo e bollato in conformità dalla Zecca; lo stesso argento che Venezia riceveva dalle miniere tedesche, ungheresi, e balcaniche in generale e le monete d'oro usate nel commercio veneziano erano quasi esclusivamente quelle provenienti dalle zecchi bizantine. ( Frederic C.Lane "Storia di Venezia" 1978 Einaudi.)

Che motivo aveva Venezia di modificare la sua politica monetaria monometallica, incentrata sull'argento, nei confronti dei mercati stranieri se questa era "vincente"? Perché rischiare di perdere credibilità, quando poteva sfruttare le monete bizantine?

Sappiamo bene che Venezia teneva moltissimo alla propria reputazione; non è un caso che continuò a coniare le proprie monete a martello per decenni, pur essendo state nel frattempo introdotte in molte altre zecche le macchine, per il solo fatto che le sue monete, quelle e non altre, erano ben considerate ed apprezzate in tutto il "mondo", per come erano.....

Quindi opportunità e, direi anche, tradizione e conservatorismo. Ancora nei primi anni del trecento molti veneziani diffidavano dell'oro; i ducati non erano che un mezzo alternativo o supplementare di fare pagamenti. I prezzi all'ingrosso, le obbligazioni di stato ed i conti dei banchieri, erano ancora indicati con una moneta di conto basata sul Grosso: la "lira a Grossi".

Fino a quando Venezia potè fare affidamento sul suo status quo, non modificò nulla e solo con il deteriorato valore delle monete d'oro bizantine prese in esame l'emissione di una sua moneta d'oro.

Saluti

Luciano

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Chiedo scusa se intervengo in maniera discontinua, devo sistemare alcuni problemi.

Volevo porre l'accento su una questione che non mi è molto chiara. Le monete d'argento e quelle d'oro venivano coniate dal Comune, per conto del Comune oppure, come mi sembrava d'aver capito, le monete venivano coniate dalla zecca (che era in appalto a privati) per conto dei mercanti che portavano le verghe d'argento e (poi) d'oro e quindi l'autorità del Comune/Repubblica apponeva solo il suo "sigillo" di garanzia ?

Mi sono fumato qualcosa di strano a mia insaputa ?

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Chiedo scusa se intervengo in maniera discontinua, devo sistemare alcuni problemi.

Volevo porre l'accento su una questione che non mi è molto chiara. Le monete d'argento e quelle d'oro venivano coniate dal Comune, per conto del Comune oppure, come mi sembrava d'aver capito, le monete venivano coniate dalla zecca (che era in appalto a privati) per conto dei mercanti che portavano le verghe d'argento e (poi) d'oro e quindi l'autorità del Comune/Repubblica apponeva solo il suo "sigillo" di garanzia ?

Mi sono fumato qualcosa di strano a mia insaputa ?

Buongiorno

Se ti riferisci a Venezia, ti riporto un sunto di quanto scritto nella precedente discussione sulla "Organizzazione Zecca Medioevale" del 25/11/2010:

Posta a lato della Piazzetta di San Marco, in faccia al “Canalazzo” (Canal Grande), fu senza dubbio una fabbrica atipica, dal momento che non era gestita dall’iniziativa privata per un profitto privato, ma da funzionari pubblici in conformità a leggi stabilite dal Governo; ma sebbene nettamente diversa dalle industrie private, essa stessa doveva rispondere a requisiti di mercato, di standardizzazione del prodotto, di economicità e qualità, tali che ne rendevano simili alcuni aspetti.

Poteva certamente competere con l’Arsenale, a cui era stato dato un nuovo impulso dopo l’ultimo ampliamento e con altre imprese, quali l’industria estrattiva del sale, l’industria vetraria e della raffinazione dello zucchero.

Si calcola che vi fossero impiegati un centinaio di operatori, quasi tutti, a seconda delle funzioni, obbligatoriamente Citadini Originari, (6) suddivisi in sezioni distinte, ciascuna con propri organi di controllo, di amministrazione e maestranze; queste ultime erano costituite da unità lavorative salariate, a cottimo e con lavoratori ausiliari, anche assunti a tempo determinato.

