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Inviato

Penso di fare cosa gradita e interessante riportare com'era l'organizzazione di una zecca medievale,sull'argomento non si hanno grandi notizie,utilizzo il libro fonte di innumerevoli notizie sulla monetazione medievale di Monica Baldassarri "Zecca e monete del Comune di Pisa"(prometto già da adesso per par condicio ,non appena in possesso del libro della Vanni sempre sulla monetazione di Pisa di dare adeguato risalto).

STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA ZECCA DI PISA SECONDO GLI STATUTI DEL 1287.

QUALIFICA = CAPITANEOS MONETAE - MANSIONI = Controllano l'attività della zecca ,la regolarità delle coniazioni e la quota-parte di signoraggio del Comune - DURATA INCARICO = 1 semestre fino ad un massimo di 2 anni -SALARIO = 15 libbre a semestre

QUALIFICA = SAGGIATORE O PROVAIOLUS - MANSIONI = Provvede a saggiare la lega sia delle monete portate a fondere,sia dei tondelli prima della battitura - DURATA INCARICO = 1 semestre - SALARIO = 20 libbre a semestre

QUALIFICA = AFFIORATORES - MANSIONI = Sottopongono i tondelli alle operazioni di bianchitura prima della coniazione =DURATA INCARICO = 1 semestre (?)-

QUALIFICA = INTALLIATOR ET CUSTOS CUGNORUM =MANSIONI = Predispone i conii in metallo e li custodisce tra una battitura e l'altra - DURATA INCARICO = 1 anno - SALARIO = 40 libbre annue

QUALIFICA = MAGISTRI - MANSIONI = Sovrintendono le operazioni di fusione dei metalli e di creazione delle leghe al titolo legale -

QUALIFICA = OPERARII - MANSIONI = Eseguono la separazione dei metalli dal minerale o la fusione dei metalli provenienti da vecchi oggetti o monete ( bulsone)

Aggiungerei inoltre che per circoscrivere il ruolo di funzionari e monetieri che erano riuniti in un collegio ristretto ed ereditario con grandi privilegi,si stabilì o che si era monetieri o si faceva parte del collegio dei monetieri,ma non si poteva essere entrambi,e che i funzionari non potevano in contemporanea loro avere figli o socii che lavorassero nella zecca

Così la zecca di Pisa nel 1287 (fonte Monica Baldassarri "Zecca e monete del Comune di Pisa"..

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Inviato

Se può interessare posso trascrivere un interessante articolo sul funzionamento di zecca nel 1700 a Bologna ;)


Inviato

Se può interessare posso trascrivere un interessante articolo sul funzionamento di zecca nel 1700 a Bologna ;)

Può essere interessante fare un raffronto, 2 epoche diverse,2 zecche diverse,non ci sono tantissime fonti in materia soprattutto nel medievale


Inviato

Provo allora. Vi posto un estratto dell'articolo di Giuseppe Giannantonj apparso sul numero 61 di CN del 1995. Questo articolo esamina la zecca di Bologna nella seconda metà del 1700. Vi trascrivo un piccolo passo....

"Nel quadro organizzativo del personale si colloca, in primo luogo, lo Zecchiere, o Maestro di Zecca. Deve essere "di buona habilità e fede" dato che gli si lascia in custodia la Casa della Zecca, con tutti gli strumenti e gli utensili, annotati in un inventario pubblico. Ha uno stipendio di lire 12 di quattrini ogni mese, cifra che viene percepita comunque sia che la zecca lavori o meno. Ulteriori introiti gli derivano sotto forma di provvigioni su particolari coniazioni, o disgravi fiscali, fra cui l'esenzione dei dazi di Bologna, per tutto il materiale utilizzato nell'attività di conio.

L'elezione di questo massimo responsabile viene effettuata a maggioranza qualificata, per la durata di un triennio (rinnovabile) e con l'obbligo per lo zecchiere di dare "idonea sigurtà", ossia di depositare una cauzione avvalorata al Reggimento [Governo Cittadino] per garantire "chiunque porterà oro o argento in zecca per battere moneta". Alcuni incaricati tra cui fonditori, stampatori, aggiustatori,... sono nominati direttamente dallo zecchiere e dipendono da quest'ultimo operativamente e economicamente.

Si eleggono e si stipendiano con una somma di lire 12 ciascuno due assaggiatori, la cui distribuzione è di fare i saggi ossia di riconoscere la composizione effettiva delle monete, che solo in casi molto rari sono formate da metallo puro. Servendosi di piombo, argento, acque forti e pesi gli assaggiatori compiono almeno due differenti saggi per moneta: solo se si trovano concordi fanno ambedue fede per iscritto di titolo, peso e bontà.

Il Maestro dei Conii è tenuto "a tutte sue spese et opera, a mantenere sempre ben provveduta la Zecca di tutti li cunei che occorreranno, e che li fossero portati per improntare monete di rame, d'argento e d'oro che si volessero battere". Ricompensato con uno stipendio annuale di 250 lire, il prscelto riceve inoltre una provvigione di lire 4 per ogni libbra di argento di moneta coniata.

Un altro soggetto di sperimentata fiducia viene eletto dal reggimento: è il Custode dei Conii, con una retribuzione annua di 96 lire. Il suo compito consiste nel tenere e custodire tutti i conii entro un armadio corazzato, esistente nel palazzo della zecca, del quale egli solo conserva le chiavi. Inoltre, il custode deve salvaguardare le monete di nuovo conio, affinchè siano poi presentate, per l'approvazione ufficiale, o la liberazione, degli assunti."

Mi interrompo perchè sono "lievemente stanco" :) Domani sera completo.... ;)


Inviato (modificato)

Bravo Ghera,continua così,quando puoi ...ovviamente

P.S. Sarebbe interessante se qualcuno ha notizie dell'organizzazione di altre zecche medievali,più avanti magari vi riassumo,ne ho già parlato,di Pavia.

Modificato da dabbene

Inviato

Nel volume sulla Zecca di Venezia Stahl parla abbondantemente del funzionamento della zecca, dei funzionari, degli operai, delle loro mansioni e anche dei loro stipendi.


Inviato

Sull'organizzazione delle zecche medievali esiste una vasta letteratura, vi segnalo le prime cose che mi vengono in mente.

Giorgioni Mercuriali, C., La riorganizzazione della zecca dopo la rivolta di Villa di Chiesa (1355), in «Bollettino Storico Pisano», LIII . 1984, pp. 279-289.

Travaini, L., L’organizzazione delle zecche toscane nel XIV secolo, in La Toscana nel XIV secolo. Caratteri di una civiltà regionale. Atti del X Convegno del Centro di Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di S.GENSINI. San Miniato 1986. Pisa 1988, pp. 241-249.

Id., Aree monetarie e organizzazione delle zecche nella Toscana dei secoli XII e XIII, in L’attività creditizia nella Toscana comunale. Atti del convegno, Pistoia-Colle Val d’Elsa 26-27 settembre 1998, a cura di DUCCINI-FRANCESCONI. Società Pistoiese di Storia Patria. Castelfiorentino-Pistoia 2000.

