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Venere - Ascesa Di Una Dea Nella Repubblica


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Riporto qui il testo della serata in chat.

VENERE L’ascesa di una dea nella Repubblica di Roma

Dalla sfera di potenza amplissima, Venere non va semplicemente considerata come dea dell’amore, della bellezza e della fertilità; da antica divinità latina della vegetazione, della flora e dei giardini, in Venus confluirono successivamente importanti tratti caratteristici, propri di divinità femminili italiche e greche, che non andarono tuttavia a sostituirsi alle sue originarie prerogative ma si aggiunsero ad esse, dando vita ad una figura poliedrica e piuttosto complessa, sia in essenza che in culti.

Forti e non casuali analogie accomunano l’incremento del potere di Venere con quello di Roma stessa ed in tale ottica, sia l’iconografia monetale che la cronologia delle emissioni repubblicane aventi per soggetto questa divinità, possono rappresentare un ottimo filo di Arianna, in grado di guidarci in un approfondimento ove numismatica, storia e mitologia si intrecciano ed intersecano in modo indissolubile.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-RRB1/2

Anche se già al rovescio del semisse della serie librale Giano/Mercurio, databile alla seconda metà del III secolo a.C., è presente una muliebre testa di divinità da alcuni identificata con Venere, è in avanzata fase denariale che la femminile dea per eccellenza iniziò ad apparire con sempre maggiore intensità e frequenza.

In un periodo in cui al dritto del denario la testa elmata di Roma era soggetto esclusivo, Sextus Iulius Caesar scelse per il rovescio dell’emissione da lui curata un nuovo tipo, con Venere in biga incoronata da Cupido; siamo nella seconda metà del II secolo a.C. ed in questa fase il denario inizia a divenire strumento utile alla celebrazione del prestigio della gens di appartenenza ed al tondello coniato viene affidato il compito di proporre e mostrare ascendenze sempre illustri e spesso, come in questo caso, addirittura divine.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G69/2

Il soggetto scelto da questo esponente della gens Iulia, com’è ovvio, non è casuale.
Oltre alla ben nota Eneide, che vide la luce più di un secolo dopo, va rammentato che i racconti sul figlio di Anchise e padre di Ascanio, se pur a volte difformi da quella che diverrà la più diffusa versione virgiliana, erano già presenti in ambito greco, magno-greco, siceliota, italico ed etrusco già nel VI-V secolo a.C.

Ellanico di Lesbo, Alcimo da Messina, Timeo di Tauromenio, Fabio Pittore, Quinto Ennio e poi Catone il Censore sono alcune delle fonti da cui attinse Virgilio stesso e testimoniano quanto, tra le principali culture del bacino del Mediterraneo centrale, la figura e la presenza di Enea fosse forte e ben radicata già da tempo.

Frutto del frugale amore tra Afrodite ed Anchise, il giovane Enea, caduta Troia, salvò caricando sulle proprie spalle il padre, reo di non aver tenuta segreta la relazione con la dea e per questo reso storpio e cieco da un fulmine scagliato da Zeus.

Abbandonata la città in fiamme, con il padre, il figlioletto Ascanio ed un gruppo di superstiti partì alla testa di venti navi verso l’Occidente. Toccò la Tracia ed altre terre, tra cui Delo, Creta e Butroto, per poi muovere alla volta della Sicilia. Qui l’anziano Anchise morì ed una volta resi i dovuti onori all’amato e saggio padre, Enea ripartì.


Una volta preso il mare una tempesta scatenata da Eolo per volere di Era lo fece approdare sulle coste libiche, ove fu accolto da Didone, regina di Cartagine. Il breve amore che scaturì tra i due si concluse tragicamente con una nuova e rapida partenza dei troiani ed il conseguente suicidio della regina, distrutta da questo amore che non riuscì ad imporsi sul destino dell’eroe.

Lasciata Cartagine le navi rimaste approdarono a Cuma, ove la Sibilla preparò Enea per un viaggio nell’oltretomba che gli consentì di incontrare nuovamente il padre Anchise, al fine di ricevere da lui consiglio per il proseguimento del viaggio.

Sempre aiutato da Afrodite e seguendo le indicazioni ricevute dal defunto genitore, approdò nel Lazio ove, combattuto Turno, re dei Rutoli, ottenne la mano di Lavinia, figlia di re Latino.

Enigmaticamente scomparso durante una battaglia ed assunto tra gli dei per intercessione di Afrodite, Enea lasciò la reggenza dei latini al figlio Ascanio, a sua volta fondatore di Albalonga, la città madre di Roma.
Fu proprio Ascanio ad essere chiamato dai Romani Iulo e fu quindi lui l’illustre capostipite della gens Iulia, che potette così vantare diretta discendenza da Venere stessa.

La divina genealogia che il denario di Sextus Iulius Caesar vuole ricordare è si rilevante, ma il messaggio che questa iconografia monetale trasmette appare piuttosto sottile e fine a se stesso.
Negli ultimi decenni del II secolo a.C., in campo monetale, questo tipo di allusioni sono del tutto ordinarie ed una discendenza così espressa è solo di poco superiore a molte altre, semplicemente per la caratura della divinità chiamata in causa.

In questa fase, nel caso specifico, è però la sola Venere a dar lustro alla gens Iulia in quanto sua genitrice; non vi è reciprocità e l’incremento di prestigio e potere è decisamente unidirezionale, da Venere verso l’autorità emittente, sia questa intesa come famiglia o come popolo di Roma tutto, di cui la gens era parte integrante.

Il discorso potrebbe sembrare privo di senso e viene lecito domandarsi come mai potrebbe una semplice iconografia monetale dar maggior lustro ad un’immortale dea; per trovare risposta ad un simile interrogativo è bene però considerare la moneta quale componente passiva della storia, comunque in grado di rivelarci fondamentali indizi di carattere sociale, religioso e politico in quanto diretta ed eloquente testimone di fatti ed eventi.

I tipi del denario dovettero però sottostare a vincoli etici che, pur facendosi via via meno rigidi, ne resero piuttosto sterile l’iconografia per lungo periodo; al fine di seguire l’ideologia della Res Pubblica poco spazio veniva ufficialmente concesso all’individualismo e nel contempo la moneta di questi anni, in sé, pochi elementi può darci circa la figura di Venere stessa.

Simili a quelli riscontrabili nell’emissione di Sex. Iulius Caesar sono quindi i riferimenti individuabili nei denari emessi da L. Memmius Gal. e L. Iulius L. f. Sex. n. Caesar, , databili agli ultimi anni del II secolo a.C.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G86/2
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Nel primo caso, il magistrato monetale fornisce una pseudogenealogia dei Memmii, rintracciabile anche in Virgilio, che lega anch’essi alla figura di Enea e, conseguentemente, a quella di Venere.
Si riteneva infatti che la Memmia fosse una delle familiae Troianae che seguirono Enea nel suo viaggio verso la terra italica e che il suo capostipite prese parte ad un'importante gara tra navi, svoltasi durante le celebrazioni del funerale di Anchise.

