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Inviato

Al momento dell’unità in Italia c’erano solo due grandi banche: il Banco delle Due Sicilie (Banco di Napoli e Banco di Sicilia) e la Cassa di Risparmio di Milano (delle province lombarde). La prima era nettamente in testa con depositi per 200milioni di lire del tempo contro i 120 della seconda; il Banco delle Due Sicilie era un’istituzione pubblica seria e stimata all’interno e all’estero, le sue fedi di credito (una specie di moneta cartacea) avevano una storia secolare ed erano apprezzate più dell’oro perché interamente garantite nel loro valore nominale che era pagabile a vista con monete contanti, sia negli sportelli del Banco sia nelle tesorerie provinciali [1].

Nei primi cinque anni dall'unità si scatenò una lotta feroce tra il Banco di Napoli e la Banca Nazionale (piemontese) ma mentre al Sud proliferarono le Casse di Deposito del Nord, un quarto di quelle che saranno costituite in Italia in quegli anni, il Banco di Napoli doveva invece ottenere l'autorizzazione statale per aprire filiali nel settentrione d’Italia. È evidente che lo scopo finale era di privilegiare gli interessi della borghesia del nord a scapito di quella meridionale.

Al momento dell’unità vennero stabiliti 5 istituti di emissione, con diritto, quindi, di battere moneta per conto dello neo Stato: Banca Nazionale (ex Banca Nazionale Sarda), la Banca Toscana, il Credito Toscano, il Banco di Sicilia ed il Banco di Napoli, aumentati a 6, con la Banca Romana, dopo il 20 settembre 1870, e poi ridotti a soli tre nel 1893, anno di nascita della Banca d’Italia, che si affiancava al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia.

Ai suddetti 5 istituti bancari fu riconosciuto anche il compito di ritirare dalla circolazione le vecchie valute e di unificare i bilanci dei singoli Stati italiani preunitari in un unico Bilancio Nazionale. La situazione apparve subito molto difficile [2], si partì con un disavanzo, relativo al solo anno 1860, di 39 milioni di lire dell’epoca dovute al saldo negativo tra i bilanci che erano, in quell’anno, in attivo (Lombardia, Emilia, Marche, Umbria, Regno delle Due Sicilie) e quelli che erano in passivo, capitanati dal Regno di Sardegna con 91 milioni di lire e seguito dalla Toscana con più di 14.

Questo, però, era il meno perchè al bilancio del neonato regno d’Italia bisognava aggiungere l’ammontare del debito pubblico dei singoli stati che ammontava, per il solo anno 1861, a 111 milioni di lire di cui ben 63 dovuti al regno di Sardegna (57% del totale).

Quello complessivo raggiungeva la astronomica cifra di 2 miliardi 241milioni 870mila lire dell’epoca. Di questi poco più di 440 milioni di lire circa erano portati dalle Due Sicilie, che però erano completamente garantiti tanto che i suoi certificati erano quotati a Londra ben oltre il valore nominale.

Il regno di Sardegna portava in eredità al nuovo stato, il triplo: più di 1 miliardo e 200 milioni. [per aggiornare le cifre ricordiamo che 1 lira dell’epoca equivale a circa 7.302 lire dell’anno 2001].

Vittorio Emanuele con la compagna Rosa Guerrieri

Questo debito era dovuto a due cause: la pessima bilancia commerciale piemontese, in continuo passivo dal 1849 al 1858 e ai costi di una onerosissima politica estera che imponeva l’accensione di enormi prestiti con le grandi potenze amiche (l’Inghilterra e la Francia), basti pensare, ad esempio, che il debito per la spedizione di Crimea del 1855 fu estinto addirittura nel 1902.

Tav. 1 - 1860: raffronto del debito pubblico (in milioni di lire dell’epoca) [3]

________________________

Debito pubblico consolidato

NAPOLI = 441,23

PIEMONTE = 1.271,43

_________________________

Interessi annui

NAPOLI = 25,181

PIEMONTE = 75,474

_________________________

“Ci fu un indebitamento colossale, coprire un debito con un altro debito, pagare una rata d'interessi facendo ancora un debito era diventato il sistema di governo: tra il 1849 e il 1858 il Piemonte contrasse all'estero, principalmente con il banchiere James Rothschild, debiti per 522 milioni - quattro annate di entrate fiscali. Si sostiene che lo Stato sabaudo si piegò alla necessità della unità nazionale e si aggiunge che è doveroso essere grati ai Savoia; di certo - di storico - c'è solo il fatto che il Regno di Sardegna se la cavò riversando i suoi debiti sul resto dell'Italia autoannessasi.” [4].