Santoro, A.M., Le zecche in Italia meridionale durante il regno di Carlo I d’Angiò: prime riflessioni su organizzazione, gestione e funzioni, in P. PEDUTO, (A cura di), Materiali per l’archeologia medievale. Fonti archeologiche per la Storia del Mezzogiorno, 3. Salerno 2003, pp. 239-266.


Inviato (modificato)

sarebbe bello che chi possiede le fonti citate spesso introvabili e costose le condividesse con chi essendo agli inizi di questa passione non le ha

magari con sunti o piccoli contributi

credo che vada ad onore di chi condivide il proprio sapere con chi ha curiosità sugli argomenti citati

comunque voglio ringraziare i tanti che contribuiscono ad allargare la conoscenza sulla monetazione medievale

ciao

Modificato da scacchi
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Supporter
Inviato

carissim*

oltre alla bibliografia già citata nelle risposte precedenti, penso che molti di voi sappiano che è di prossima uscita (si è giunti alla revsione delle seconde bozze) l'immane guida alle zecche medievali e moderne d'Italia curato da Lucia Travaini, dove 'argomento principale è proprio la sede e l'organizzazione delle varie zecche, oltre ai nominali da esse prodotte nel periodo di attività.

Personalmente ho curato le voci di Genova, Pisa e Iglesias, ma sono coinvolti moltissimi altri autori e sono certa che sarà fonte di tante nuove informazioni.

Inoltre nel mio studio sulla monetazione di Pisa nella seconda Repubblica (ovvero il periodo tra fine Quattrocento ed inizio del Cinquecento) che uscirà subito ad anno nuovo pubblicherò dei documenti inediti su questo argomenti. Se siete interessati, non appena in volume sarà in bozza, vi posso dare le informazioni che derivano da questi documenti.

Ovviamente sono disponibile anche per delucidazioni o approfondimenti o quant'altro su quanto già scritto nel primo volume, e trascritto in apertura di questo forum :)

MB


Inviato (modificato)

carissim*

oltre alla bibliografia già citata nelle risposte precedenti, penso che molti di voi sappiano che è di prossima uscita (si è giunti alla revsione delle seconde bozze) l'immane guida alle zecche medievali e moderne d'Italia curato da Lucia Travaini, dove 'argomento principale è proprio la sede e l'organizzazione delle varie zecche, oltre ai nominali da esse prodotte nel periodo di attività.

Personalmente ho curato le voci di Genova, Pisa e Iglesias, ma sono coinvolti moltissimi altri autori e sono certa che sarà fonte di tante nuove informazioni.

Inoltre nel mio studio sulla monetazione di Pisa nella seconda Repubblica (ovvero il periodo tra fine Quattrocento ed inizio del Cinquecento) che uscirà subito ad anno nuovo pubblicherò dei documenti inediti su questo argomenti. Se siete interessati, non appena in volume sarà in bozza, vi posso dare le informazioni che derivano da questi documenti.

Ovviamente sono disponibile anche per delucidazioni o approfondimenti o quant'altro su quanto già scritto nel primo volume, e trascritto in apertura di questo forum :)

MB

Ringrazio la dottoressa a nome personale e del forum della sua partecipazione,ringrazio della sua disponibilità e gli auguro un caloroso benvenuto,come lei saprà e vedrà ho già parlato ,non me ne voglia,sia qui ,che in denari di Lucca con grande dovizia di particolari del suo libro che ho trovato veramente interessantissimo lanciando assist di vario tipo nella discussione,a presto

Mario

Modificato da dabbene

Inviato

carissim*

oltre alla bibliografia già citata nelle risposte precedenti, penso che molti di voi sappiano che è di prossima uscita (si è giunti alla revsione delle seconde bozze) l'immane guida alle zecche medievali e moderne d'Italia curato da Lucia Travaini, dove 'argomento principale è proprio la sede e l'organizzazione delle varie zecche, oltre ai nominali da esse prodotte nel periodo di attività.

Personalmente ho curato le voci di Genova, Pisa e Iglesias, ma sono coinvolti moltissimi altri autori e sono certa che sarà fonte di tante nuove informazioni.

Inoltre nel mio studio sulla monetazione di Pisa nella seconda Repubblica (ovvero il periodo tra fine Quattrocento ed inizio del Cinquecento) che uscirà subito ad anno nuovo pubblicherò dei documenti inediti su questo argomenti. Se siete interessati, non appena in volume sarà in bozza, vi posso dare le informazioni che derivano da questi documenti.

Ovviamente sono disponibile anche per delucidazioni o approfondimenti o quant'altro su quanto già scritto nel primo volume, e trascritto in apertura di questo forum :)

MB

Benvenuta nel forum .

E' per noi motivo di grande orgoglio averla tra noi .

Grazie e cordiali saluti :)


Supporter
Inviato

carissim*

oltre alla bibliografia già citata nelle risposte precedenti, penso che molti di voi sappiano che è di prossima uscita (si è giunti alla revsione delle seconde bozze) l'immane guida alle zecche medievali e moderne d'Italia curato da Lucia Travaini, dove 'argomento principale è proprio la sede e l'organizzazione delle varie zecche, oltre ai nominali da esse prodotte nel periodo di attività.

Personalmente ho curato le voci di Genova, Pisa e Iglesias, ma sono coinvolti moltissimi altri autori e sono certa che sarà fonte di tante nuove informazioni.

Inoltre nel mio studio sulla monetazione di Pisa nella seconda Repubblica (ovvero il periodo tra fine Quattrocento ed inizio del Cinquecento) che uscirà subito ad anno nuovo pubblicherò dei documenti inediti su questo argomenti. Se siete interessati, non appena in volume sarà in bozza, vi posso dare le informazioni che derivano da questi documenti.

Ovviamente sono disponibile anche per delucidazioni o approfondimenti o quant'altro su quanto già scritto nel primo volume, e trascritto in apertura di questo forum :)

MB


Inviato

Di certo non mancherò di leggere il libro della Travaini sulle zecche,già da tempo se ne parla,che dire ringrazio Monbalda delle preziose segnalazioni,e devo ammettere che sono felice in questo momento; possiamo dire,che oggi la sezione medievale è più forte, ha una voce importante su cui appoggiarsi o chiedere lumi quando avremo bisogno,già da adesso anch'io mi scuso per gli eventuali errori o mancanze che abbiamo fatto e faremo;Adolfos e tutti gli altri facciamoci i complimenti a vicenda,diciamo così e proseguo;avevo promesso visto che parliamo di organizzazione di zecche di dire qualcosina sulla zecca di Pavia medievale ( nei denari di Pavia è tutto più esteso); la fonte sono gli articoli di Gerolamo Biscaro del 1905-06;il Biscaro data il 1160 il momento di cui parlo.

La città ottiene dall'imperatore ,in virtù dei grandi sacrifici sostenuti per rivendicare i diritti dell'impero,l'8 agosto 1164 tramite diploma il diritto a battere moneta per suo conto insieme ad altre regalie.