Nel secondo caso invece, il richiamo a Venere è decisamente più diretto, essendo il magistrato monetale un esponente delle gens Iulia.

Nelle tre emissioni fino ad ora citate è quindi quella Venus che successivamente verrà adorata con l’epiteto di Genitrix ad apparire, allo scopo di far coincidere le origini della famiglia di appartenenza del magistrato con quelle di Roma stessa. In ottica prettamente repubblicana, l’essere annoverati tra le gentes originarie era infatti motivo d’immenso orgoglio e sinonimo di onore e prestigio.

Tali ideologie, profondamente sentite ed ufficialmente osannate per gran parte del periodo repubblicano, andarono tuttavia ad affievolirsi, in quanto surclassate da autoritarismi ed individualismi sempre più incisivi.

A causa di tale fenomeno, dai primi decenni del I secolo a.C. la moneta emessa inizia a fornirci indizi e dettagli sempre più ricchi ed interessanti che, unitamente al contesto storico di emissione, ci consentiranno di far luce sulla divinità che meglio può rappresentare Roma stessa in questo travagliato periodo.

Tutto stava mutando e si stava evolvendo.

Il caos generato da guerra sociale, guerra civile e tensioni intestine lasciò il posto al “nuovo ordine” stabilito da colui che, con l’intento di restaurarla, creò il precedente che di lì a poco venne ricalcato al fine di sovvertire l’istituzione repubblicana tutta: Lucio Cornelio Silla.
Un’emissione aurea ed una denariale, con identico tipo del dritto e del rovescio, ci proiettano nel cuore degli eventi.

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“Veniva Silla con ira gravissima”, queste solo le parole usate da Plutarco per descrivere il ritorno di Silla sul suolo italico a seguito della vittoriosa campagna mitridatica e l’iconografia monetale scelta dal paladino della nobilitas altro non fa che confermare ed incrementare l’enfasi di questa frase.

Al dritto appare la testa diademata di Venere, accanto ad essa vi è Cupido avente tra le mani la palma della vittoria; al rovescio compaiono i simboli augurali tra due trofei, con minacciosa legenda IMPER ITERV[M].

“Io, Lucio Silla, prediletto di Venere, vincitore a Cheronea ed Orcomeno, giungo alla testa dei 40.000 fedeli legionari che già due volte mi acclamarono imperator”, questo è il messaggio trasmesso, questo è il biglietto da visita che Silla porse ai populares al suo rientro in Italia.

Rispetto alle precedenti raffigurazioni ben diversa è dunque questa Venere, ben diverso è anche il contesto in cui il tipo fu emesso, così come lo sono sia il messaggio trasmesso che la caratura dell’autorità emittente.

In questa occasione Venus incrementa si l’autorevolezza di Silla, ma anche la divinità stessa esce ingigantita da un simile connubio. Non vi è più un semplice riferimento alla sola genitrice della gens Iulia ma ve ne è uno alla divinità che rappresenta il meglio dell’Urbe e gli optimates tutti; costei guidò le vittoriose armate di Roma sul suolo greco ed è colei che, scegliendo Silla quale suo prediletto, si innalzò come mai prima d’ora proprio per effetto dei grandiosi successi del suo favorito.

Fu però Venere a scegliere Silla o Silla a scegliere Venere? E come mai fu una femminea divinità a giocare un ruolo così importante in questa concitata e sanguinosa serie di eventi?

Va detto che il legame con Venus divenne sicuramente fortissimo a partire dall’anno 87 a.C. quando, mettendo piede sul suolo greco, Silla entrò in diretto contatto con le trascendentali ideologie elleniche.
E’ tuttavia ancor oggi enigmatico il reale rapporto che questo personaggio ebbe con gli dei e le fonti a lui avverse, narrandoci della sua spregiudicata irriverenza ed evidenziandoci le sue sacrileghe azioni, altro non fanno che rendere ancor più azzardato un qualsiasi giudizio.

Si sa tuttavia che Silla, negli anni della pretura in Cilicia, entrò in contatto con il culto di Ma-Bellona e che, durante la sua prima marcia su Roma dell’88, non esitò ad utilizzarne la figura al fine di motivare i propri legionari. Li rese infatti partecipi del sogno da lui fatto poco tempo prima, in cui questa divinità guerriera, porgendogli le folgori, lo esortava ad eliminare gli avversari politici.

Durante la seconda marcia poi, Silla chiamò in causa anche Apollo; prima della battaglia di Porta Collina infatti, estraendo un statuetta in oro del “dio splendente” presa a Delfi e che portava sempre al collo, pronunciò le seguenti parole al fine di motivare nuovamente, con ottimi risultati, i propri soldati:
“O Apollo Pizio, che in tante battaglie hai innalzato a splendore e grandezza Cornelio Silla il Fortunato, lo abbandonerai adesso, che è giunto alle porte della sua patria, per farlo morire insieme ai suoi concittadini di una vergognosissima morte?”

Fu dunque un uomo animato da sincera devozione verso più divinità oppure fu uno scaltro soggetto che ben sapeva individuare per poi sfruttare ciò che i potenti dei erano in grado di offrirgli in un preciso momento?
Probabilmente in lui, tanto vero ed orgoglioso quanto ambizioso e spregiudicato romano, convivevano entrambe gli aspetti, anche se non ci è dato sapere quale tra i due fosse il predominante.

Qualunque fu la sua vera religiosità, giunto in terra greca dovette affrontare un valente avversario, tal Mitridate VI Eupatore che, secondo Plutarco, ricevette il soprannome di Dioniso per via della sua innata predilezione verso i generosi dosaggi di vino. Questa associazione appare nel nostro contesto quanto mai curiosa visto che il culto di questa istintuale divinità era visto da tempo con sospetto dai conservatori romani; Dioniso era infatti considerato portatore di principi antitetici rispetto ai mores maiorum.

Si prospettava quindi uno scontro tra grandi condottieri ed al tempo stesso tra differenti culture, ciascuna con le proprie predilette divinità, che possono esser viste come la proiezione di radicate e profonde ideologie.

Ecco qui emergere la Venere sillana che, legittimamente tornando nei luoghi ove concepì il figlio Enea, si presenta ora nelle vesti di protettrice del popolo da lei generato.
E’ quindi lecito ipotizzare che, tramite Venus, Silla intendesse legittimare la presenza romana in quelle terre; meglio di lei nessun’altro divino membro del pantheon poteva adempiere a tale importantissima funzione.

Il connubio così nato non tradì le aspettative e portò grandi successi; le legioni romane imposero la propria supremazia sul dionisiaco suolo e riportarono all’ordine colui che si era ingenuamente opposto al potere del popolo di Roma.

Successo, vittoria e buona sorte avevano accompagnato Silla nella sua campagna d’Oriente ed auspicando le medesime fortune, il vincitore di Mitridate si apprestava ora a dar battaglia agli odiati populares sul suolo italico.

