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Monete longobarde coniate a Piacenza


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Buongiorno a tutti.

In un libro recentemente pubblicato sulle monete di Piacenza si ipotizza l’attività della zecca anche in epoca longobarda (e carolingia). L’argomento mi sembra abbastanza interessante e mi piacerebbe raccogliere qualche opinione in proposito.

L’ipotesi è sorretta principalmente dalla presenza di diversi “monetieri”, residenti in città, riportati come testimoni in alcuni documenti dell’epoca e dall’esistenza di alcuni tremissi di Ariperto II e Liutprando che riportano la lettera P o il nesso PL davanti al busto del sovrano (nonchè dal tremisse stellato di Desiderio con Flavia Placentia Augusta). D’altra parte è vero che non è universalmente accettato che le lettere nel campo al diritto della moneta siano le iniziali della zecca di emissione.

Riporto, per chi non ne è a conoscenza, alcuni passi del testo sopra citato.

Cosa ne pensate?

In un nostro precedente lavoro avevamo affrontato il tema relativo all’attività della zecca di Piacenza in età longobarda e carolingia, ipotizzando una lunga ed intensa produzione monetaria documentata dalla presenza certa di un elevato numero di monetieri. Successivamente analoghe considerazioni sono state riproposte anche da altri autori che si sono occupati dell’argomento .

Dopo la morte di Clefi, i Duchi longobardi stanziati in Italia non elessero un altro Re, ma per 10 anni governarono il proprio territorio tiranneggiando il popolo romano . Alla fine elessero Autari, figlio di Clefi, che, per restaurare il potere regio, obbligò i Duchi a cedere la metà dei loro beni al tesoro della corona. Assunse anche il titolo di Flavio che fu portato da tutti i suoi successori . Tuttavia vi furono alcuni tentativi di ribellione e i duchi di Reggio, Parma e Piacenza passarono nelle file bizantine . La conclusione fu che, eliminati i duchi ribelli, Piacenza e Parma furono incorporate nel patrimonio reale. Nel 673, infatti, nella famosa sentenza di Pertarito, troviamo la città rappresentata dal gastaldo Daghibertus. I Gastaldi erano dei funzionari reali, probabilmente scelti tra membri fidati della nobiltà longobarda, che diventarono amministratori dei beni del Re e, contrariamente ai Duchi, erano amovibili. Il gastaldo di Piacenza era posto a capo della principale judiciaria del territorio che era suddiviso, inoltre, nella judiciaria Medianensis e nei Fines Castriarquatense.

Il 25 settembre 758 , in un atto stipulato a Piacenza, Gunderada alienò a Hedelpert alcune terre poste nel casale Furtiniaco e in Mocomero. Tra i testimoni che sottoscrissero il documento figurava anche un uomo devoto, di professione monetario, chiamato Garimund.

Da ciò si ricavano due dati importanti: primo, che Piacenza era parte integrante del patrimonio regio longobardo e che il Re amministrava direttamente tramite un sottoposto della massima fiducia e, secondo, che aveva ritenuto opportuno installarvi una zecca o di accentrarvi un certo numero di maestranze specializzate nella lavorazione della moneta.

La certezza della presenza di un opificio legato alla produzione di moneta ci deriva dal fatto che anche in documenti immediatamente successivi al regno longobardo sono presenti numerosi altri monetieri e tra i quali un Giselperti da porta mediolanense, che certamente dimorava in città, in una casa ubicata nei pressi della porta da cui partiva la strada per Milano. E ciò ci induce a pensare che anche la zecca dovesse essere ubicata nei pressi di tale porta .

Giselperti, inoltre si dichiara figlio di Davit, e un tale Davet monetario, figura come testimone in un atto del 16 marzo 788. I monetieri piacentini dovevano rappresentare una casta in cui anche il mestiere si trasmetteva ereditariamente e, coi ai faber e gli aurifex, dovevano formare una delle corporazioni di artigiani fra le più potenti e reputate.

Come già abbiamo avuto modo di sottolineare, i monetieri dovevano godere di grandissima considerazione ed erano posti ai vertici della scala sociale. Infatti sono presenti in atti che coinvolgevano le più alte autorità del Ducato: il Conte Aroin, il Gastaldo di Piacenza Aidolfo, i Vescovi di Piacenza Giuliano e Podone e sono presenti in atti posti in relazione con le Basiliche di S. Antonino e di S. Savino, le più importanti della città.