Tale impostazione non era, però, assolutamente rigida, tant’è che nella zecca potevano crearsi delle sinergie tra le varie componenti in quei periodi in cui, l’esigenza di coniare determinate monete al posto di altre, determinava il trasferimento di maestranze da un settore all’altro.

Poteva così accedere che uno stampatore della zecca dell’argento, dovesse trasferirsi a prestare la sua opera nella stamperia della zecca dell’oro o viceversa e così pure per eventuali esigenze nella zecca del rame.

Saluti

luciano

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Posta a lato della Piazzetta di San Marco, in faccia al "Canalazzo" (Canal Grande), fu senza dubbio una fabbrica atipica, dal momento che non era gestita dall'iniziativa privata per un profitto privato, ma da funzionari pubblici in conformità a leggi stabilite dal Governo

E' bene comunque ricordare che da questo punto di vista Venezia era una importante eccezione, gli altri comuni operavano in regime di appalto, come notato giustamente sopra, e non sono a conoscenza di altre situazioni come quella di Venezia.

Per quanto riguarda il volume delle emissioni, penso di poter dire che il fattore discriminante era la "destinazione d'uso", almeno nel periodo in cui venivano coniate sia la moneta piccola sia quella grossa. La moneta piccola era destinata all'uso interno quotidiano, quindi il comune si faceva promotore della coniazione del contingente ritenuto necessario per un buon funzionamento dell'economia locale, acquistando direttamente il metallo necessario (a Venezia, tramite i massari) o richiedendo allo zecchiere appaltatore la coniazione di un quantitativo minimo; senza escludere che anche i privati che portavano argento in zecca potevano farne coniare una parte in moneta piccola per loro necessità (o anche dovevano, come avveniva per un periodo a Venezia con i soldini). La moneta grossa era invece destinata principalmente alle transazioni importanti e al commercio di lunga distanza (nel caso di Venezia, al commercio con il Levante) e di conseguenza qui il fattore principale erano i privati. Nell'eccellente libro di Stahl sulla zecca di Venezia si mostra come i quantitativi di grossi coniati (e anche il loro valore di mercato, dato che erano liberi di fluttuare contro la lira di moneta, cioè l'unità di conto) dipendessero dalla stagione, con un massimo subito prima della partenza delle flotte mercantili per il Levante.

In ogni caso comunque, anche quando la zecca era appaltata a privati, l'autorità comunale rimaneva garante per la "bontà" (in termini di peso e titolo) delle coniazioni (ci metteva la faccia, in pratica) e questo, immagino, è uno dei motivi per cui le pene per chi adulterava la moneta erano spesso severissime.

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Vorrei fare un piccolo passo indietro, se mi è consentito, per un piccolo dubbio che mi è venuto ripensando ai quartari genovesi:

Data la correttezza degli esami effettuati dall'Istituto di Chimica Generale dell'Università di Genova come mai il quartaro di primo tipo (castello) contiene più argento di quello con il grifo? Semmai, per la svalutazione, dovrebbe essere il contrario oppure essendo così basso il titolo la cosa è ininfluente?

Riporto i risultati degli esami effettuati:

Quartaro di primo tipo (castello): rame 95%, argento 2%, stagno 1%, piombo 0,5% il resto sono ferro, alluminio e nichel evidenti impurezze.

Quartario di terzo tipo (grifo): rame 90,5%, argento 1%, stagno 3,5%, piombo 3,5%. oltre a tracce di ferro alluminio e nichel come sopra.

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Posta a lato della Piazzetta di San Marco, in faccia al "Canalazzo" (Canal Grande), fu senza dubbio una fabbrica atipica, dal momento che non era gestita dall'iniziativa privata per un profitto privato, ma da funzionari pubblici in conformità a leggi stabilite dal Governo

E' bene comunque ricordare che da questo punto di vista Venezia era una importante eccezione, gli altri comuni operavano in regime di appalto, come notato giustamente sopra, e non sono a conoscenza di altre situazioni come quella di Venezia.