Tuttavia, in quanto genitrice dei romani tutti ed essendo una divinità molto amata anche dal popolo, l'immagine di Venere fu scelta il tal frangente anche da monetieri non certo appartenenti agli ottimati; nell’anno 83 fu infatti Caius Norbanus, figlio dell’omonimo console, ad utilizzare Venus in un denario, caratterizzato da due varianti, avente al dritto la diademata dea ed al rovescio i simboli dell’imperium (sia in mare sia in terra per il tipo con prua di nave) insieme ad attributi riferibili a Felicitas.

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Il padre del magistrato, che rivestì il consolato insieme a Lucio Cornelio Scipione Asiatico, tentò di fermare l’avanzata di Silla già sbarcato a Brindisi, ma fu sconfitto nei pressi di Capua. Nuovamente vinto da Quinto Cecilio Metello Pio pensò di trovar rifugio a Rodi ma, ormai braccato, finì col togliersi la vita.

Dell’anno successivo è poi un’altra emissione denariale curata da Lucius Marcius Censorinus, Publius Crepusius e Caius Limetanus, anch’essa di stampo popolare, recante al dritto Venere diademata e velata ed al rovescio la medesima dea in biga.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G83/9

Tuttavia, nonostante l'opposizione del fronte dei populares e dei loro alleati, a seguito del successo di Porta Collina del novembre 82, Silla riuscì ad entrare vittoriosamente in Roma, riottenendo quel potere che mai prima di allora fu tanto grande. Raggiunto il successo e conquistato il suo obiettivo, non spezzò il legame con quella dea che tanti successi gli aveva donato e ciò è ben dimostrato da due tipologie monetali che, secondo la teoria più diffusa, furono emesse dopo la seconda restaurazione.

In entrambe il dritto è riservato alla diademata Venere mentre al rovescio è presente, nel primo tipo, una doppia cornucopia ornata da un nastro mentre, nel secondo, un singolo corno dell’abbondanza sempre con fascia decorante.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G35/8
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Particolare attenzione va ora posta al soggetto che appare sul rovescio dei due tipi, in quanto trattasi di un elemento che molto può dirci circa la polisemia della Venus del I secolo.

Attributo di Fortuna, la cornucopia che copiosamente riversa ciò che di meglio la natura può offrire, richiama indubbiamente ad un’Abbondanza di tipo agreste. Una fertile terra e dei generosi raccolti rappresentavano sicuramente uno tra i migliori possibili auspici già nelle arcaiche società di tipo rurale, in quanto da essi dipendeva la sopravvivenza della comunità tutta.

Allo stesso modo, fondamentale era la prolificità degli animali allevati ed anche i doni della selvaggia natura risultavano decisamente preziosi. Culti che auguravano simili benefici sono indubbiamente vecchi quanto l’uomo e sicuramente precedenti alla fondazione stessa di Roma.

Vegetale, animale o umana, la fecondità è preziosa ed essenziale attitudine presente in tutto ciò che vive e le primordiali divinità telluriche trasmisero tale loro prerogativa ad innumerevoli divinità femminili del pantheon romano.

Si pensi a Tellus dea della terra, a Giunone protettrice del matrimonio e del parto, a Cerere che tutela i raccolti, a Diana che assicura parti non dolorosi, a Cibele “Grande Madre” dea della natura e degli animali selvaggi, a Proserpina che “cresce” ed “emerge” come il grano, poi ancora a Fortuna, ad Annona, a Felicitas, ad Abbondanza. Riduttivo ed arduo sarebbe descrivere con poche parole ciascuna di queste figure, ma va comunque evidenziata una non trascurabile ed arcaica compenetrazione reciproca tra alcuni dei vari tratti caratteristici di ciascuna di queste femminee divinità.

Nel I secolo a.C. Venere rappresenta forse l’esempio più incisivo di questo sincretismo in quanto, da originaria divinità agreste legata ad una pragmatica fecondità, iniziò conseguentemente a governare l’amore e la fertilità umana, per entrare poi in contatto con l’edonismo ed il trascendentale erotismo della greca Afrodite, colei che nacque dalla spuma del mare fecondata dal seme di Urano.

Fortuna/Venere/Afrodite, trinomio di figure distinguibili ma, nel contempo, tra loro strettamente connesse: è l’onomastica stessa di Silla a dircelo. A Roma fu Felix, amato dalla Fortuna ma, in precedenza, fu la rivelazione oracolare greca a designarlo Epaphroditus, ovvero prediletto da Afrodite.

Pragmatico materialismo e misterico trascendentalismo, romanità e grecità, tutto confluì nella Venere sillana; tale polisemia ci è ben trasmessa anche da alcune pitture parietali pompeiane, ove Venus appare immensamente ricca di attributi, da lei direttamente portati ed a lei offerti da altre divine figure.

Venus Pompeiana sulla facciata dell’officina infectoria in via dell’Abbondanza
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Venere sulla facciata dell’officina di Verecundus
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Nell'anno in cui Silla si ritirò dalla scena pubblica, il 79 a.C., C. Naevius Balbus curò la coniazione di un denario con i tipi di Venere e Vittoria in biga.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G91/1

Essendo stata estirpata come un'erba dannosa, l'ideologia popolare era in quel frangente sopita e l'iconografia scelta dal magistrato monetale non può che essere intesa come un ulteriore omaggio alla dea ed alle vittorie ottenute dal suo prediletto. L'anno seguente tuttavia, l'ormai ex dittatore, spirò nella sua casa di Cuma.

Una vaso rotto e poi ricomposto, questa era la Repubblica di Roma che Silla, grazie alla forza delle armi, riconsegnò nella mani dell'oligarchia.
L'originaria solidità della struttura risultava ormai compromessa, crepe e fratture si celavano sotto il velo creato dal restauratore ed ormai si era ben compreso che la sola forza capace di mantenerla coesa o, al contrario, di frantumarla, era quella data dagli eserciti.

Dopo Silla, l'ambizione di un singolo individuo pareva non avere più limiti ed è in tale periodo che personaggi del calibro di Gneo Pompeo prima e Giulio Cesare poi esordirono sulla scena pubblica.
Tolto il giogo delle violente e sanguinose repressioni, il fronte popolare ritrovò presto nuovo vigore e le ormai endemiche tensioni sociali tornarono ad impensierire la reggente nobilitas di matrice sillana.

In questa fase i tribuni della plebe recuperarono quel potere toltogli dal defunto dittatore e tali riconquiste, che furono parte integrante e fondamentale della rinascita popolare, andarono ad incarnarsi nella figura della Libertas.

Nel 75 a.C. è Cneus Egnatius a portare sul tondello queste ideologie di rinascita e riconquista sociale, curando l’emissione di ben tre tipologie denariali che, nell’insieme, mirano a creare un legame fra due importantissime figure: Venere e Libertà.

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Il primo tipo è caratterizzato, al dritto, da un raffinatissimo busto di Venere, con Cupido poggiato sulla spalla della divina madre mentre, al rovescio, è rappresentata la Libertas in biga, incoronata dalla Vittoria; particolare degno di nota è il pileo che compare sul campo destro del rovescio, attributo della Libertà e simbolo dei ceti meno abbienti.