Tav. 2 - Andamento del debito pubblico nel Regno di Napoli e in Piemonte (in lire dell’epoca) [5]

_______________________________

Debito a tutto il 1847

REGNO DI NAPOLI = 317.475.000

PIEMONTE = 168.530.000

_______________________________

Debito a tutto il 1859

Regno di Napoli = 411.475.000

Piemonte = 1.121.430.000

_______________________________

Incremento nel periodo %

Regno di Napoli = 29,61%

Piemonte = 565,42%

_______________________________

Interessi sul D.P. (Lire)

Regno di Napoli = 22.847.628

Piemonte = 67.974.177

_______________________________

Popolazione residente

Regno di Napoli = 6.970.018

Piemonte = 4.282.553

_______________________________

Debito pro-capite (Lire)

Regno di Napoli = 59,03

Piemonte = 261,86

_______________________________

PIL (Lire)

Regno Di Napoli = 2.620.860.700

Piemonte = 1.610.322.220

________________________________

Rapporto D.P./PIL %

Regno di Napoli = 16,57%

Piemonte = 73,86%

________________________________

Interessi D.B./PIL %

Regno di Napoli = 0,87%

Piemonte = 4,22%

________________________________

“Dal 1830 al 1845 la quota delle spese militari [piemontesi] non fu mai inferiore al 40% della spesa statale complessiva. Con la prima guerra di indipendenza l’incidenza delle spese militari su quelle totali raggiunse nel 1848 e nel 1849 rispettivamente il 59.4% e il 50.8% ... con la guerra del 1859 e 1860....raggiunse rispettivamente il 55.5% e il 61,6% …. mentre per l’assistenza sociale, l’igiene e la sanità, la pubblica istruzione e le belle arti, raramente nell’insieme si destinò annualmente più del 2% della spesa totale”[6]

Per quanto riguarda il Tesoro il contributo più alto lo pagò il Sud che, al momento della annessione, partecipò per i 2/3 alla sua costituzione e mentre la moneta delle Due Sicilie era garantita interamente in oro, quella piemontese lo era solo per una lira su tre.

Tav. 3 - Riserva aurea a garanzia della moneta circolante degli antichi stati italiani al momento delle annessioni (espresse in lire dell’epoca) [7]

_____________________________________

Stati Italiani preunitari - Milioni di lire

Due Sicilie - 443,2

Lombardia - 8,1

Ducato di Modena - 0,4

Parma e Piacenza - 1,2

Roma (1870) - 35,3

Romagna, Marche e Umbria - 55,3

Piemonte - 27,0

Toscana - 85,2

Venezia (1866) - 12,7

TOTALE = 670,4

__________________________________

Le Due Sicilie “scoppiavano” di salute come metallo monetato, integralmente garantito in oro, tanto che le riserve auree erano, per abitante, il doppio di quelle degli altri stati europei ma, anche a questo proposito, il Corano-Donvito critica la “staticità” del credito meridionale che concedeva prestiti a tasso troppo alto e “conforme del tutto a questa dei privati [che preferivano risparmiare piuttosto che investire] era la condotta del Banco di Napoli, il quale dava altresì prova, esempio di inerzia dei capitali, tenendo in semplice deposito ordinariamente l’enorme somma -per quei tempi- di 120 a 130 milioni di lire….. bisogna concludere che nell’ex Regno delle Due Sicilie si perdevano annualmente i profitti che si sarebbero potuti ricavare dalla somma [nel complesso] di 300 milioni, se questa fosse stata investita in speculazioni agricole, industriali e commerciali con l’aiuto del credito…invece quel valore marcisce negli scrigni dei proprietari”[8] La gestione della nuova finanza pubblica del regno d’Italia, invece di farsi carico di programmi di sviluppo economico del nuovo Stato, rincorse illusori obiettivi di “pareggio del bilancio”. Per ottenere ciò si imposero nuovi tributi, ci si affrettò a svendere sottocosto i beni demaniali e quelli ecclesiastici con colossali profitti per gli acquirenti e cattivi affari per lo Stato.

Giuseppe Ressa

[1] dati tratti da Nicola Zitara “La gran cuccagna dei fratelli d’Italia”, Riv. Due Sicilie 2-2004.