Queste considerazioni, anche se ricavate da documenti di età carolingia sono valide anche per gli anni immediatamente precedenti, visto che l’occupazione franca comportò solo l’incamerazione delle immense proprietà delle curtis regie longobarde e del fisco e la sostituzione di alcuni duchi con elementi della nuova nobiltà dominante. Del resto, anche la politica monetaria restò la stessa, visto che Carlo Magno autorizzò per l’Italia nuove coniazioni di tremissi di tipo longobardo .

Ripresentiamo, per la loro importanza, gli stralci dei documenti che ci interessano.

Piacenza, 25 settembre 758 .

25 settembre 758, in Piacenza.

Gunderada vende ad Heldepert la sua porzione di terra nel casale "Furtiniaco" e in Mocomero, per "auri solid uno et medio tremisse"; tra i testimoni:

"... Sign(um) + m(anus) Garimund u.(ir) d.(evotus) monetar(io), testis".

16 marzo 788, chiesa di S. Savino in Piacenza .

Loboaldo, figlio del fu Lopone, ottiene in affitto per venti anni da Senepert, diacono e custode della chiesa di San Savino, col permesso del Vescovo di Piacenza Giuliano, un terreno in Rutiliano e due vigne situate in Felegario; tra i testimoni:

"+ Ego Ambrosius filius Aldoni monetario uhic peditorio roga | dus ad Loboald testis suscripsi...

+ Ego Davet monedario uhic petitorio rogatus | ad Loboald testes suscrisi

+ Ego Ariberto monedario uhic pedidorio rogadus | ad Lopoaldo testes suscripsi...".

6 luglio 791, Carpaneto Piacentino .

Permuta di terreni in Carpaneto Piacentino con altri in Fortiniaco e Albareto tra Lopone, figlio del fu Teudoaldo, e il conte Aroin; tra i testimoni:

"Sign(um) + m(anus) Donusdei qui fuet monetario test(is)...".

22 gennaio 796, Piacenza .

Teofuso, figlio del fu Paulone, dona ad Aidolfo, Gastaldo della città di Piacenza, alcuni beni situati in Folignano e in Centovera; tra i testimoni:

"Sign(um) + m(anus) Giselp(er)t fil(ii) q(uon)d(am) Davit monetario testis...

+ Ego Adelp(er)t aurifex uhic cartl(ae) donationis rogatus Teofuso testis suscripsi...".

30 marzo 818, Piacenza .

Podone dona alla chiesa di S. Antonino col permesso del Vescovo di Piacenza Podone, tutti i suoi beni posti in Caorso in località Oocucio (originale)

“... Sign(um) + m(anus) Giselp(er)ti da porta Mediolanense filio Davit monetario testes...”.

Ma se a Piacenza sono documentati ben sei monetari negli anni compresi tra il 758 e l’818, (nella carta del 16 marzo del 788 ne figurano addirittura tre contemporaneamente) non altrettanto si può dire della sua monetazione che, salvo per il noto tremisse a nome di Desiderio, risulta praticamente sconosciuta.

......................

......................

Il problema della monetazione longobarda di Piacenza e, in maggior misura, di quella carolingia, è che, mentre sono noti i responsabili dell’attività nelle zecca, non ci sono rimaste tracce del frutto del loro lavoro.

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Piacenza potrebbe aver avuto una zecca attiva già sotto Ariperto II (701/712) e Liutprando. Di questi sovrani sono infatti noti alcuni rari tremissi con una “P” o con il nesso “PL” davanti all’effige del re posta al diritto delle monete: sigle che potrebbero appunto indicarne in Piacenza il luogo di emissione. Di Cuniperto (680/700) il Sambon riporta un tremisse con una P legata ad una linea obliqua rivolta a sinistra che potrebbe essere un nesso VP ma anche un nesso PL con la L retrovolta; tale moneta, del peso di 1,40 grammi, viene detta appartenente al medagliere di S.M. (Torino). La citazione del Sambon è stata poi ripresa, senza tuttavia ulteriori approfondimenti, anche dal Bernareggi .