Nel secondo tipo non compare Venus ma, al dritto, il di lei figlio Cupido con arco e faretra; al rovescio vi sono Giove e la Libertà stanti all'interno di un tempio distilo. Un fulmine ed un pileo collocati sul timpano ci consentono di identificare con certezza le due figure presenti in tale iconografia.

La terza emissione presenta al dritto il busto della Libertas, con l'immancabile copricapo dietro ad essa. Il rovescio, particolarmente ricco, presenta Roma e Venere stanti con asta nella mano destra; la prima, con parazonio, poggia il piede sulla testa di un lupo, mentre la seconda ha al suo fianco Cupido in volo che sta per posarsi sulla sua spalla. Ai lati è presente un timone poggiato alla prora di una nave, simbolo di guida per eccellenza.

Tali iconografie paiono voler cancellare il legame Venere-Silla o, in ottica più ampia, il presunto connubio Venere-ottimati. Roma è il popolo romano e l'immagine restituitaci è infatti quella di una divinità protettrice dei romani tutti, senza distinzioni sociali ed anzi, con particolare e mirato riferimento ai ceti meno abbienti.

La situazione sociale auspicata da queste iconografie denariali è consacrata a Giove ed è da lui stesso riconosciuta, questo sembra voler indicare l’affiancamento delle due divine figure proposto dal tipo con tempio distilo. La funzione del padre degli dei potrebbe tuttavia essere anche un’altra, ovvero quella che lo vede come sommo moderatore. Quest'ultima caratteristica del “dio della sovranità” ben emerge nelle celebrazioni dei Vinalia Priora (23 aprile) e dei Vinalia Rustica (19-20 agosto) ove, festeggiato con Venere, Giove è chiamato a limitare e contenere i tratti più esuberanti e pericolosi propri di Venus stessa.
Aurea mediocritas, in contesto sociale, politico o religioso, anche se la storia ci dice che, nei primi due casi, trattavasi di pura utopia.

La plebe cercava nuovi paladini ed i generali miravano ad ottenere sempre più potere e gloria. In questa situazione, le flange conservatrici e gli optimates dovevano, da un lato, tentare di porre un freno alle ambizioni dei comandanti militari e, dall'altro, tenere sotto controllo le masse ed il loro sempre crescente potere.

Sono gli anni in cui Gneo Pompeo diviene l'indiscusso beniamino del popolo e gli stessi in cui Giulio Cesare, finanziato da Licinio Crasso, inizia la sua inarrestabile ascesa politica. Ma è anche la fase di massima espressione dell'iconografia denariale, ove raffigurazioni particolarmente ricche ed esclusive possono darci numerose informazioni circa la società e la cultura che le ha concepite.

Inizialmente estraniata da queste floride produzioni, dopo quasi un ventennio di assenza, nel 57 a.C. la figura di Venere torna finalmente ad interessare un denario repubblicano, emesso da Caius Considius Nonianus, ove dritto e rovescio ci riportano nel luogo ove Enea seppellì il defunto padre Anchise, Erice.

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E' Diodoro Siculo, storico siceliota del I secolo a.C., a fornirci una magnifica descrizione di questo importantissimo sito di culto, sorto per volere del re dell'antico popolo degli Elimi:

“Dicono che Erice fosse figlio di Afrodite e di Bute, un re indigeno di fama eccezionale; questi, per la nobiltà da parte della madre, era ammirato dagli abitanti del posto e regnava su parte dell'isola. Fondò anche una città sua omonima, degna di menzione, situata in un luogo elevato; sulla rocca della città innalzò il sacro recinto della madre, e lo abbellì con la costruzione del tempio e l'abbondanza dei doni. La dea, in virtù della devozione degli abitanti del luogo e dell'onore tributatole dal figlio, amava in modo straordinario la città: perciò la stessa Afrodite è detta Ericina. Ci si potrebbe meravigliare, ovviamente, considerando la fama che circonda questo santuario: gli altri sacrari infatti, fiorenti per fama, spesso hanno perduto, a causa di varie vicissitudini, importanza; invece questo solo, che ebbe origine dai primordi del tempo, non cessò mai di essere onorato, anzi, al contrario, vide accrescersi sempre più la sua fama. Dopo gli onori, infatti, resi da Erice, di cui abbiamo parlato, Enea figlio di Afrodite, navigando verso l'Italia e approdato nell'isola, adornò il tempio con molte offerte, come se fosse della propria madre. Dopo di lui i Sicani, onorando per molte generazioni la dea con sacrifici, lo dotarono di splendide offerte; dopo di che i Cartaginesi, signori di una parte dell'isola, non tralasciarono di venerare la dea in modo straordinario. Infine i Romani, impadronitisi di tutta la Sicilia, superarono tutti i loro predecessori in onori verso di lei. E facevano ciò per ovvi motivi: poiché la loro stirpe risaliva ad essa e per questo le loro imprese avevano esito felice, contraccambiavano colei che era la causa del loro successo con i dovuti ringraziamenti. Infatti i consoli e i governatori che giungono nell'isola, e tutti coloro che la visitano investiti di una qualsiasi autorità, quando si recano a Erice, con splendidi sacrifici e onori adornano il santuario e, deposto il volto austero dell'autorità, passano a scherzi e a compagnie di donne con molta allegria, in quanto sono convinti che solo così rendono la loro presenza gradita alla dea. Anche il senato di Roma, volendo onorare da parte sua la dea, decretò che le diciassette città più fedeli della Sicilia pagassero ad Afrodite un tributo in oro e che duecento soldati custodissero il tempio”.

Diodoro ci restituisce l’immagine di una Venere piuttosto diversa rispetto alla formale e contegnosa Venus fin qui emersa. Dal racconto emerge infatti una spiccata bivalenza che la fa apparire nobile e solenne solo nelle primissime fasi dei riti che la interessavano; “il volto austero dell’autorità” lasciava infatti il posto a pratiche erotiche e licenziose, che costituivano l’essenza e la peculiarità stessa del culto. Già Platone, identificando nel Simposio le figure di Afrodite Urania ed Afrodite Pandemia, pose l’accento sul dualismo di questa divinità, che governava quindi sia sugli aspetti più soavi e celestiali dell'amore, sia su quelli più sensuali e carnali, quindi meno nobili e decisamente più popolari.

Citando la “compagnia di donne”, Diodoro fa poi un chiaro riferimento alle ierodule, schiave e sacerdotesse che, seguendo un costume tipicamente orientale, praticavano la prostituzione sacra.
Incarnando l’essenza stessa della dea, queste sacre prostitute mettevano in diretto contatto divinità e uomo con cui si univano, garantendo a quest’ultimo tutti quei benefici derivanti dal pieno e totale favore divino.

In ottica puramente romana, tali rituali risultano decisamente particolari, non tanto per le pratiche che li caratterizzavano, proprie anche di altri culti, ma piuttosto per il fatto che queste, nonostante la loro indiscutibile licenziosità, non vennero etichettate né come disonorevoli e neppure come amorali, al di là del ceto di appartenenza di coloro che le praticavano.