[2] i dati successivi sono tratti da “l’Italia economica nel 1873, Pubblicazione Ufficiale”, Roma, Barbera, 1874 (II ed.riveduta) che ripercorre tutto il cammino del bilancio dello Stato dall’Unità in poi; riportata da Aldo Alessandro Mola in “L’economia italiana dopo l’unità”, Paravia, Torino, 1971, pagg. 12 e segg.

[3] Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860, Giacomo Savarese, Napoli - tipografia Gaetano Cardamone - 1862

[4] Nicola Zitara, “L’unità truffaldina”, op. cit.

[5] Giacomo Savarese, op. cit.,modif.

[6] Anteo d’Angio, La situazione finanziaria italiana dal 1796 al 1870” in Storia d’Italia De Agostini. 1973, vol.VI, pag. 241 riportata da Antonio Socci, La dittatura anticattolica, Sugarco, 2004

[7] Francesco Saverio Nitti, Scienze delle Finanze, Pierro, 1903, p.292.

[8] op.cit. pag.65-107

Giuseppe Ressa

fonte ilportaledelsud

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Inviato

ciao andreaebasta ottimo compendio estratto del periodo certo che come piemontese ti debbo fare delle scuse per il periodo con tutto il debito che vi abbiamo portato sul groppone ma pero è nata l'italia "iddio la creò"complimenti :D :D :D :D


Inviato
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non ho capito? Mi chiedi scusa per la rapina??? :lol: :lol: :lol: :lol:


Inviato
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però come rapinatori siamo stati grandi in 1000 abbiamo fatto tutto quel disastro e a volto scoperto :P :P :P :P :P :P :P :P


Inviato
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in puro stile mafioso... :D ah gia dimenticavo...sono proprio loro che vi hano aiutato :lol: :lol: :lol: :lol:

Ps. ma sei tu quello in foto? Non Mi sembra nuova la tua faccia....sei cliente di Pacchiega o di castellano?


Inviato
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Complimenti vivissimi, davvero! Se continui a scrivere cose offensive, non stupirti di creare malcontento.


Inviato
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sono andato da tutti e due e mi sono servito della loro merce ma tu dove risiedi?


Inviato
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luke_idk non prenderla sul serio mi pare che sia un allegro e simpatico utente con le proprie idee lo sa anche lui che la mafia esisteva già ai tempi dei borboni :D :D :D


Inviato
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Complimenti vivissimi, davvero! Se continui a scrivere cose offensive, non stupirti di creare malcontento.

luke_idk non prenderla sul serio mi pare che sia un allegro e simpatico utente con le proprie idee lo sa anche lui che la mafia esisteva già ai tempi dei borboni :D :D :D

infatti evitiamo polemiche, ho il piacere di interloquire finalmente con persone che non prendono ogni cosa sul personale (anche perchè in questa situazione non mi sembra proprio il caso dato che sono studi di scienza delle finanze e non delirii alla borghezio o calderoli).

Io sono residente in valle gesso, ero cliente di pacchiega e di castellano, ma ultimamente ha aperto un ottimo negozio a cuneo (num. subalpina) e per me è più facile servirmi li. Conosci?


Inviato

Ps. ma sei tu quello in foto? Non Mi sembra nuova la tua faccia....sei cliente di Pacchiega o di castellano?

Complimenti vivissimi, davvero! Se continui a scrivere cose offensive, non stupirti di creare malcontento.

luke_idk non prenderla sul serio mi pare che sia un allegro e simpatico utente con le proprie idee lo sa anche lui che la mafia esisteva già ai tempi dei borboni :D :D :D

infatti evitiamo polemiche, ho il piacere di interloquire finalmente con persone che non prendono ogni cosa sul personale (anche perchè in questa situazione non mi sembra proprio il caso dato che sono studi di scienza delle finanze e non delirii alla borghezio o calderoli).

Io sono residente in valle gesso, ero cliente di pacchiega e di castellano, ma ultimamente ha aperto un ottimo negozio a cuneo (num. subalpina) e per me è più facile servirmi li. Conosci?

uno dei 2 soci è appena diventato NIP si chiama stefano grandi fa il mercatino di carmagnola la 2 domenica del mese ed é un ottimo amico di Piergi00 :rolleyes:


Inviato

Si...l'avvocato

E' un ottimo appassionato (esperto è troppo amante è poco) di romane imperiali. L'ho visto anche interessato alla magna grecia e alle celtiche, ma l'interesse non è granchè confortato dal mercato circostante. Certo la provincia di cuneo con la loro apertura ha guadagnato molto; non che barcellona non fosse un buon professionista, ma onestamente la numismatica ormai non è più cosa sua da anni, può vendere solo euro in blister e francobolli di San Marino, ormai ha un'età e il figlio non ha la stessa sua intraprendenza che aveva da giovane...