Per quanto riguarda il volume delle emissioni, penso di poter dire che il fattore discriminante era la "destinazione d'uso", almeno nel periodo in cui venivano coniate sia la moneta piccola sia quella grossa. La moneta piccola era destinata all'uso interno quotidiano, quindi il comune si faceva promotore della coniazione del contingente ritenuto necessario per un buon funzionamento dell'economia locale, acquistando direttamente il metallo necessario (a Venezia, tramite i massari) o richiedendo allo zecchiere appaltatore la coniazione di un quantitativo minimo; senza escludere che anche i privati che portavano argento in zecca potevano farne coniare una parte in moneta piccola per loro necessità (o anche dovevano, come avveniva per un periodo a Venezia con i soldini). La moneta grossa era invece destinata principalmente alle transazioni importanti e al commercio di lunga distanza (nel caso di Venezia, al commercio con il Levante) e di conseguenza qui il fattore principale erano i privati. Nell'eccellente libro di Stahl sulla zecca di Venezia si mostra come i quantitativi di grossi coniati (e anche il loro valore di mercato, dato che erano liberi di fluttuare contro la lira di moneta, cioè l'unità di conto) dipendessero dalla stagione, con un massimo subito prima della partenza delle flotte mercantili per il Levante.

In ogni caso comunque, anche quando la zecca era appaltata a privati, l'autorità comunale rimaneva garante per la "bontà" (in termini di peso e titolo) delle coniazioni (ci metteva la faccia, in pratica) e questo, immagino, è uno dei motivi per cui le pene per chi adulterava la moneta erano spesso severissime.

Buona serata Paleologo.

Tutto vero; Venezia costituisce una eccezione ed anch'io non conosco situazioni analoghe in Stati italiani. Credo che derivi proprio da una scelta "politica" e non dalla mole di moneta coniata.....c'erano infatti altri Stati, altrettanto importanti, che potevano primeggiare con Venezia.

Saluti

Luciano

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Supporter

Intanto rispondo velocemente all'ultimo quesito di DZ

Vorrei fare un piccolo passo indietro, se mi è consentito, per un piccolo dubbio che mi è venuto ripensando ai quartari genovesi:

Data la correttezza degli esami effettuati dall'Istituto di Chimica Generale dell'Università di Genova come mai il quartaro di primo tipo (castello) contiene più argento di quello con il grifo? Semmai, per la svalutazione, dovrebbe essere il contrario oppure essendo così basso il titolo la cosa è ininfluente?

Riporto i risultati degli esami effettuati:

Quartaro di primo tipo (castello): rame 95%, argento 2%, stagno 1%, piombo 0,5% il resto sono ferro, alluminio e nichel evidenti impurezze.

Quartario di terzo tipo (grifo): rame 90,5%, argento 1%, stagno 3,5%, piombo 3,5%. oltre a tracce di ferro alluminio e nichel come sopra.

Come considerare questi risultati dipende da vari fattori:

1) dovresti dirci quale è stata la metodica utilizzata per ottenere questi risultati, ovvero: una qualsiasi forma di irradiazione o diffrattometria, oppure analisi distruttive e comunque in grado di saggiare la media sull'intero tondello per una lega di questo genere?

2) dovremmo sapere quale è il numero di esemplari saggiati per ogni tipo

Tendenzialmente ti accenno già che se la metodica usata non è di quelle che possono saggiare bene tutto il tondello per un tipo di lega come questa, e se gli esemplari saggiati sono soltanto uno o due per tipo, è difficile fare considerazioni di tipo più generale.

Se comunque riesci a farci sapere questi dati, mi riprometto di tornare più diffusamente sull'argomento (ci sono indicazioni dalle fonti scritte di tipo diverso sul contenuto di fino dei quartari con il grifo ...) e di esporvi varie considerazioni da fare sia sulle metodiche per analizzare il contenuto metallico delle misture (più o meno basse), sia sul tema della svalutazione delle monete piccole come indice di successione o posteriorità cronologica, oltre che a valutare altri aspetti legati a variazioni come quella che ci hai esposto (cfr. bassissimo titolo).