Va però sottolineato che tale “tolleranza” fu fin da subito applicata ai soli rituali praticati ad Erice mentre, giunti nell’Urbe, gli stessi subirono forti limitazioni, imposte allo scopo di adeguare il culto tutto alla tradizione religiosa romana.

La Venere romana era infatti una figura piuttosto diversa dalla greca Afrodite ed un accenno alle origini del culto dell'italica divinità può rendere più chiara la situazione venutasi a creare nella fase di ellenizzazione della dea.

Leggendo il testo “Le feste di Roma antica” di G. Vaccai, una frase in particolare colpisce l’attenzione: “dice Macrobio medesimo, sulla fede di Varrone e di Cincio, che sotto i Re il nome di Venere, greco o latino, era ignoto in Roma”.

Ancora in periodo monarchico infatti, Latini e Romani adoravano più “Veneri”, da loro conosciute ed identificate non con il nome di Venus, affermatosi solo in seguito, ma con i diversi epiteti che, andando ad aggiungersi al nome della divinità solo in seguito, costituivano, nel periodo arcaico, il solo nome della dea venerata.

E’ questo il caso di Murcia, che probabilmente governava sull'amore puro e sugli arcaici valori del matrimonio, a cui era dedicato, secondo Livio, il sacro mirteo tra Palatino ed Aventino, o di Libitina, mortifera divinità italica dei funerali e delle sepolture, citata da Plutarco ed oggi nota anche grazie alla porta del Colosseo che porta il suo nome, da dove uscivano i cadaveri dei gladiatori uccisi.
Ad Ardea era poi presente il culto di Frutis che, secondo la tradizione, fu voluto da Enea stesso, ed una Venere dal nome ignoto era anche adorata a Lavinio.

Poche informazioni ci sono giunte su queste arcaiche divinità, mentre le fonti risultano più ricche circa la diffusione del credo di Venere nella Roma del III secolo. A prima di tale periodo è attestato il culto di Venus Calva, il cui epiteto rimanda ad un episodio accaduto durante il sacco perpetrato dai Galli di Brenno, ove le matrone romane, decidendo di tagliarsi i capelli, fornirono materia prima utile alla costruzione di corde per archi e macchine da guerra.

Del 295 a.C. è poi la dedicazione di un tempio a Venus Obsequens, o Propizia, ad opera dell’edile curule Quinto Fabio Massimo Gurge; la costruzione di tale edificio, voluto per onorare una vittoria riportata contro i Sanniti, fu finanziata dalle multe imposte alle donne della nobilitas romana, ree di aver tenuto comportamenti indegni rispetto al proprio status sociale.

Successivamente, è di nuovo Tito Livio a dirci che, nel 215 a.C., fu Quinto Fabio Massimo Verrucoso, il famoso “Cunctator”, a chiedere autorizzazione al Senato al fine di far erigere una tempio dedicato proprio a Venere Ericina, a cui aveva fatto voto quando ricopriva la carica di dittatore. La richiesta fu accolta ed un nuovo tempio di Venus sorse all’interno del pomerium cittadino.

Vista la medesima origine troiana che accomunava Romani ed Elimi, Venere Ericina fu considerata fin da subito una dea patria ma, essendo il nuovo luogo di culto sorto su sacro suolo, i licenziosi rituali praticati nel tempio siceliota subirono l’inflessibile censura imposta dal mos romano.

Conosciuto agli inizi del III secolo a seguito dell'intervento in Sicilia, il culto entrò ufficialmente in Roma sul finire del medesimo secolo ed è proprio in questo lasso temporale che le componenti orientali iniziarono a compenetrare nella figura della Venere romana che, fino a quel periodo, risultava ufficialmente legata ad alti valori etici e morali.

Le affascinanti pratiche religiose elleniche, probabilmente fin da subito accolte di buon grado dagli appartenenti a ceti medio-bassi, estraniati dai culti pubblici, divennero via via sempre più diffuse, tanto che nel 184 a.C., il console Lucio Porcio Licinio decise di dedicare un secondo tempio alla Venus di Erice, fatto questa volta costruire nei pressi di Porta Collina e quindi fuori dal pomerium cittadino.

Fu proprio la scelta di far edificare il tempio fuori dal sacro suolo a consentire agli orientalizzanti riti di poter essere praticati anche a Roma, rendendo quindi il culto molto più simile, anche se non identico, a quello originario praticato ad Erice.

Anche nei culti pubblici, dal II secolo a.C. è quindi viva nell'Urbe una Venere dai diversissimi volti ed è proprio in tale ottica che vanno valutate, ad esempio, le figure della Venus Obsequens, della sillana Venus Felix e della più popolare Venus Erycina: ciascun romano poteva rendere omaggio a quell’aspetto di Venere che meglio si addiceva o al proprio status sociale o alla circostanza.

Tale caratteristica emergerà anche in seguito, quando nuove iconografie denariali porteranno alla nostra attenzione altri tratti, identificati mediante diversi epiteti, propri di questa sempre più poliedrica divinità.

Tornando ora al denario di Caius Considius Nonianus, altre informazioni possono essere ricavate considerando il contesto storico nel quale fu emesso. Negli anni immediatamente successivi alla sua costituzione, il primo triumvirato aveva in Pompeo Magno un membro che incarnava le speranze del popolo contro la supremazia della classe senatoria.

Il monetale, esponente della pompeiana famiglia Considia Noniana, ottenuta l'autorizzazione del Senato, fece dunque emettere una moneta la cui iconografia, che ufficialmente onorava il suo legame con l'importante tempio di Erice, richiamava indirettamente alla causa popolare, sposata in quel frangente dal futuro avversario di Cesare.

Apparso sulla scena in concomitanza del rientro di Silla in Italia, Gneo Pompeo seguì senza esitazione le orme del padre Pompeo Strabone, mettendosi al servizio dell'ambizioso e “fortunato” esponente della famiglia Cornelia. Alla morte di Silla, Pompeo si autodefinì il nuovo prediletto di Venere, omaggiandola ponendo un tempio a lei dedicato alla sommità del teatro da lui fatto erigere in Roma.

Mirando a dar lustro alle proprie imprese militari, fu sempre lui a tramutare il culto di Venus Felix in quello di Venus Victrix, ponendo così l'accento su quelle strabilianti doti che costituivano l'essenza stessa del suo crescente favore popolare.

Il legame Pompeo-Venere emerge anche in un'emissione del 56, curata dal figlio di Lucio Cornelio Silla, Fausto.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G35/17

Al dritto appare il busto diademato e drappeggiato di Venere, mentre al rovescio compaiono tre trofei d'armi tra brocca e lituo. Proprio al verso, vi è la rappresentazione del sigillo ufficiale di Pompeo che, mediante i tre trofei, intendeva fornire un chiaro riferimento alle tre grandi vittorie militari, e relativi trionfi, che ottenne e celebrò tra l'82 ed il 61 a.C.