Il resto è in mano a gente che più o meno si improvvisa, per cui Numismatica Subalpina è stato proprio un toccasana per la numismatica nel cuneese, e credo anche nel piemonte in generale.

Ciao


Inviato

Quello che hai detto sui garibaldini è tutto, tranne che uno studio di scienza delle finanze e sembra molto più vicino a quanto dicono quei tizi là, che sull'argomento Unità hanno idee simili a molti altri, di parte avversa.


Inviato
Quello che hai detto sui garibaldini è tutto, tranne che uno studio di scienza delle finanze e sembra molto più vicino a quanto dicono quei tizi là, che sull'argomento Unità hanno idee simili a molti altri, di parte avversa.

luke_idk

basta fomentare polemiche, lo hanno capito tutti il tono ironico del discorso tra me e angelo.

Credo che dovresti affrontare più serenamente certi discorsi, anche in virtù della tua dichiarata origine meridionale...

...Beh, ma del resto che pretendere....

...dopotutto anche bossi ha la mamma siciliana...

Se ti invito a farti una risata ti incavoli? :D


Inviato

Ho trovato un modo migliore di evitare le polemiche e le provocazioni. Non posso più leggere i tuoi post, quindi neppure rispondere


Inviato

E IL BISNONNO DEL PENTITO DISSE ' ANCHE GARIBALDI PAGO' IL PIZZO ... '

Repubblica — 09 febbraio 1996 pagina 19 sezione: CRONACA

PALERMO - Per mettere piede in Sicilia, per sbarcare con i suoi mille dal "Piemonte" e dal "Lombardo" a Marsala, Giuseppe Garibaldi, nel 1860, sarebbe sceso a patti con la mafia che lo avrebbe obbligato a pagare il "pizzo". La presunta ' rivelazione' , che a dire la verità trova molto scettici gli storici siciliani, è del pentito Antonino Patti, 37 anni, un killer di Cosa nostra che si è autoaccusato di aver compiuto 38 omicidi. Anche Bettino Craxi, grande esperto di cose garibaldine, è intervenuto dal suo rifugio di Hammamet per negare un simile episodio. Il pentito, deponendo ieri nell' aula bunker di Como nel processo dove è imputato assieme ad altri quaranta mafiosi, e che con le sue rivelazioni ha consentito il 31 gennaio scorso l' individuazione di 80 boss e sicari di Cosa Nostra del Trapanese, parlando delle origini della mafia ha detto di aver appreso da alcuni anziani boss che anche Giuseppe Garibaldi dovette pagare il pizzo a Cosa nostra per sbarcare in Sicilia. "La mafia esiste sin dal 1800 e anche Giuseppe Garibaldi pagò il pizzo ai mafiosi dell' epoca per sbarcare con i suoi mille garibaldini a Marsala. Ho appreso questa notizia - ha rivelato Patti tra lo stupore generale - durante una riunione con anziani boss mafiosi che ricordavano d' aver sentito la cosa dai loro padri e dai loro nonni, anch' essi mafiosi. L' eroe dei due mondi, per sbarcare in Sicilia e attraversare Marsala e Salemi con i suoi mille garibaldini dovette pagare una somma di denaro". Una rivelazione che lascia perplessi e che non trova conferma tra gli studiosi di storia e di Garibaldi. Massimo Ganci, docente di storia all' università di Palermo e presidente della società siciliana di storia patria, afferma che di questa vicenda non c' è traccia in nessun archivio e in nessun documento degli storici del tempo. E dello stesso avviso è Bettino Craxi, grande estimatore di Garibaldi e collezionista di cimeli garibaldini, raggiunto telefonicamente dal Tg2 nel suo rifugio di Hammamet, in Tunisia. "E' una cosa che non ha senso - spiega lo storico Massimo Ganci - perché Garibaldi raggiunse la costa di Marsala con il ' Piemonte' ed il ' Lombardo' mentre in rada c' era la fregata inglese ' Hannibal' , comandata dall' ammiraglio Mundy. Le navi borboniche, la ' Fulminante' e la ' Fieramosca' , cominciarono a fare fuoco sulle navi di Garibaldi e a quel punto l' ammiraglio Mundy, con le bandiere, segnalò che era meglio sospendere il bombardamento perché a Marsala c' era una comunità inglese, imprenditori britannici che in quella città avevano impiantato fabbriche per la produzione del vino marsala". I Borboni sospesero il fuoco - prosegue Ganci - dopo aver affondato il ' Lombardo' , e solo allora Garibaldi ed i suoi, protetti dagli inglesi, riuscirono a sbarcare a Marsala. Da lì proseguirono per l' interno ed incontrarono una vera e propria resistenza a Calatafimi, dove i Borboni avevano organizzato una buona difesa". Per Ganci dunque è molto improbabile che Garibaldi sia sceso a patti con la mafia pagando per sbarcare in Sicilia. "La mafia allora era allo stato embrionale e soltanto con l' unità d' Italia si sviluppò realizzando poi quel connubio con la politica. Le dichiarazioni del pentito - afferma il professor Ganci - non sono basate su prove certe". Lo storico ricorda poi che Garibaldi non solo non avrebbe sborsato una lira ma quando conquistò Palermo si impossessò di somme di denaro che erano custodite nel palazzo delle Finanze borboniche. Anche Bettino Craxi sostiene la tesi del professor Ganci e afferma che soltanto quella "è la verità della storia che conosco, il resto lo lasciamo ai bisnonni del signor Patti". - di FRANCESCO VIVIANO