Grazie fin d'ora per le informazioni e per gli interessanti spunti wink.gif!

Saluti MB

P.S. Complimenti per i "falsi" di Genova inseriti nel catalogo on-line. Purtroppo in questo periodo ho sempre tempo abbastanza limitato per il sito, e mi riprometto di riguardarli meglio (soprattutto in non conclamati) in altro momento...

Modificato da monbalda
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Come considerare questi risultati dipende da vari fattori:

1) dovresti dirci quale è stata la metodica utilizzata per ottenere questi risultati, ovvero: una qualsiasi forma di irradiazione o diffrattometria, oppure analisi distruttive e comunque in grado di saggiare la media sull'intero tondello per una lega di questo genere?

2) dovremmo sapere quale è il numero di esemplari saggiati per ogni tipo

Quello che so l'ho letto su "La Numismatica" del Marzo 1983 di E.Janin e dice che ha fatto eseguire una determinazione analitica dei diversi metalli presenti su un esemplare del quartaro di I° tipo e un esemplare del quartaro di III° tipo, l'Esame è stato eseguito dal Dott. Tacchino dell'Ist. Chimica Generale dell'Università di Genova. Dice, comunque anche lui che i risultati non possono portare a nessuna conclusione certa e definitiva ma, tuttavia, possono essere tenuti in considerazione come piccole tessere di un mosaico che deve ancora essere completato.

Non è che può essere stato coniato per primo il castello, poi sostituito da quelli col grifo e poi ancora riconiato col castello che era "il logo" storico della Repubblica, la battitura di questi quartari sembra essere stata piuttosto lunga e travagliata ( solo la Q, poi QVARTARO, poi IANVA, poi TOMAINVS, poi con legende a caso).

Chiedo scusa, non voglio assolutamente contestare gli studi recenti che sono certamente molto più affidabili di quelli del passato ma mi piacerebbe capire le cose che non mi sono chiare, io, alla sola vista dei miei, se dovessi dire quali sono i più "antichi" direi quelli col castello per i caratteri, per la forma della croce ma soprattutto per il primo impatto visivo.

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Caro dizzeta,

dopo averti risposto sono andata a controllare i testi di Janin perchè in effetti quei valori non mi erano nuovi, ed ora anche tu mi confermi questa cosa.

Nel 2001 quando ebbi l'occasione di parlare dei quartari con Janin gli chiesi anche di queste analisi (era già uscito il primo quartaro al castello ribatutto sul quello con il grifo da uno scavo, e lo incontrai ad una conferenza in cui lo presentavo) e mi confermò che erano stati fatti su due soli pezzi e, se non erro, proprio con metodica non distruttiva.

Quindi, come poi spiegherò meglio (l'ora è tarda ed il lavoro per domani urge) si tratta di informazioni sulle quali non possiamo basarci, senza avere acquisito altri dati dal punto di vista quantitativo e con metodiche più certe per questo genere di monete, in base alle quali verificare se questa è la tendenza statistica per ciascun tipo, o invece un'eccezione rispettivamente dei due esemplari analizzati.

Per quelle percentuali di fino ci potevano essere variazioni nell'alligazione, volute o meno da chi preparava i tondelli, che solo con un minimo di rigore statistico possono dare qualche indicazione significativa.

Detto questo, mi spiace se i dati che ho fornito ed ho cercato di spiegarvi sulla datazione dei quartari non ti convincono: però le ribattiture, i ritrovamenti, i caratteri gotici nel tipo al castello, il "nodino" dentro al castello, oltre che la presenza della sola lettera Q. invece della scritta QVARTARO (si abbrevia quando si sa già bene cosa può significare), e poi la croce intersecante ...qualcosa vorranno dire. E la croce del tipo con il grifo mi pare invece già compatibile con quella dei denari con la n gotica nel quarto ed il denaro di Simon Boccanegra (da inizio XIV secolo al 1344). Questo perchè dal tuo post non ho capito a quale croce ti riferisci.