Sotto Desiderio fu quindi coniato il tremisse stellato di cui un esemplare, già noto al Pallastrelli , fu acquisito dal British Museum nella seconda metà dell’ottocento. Di questa moneta, di cui fino a pochi anni fa erano noti solamente gli esemplari del British Museum, del Museo Civico di Brescia e del Fitzwilliam Museum di Cambridge (quest’ultimo dimezzato), sono apparsi di recente in commercio almeno sette esemplari, il primo dei quali, battuto il 9 giugno 1997 all’asta Italo Vecchi n. 6 di Londra (lotto 1502), ha trovato stabile dimora presso le raccolte numismatiche dei Musei di Palazzo Farnese di Piacenza, mentre gli altri sono entrati a far parte di collezioni private.

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Per completezza aggiungo i dati in mio possesso sulla rarità delle monete ilustrate (con lettera P o nesso PL di fronte al busto)

(ringrazio anticipatamente quanti potranno fornirmi ulteriori dati):

1. Ariperto II: 3 esemplari conosciuti

- Collezioni pubbliche: due esemplari nell’ex collezione reale, di cui uno illustrato nelle tavole del CNI (attribuito, come tutti i tremissi longobardi con S. Michele, a Pavia).

- Collezioni private: un esemplare con la lettera P

2. Liutprando: 7 esemplari conosciuti

- Collezioni pubbliche: un esemplare nell’ex collezione reale (illustrato nelle tavole del CNI) con PL in nesso; un esemplare al Museo Civico di Piacenza

- Collezioni private: due esemplare con la lettera P

- Esemplari apparsi in asta: tre

3. Desiderio: 11 esemplari conosciuti

- Collezioni pubbliche: un esemplare al British Museum, un esemplare al Museo Civico di Brescia, un esemplare (dimezzato) al Fitzwilliam Museum di Cambridge, un esemplare al Museo Civico di Piacenza

- Collezioni private: tre esemplari

- Altri esemplari apparsi in asta: quattro

Modificato da giollo2
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L'argomento è ancora controverso, posso citare alcune fonti che andrebbero approfondite:

Bernareggi, E., Il sistema economico e la monetazione dei Longobardi nell’Italia superiore. Milano 1960.

Id., Le monete dei Longobardi nell’Italia Padana e nella Tuscia, in «Rivista italiana di numismatica e scienze affini», 1963, pp. 35-142.

Id., Moneta Langobardorum. Milano 1983, pag. 186.

Crocicchio, G.-Fusconi, G., Zecche e monete a Piacenza dall’età romana al XIX secolo. Piacenza 2007.

Falconi, P., Le monete piacentine. (3 voll.). Piacenza 1914-1920.

Feuardent, F., Notices sur diverses monnaies du VIII siècle au XV, in «Revue numismatique», 1862, pp. 51-62, tav. II, n. 5.

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In un libro recentemente pubblicato sulle monete di Piacenza si ipotizza l’attività della zecca anche in epoca longobarda (e carolingia).

Quale libro?

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Quale libro?

Crocicchio, Fusconi - Zecche e monete a Piacenza. Dall'età romana al XIX secolo, Piacenza 2007;

Successivamente anche la Pardi (Pardi - Monete flavie longobarde, Roma 2003 ) ha espresso analoghe considerazioni.

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Non conosco l'affascinante coniazione longobarda. Ma il problema delle zecche si presenta anche in altri periodi. Spesso ho ravvisato una ''voglia'' da parte dei collezionisti che una data moneta sia coniata nella loro città. Bisogna quindi fare molta attenzione. E quindi in questo caso studiare bene il significato delle lettere, gli stili, le caretteristiche, i ritrovamenti...

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Osservazioni appropriate e pienamente condivisibili.

In questo caso ci troviamo di fronte alla presenza documentata (fatto estremamente raro in età longobarda/carolingia) di monetieri residenti e attivi a Piacenza dal 758 all’818; tenendo conto che l’economia monetaria longobarda era assai poco sviluppata (per l’area lombarda basata quasi esclusivamente sui tremissi d’oro, monete non certo destinate ai bisogni quotidiani e di largo uso) ritengo (ma posso sbagliarmi) che questo elemento sia sufficiente a ipotizzare che a Piacenza furono coniate monete anche qualche anno prima del 758, con Ariperto II e Liutprando. Nei documenti conosciuti i monetieri firmano documenti che interessano le più alte cariche del ducato e quindi devono aver conquistato posizioni sociali rilevanti nel corso degli anni.