Nella zecca abbiamo due distinte categorie di persone : l'una formata dai veri e propri monetari ,cioè gli addetti manuali a battere moneta,l'altra era formata dai concessionari detti "superstites monete" in pratica degli arbitri che sono preposti a dirimere questioni relative alle lavorazioni delle monete stesse,in pratica un foro speciale sul funzionamento della zecca.

Questi funzionari avevano il privilegio di assumere i monetari,normalmente erano parenti degli stessi; il Biscaro specifica che in pratica sia i controllori,che i monetari formavano di fatto una casta privilegiata che si tramandava il privilegio di generazione in generazione; c'era un canone da pagare da parte del concessionario prima direttamente all'imperatore poi al Comune stesso,l'importo era molto rilevante vista la grandissima diffusione del denaro pavese.

Così Gerolamo Biscaro sul funzionamento della zecca di Pavia nel 1160.


Supporter
Inviato

Nel volume sulla Zecca di Venezia Stahl parla abbondantemente del funzionamento della zecca, dei funzionari, degli operai, delle loro mansioni e anche dei loro stipendi.

Buona serata

Prendo spunto dal validissimo messaggio di Arka e pensando a coloro che non dispongono del libro, posto unoscritto relativo alla zecca di venezia nel periodo relativo al dogato di Francesco Foscari. In verità è una parte e mi riprometto di postare quanto resta se la cosa dovesse interessare.

Non è uno scritto dello spessore pari al libro di Stahl; diciamo che sono notizie più divulgative per i neofiti, pittosto che tecniche per gli specialisti. Proprio pensando ai neofiti mi permetto di allegarlo.

Spero che non risulti "indigesto".

Saluti

luciano

Con 25 o 26 voti, nel ballottaggio del 15 aprile 1423, veniva eletto Doge della Serenissima Repubblica di Venezia, alla sola età di quarantanove anni, Francesco Foscari, Procuratore de citra (1) di San Marco.

Questa elezione, che vide il Foscari emergere sui vari competitori, tutte figure di primo piano nella vita politica e pubblica della repubblica, come i procuratori Antonio Contarini, Leonardo Mocenigo, Pietro Loredan ed il cavaliere Francesco Bembo, ebbe ragione anche del vaticinio del precedente Doge, Tommaso Mocenigo.

Questi, sentendosi probabilmente la morte vicina, in un discorso alla Signoria avvenuto negli ultimi giorni del suo dogato, enumerò con orgoglio i successi raggiunti in campo economico e proseguendo con quello che potremmo chiamare il suo testamento politico, sconsigliò vivamente l’elezione del Foscari, “el zovene procurator nostro”, come ebbe a chiamarlo ben dieci volte con palese scherno, in un precedente discorso.

“...Et a caxon che (affinché) possa saver da vui chi vui elezereti doxe, secretamente me lo dite in rechia (all’orecchio) per poter conforterve qual è quello che merita....”.

Qui recita tutto un elenco di bravi e valorosi senatori “savij homeni sufficienti”, adattissimi alla carica suprema: gli vanno bene tutti, meno misser Francesco Foscari, che “...dise busìe et anche molte cose senza alcun fondamento...et vola più che non fa li falchoni....”.

Che se, Dio non voglia, sarà eletto Doge, “...de breve sareti in guerra” e “chi havarà x millia ducati, non se ne travarà se non mille, chi havarà x caxe (case) non se ne trovarà se non una, chi havarà x zuponi (giubboni) over calze et camise havarà fadiga de haverne una et così de ogni altra cosa per modo ve distruzereti del vostro oro et arzento, del honor et della reputatione...”.

L’invettiva prosegue, incalza: “...Et dove vui siete signori, vui sarete vassalli de huomini d’arme, saccomani et ragazzi......Seguite secondo che ve atrovati (come vi trovate) che (sarete) beati vui et vostri fioli...”. (2)

Circa l’indirizzo politico che Venezia dovrà seguire, Tommaso Mocenigo ce lo fa sapere in questo altro passo del suo discorso “...Inpherò ben ve conforto debiate pregar la onnipotentia de Dio, che ne à ispirato a far nel modo havemo fatto la paxe, et così seguir et ringraziarlo. Se questo mio conseio fareti vedreti che sareti signori dell’oro. De christiani tutto il mondo ve temerà et reverivave. Et guardeve quanto dal fuogo da tuor cose d’altri et far guerra iniusta perchè Dio ve destruzerave...”.

Francesco Foscari, assurgendo al dogato, ereditava in effetti uno stato in ottima salute.

La zecca veneziana coniava, in questo periodo, ogni anno, 1.200.000 ducati d’oro, pari a 4.272 chilogrammi circa d’oro monetato a 24 carati (titolo 999/1000), inoltre monete d’argento e mistura per un valore di ulteriori 800.000 ducati.

Seppur il discorso fatto dal Doge Mocenigo, come è probabile e come molti cronisti affermano, fosse anche determinato da rancori personali (taluni dicono essere postumo), mai si dimostrò tanto premonitivo, come ebbero i veneziani a provarne tangibilmente gli effetti.

Furono 34 anni di guerre che costarono a Venezia lunghi e penosi sacrifici, con le finanze in sconquasso e le cui conseguenze si trascinarono nel tempo; ciò portò però all’acquisizione di nuovi territori in terraferma, così da riparare Venezia dalle mire di Milano.

Per contro, la diminuita vigilanza nel levante, permise ai turchi di avanzare e di prendere nel 1430 la città di Salonicco, soltanto pochi anni prima acquistata dai veneziani a suon di ducati d’oro e nel 1453 Costantinopoli; una perdita, questa, grandissima per il commercio e la politica della “Dominante”.

Guerra guerreggiata e guerra diplomatica, dicono gli storici, a cui si assommarono le vicende familiari del Doge, non meno preoccupanti per lo Stato.

Ricordiamo l’attentato alla sua vita, perpetrato da Andrea Contarini l’11 marzo 1430, braccio forse armato dal partito contrario al vecchio Doge, che non dette mai tregua alla politica espansionista in terraferma che il Foscari propugnava.

La penosa vicenda del figlio Giacomo, rappresentò poi il suo periodo più tragico.

Giacomo venne condannato prima all’esilio nella lontana Nauplia perché accusato di aver ricevuto doni da cittadini allo scopo di favorirli con brogli nei pubblici uffici (3) e successivamente, perdonato a seguito della sua salute cagionevole, ma molto più probabilmente grazie all’intercessione dell’autorevole padre, venne confinato nella vicina Treviso, nonostante nel frattempo fossero emerse altre “porcarie, cosse de vergogna e infamia”, come disse il cronista Dolfin.

Successivamente autorizzato a rientrare in Venezia, nel 1451 venne nuovamente arrestato; questa volta l’accusa era di aver assassinato Almorè Donà, uno dei capi del Consiglio dei Dieci (4) all’epoca del suo precedente processo.

Nuovamente condannato, venne tradotto in confino a Creta dove, nel giugno del 1456, il Consiglio dei Dieci intercettò una sua corrispondenza segreta con Mehemed II e Francesco Sforza, ai quali lo sfortunato chiedeva di liberarlo dal confino.