Queste cose io non sono riuscita a spiegarmele altrimenti che con le proposte cronologiche che vi ho esposto, ma sono pronta a ricredermi in ogni momento,qualora vi fossero altre evidenze in merito. E ti dico in tutta franchezza che per ora questa analisi del fino che hai ricordato, visti i problemi a cui accennavo sopra, non mi pare sufficiente....

Per quanto riguarda la battitura prima di un tipo "al castello" poi con due tipi "al grifo" e poi di nuovo con il castello mi sembra un poco la strada più difficile, ma non si può mai dire. Ti dico però che per adesso non ho notato due raggruppamenti diversi per - che so - peso o altre caratteristiche, che potrebbero indicare emissioni così lontane nel tempo, ovvero una di fine XIII-primi anni del Trecento (prima in assoluto non ci sono contesti archeologici con ritrovamenti di quartari di nessun tipo) e poi una degli anni '40-50 del Trecento. Non so se tu hai notato qualcosa di diverso.

Viceversa mi sono chiesta se molte delle varianti con il grifo di tipo "anomalo" (Janin tipo 5) non siano state riconiate anche un poco più tardi, fino alla fine del Trecento primi anni del Quattrocento, magari come fenomeno di imitazione anche in zecche altre da Genova (falsi d'epoca per crearsi un poco di divisionale minuto?), visto che di frequente si trovano anche in contesti così tardi.

Comunque se hai o avete dei dubbi, mi fa piacere affrontarli e ragionarci insieme: serve anche a me per vedere se alcuni percorsi che propongo hanno un fondamento solido, o se ci sono cose da rivedere. Ed anche come protrebbe proseguire la ricerca: per esempio per le monete piccole di Genova si dovrebbero tentare senz'altro più analisi del contenuto metallico, distruttive e non.

Per ciò da un lato ringrazio dizzeta per aver espresso le sue perplessità ed aver ritirato fuori questi dati. Dall'altro lo invito a provare a rimettere in fila le sue monete (denari, quartari, minuti e petachine) cercando di osservarle con "occhi nuovi". Perchè quando l'ho fatto io, vi assicuro che mi pareva che questo nuovo ordine tornasse proprio bene :)!

saluti MB

Modificato da monbalda
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Una persona molto saggia ed attenta alle monetine medievali mi ha fatto recentemente una domanda. E' Genova a coniare per prima i quartari e poi le altre zecche limitrofe hanno seguito o piuttosto è stato il contrario ? Ad esempio sui quartari con legende tipo TOMAINVS, chi mai potrebbe essere ? :rolleyes:

Lancio questo sassolino, ammettendo però che sono ignorante in merito.

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Una persona molto saggia ed attenta alle monetine medievali mi ha fatto recentemente una domanda. E' Genova a coniare per prima i quartari e poi le altre zecche limitrofe hanno seguito o piuttosto è stato il contrario ? Ad esempio sui quartari con legende tipo TOMAINVS, chi mai potrebbe essere ? :rolleyes:

Lancio questo sassolino, ammettendo però che sono ignorante in merito.

Sui quartari con TOMAINVS sto rivalutando l'idea che di tratti di Tomaso di Campofregoso doge XIX (1415-1421) ,insomma un "Tomasino", a suo tempo bocciata perché sembrava troppo lontano nel tempo .........ma ora

P.S. In quanto ad "ignoranza" io non temo confronti, credimi, non c'è partita... non mi batte nessuno.

Modificato da dizzeta
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Nel denaro con la n gotica mi sembra di "intuire" la E lunata, la C purtroppo non la si vede proprio...

post-1677-0-27804800-1295685297_thumb.jp

Che ne dite ?

Foto di altri esemplari un po' meglio conservati (anche se difficile trovarne) ?

Eccolo qua un altro danaro con la "n", un po' mal messo ma per fortuna la "E" si vede abbastanza bene ...