E’ chiaro che un’attribuzione sicura deve però contemplare tutti gli aspetti che Arka PD ha giustamente sottolineato.

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Discussione molto interessante, anche diverse emissioni longobarde (ad es. Aistolfo per Ravenna) sono state trattate in diverse altre discussioni sul Forum.

Ricordo solo che Carlo Magno continuò a battere tremissi sul modello di quelli longobardi, all'indomani della sua espansione in Italia, ma dopo alcuni anni abbandona completamente tale sistema , operando una delle più significative riforme monetarie della storia.

Carlo infatti dopo aver sconfitto Desiderio alleandosi ai duchi ribelli, non sottomette il popolo Longobardo ma subentra nel trono del re sconfitto, non governa quale re dei Franchi ma si proclama re di entrambi i popoli. Quale migliore messaggio, quindi, di continuitá che non la perpetuazione, per il medio di emissioni monetali, della simbologia adottata dal sovrano vinto, tanto cara al popolo longobardo? Carlo ne adotta le medesime legende, ne usurpa anche la titolatura di Rex (Langobardorum).

Un altro problema da affrontare è quello della datazione della monetazione di tipo longobardo battuta dal sovrano franco.

L’estensione temporale della monetazione Flavia carolingia (ovvero di derivazione longobarda), non risulta ancora di facile determinazione. Bernareggi la circoscrive al 773-74, ovvero al periodo della conquista carolingia del regno Longobardo, ravvisando in queste emissioni un mero carattere propagandistico, tramite il quale il re franco rinnovava la concessione di autonomia e di libera amministrazione precedentemente accordata da Desiderio nei confronti delle cittá medesime, al fine di assicurarsene la fedeltá in vista della campagna decisiva. Grierson , di contro, basandosi sul notevole numero di zecche operanti o aventi battuto tale tipologia di moneta, si pronuncia a favore di un arco temporale piuttosto lungo, sostenendo una datazione estesa sino al 781, data più probabile per il Capitolare di Mantova, che ne avrebbe decretato la demonetizzazione, fatto che ne giustificherebbe l’odierna raritá. Pardi , facendo riferimento al ripostiglio di Ilanz che ha messo in luce l’esistenza delle Flavie carolingie presentandone un numero cospicuo ed in ottime condizioni di conservazione, sostiene l’estensione dell’emissione della tipologia di moneta carolingia successivamente al 774, basandosi sulla presenza, nel ripostiglio, accanto alla monetazione Flavia, di un solo denaro d’argento, del tipo più pesante, riformato, databile a partire dal 793/4, mentre sono abbondanti i denari leggeri, a suffragio dell’ipotesi che il tesoro fosse stato sepolto poco dopo la riforma che aveva introdotto I denari pesanti.

numa numa

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Come mai la discussione si è arenata ?

Eppure di spunti ce ne sarebbero diversi ..

Ulteriore campanilistico spunto:

Ecco uno degli unici due esemplari conosciuti, facenti parte del ripostiglio d’Ilanz (Raetisches Museum di Coira, n. inventario M 1986.569 e M 1986.570), già assegnati alla zecca di Piacenza dal Lafaurie (JEAN LAFAURIE – Le trèsor carolingien de Sarzana-Luni, in “Le zecche minori in Toscana fino al XIV secolo”, Atti del III convegmo internazionale di studi di storia e d’arte di Pistoia (Pistoia, 16-19 settembre 1967), Bologna 1974) e, recentemente, anche dalla Pardi (ROBERTA PARDI - Monete flavie longobarde, Roma 2003).

Si tratta di un denaro di tipo leggero emesso tra il 781 ed il 794 (anno di introduzione del denaro di tipo pesante). Il D/ presenta nel campo la leggenda in due righe CARO | LVS; ed al R/ il monogramma (RX) F sormontato dal segno d’abbreviazione – e con una crocetta sotto; nel campo a sinistra un monogramma composto dalle lettere P L A ( C ):

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