Inviato

L'impresa di Garibaldi: un'azione voluta, studiata e realizzata anche grazie al supporto di Illuminati, massoni inglesi e mafia

01 agosto 2008 13:09

L’impresa di Garibaldi, scaturisce dall’appoggio degli Illuminati, e dalla massoneria inglese,e si concreta in un ’alleanza tattica strategica e militare con la mafia senza il cui sostegno sarebbe naufragata .

I mafiosi avevano armi e cavalli conoscevano strade e percorsi ad altri ignoti, e facevano, per mestiere e natura, i capipopolo.

E’ storicamente ben documentata,è la presenza nelle file garibaldine dei mafiosi Miceli e Badia il cui l’apporto fu determinante e di altri meno noti insieme ai contadini e “picciotti” radunati da alcuni nobili, tra cui Rosolino Pilo dei conti di Capaci.

Il 6 maggio 1860 Garibaldi partí da Quarto sui vapori Piemonte e Lombardo acquistati con un atto stipulato a Torino la sera del 4 maggio dal notaio Gioacchino Vincenzo Baldioli tra Rubattino, venditore, e Giacomo Medici, in rappresentanza di Garibaldi, acquirente. Garanti del pagamento furono il re Vittorio Emanuele II e Camillo Benso conte di Cavour. Il giorno 7 Garibaldi nel porto di Talamone, venne rifornito dalle truppe piemontesi, comandate dal maggiore Giorgini, di 4 cannoni, alcune centinaia di fucili e centomila proiettili e dopo aver imbarcato carbone e altre armi a Orbetello, ripartì .

CousCous fest

Della spedizione che venne finanziata dal governo inglese con una cassa di piastre d’oro turche (moneta franca nel Mediterraneo del tempo) che sbarcò a Marsala il giorno 11 dello stesso mese facevano parte 1.089 uomini tra cui 150 avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri e 60 possidenti. che provenivano per oltre la metà dalla Lombardia e dal Veneto, poi, in ordine decrescente toscani, parmensi, modenesi

A presidio delle acque siciliane vi erano la : pirocorvetta Stromboli, il brigantino Valoroso, la fregata a vela Partenope (comandata dal capitano Acton) ed il vapore armato Capri,comandato dal capitano Marino Caracciolo della marina reale borbonica .

Benché a tiro della Stromboli e del Capri non fu sparato un colpo per fermare i vascelli Garibaldini,anche per la presenza delle cannoniere inglesi Argus (capitano Winnington-Inghram) e Intrepid (capitano Marryat), che erano nei pressi .

Solo dopo due ore dallo sbarco ,il Lombardo, ormai vuoto, fu affondato a cannonate, mentre il Piemonte, arenatosi , venne catturato e rimorchiato a Napoli.

Il governo borbonico, tramite il ministro Carafa, si limitò ad una semplice protesta contro l’ atto di pirateria sostenuto dal Piemonte.