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Ringrazio DZ per aver postato un'immagine così nitida di questo denaro genovese, dove almeno si vede la E lunata che qui appare chiusa. Faccio notare anche la forma che sta già assumendo la croce sul rovescio, oltre alla forma della V e della A. Peccato non si legga la C e si intuisca la V , che sembra ancora di forma capitale.

Per quanto concerne la datazione di questi denari, mi auto-quoto, riportando quanto già scritto in un precedente post in questa discussione "Vista la rarità di questo genere di denaro nei ripostigli corsi e sardi (non presente in S. Laurina, Corsica e in Pattada, Sardegna, ma solo 8 esemplari in Oschiri) ed il grado di usura con il quale in genere vi si ritrova, potrebbe essere uno di quei tipi coniati tra la metà del primo ed il secondo decennio del Trecento".

Per confronto diretto, e per far comprendere meglio ciò di cui stiamo disquisendo ultimamente anche a chi conosce meno la monetazione genovese, vi allego l'immagine di un quartaro con il grifo che potrebbe stato battuto nello stesso arco cronologico di queste serie di denari, o poco succesivamente (immagine tratta dallo studio di Janin apparso su 'a compagna 1994).

Nel post successivi rimanderò un'immagine del quartaro "al castello", definito dalla letteratura di "I tipo" che invece dovrebbe essere successivo almeno ad una tipologia di quelli con il grifo (ma da tipologia di artigli del grifo e lettere sotto la ribattitura sembrerebbe il grifo del cosiddetto II tipo), e di un quartaro analogo passato di recente in asta che sottoporei alla vostra osservazione.

Saluti MB

post-10758-0-98278900-1298133856_thumb.j

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Ecco un'immagine tratta dal mio articolo apparso sui NAC, dove si possono vedere un quartaro con il grifo da scavo ed uno dei quartari al castello sul quale si osservano tracce di ribattitura sul grifo (le zampe e parte dell'ala). Il quartaro ribattuto è ingrandito per far vedere un poco meglio i segni sul tondello. Mi spiace ma non posso inviarvi la versione a colori.

MB

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Supporter

Adesso vi invio l'immagine di un quartaro al castello/ di I tipo apparso in una recentissima asta, rispetto al quale:

1) vi farei osservare la forma delle lettere Q ed A al dritto, oltre alla C ed alla U in basso sul rovescio, tanto per tornare al tema generale della discussione. E fate il confronto con il denaro con n gotica ed il quartaro al grifo.

2) vi chiederei se osservate qualche altra cosa di particolare

Mi dispiace di non riuscire a caricare direttamente un file più grande e leggibile (devo farmi spiegare come ovviare al problema senza ricorrere a siti esterni, ma temo siano permessi che non ho ancora a causa del mio "titolo", cioè della mia partecipazione attiva relativamente recente al forum).

Ed anche da questa immagine, però...

In attesa delle vostre eventuali osservazioni

saluti MB

P.S. Già che ci siamo: io guarderei bene anche i quartari di I tipo del catalogo on-line di questo sito ;).

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Modificato da monbalda
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......... l'immagine di un quartaro al castello/ di I tipo apparso in una recentissima asta .........

Prima di entrare nel merito degli argomenti (...che voglio leggere e rileggere e rileggere con la dovuta calma per non prendere qualche cantonata ...) ti posso anticipare che quel quartaro di quella recentissima asta lo sto aspettando e quando arriverà lo "vivisezionerò" a 100 ingrandimenti per capire cosa sono quei segni strani (eh sì, ...perché le monete sono "vive" dopo 6 secoli - .......... o 7).......... ancora qualche giorno.Per intanto noto che quella "A" è simile/uguale alla "A" dello zecchiere della Terzarola di Carlo VI (1396-1409), del grosso di Teodoro di Monferrato (1409-1413), della petachina e del soldino di Filippo Maria Visconti (1421) ... cioè la n. 12 della foto allegata...dico bene?

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