Dell'anno successivo è poi l'emissione curata da Publio Licinio Crasso, probabilmente figlio del triumviro Marco Licinio Crasso.
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G72/3

L'iconografia del rovescio, costituita da una figura in abiti militari intenta a far segnare il passo ad un destriero, è piuttosto misteriosa ma, anche in questo tipo, emerge tuttavia il connubio tra Venere ed il mestiere delle armi, di cui i triumviri erano i massimi esponenti.

Considerando quindi il periodo che va da Silla al primo triumvirato, e mettendo in relazione l'utilizzo della figura di Venere in campo monetale alle ideologie politiche di coloro che la scelsero quale soggetto delle proprie emissioni, emergono chiaramente sia l'adattabilità di tale divina figura a qualsiasi causa politica, sia la sempre minor coerenza ideologica tipica di quegli ambiziosi condottieri che, cercando di raggiungere il potere seguendo la strada in quel momento più agevole, segnarono il tramonto della Repubblica di Roma.

Sillano prima e popolare poi, una volta rotto il patto triumvirale, nel 51 a.C. Pompeo Magno, divenendo il difensore degli ottimati, si tramutò nel nemico ufficiale di Giulio Cesare e, conseguentemente, dei populares.

Il seguito della storia è ben noto: nel 49 a.C. Cesare attraversò il Rubicone, nel 48 sconfisse Pompeo Magno a Farsalo, nel 46 ottenne la vittoria su Catone Uticense ed i figli di Pompeo a Tapso e nel 45 riportò una nuova e definitiva vittoria sui pompeiani rimasti nella battaglia di Munda. Gneo e Sesto Pompeo, i figli di Pompeo Magno, riuscirono a fuggire a Corduba; il primo fu però catturato e giustiziato poco tempo dopo, mentre il secondo riuscì a fuggire nuovamente, trovando rifugio in Sicilia. Ciononostante, la resistenza pompeiana poteva ritenersi ormai vinta e Cesare, rientrato a Roma, non esitò a celebrare il suo trionfo, anche se ad esser vinti non furono dei nemici di Roma, ma dei Romani stessi.

Ormai divenuta strumento di propaganda politica, l’iconografia monetale che caratterizza le emissioni del periodo della guerra civile, vede contrapporsi la cesariana Venere alla figura della Libertas, scelta dai conservatori quale simbolo della loro opposizione all’assolutistico potere a cui Giulio Cesare ambiva.

Il capovolgimento sociopolitico è evidente, anche in campo monetale. La Libertà, in passato invocata dai popolari contro la supremazia degli ottimati, era divenuta il simbolo proprio di questi ultimi.

Sull'altro fronte, il legame tra la gens Iulia e Venere era diretto, forte ed incontrovertibile: nulla poteva quindi porsi a contrasto del rapporto tra Giulio Cesare e la sua prediletta dea.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/7

Nel 46 a.C., Iulius Caesar conferì piena ufficialità al culto di Venus Genitrix dedicandole un tempio nel forum Iulium, ma era già dal 48 che l’immagine della divinità, massicciamente utilizzata in ambito monetale, era divenuta simbolo di Cesare stesso e dei cesariani.

Hostilius Saserna, Aulus Allienus, Considius Paetus (ex pompeiano) e Cordius Rufus: costoro, per Cesare o con Cesare, omaggiarono Venere attraverso numerose emissioni, restituendoci magnifiche ed in alcuni casi inedite immagini della divinità.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G67/1
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Tra tutti questi tipi, quello che nuovi elementi può fornirci circa il culto di Venere è il denario emesso da Cordius Rufus nel 46, recante al dritto le teste accollate dei Dioscuri ed al rovescio Venere stante con scettro e bilancia.

Alcuni, tra cui il Crawford, sostengono la raffigurazione al verso ricalchi le fattezze della statua di Venus Genitrix, presente nel tempio a lei dedicato proprio nell’anno 46 a.C., screditando quindi l’altra teoria esistente, che vede nel rovescio la figura di Venere Verticordia.

Di primo acchito, appare ben evidente l'assonanza dell'epiteto Verticordia con il nome della gens Cordia, a cui apparteneva il magistrato monetale ma, tralasciando questo aspetto, altri elementi possono essere aggiunti a sostegno della tesi che vede, nella divinità rappresentata, non Venere Genitrice ma "colei che spalanca i cuori".

A quest'ultima erano dedicati i festeggiamenti che si tenevano il 1° aprile, noti col nome di Veneralia, ove la divinità veniva onorata insieme a Fortuna Virile. Vi sono pareri discordanti circa quest'ultima figura: le fonti propriamente romane la ritengono, se pur vicina a Venere, una divinità a sé stante, mentre quelle di matrice greca la vedono come un attributo e/o un aspetto di Venus stessa; Ovidio, una delle fonti più generose circa i rituali del 1° aprile, non chiarisce tale punto, attribuendo infatti ad entrambe le figure identità distinte ma, nel contempo, chiamando Venere “madre dei due amori”.


Sempre secondo le fonti, tra cui il già citato Ovidio e Valerio Massimo, il culto di Venere Verticordia fu istituito in due fasi, intorno al 216 a.C. Nella prima, al fine di ripristinare la pudicizia in Roma, il Senato, consultati i Libri Sibillini, decise di far erigere una statua a questa divinità, facendo presiedere la dedicazione alla più casta tra tutte le matrone romane, Sulpicia. Nella seconda, sempre il Senato, decise di farle erigere un tempio, al fine di porre rimedio al grave peccato, consumato con dei cavalieri, commesso da tre vestali.

In entrambe i casi, l'intento moralizzatore è ben chiaro ma, al tempo stesso, questo va ad applicarsi a due aspetti ben distinti e distinguibili: in riferimento all'alto e degno ruolo delle donne nella società romana e, viceversa, richiamando all'aspetto meno nobile dell'amore, l'atto sessuale in sé.

Anche i rituali veri e propri, praticati alle Calende di aprile, erano divisi in due fasi. Nella prima, le donne di agiata condizione si recavano presso il tempio della dea, toglievano dalla statua i gioielli ed i decori che la vestivano, per procedere poi ad un lavaggio sacrale del simulacro; offrivano infine alla divina figura corone di fiori freschi e rose, pregando Fortuna Virile allo scopo di rendere prolifico il loro matrimonio.

In un'altra fase invece, le donne di più bassa condizione, le humiliores, si recavano presso i bagni pubblici maschili e, denudandosi, offrivano mirto ed incenso a Fortuna Virile, chiedendo così alla divinità, in un luogo di pertinenza maschile, benevolenza verso le nude parti del loro corpo, decisamente importanti in quanto “arma” utile ad ingraziarsi il favore degli uomini; infine, le humiliores bevevano un venenum a base di latte, papavero e miele.

Donne che miravano ad incarnare la moglie romana perfetta, che amava solo il proprio congiunto e che si preoccupava di donare a quest'ultimo una degna discendenza, ed altre donne di più umile estrazione sociale, il cui corpo costituiva forse la loro unica fonte di sostentamento e che, nel contempo, rappresentavano per gli uomini un puro strumento di piacere: due riti in onore di una sola divinità, due riti dedicati ai due aspetti della sessualità femminile.