Questa volta, nonostante le suppliche ed i pianti di Giacomo “...Padre ve priego, procurè per mi che ritorni a casa mia” il vecchio Doge non potè intercedere nei suoi confronti “Jacomo, va, obbedisci quel che vuol la terra (la patria) e non cercar più oltre...” e Giacomo troverà la morte, in confino, nella lontana Canea. (5)

(1) I Procuratori, incaricati a vita, erano 9 e presiedevano alla amministrazione delle così dette:

Procuratie de supra: che si occupavano della amministrazione della basilica di San Marco;

Procuratie de citra: che attendevano alle tutele, commissarie ed ai testamenti dei sestieri di

San Marco, Castello e Cannaregio;

Procuratie de ultra: che attendevano alle tutele, commissarie ed ai testamenti dei sestieri di

Dorsoduro, San Polo e Santa Croce.

In verità costituivano, agli effetti del governo dello stato, la più alta dignità dopo quella del doge.

(2) Alvise Zorzi - “La Repubblica del Leone” Rusconi Editore, pag. 221 e segg.

(3) Andrea da Mosto - “I Dogi di Venezia” Giunti Editore 1997, pag. 163 e segg.

(4) Il Consiglio dei Dieci, chiamato anche Eccelso Consiglio, era costituito dal doge, dai consiglieri

e da dieci patrizi tutti appartenenti a differenti famiglie, che rimanevano in carica un anno, dopo

essere stati eletti dal Maggior Consiglio. Tra i dieci patrizi si estraevano a sorte, ogni mese e a

rotazione, tre membri che fungevano da Capi.

(5) Alvise Zorzi - “La Repubblica del Leone” Rusconi Editore, pag. 235 e segg.

La zecca, durante questo lungo periodo ed a prescindere dal ruolo ad essa demandato, fu una delle più grandi industrie della città.

Posta a lato della Piazzetta di San Marco, in faccia al “Canalazzo” (Canal Grande), fu senza dubbio una fabbrica atipica, dal momento che non era gestita dall’iniziativa privata per un profitto privato, ma da funzionari pubblici in conformità a leggi stabilite dal Governo; ma sebbene nettamente diversa dalle industrie private, essa stessa doveva rispondere a requisiti di mercato, di standardizzazione del prodotto, di economicità e qualità, tali che ne rendevano simili alcuni aspetti.

Poteva certamente competere con l’Arsenale, a cui era stato dato un nuovo impulso dopo l’ultimo ampliamento e con altre imprese, quali l’industria estrattiva del sale, l’industria vetraria e della raffinazione dello zucchero.

Si calcola che vi fossero impiegati un centinaio di operatori, quasi tutti, a seconda delle funzioni, obbligatoriamente Citadini Originari, (6) suddivisi in sezioni distinte, ciascuna con propri organi di controllo, di amministrazione e maestranze; queste ultime erano costituite da unità lavorative salariate, a cottimo e con lavoratori ausiliari, anche assunti a tempo determinato.

Tale impostazione non era, però, assolutamente rigida, tant’è che nella zecca potevano crearsi delle sinergie tra le varie componenti in quei periodi in cui, l’esigenza di coniare determinate monete al posto di altre, determinava il trasferimento di maestranze da un settore all’altro.

Poteva così accedere che uno stampatore della zecca dell’argento, dovesse trasferirsi a prestare la sua opera nella stamperia della zecca dell’oro o viceversa e così pure per eventuali esigenze nella zecca del rame.

In zecca trovavano posto anche gli orefici e gli argentieri che avevano una vasta clientela tra i nobili facoltosi, i soli a permettersi monili, vasellame ed altri oggetti in metallo prezioso da fondere e tramutare in moneta sonante se, a causa di congiunture monetarie, si fosse creata una penuria di circolante; cosa tra l’altro piuttosto frequente.

La vita all’interno della zecca era regolata da norme ben precise a cui nessuno poteva sottrarsi: l’orario di lavoro era particolarmente duro se pensiamo che i lavoratori “...debbino attrovar alla Cecha almeno a l’hora de terza da matina et da poi disnar a vespero et etiam più a bon hora se bisognasse...” e ciò per sei giorni su sette, ma con possibilità di effettuare anche il lavoro domenicale purché ci fosse il preventivo consenso del Patriarca

Dato il genere di prodotto che vi veniva lavorato, i controlli, anche incrociati tra le varie “boteghe” (locali), erano scrupolosi e molteplici.

Va segnalato l’obbligo delle doppie registrazioni su libri e quaderni del peso e della proprietà di tutto il metallo che, fin dalla sua presentazione in zecca e per tutto il ciclo della sua lavorazione, dovevano essere fatte dagli Scrivani e dagli Ufficiali preposti; e ciò ad ogni stadio di lavorazione cui i metalli stessi erano soggetti.

Questa procedura permetteva in ogni momento di determinare il certo “callo” (calo) o l’eventuale perdita o, non ultima, l’eventuale frode che il metallo aveva subito.

Era altresì vietato ogni commercio di metallo prezioso privato tra i lavoranti in zecca finché questi erano in servizio all’interno della stessa, così come era vietata la sostituzione e la cernita di monete.

Gli operai che lavoravano nei locali più particolari, come ad esempio la fonderia o la stamperia, venivano chiusi a chiave all’interno degli stessi, così che nessun estraneo potesse accedervi, intendendo come tali anche i colleghi impiegati in mansioni non strettamente collegate con quelle.

La prima chiave della serratura veniva conservata dal Massaro responsabile della lavorazione che veniva svolta nel locale e che stava all’esterno dello stesso, la seconda chiave era detenuta dal Segretario o dall’Ufficiale presente all’interno dello stesso locale.

All’origine le cariche attribuite agli Ufficiali di zecca, chiamati successivamente e rispettivamente Massari alla Moneda (7) e Pesatori, cioè coloro che dovevano sovrintendere al buon funzionamento ed alla gestione della zecca stessa, erano prerogative spettanti al Doge congiuntamente ai Consiglieri della Quarantia. (8)

Tali Massari alla Moneda rimanevano in carica generalmente due anni e non erano immediatamente rieleggibili al termine del loro mandato; prima che ciò si rendesse possibile, doveva passare un periodo di contumacia, (9) anch’esso della durata di due anni.

Inoltre, nel periodo in cui svolgevano il loro mandato, non potevano partecipare alle sedute del Maggior Consiglio. (10)

Dal momento che sotto il dogado di Francesco Foscari non ci furono mutamenti nel numero dei Massari operanti in zecca, dobbiamo ritenere che questi fossero ancora cinque, come era stato deciso nel 1416 e cioè: due impiegati nella zecca dell’oro, al salario di 120 ducati annui e con l’obbligo di fare a turno le quindicine; tre impiegati nella zecca dell’argento, al salario di 100 ducati annui, anch’essi con l’obbligo di fare le quindicine e con la disposizione di alternare le mansioni tra loro ogni quattro mesi. Questa alternanza prevedeva che un Massacro dovesse ricevere l’argento per fabbricare le monete, l’altro dovesse sovrintendere all’Affinaria, dove si provvedeva a raffinare la lega di metallo al titolo richiesto e l’ultimo dovesse sovrintendere alla la fabbricazione dei tornesi e dei piccoli.