Il giorno 13 Garibaldi, a Salemi, con il sostegno del barone Sant’Anna, si autoproclamò dittatore della Sicilia.

Inspiegabile è che il governatore Borbonico Castelcicala pur avendo a sua disposizione , comandate dal generale Landi. circa tremila uomini, inviò da Alcamo il giorno 14 un solo battaglione verso Calatafimi, con l’ordine di non attaccare il nemico e, se attaccato, di ... ritirarsi.

Il maggiore Sforza, comandante dell’8° Cacciatori, con sole quattro compagnie, si scontrò il giorno 15 con i garibaldini, che vennero sgominati e si rifugiarono sulle colline, ove furono inseguiti dallo Sforza.

Sembrava fatta .gli insorti erano allo sbando .Senza addestramento e disciplina era un gioco da ragazzi annientare quelle orde di sbantati. Il comandante ,generale Landi,tuttavia,invece di inviare altre forze come era logico ed opportuno per l’annientamento del nemico, ordinò la ritirata senza neanche avvisare lo Sforza, il quale avendo terminate le munizioni fu costretto a riportare i suoi verso il grosso che si stava incredibilmente allontanando,in direzione di Palermo.

Si scoprì più tardi che il Landi aveva ricevuto dai carbonari una fede di credito di quattordicimila ducati come prezzo del suo tradimento.

La cosa più incredibile fu che Landi non fu nemmeno sottoposto al giudizio di una corte marziale ma semplicemente sollevato dal comando dal generale Lanza,il quale inviò come truppe di contrasto agli invasori dalla giubba rossa , il giorno 21 due colonne militari, una formata dal 3° battaglione estero, comandata dal maggiore Von Meckel, e l’altra formata dal 9° Cacciatori, comandata dal maggiore Ferdinando Beneventano del Bosco, per un totale di tremila uomini con quattro obici da montagna.

Un primo scontro avvenne a Partinico, ove circa mille “filibustieri” furono rapidamente messi in fuga da Von Meckel. In questo scontro morì Rosolino Pilo.Il resto delle armate garibaldine, con lo stesso Garibaldi, si rifugiò sul monte Calvario. Il giorno successivo, al primo attacco dei borbonici, Garibaldi, quasi circondato, fuggì fortunosamente nella notte con il resto delle sue truppe verso Corleone.

Giunti al quadrivio di Ficuzza, i Garibaldini si divisero in due gruppi uno con alla testa Garibaldi si diresse verso Palermo, l’altro al comando di Orsini prese la strada per Corleone. Ad inseguire Garibaldi furono i reparti di Von Meckel, mentre le truppe di del Bosco inseguirono l’Orsini,il quale attestatosi a Corleone, fu immediatamente investito dalle truppe borboniche che, con un rapido e violento assalto, lo neutralizzarono completamente.

Von Meckel, intanto, aveva saggiamente inviato velocemente il grosso delle sue truppe con al comando il maggiore Colonna a posizionarsi al ponte delle Teste, poco fuori Palermo, per tagliare la strada ai filibustieri, i quali stretti tra due fuochi sarebbero stati facilmente sbaragliati.

Il generale Lanza, che aveva lasciato praticamente sguarnite le porte S. Antonino e Termini, ordinò al Colonna, che non aveva ancora fatto in tempo a posizionarsi, di entrare in città e di acquartierarsi, cosicché quegli ingressi alla città rimasero difesi appena da 260 reclute.

Garibaldi, nel frattempo era stato rafforzato da tremila e cinquecento uomini raccolti nella delinquenza,e nella mafia palermitana , nella notte tra il 26 ed il 27 maggio assalì Palermo attraverso la porta S. Antonino, avendo facilmente la meglio sulle sparute e coscientemente mal dirette truppe borboniche.

Le forze lealiste agli ordini del Lanza di stanza a Palermo in quel momento erano di circa sedicimila uomini,rinchiusi nei forti di Quattroventi, Palazzo, Castellammare e Finanze.

All’alba del 28 da Napoli giunsero a Palermo il 1° ed il 2° battaglione esteri inviati da Re Francesco II. Le truppe erano già pronte per entrare in azione, ma il Lanza ordinò incredibilmente che rimanessero sui bastimenti fino al giorno 29, quando diede ordine di farle sbarcare per rinserrarle nel palazzo reale. Nel frattempo a tarda sera del 28 era arrivato il grosso delle truppe del Von Meckel a Villabate, tre miglia distante da Palermo.