Anche se dedite all'amore più nobile, per le matrone la fecondità rappresentava un valore fondamentale, in quanto da essa dipendeva il prosieguo della stirpe; al contrario, essendo inclini al solo piacere portato dall'atto amoroso, le meretrici si auguravano che il loro corpo fosse sempre attraente e, per ovvie ragioni, improduttivo.

Tutti gli atti sessuali sono governati da Venere, ma non tutti generano prole; quest'ultimo aspetto, imprevedibile e casuale, in ottica romana non poteva che essere governato da Fortuna che, nel caso specifico, assume l'inequivocabile nome di Fortuna Virile.

Tornando alle origini del culto, da un lato abbiamo Sulpicia, la più casta tra le caste, dall'altro invece delle vergini vestali che hanno infranto il loro voto, simbolo quindi del più deplorevole tra gli atti licenziosi; due estremi che, se presi singolarmente, potrebbero rappresentare un importante monito.

Senza discendenza un popolo è destinato a sparire ma, per un Romano, ciò non è sufficiente: non bastano dei successori, per Roma è fondamentale avere dei degni successori, animati dai medesimi valori dei padri.

Un giusto compromesso ed un giusto equilibrio tra castità e sessualità, tra moralità ed amoralità, su questo aspetto governava Venere Verticordia; la bilancia tenuta dalla Venus raffigurata sul denario di Cordius Rufus è dunque il simbolo di questo equilibrio.

Seguendo la teoria di James Hillman, esposta nel libro “La giustizia di Afrodite”, potremmo aggiungere che la bellezza, solo esteriore o solo interiore, è sempre incompleta e non può essere chiamata tale: la vera e completa bellezza è costituita infatti dall'equilibrio tra la sfera estetica e quella etica.
Venere non governava dunque sulla sola bellezza esteriore, ma anche su quella interiore e sul giusto equilibrio etico, in bilico tra castità e lussuria.

Tornando ora alla figura di Giulio Cesare, dopo l'anno 46 fu lui stesso ad apporre il proprio nome al verso di due differenti tipologie denariali, dedicando il dritto all'amata dea:

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/8
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/9

Il richiamo alle grandiose vittorie in Gallia, ottenute grazie alla benevolenza di Venere, è evidente.
Ci stiamo però avvicinando all'anno 44 ed alle sue fatidiche Idi. I mesi ed i giorni che precedettero l'assassinio di Cesare, commesso da una nuova generazione di conservatori, fu anche segnato da una consistente produzione monetale, ad opera del dittatore stesso unitamente a magistrati monetali a lui fedeli.

I tributi a Venere, com'è ovvio, furono numerosi anche se, dal dritto della moneta, l'immagine di Venus passò al rovescio, consentendo al recto di poter ospitare il ritratto del vivente Giulio Cesare, quale simbolo di assoluto ed incontrovertibile potere.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/11
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/25
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/12
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/15
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-I2/16

Le Venere Genitrice di Cesare è ormai l'indiscussa Vincitrice della guerra che aveva insanguinato Roma ma, proprio in questa fase di assoluto dominio, i 23 colpi di pugnale dei congiurati spezzarono la vita del dittatore.

Ciononostante, le immagini di Cesare e della sua prediletta dea superarono la morte stessa ed anzi, furono proprio da quest'ultima immensamente innalzate.
Non ci addentreremo nel vasto argomento riguardante le emissioni pre e post cesaricidio (ottimamente trattate da Sergio Novajra nel libro “Cronologia delle emissioni con il ritratto di Cesare”), ma ci soffermeremo su un denario in particolare, emesso da Aemilius Buca.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G5/5

Il tipo del verso è generalmente noto come “Il sogno di Silla”, con riferimento all'episodio, citato precedentemente, che vide protagonista Lucio Cornelio Silla, a cui apparve Ma-Bellona-Luna (il cui sincretismo ruota intorno alle analogie esistenti tra ciclo femminile e ciclo lunare) che gli preannunciò la vittoria contro i popolari.

Altra teoria vuole che il rovescio richiami invece alla figura di Endimione che, amato da Selene (la Luna), fu da costei fatto piombare in un sonno eterno al fine di poterlo sempre ammirare in tutta la sua bellezza. Altre versioni del mito dicono che il sonno eterno fu donato al giovane da Zeus, al fine di fargli vincere la morte.

Con tutta probabilità l'emissione fu curata da Buca a seguito dell'assassinio di Cesare, con l'intento di equiparare la figura del dittatore scomparso a quella di Endimione, allo scopo di donare un'aurea di immortalità a Giulio Cesare stesso.

Con Sepullius Macer, Cossotius Maridianus e Flaminius Chilo, il ritratto di Cesare al dritto e l'immagine di Venere al rovescio, continuarono ad interessare l'iconografia del denario post cesaricidio; il discendente di Venus era però ormai morto ed anche la Repubblica di Roma poteva considerarsi un'istituzione prossima al tramonto.

Ma la grandiosa Venere accompagnò i Romani anche in questo delicato e sanguinoso passaggio, continuando ad apparire sui denari emessi nelle concitate fasi della vendetta che Ottaviano, Marco Antonio e Lepido stavano attuando contro i cesaricidi Giunio Bruto e Cassio Longino.

http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G90/4
http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G90/3

In queste due emissioni del 42 a.C., curate da Mussidius Longus, appare al rovescio il sacello dedicato ad una per noi inedita Venere, la Cloacina.

http://www.vroma.org/images/ruebel_images/cloacina-draw.jpg

Le fonti tramandano che tale luogo fu scenario di due importanti eventi, legati ai miti delle origini di Roma.

Fu qui infatti che, a seguito della pace tra Romani e Sabini, entrati precedentemente in conflitto a seguito del famoso Ratto, avvenne la deposizione delle loro armi, poi purificate con rami di mirto.
Fu sempre in questo luogo poi che Lucio Virginio, al fine di preservarne le virtù, tolse la vita alla figlia Virginia, divenuta suo malgrado oggetto delle attenzioni del decemviro Appio Claudio.
Presso i resti del sacello di Venere Cloacina è oggi presente una targa che, riportando un passo di Tito Livio, ricorda proprio questo avvenimento:
Virginio trae la figlia e la nutrice presso il sacello di Cloacina alle taberne che ora son dette nuove ed ivi, preso da un macellaio un coltello, esclama: "Solo in questo modo, o figlia, posso restituirti in libertà". Quindi trafigge il petto della fanciulla e volgendosi al tribunale dice: "Te e la tua testa, o Appio, io consacro alla vendetta con questo sangue".

Eretto sulla Via Sacra nelle vicinanze della Basilica Emilia, il sacello di Venere Cloacina sorgeva nel punto ove la Cloaca Massima entrava sotto il Foro Romano. Vanto di Roma tutta, il sistema fognario era di fondamentale importanza per gli abitanti dell'Urbe; non c'è dunque da stupirsi che proprio una cloaca fosse stata consacrata a due divine figure. I simulacri visibili al rovescio dell'emissione infatti, ci indicano la presenza di due statue distinte, quasi certamente identificabili in Venere e Cloacina, antica divinità di origine etrusca.