Il Massaro di quindicina doveva tenere in custodia le chiavi delle porte a protezione delle “volte” (locali) dove si pesava e si custodiva il metallo; doveva assistere all’acquisto dello stesso con il concorso degli Affinadori e dei Pesadori, doveva inoltre controllare il peso ed il contenuto di fino del metallo da consegnare ai Fonditori.

Il Massaro era anche tenuto, con l’ausilio di uno Scrivano laico che non avesse altri incarichi in zecca, ad effettuare le registrazioni solite, sia degli acquisti, sia delle rese di metallo; doveva poi sorvegliare, come già accennato, tutti i particolari della fabbricazione e vigilare, anche per mezzo di un Inquisitore, affinché tutti i Maestri facessero esattamente quanto ad essi comandato.

A scadenze predeterminate il Massaro doveva poi rendere conto della sua amministrazione a coloro che erano preposti alle Ragioni (11) del Comune; la mancata osservanza di ciò nei termini fissati, comportava una ammenda pecuniaria per il reo e se questi non provvedeva al suo saldo, veniva immediatamente allontanato ed escluso dalla possibilità di lavorare in tutti gli uffici retribuiti dallo Stato.

Le assunzioni delle maestranze, intendendo per tali gli operai, i garzoni e gli apprendisti, venivano proposte dagli Ufficiali di zecca che ne chiedevano la ratifica ai Savi o al Collegio dei Pregadi; tali assunzioni avevano durata illimitata o non, a seconda dei ruoli e delle esigenze contingenti.

Nessuno, a qualsiasi livello, poteva assentarsi dal lavoro senza valido motivo, fatta eccezione per le infermità accertate, e comunque mai prima di aver avuto il benestare dalle magistrature preposte che dovevano provvedere, nel frattempo, a rimpiazzare con un sostituto il posto resosi vacante.

Se l’assenza della persona era temporanea, subentrava nel suo incarico un collega proveniente da altri settori, purché avesse il medesimo grado di capacità ed esperienza e a cui veniva garantito il medesimo trattamento salariale del sostituito; se ciò non era possibile, si sostituiva la persona con il suo assistente più anziano o con l’apprendista più capace.

La sostituzione definitiva del personale non specializzato a seguito di decesso o per incapacità di attendere alle mansioni affidategli per infermità, era frequente; la zecca favoriva, in questi casi e purché fosse possibile, la sostituzione di tali persone con i loro fratelli o figli conviventi, così che il nucleo familiare, venendo a mancare la probabile unica fonte di reddito, potesse contare comunque su un nuovo salario, anche se questo poteva essere inferiore al precedente perché commisurato alla capacità lavorativa del sostituendo.

Era comunque possibile ottenere, a seconda delle motivazioni e dopo benestare, delle licenze anche per lunghi periodi; erano una sorta di aspettativa non retribuita, con l’obbligo però di rientrare alla data fissata, pena la perdita anche in perpetuo del posto, sia nella zecca, sia in tutti gli uffici dello Stato, oltre a maggiori pene a discrezione della “Signoria”.

Le pene, le sanzioni pecuniarie e gli obblighi a cui era soggetto tutto, indistintamente, il personale della zecca, erano veramente notevoli perché nella civiltà veneziana, così come in altre del Medio Evo, vigeva la responsabilità soggettiva di ogni individuo, sia nell’espletamento del suo lavoro, come nelle azioni compiute in ambiti che oggi definiremmo della sfera privata.

Rari erano i casi in cui veniva accertata la mancanza di organizzazione e controllo del lavoro demandata agli Ufficiali di zecca, il loro senso di responsabilità era infatti incentivato dal fatto che gli stessi incassavano una quota parte delle multe che venivano inflitte ai loro sottoposti rei di poca diligenza o scarso rendimento, dai magistrati.

Spesso accadeva che due o più Ufficiali avessero giurisdizioni in parte coincidenti; ne risultava che questi gareggiassero nel denunciare le manchevolezze per riscuotere la parte della multa comminata al colpevole.

Lo stesso principio vigeva anche ai livelli lavorativi più bassi, tra gli operai e gli apprendisti o i garzoni o i mercanti in genere e viceversa.

L’accusato di una manchevolezza, spesso vittima di questo sistema oggi improponibile, poteva fare appello ad un Consiglio superiore se riteneva l’accusa infondata o dettata da iniquità o dall’eccesso di zelo e chiedere amnistie o esenzioni. (12)

Nonostante questa rigidità di normative dobbiamo pensare che qualche lavorante contravvenisse agli ordini vigenti; ce ne da prova il continuo ripetersi di raccomandazioni e richiami alle leggi, presenti nei vari documenti; leggiamo così che gli Ovrieri (operai) “...debbano far le monete ben tonde et eguale et ben ricote et non vallade; et facendo altramente, siano tenuti alla refattion di quelle a sue spese...” e ancora “...et non essendo ben fatti (i pezzi stampati) siano tagliati et rifatti a spese di chi li havarà stampati...”.

La possibilità di approvvigionarsi dei metalli necessari alla zecca per la coniazione in monete, soprattutto quelli preziosi, dipendeva naturalmente dall’andamento di mercato degli stessi in ambito internazionale a cui Venezia non poteva sottrarsi; la scoperta di nuove miniere e l’adozione di tecniche che consentissero una maggiore estrazione di metallo, così come l’esaurimento delle stesse o la perdita di qualche “mercato” importante, condizionavano la sua politica monetaria.

La maggior quantità di metallo arrivava a Venezia dalle miniere tedesche e balcaniche; di tutto il metallo importato, i mercanti stranieri, avevano l’obbligo di versarne parte alla zecca per trasformarlo in moneta.(13)

I tedeschi sopra tutti, utilizzando la piazza di Venezia per l’acquisto di prodotti provenienti dal Levante, davano in pagamento ferro, rame, oro e argento; di cui a sua volta la “Dominante” si serviva, in parte, nello stesso Levante, per commerciare in quei paesi.

Una non trascurabile quantità di metallo prezioso da convertire in moneta, proveniva poi dai bottini di guerra e, come già accennato, dai nobili facoltosi che portavano in zecca posaterie e vasellame da trasformare in moneta; in questo caso la zecca tratteneva per se il costo delle operazioni, computate in ragione di una commissione per ogni marca (14) di metallo fuso, diversa a seconda del tipo di metallo e del periodo contingente.

L’unica eccezione riguardava il metallo prezioso fatto fondere dal Doge, perché questi era esente dal pagamento di qualsiasi commissione.

A riprova di quanto fosse mutevole l’approvvigionamento del metallo, si registra che nel primo periodo del dogato di Francesco Foscari, fino al 1430 circa, la quantità di argento che si coniava in moneta era abbondantissimo, tanto che questo metallo poteva essere venduto ed acquistato in qualsiasi luogo di Venezia e ciò a scapito dell’oro che, invece, arrivava in zecca in quantità minima.

Nel secondo periodo invece si instaurò una forte penuria di ambedue i metalli, tanto che la Repubblica fu costretta ad emettere delle leggi perché anche la compravendita dell’argento, così come lo era già per l’oro, venisse sottoposta a misure di controllo via via più restrittive, tanto da ottenere di fatto il monopolio commerciale.

Già nel 1450 ai mercanti che importavano l’argento, veniva imposto che il metallo fosse dato in carico al Castello di Lido se proveniente da parte da mar (dal mare) e al Fondego de Tedeschi se proveniente da parte da terra (da terra) e poi trasferito, in entrambi i casi, a Rialto dove vigeva l’obbligo della vendita a Champanela.(15)

I metalli giungevano a Venezia nelle più disparate forme e leghe e non sempre era possibile riconoscere a vista il loro contenuto di “fino”; se ciò era possibile per quello monetato, soprattutto per le monete più conosciute, grazie anche a tabelle redatte appositamente, non lo era altrettanto per i monili, il vasellame, le monete meno note e le verghe di metallo portate dai mercanti; quindi era necessario che tutto ciò venisse preventivamente saggiato, ed all’occorrenza raffinato.

(6) La cittadinanza originaria era concessa a chi poteva vantare i natali, del padre, dell’avo e l’onorevolezza;

cioè non aver mai praticato un’arte meccanica.

(7) I Massari alla Moneda erano abitualmente chiamati in funzione del ruolo che rivestivano all’interno della Zecca, cioè Massari alla Zecca dell’Oro, Massari alla Zecca dell’Argento ecc.

(8) Magistratura formata da 3 collegi, ciascuno composto da 40 giudici chiamati rispettivamente: Quarantia al Criminal, al Civil Vechio e al Civil Nuovo. All’origine della sua costituzione gli erano demandate gran parte delle decisioni circa l’economia pubblica, le finanze e gli affari politici dello Stato.

(9) Vocabolo che stava ad indicare lo spazio di tempo che passava tra il termine di un incarico fino al momento in cui quello od altro veniva nuovamente assunto.

(10) Organo supremo dello Stato da cui tutte le magistrature dipendevano; presieduto dal Doge era costituito esclusivamente da nobili e vi si accedeva al raggiungimento del venticinquesimo anno di età.

(11) Magistratura creata nel 1375 e composta da 4 patrizi a cui era affidato il compito di sovraintendere su tutti coloro che maneggiavano denaro pubblico, sulle spese richieste dalle pubbliche funzioni e sui doni elargiti dallo Stato a personaggi cospicui. Dal 1396, a seguito dell’aumento del numero dei patrizi che la componevano da 4 a 6, ebbe inizio la distinzione del nome in Rason Vechie e Rason Nove.

(12) Frederic C. Lane “Storia di Venezia” - EINAUDI EDITORE 1978 pag. 117 e segg.

(13) Una quinta parte del metallo prezioso condotto a Venezia doveva essere versata in Zecca, la quale ne coniava monete che erano ritornate ai mercanti come pagamento del quinto ricevuto. L’obbligo venne più volte nel tempo abrogato e reintrodotto.

(14) La marca veneziana, pari a 8 once, equivaleva a gr. 238,499.

(15) Termine che stava a significare la vendita all’incanto. L’obbligo venne più volte nel tempo abrogato e reintrodotto.


Inviato

Buonasera a tutti voi,

credo che un volume in lingua italiana (ma con interventi anche in inglese) molto importante da questo punto di vista sia I LUOGHI DELLA MONETA. LE SEDI DELLE ZECCHE DALL'ANTICHITA' ALL'ETA' MODERNA, a cura di Lucia Travaini, Atti del Convegno Internazionale, Milano 22-23 ottobre 1999, Milano 2001.

Anche si sofferma soprattutto sulle sedi delle zecche, da comunque informazioni anche sul personale di diverse officine monetarie.

Cordialità, Teofrasto


Inviato

Ringrazio Teofrasto della nuova utile segnalazione,complimenti Sonia 417,dai diciamo Luciano che mi torna meglio,mirabile descrizione,stanno aumentando le zecche descritte!


Inviato

Nel X e XI secolo le zecche dominanti nel Regno Italico erano Pavia e Milano;le zecche erano organizzate come abbiamo visto in corporazioni con determinati privilegi;dalle Honorantie Civitatis Papie abbiamo notizia che a Pavia c'erano nove magistri monetari che la controllavano ,a Milano quattro;i monetieri che oggi li chiameremmo degli imprenditori,producevano a ritmi di produzione industriale.

Pavia aveva una produzione di monete più del doppio di quella di Milano e lo si capisce anche guardando il solo numero di monetieri,d'altronde la moneta di Pavia in quel periodo era la più diffusa nella penisola,era la moneta di riferimento.


  • 2 settimane dopo...
Supporter
Inviato

Buona Domenica

Segue un'altro "pezzettino"

L’Argento

La presa in carico dell’argento consegnata al Castello di Lido o al Fondego de Tedeschi, consisteva nelle operazioni che il personale preposto doveva effettuare in loco; queste riguardavano: il computo del numero dei pezzi, del tipo, del loro peso e del nome del mercante che li aveva introdotti; fatto ciò il preposto dava il benestare affinché il tutto fosse trasportato a Rialto unitamente ad una copia delle sue registrazioni e consegnato ad altri incaricati ufficiali che erano tenuti alla supervisione delle vendite a Champanela.

Dal 1450 questa procedura era tassativa ed ingenti pene erano comminate ai trasgressori “...Appresso sia ordenato che algun citadin over merchadante nostro per niun modo, forma over inzegno possa comprar né far comprar per sì over per altri alguna quantità d’arzento da merchadanti tedeschi over altra nacion in Fondego over de fuora altramente che a la champanela in Rialto, soto pena de ducati V cento da esser schossa chomo de sovra. I merchadanti veramente de zascuna nacion, i qual vendesse arzento altramente ch’a la champanela in Rialto, perda de subito tuto l’arzento vendudo et altro tanto per pena. E se i achuxeranno el comprador sia asolti de la pena et abiano parte de le pene chomo achuxador. E s’el comprador acusserà el vendedor, l’arzento per lui vendudo sia liberamente so et abia parte de le pene. Et siano tegnudi i Visdomini (ufficiali incaricati), de Fontego ogni mexe far publicar questa parte (legge) in Fondego de Todesschi, aziò che tuti la sia manifesta... (16)

Effettuata a Rialto la vendita a champanela, l’argento da trasformare in moneta veniva portato in zecca e preso in carico dai Sazzadori de l’Arzento; questi erano di norma due e procedevano separatamente, ciascuno per loro conto e senza la presenza del proprietario, al saggio del metallo.