Fu proprio per volere del re etrusco Tarquinio Prisco che la Cloaca Maxima fu costruita e con tutta probabilità furono gli stessi etruschi a consacrare l'opera a Cloacina, divinità che presiedeva alla purificazione dei luoghi insalubri.

A tale figura fu poi affiancata, in epoca repubblicana, quella della romana Venere anche se, attualmente, il legame tra le due divinità risulta poco chiaro.
Citata da Plinio, Lattanzio e Seneca, Venus Cloacina potrebbe rappresentare una figura propriamente sincretica o, al contrario, non essere tale. E' possibile infatti che i due termini siano stati semplicemente accostati e che dunque l'identità di entrambe le divinità si sia mantenuta nitida e distinta per un tempo ad oggi imprecisato.
Semplice accostamento o fenomeno sincretico che sia, il ruolo di purificatrice attribuito Venere Cloacina è però chiaro ed evidente.

Nella Roma dell'ultimo periodo repubblicano molto sangue era stato versato, non sangue qualunque ma sangue romano ed italico. Presso il sacello di Venere Cloacina si celebrò un tempo la pace tra Romani e Sabini, quel medesimo luogo da secoli purificava ciò che era impuro, quel luogo può quindi rappresentare il nuovo inizio per una Roma macchiatasi di ignobili atti, compiuti verso sé stessa e verso i suoi cittadini.

Un nuovo scontro fratricida dove ancora essere combattuto, ma conclusa la battaglia di Azio, dal 31 a.C. il sogno dell'optimus status inseguito da Ottaviano iniziò a diventare realtà. Venne il 27 a.C. e con esso il Principato di Augusto, che segnò il definitivo tramonto dell’ormai logora istituzione repubblicana.

Tuttavia, ciò che dalla Res Pubblica aveva avuto origine non morì...

http://www.maquettes-historiques.net/R7XX.jpg
http://www.maquettes-historiques.net/R1a.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/63/Rome_Forum_Temple_de_Venus_et_de_Rome_3.jpg

Nel 121 d.C., per volere dell’imperatore Adriano, iniziarono i lavori per la costruzione del più grande tempio mai eretto nell’Urbe, quello dedicato a Venus Felix e Roma Aeterna, la cui maestosità ben ci fa capire quanto esigui si possano ritenere gli elementi emersi in questo approfondimento.

 

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Complimenti Rapax, interessantissimo approfondimento. :)

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Riporto anche qui i miei complimenti a Rapax per questo davvero esaustivo (e di non facile sintesi... data la mole di informazioni disponibili sul tema...) excursus sui diversi Volti di Venus e dei suoi tanti (invero dolci :wub: ) Venena !!! E' proprio il caso di dire .... inebriante ... :P

Valeria

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Caro Rapax hai tutta la mia ammirazione per la tua discussione su "Venere" .e..tutti i suoi aspetti. Riguardo a Venere Silliana tu scrivi "Attributo di Fortuna, la cornucopia che copiosamente riversa ciò che di meglio la natura può offrire, richiama indubbiamente ad un’Abbondanza di tipo agreste. Una fertile terra e dei generosi raccolti rappresentavano sicuramente uno tra i migliori possibili auspici già nelle arcaiche società di tipo rurale, in quanto da essi dipendeva la sopravvivenza della comunità tutta". Potrebbe essere interpretato anche diversamente?. Su di una interessante discussione fatta in precedenza sul forum "intitolata i Luculliani" si interpretava la doppia cornucopia come il simbolo dei Tolomei e dell'argento versato a ROMA dopo la morte dello stesso Tolomeo X. Tale argento potrebbe essere stato battuto in moneta dal Q (questore)Lucullo ed essere successivamente utilizzato per pagare le truppe di Silla impegnate nella guerra contro Mitridate. Quindi al D Venere dea cara a Silla e al R riferimento a Tolomeo. A parte tutto questa moneta mi affascina anche per lo tile

Potrebbe questa essere una spiegazione?

Un caro saluto

Adriapel

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Caro Rapax hai tutta la mia ammirazione per la tua discussione su "Venere" .e..tutti i suoi aspetti. Riguardo a Venere Silliana tu scrivi "Attributo di Fortuna, la cornucopia che copiosamente riversa ciò che di meglio la natura può offrire, richiama indubbiamente ad un’Abbondanza di tipo agreste. Una fertile terra e dei generosi raccolti rappresentavano sicuramente uno tra i migliori possibili auspici già nelle arcaiche società di tipo rurale, in quanto da essi dipendeva la sopravvivenza della comunità tutta". Potrebbe essere interpretato anche diversamente?. Su di una interessante discussione fatta in precedenza sul forum "intitolata i Luculliani" si interpretava la doppia cornucopia come il simbolo dei Tolomei e dell'argento versato a ROMA dopo la morte dello stesso Tolomeo X. Tale argento potrebbe essere stato battuto in moneta dal Q (questore)Lucullo ed essere successivamente utilizzato per pagare le truppe di Silla impegnate nella guerra contro Mitridate. Quindi al D Venere dea cara a Silla e al R riferimento a Tolomeo. A parte tutto questa moneta mi affascina anche per lo tile

Potrebbe questa essere una spiegazione?

Un caro saluto

Adriapel

Personalmente trovo la teoria di Luigi Pedroni, che vede in questa tipologia denariale il monetato dell'eredità di Tolomeo X, decisamente interessante.

Delle analogie iconografiche con emissioni tolemaiche ci sono, ma personalmente, quello che non mi convince, è che, datando all'anno 87 tale emissione, a quella data si dovrebbe anche far risalire il legame Silla-Venere, che questa iconografia sicuramente esprime.

Silla riscoprì in terra greca "un' Afrodite Urania", i cui tratti, in terra italica, si stavano ormai perdendo in quanto surclassati da quelli di un'amatissima "Venere Pandemia" (Ericina). La dimensione di Venere nei culti pubblici stava perdendo efficacia, in quanto l'ellenizzazione di questa divinità aveva ormai portato all'imposizione dei tratti più popolari della dea.

Silla ritrovò gli aspetti più celestiali di Venere e li riportò a Roma, ridando alla figura quella giusta dimensione che la riabilitò anche e soprattutto in ambito pubblico.

Questo legame nacque dopo l'87... qualche anno dopo... ma questo è ovviamente il mio personalissimo parere.

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potrebbe essere errata la datazione 87?.Quali sono le fonti dalle quale possiamo desumere che la moneta sia stata prodotta nell 87.?

Tieni presente che la teoria maggiormente diffusa propone l'anno 81 a.C. quale data di emissione. Sarebbe quindi successiva alla seconda restaurazione e quindi successiva al rientro di Silla a Roma.

Una datazione all'anno 87 viene proposta invece da Luigi Pedroni, puoi trovare tutto qui:

http://pomoerium.eu/pomoer/pomoer3/pedroni.pdf

In entrambe i casi restiamo nel campo delle ipotesi.

Considera anche che col medesimo tipo fu emessa anche moneta aurea.

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