Sappiamo che il 17 ottobre 1424 venne stabilito che ai due saggiatori in carica: Antonio Menor e Luca Guidi, venne concesso altre al salario annuo di 50 ducati d’oro, l’aumento del cottimo a carico dei committenti, da 8 soldi ogni 25 marche di metallo saggiato, a 12 soldi. (17)

Il saggio dell’argento avveniva per “coppellazione”, (18) metodo peraltro già noto ai romani ed ai greci; da documenti di Tito Livio sappiamo che i triumviri monetari, esaminando le monete d’argento che i cartaginesi usavano per il pagamento del tributo a Roma, si accorsero che erano composte da una lega e che durante la loro fusione insieme a del piombo, effettuata in vasi di terra porosa, il loro peso si riduceva di una quarta parte “...pars quarta decocta est...”; i triumviri avevano provato che le monete d’argento cartaginesi avevano un titolo di 750/1000.

I veneziani usavano quindi la stessa procedura che aveva per scopo la separazione dei metalli ossidabili da quelli non ossidabili come l’oro o l’argento.

Per saggiare un’oncia d’argento, così come per effettuarne la raffinazione si dovevano impiegare quattro once di piombo che venivano per prime fatte fondere nella coppella. Era questa uno speciale crogiuolo fragile e poroso che probabilmente poteva essere usato per un’unica operazione ed era realizzato da una miscela di cenere filtrata e ricotta su carboni e poi successivamente impastata con ossa ed acqua.

Effettuato lo stampo a forma di coppa, veniva fatto essiccare e successivamente l’interno veniva rivestito con cenere di ossa di cervo o capretto misto a borace e smeriglio d’Alessandria, così da impedire all’argento di incrostarsi al suo interno durante le operazioni di fusione.

Una volta che il piombo in fusione aveva ben imbibito le pareti interne della coppella, vi si aggiungeva all’interno l’argento preventivamente pesato; se il metallo fuso assumeva una colorazione rossa, significava che la lega conteneva ancora alte percentuali di rame e quindi non rimaneva che aggiungere ancora piombo fino a quando la massa non assumeva una tonalità chiara e lucente; soltanto allora la coppella veniva tolta dal fuoco e lasciata riposare coperta da una lastra di ferro fino al suo completo raffreddamento.

Il piombo, trasformatosi in ossido unitamente al rame assorbito, lasciava sul fondo della coppella soltanto l’argento puro (19) che veniva nuovamente pesato; il saggiatore poteva quindi per differenza ottenere il giusto titolo.

Effettuato il saggio ed avuto come responso dai due saggiatori un diverso risultato, poniamo cioè che uno dichiarasse un titolo sufficiente e l’altro no, ne venivano registrati i rispettivi valori da parte degli Scrivani della Affineria e veniva effettuato un terzo saggio del medesimo metallo dal Sazzador de Rialto che, a sua volta, procedeva con la stessa metodologia dei precedenti due.

Il Sazzador de Rialto era inoltre deputato a sostituire l’eventuale mancanza di uno dei due saggiatori di zecca.; in questo caso veniva egli stesso sostituito da un’altro saggiatore che per fiducia e capacità potesse subentrargli nella carica e ciò a insindacabile giudizio dei Massari.

Se il responso del Sazzador de Rialto determinava con inequivocabile certezza che il titolo del metallo era inferiore al minimo stabilito per la sua fusione e la trasformazione in moneta, veniva portato nella Affinaria de l’Arzento dove, a spese del committente, lo si raffinava per portare il suo contenuto di fino a quel minimo previsto che permettesse la sua trasformazione in moneta.

E’ singolare che i saggiatori ricevessero dallo Stato, per poter svolgere il loro lavoro, una quantità pari a 25 chorbe (20) ciascuno e per anno di carbone, successivamente elevata a 40, con l’avvertenza che, se a fine anno ci fosse stata una rimanenza, questa sarebbe andata a beneficio loro; in caso contrario sarebbe stato loro onere acquistare dell’altro carbone a loro spese per poter continuare a svolgere il loro lavoro.

Gli affinatori, anch’essi solitamente due, ricevuto il metallo ed effettuate le burocratiche registrazioni d’uso coadiuvati dai segretari, non potevano materialmente iniziare la fusione congiuntamente all’aiuto prestato dai fonditori, se non c’era la presenza del Massaro o dello scrivano dell’affineria; questi ultimi, a loro volta, erano tenuti a registrare la quantità ed il titolo dell’argento da affinare su propri quaderni che servivano da riscontro a quelli compilati dagli affinatori; inoltre dovevano sovrintendere a tutte le varie fasi della fusione del metallo.

Era proprio degli affinatori il controllo e la determinazione della percentuale di rame che andava a costituire la lega del prodotto finale che, a seconda del tipo di moneta e delle esigenze contingenti, poteva essere differente.

Ridotto il metallo in pezze, verghe e verghette, veniva ricontrollato con un nuovo saggio fatto a campione e soltanto trovatolo conforme per titolo, veniva “bollato” con il leone di San Marco.

Questo valeva per le pezze ritirate dai mercanti che ne avevano commissionato la fattura, mentre la parte destinata ad essere coniata veniva ridotta successivamente in lamine sottili, tanto da poter essere ritagliate.

Era compito dei Zustadori ricavare a questo punto dei tondelli il più possibile rotondi; questo avveniva ritagliando con delle forbici i cerchi precedentemente tracciati sulla lamina e corrispondenti alle dimensioni delle mari (21) già coniate.

Tali tondelli venivano quindi pesati uno ad uno dai Pesadori e successivamente corretti e rifiniti, o eventualmente scartati e rimandati alla fusione dai Mendadori.

Effettuate queste operazioni i dischetti dovevano essere “ricotti”, cioè nuovamente arroventati e lasciati raffreddare naturalmente, così che il metallo ne risultasse ammorbidito e non offrisse troppa resistenza al conio.

Al controllo dei Zustadori e dei Mendadori erano deputati i Gastoldi; due funzionari, come li chiameremmo oggi, eletti per scrutinio e pratici del zustar e mendar e che, col salario di 30 ducati d’oro all’anno oltre al cottimo, dovevano controllare con particolare scrupolo che venissero osservate le disposizioni date in materia dai Massari.

La regola generale, valida ancora oggi nelle moderne zecche, imponeva che il peso della verga ridotta in monete, fosse uguale alla somma di tutti i flaoni (22) aggiunto lo scarto che ritornava poi alla fonderia e una minima percentuale che andava persa nelle varie fasi di lavorazione.

E’ singolare registrare che in questo periodo e in spregio alle leggi vigenti, era invalsa la pessima abitudine da parte dei Mendadori di sottrarre flaoni dai locali della Zecca per portarseli a casa, ed effettuare in quella sede le operazioni di controllo a loro demandate.

Possiamo leggere la deliberazione che ne conseguì:

“...1449 di zugno. In el Cholegio.

Perché l’è introduto in consuetudine che i mendadori, che son a la Cecha de l’Arzento, portano le monede a le suo chaxe et mendano e conzano quelle fuor de la Cecha, la qual chossa è pessimamente fata, vada parte che da mò avanti per niun modo algun de mendadori prediti possa nè portar nè mendar monede fuora de la Cecha, soto pena de privacion per anni cinque de tuti officii et beneficii del comun de Veniexia. Et se algun de officiali de la Cecha de l’Arzento intenderà che algun de predite mendadori aver contrafato e non procederà contra quello, subitamente sia privado de l’officio che l’avesse, pagando la pena, chomo si lor avesse refudado. Et le predite cosse siano chommesse a li Avogadori de Chomun...” (23)

(16) Bibliotheca Winsemann Falghera “Il Capitolar dalle Broche” - a cura di G. Bonfiglio Dosio

- EDITRICE ANTENORE PADOVA 1984 pag. 136

(17) Idem pag. 108

(18) Umberto Mannucci “La Moneta e la Falsa Monetazione” - HOEPLI EDITORE 1908

(19) Angelo Finetti “Numismatica e Tecnologia” - LA NUOVA ITALIA SCIENTIFICA 1987

(20) Cesta, gerla, solitamente in vimini o legni intrecciati

(21) Matrice della moneta.

(22) I dischetti di metallo a cui, dopo le operazioni dette zustar, pesar e mendar, non mancava

che l’impronta per

diventare moneta.

(23) Bibliotheca Winsemann Falghera “Il Capitolar dalle Broche” - a cura di G. Bonfiglio Dosio

- EDITRICE ANTENORE PADOVA 1984 pag. 133.


Inviato

Organizzazione della zecca di Aquileia

Ben presto, l'esercizio della zecca venne sistematicamente appaltato per concorso e successivo accordo scritto e solenne. Gli impegni reciproci del Patriarca e dei Maestri appaltatori della zecca erano molteplici: Così leggiamo nel contratto d'appalto del 1330 che il Patriarca era tenuto a far bandire tutte le altre monete ed a far sì "che niuno presuma comprare o vendere o fare altro traffico" se non nella moneta aquileiese. Era obbligo del Patriarca avvisare anche i Signori ed i Comuni dell'Istria "onde le suddette monete possa spendersi in quei luoghi, come nelle città e terre del Friuli, cioè col medesimo corso".

Gli appaltatori dovevano in compenso assumere e stpindiare un saggiatore che provvedesse al saggio della moneta, mentre il Patriarca era tenuto ad avere un sorvegliante presso i Maestri, il quale doveva continuamente, in sua vece, osservare e custodire tutti i denari che venivano coniati di giorno in giorno, fino al saggio di essi. Unitamente al saggaiatore e ad altre persone di suo gradimento, il sorvegliante doveva esaminare tutte le monete in ogni partita "se essa è come dev'essere, altrimenti non si pesi, ma di nuovo si metta in fuoco". Il controllo era artistico oltre che tecnico.

Il Patriarca aveva il dovere di assicurare i Maestri e tutti i loro familiari per l'intero dominio patriarcale, così che "possano sicuramente coll'argento, moneta e cose da comprarsi, andare per tutte le città e suoi luoghi e fermarsi e ritornare senza alcun danno". Se succedeva qualcosa di male ai Maestri, il Patriarca era tenuto a risarcirli.

I Maestri erano obbligati a tenere continuamente a disposizione una somma non inferiore a 200 lire di grossi veneti, "con quest'aggiunta, che se qualche impedimento sopravvenisse, o di guerra, o d'infermità dei Maestri della Moneta, o per difetto di recupero della'rgento, od altro qualunque impedimento legittimo, non siano tenuti a ciò".

Ai Maestri è fatto obbligo di permanere continuamente nella città di Aquileia, o lasciare dei sostituti, e di far lavorare di continuo la zecca.

Ai cittadini del Patriarcato era proibito esportare l'argento greggio o fuori corso, mentre godevano di speciale protezione quando lo portavano alla zecca: "qualunque siano quelli che portano argento ai detti fabbricatori e Maestri per far la Moneta, possa andare, venire, stare e ritornare per tutto il Friuli e giurisdizione del Patriarca, con le persone e cose loro senza molestia di sorte, né per occasione di rappresaglia o di altro, purché non siano ribelli, o nemici del Patriarca".

Ai Maestri veniva infine concessa la facoltà di coniare piccoli.

Gli appaltatori della zecca dovevano comperare l'argento ed il rame da legare e coniare e conseguivano un notevole utile dall'aggio che la moneta aveva sul suo intrinseco, aggio che veniva garantito dall'autorità politica del Patriarca. A quest'ultimo dovevano pagare una parte stabilita di volta in volta, che in genere oscillava attornoal 3 e 1/2 %.

(da G. Bernardi, Monetazione del Patriarcato di Aquileia. Trieste 1975.)


  • 4 settimane dopo...
Inviato

Com'era la zecca della Milano medievale?E' da Maila Chiaravalle che si hanno delle notizie in merito ;l'attività della zecca milanese riprende in modo non continuativo con Desiderio I,l'ultimo re longobardo,e poi con Carlo Magno.

Se per i tremisse longobardi non sappiamo esattamente se fossero prodotti in una zecca mobile o nell'antico edificio romano,per l'età carolingia abbiamo notizie da un testamento dell'872 che parla della zecca presso un "forum pubblico".

L'area del foro,che doveva essere ancora quello romano,coincide con l'area tra Piazza S.Sepolcro e Via Moneta,nell'attuale centro economico di Milano,in pratica attiguo all'attuale Cordusio milanese.

In quella sede i monetieri milanesi ,molto specializzati e conosciuti in tutta Europa e che erano riuniti in una corporazione che aveva ampi privilegi,coniarono monete non a ritmo continuativo,ma in fasi irregolari e con quantità che variavano in base alla richiesta del mercato.

E' in epoca comunale che Milano ha un ruolo fondamentale nella coniazione di moneta,anche se poi Federico I decreterà la chiusura della zecca per punire la città che gli si era ribellata;

la zecca venne poi riaperta dopo la distruzione di Milano ,in quel di Noseda,in un palazzo imperiale adattato all'uso dove vennero coniati i nuovi denari imperiali.

La zecca di via Moneta riprese invece a funzionare regolarmente dopo la vittoria di Legnano nel 1176.

La massa monetaria richiesta continuerà da adesso in avanti a incrementarsi sempre più,con un aumento della tecnologia e dell'organizzazione per far fronte alla richiesta dei multipli del denaro,i grossi.

Ma la vera specializzazione e organizzazione si avrà coi Visconti e poi con gli Sforza,ma qui entriamo in un periodo diverso e successivo. .


Inviato

Nei secoli X e XI c'era anche Venezia che produceva monete in gran quantità (forse anche più delle zecche lombarde). Ma Dabbene da patriota lombardo continua a tralasciarla... ;)


Inviato

Nei secoli X e XI c'era anche Venezia che produceva monete in gran quantità (forse anche più delle zecche lombarde). Ma Dabbene da patriota lombardo continua a tralasciarla... ;)

No,no diamo a Venezia quel che è di Venezia,però un minimo di campanilismo è anche bello averlo.


Supporter
Inviato

interessante questa discussione! ma funzionava così in tutt' italia?

Ciao Magdi

a cosa ti riferisci? A come era organizzata la zecca o i metodi usati per coniare?


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