Nel porto di Palermo in quei giorni l’Armata di Mare del regno delle due sicilie era formata da quattro fregate a vapore ed una a vela in prima fila; in seconda fila una corvetta a vapore, tre avvisi ed una pirofregata con tre vapori armati; in terza fila dodici bastimenti mercantili.

L’Armata di Mare,si era limitata a scortare i convogli ed al trasferimento di truppe da un porto all’altro. Per tutta la giornata del 28, la pirofregata Ercole, comandata dal capitano di fregata Carlo Flores, aveva bombardato la città con i suoi obici paixhans calibro 68, provocando inutili danni. Nel porto vi erano anche navi piemontesi che impunemente rifornivano i garibaldini di armi e munizioni. Garibaldi, praticamente indisturbato, s’impossessò del palazzo Pretorio, designandolo a suo quartier generale. Poi liberò circa mille delinquenti comuni dal carcere della Vicaria e dal Bagno dei condannati, aggregandoli alle sue bande che assommarono così a circa cinquemila persone.

Le truppe di Von Meckel, all’alba del 30 attaccarono i garibaldini, sfondando con i cannoni Porta di Termini ed eliminando via via tutte le barricate che incontravano. L’irruenza del comandante svizzero fu tale che arrivò rapidamente alla piazza della Fieravecchia. Nel mentre si accingeva ad assaltare anche il quartiere S. Anna, vicino al palazzo di Garibaldi, che praticamente non aveva più vie di scampo, arrivarono i capitani di Stato Maggiore Michele Bellucci e Domenico Nicoletti con l’ordine del Lanza di sospendere i combattimenti perché ... era stato fatto un armistizio.

La rabbia dei soldati fu tale che vi furono episodi di disobbedienza con il proposito di combattere comunque nella notte, ma vennero fermati dal colonnello Buonopane per il fatto che “non era finita la tregua” .

Il Garibaldi ed il Türr, insieme agli emissari borbonici Letizia e Chretien, si recarono il 31 maggio sul vascello inglese Annibal, ove, presenti anche ufficiali americani, conclusero i patti dell’armistizio. Il Garibaldi, il giorno dopo, annunciò boriosamente che aveva concesso la tregua per umanità. Tra gli accordi, però, pose come condizione che venisse consegnato al Crispi il denaro del Banco delle Due Sicilie di Palermo e scambiati i prigionieri. I garibaldini si impossessarono così di oltre cinque milioni di ducati in oro e argento. Tale somma, che successivamente venne impiegata in parte per la “conversione” di altri ufficiali duosiciliani, fu distribuita ai garibaldini, compresi i capi.

L’8 giugno le truppe duosiciliane, composte da oltre 24.000 uomini, lasciarono Palermo per recarsi ai Quattroventi per imbarcarsi, tra lo stupore della popolazione che non riusciva a capire come un esercito così numeroso si fosse potuto arrendere senza quasi neanche avere combattuto. La rabbia dei soldati la interpretò un soldato dell’8° di linea che, al passaggio a cavallo di Lanza, uscì dalle file e gli disse “Eccellé, o’ vvì quante simme. E ce n’avimma î accussì?” Ed il Lanza gli rispose : “Va via, ubriaco!”.

L’unificazione del regno d’Italia significherà elezioni,e con esse nuove cariche e nuovi privilegi per quelle classi sociali che cercavano nel nuovo regime ,spazio per le loro ambizioni e per la loro sete di guadagno ,fu così che il torbido intreccio tra la delinquenza e la classe politica fece un salto di qualità, trovando terreno fertile nell’alleanza con nuova classe sociale che si andava affermando soprattutto attraverso le speculazioni e l’affarismo.

E’ questo tessuto sociale che occorre esplorare per scoprire il successivo forte radicamento della mafia nelle istituzioni legali del regno d’Italia .Spazzato via il feudalesimo ,infatti , la Mafia trovò nell’assetto politico dell’unità d’Italia che aveva contribuito a far sorgere ,ragione della sua legittimazione storica nonché il terreno favorevole per lo sviluppo delle sue attività.

I campieri, i curatoli, i guardiani - gli uomini armati del gabellotto ebbero gioco facile nel trasformare i “diritti feudali del signore” nel “pizzo” ossia la punta della barba che il mafioso doveva bagnare nel piatto altrui,obbligando coltivatori e proprietari a pagare somme di denaro per la cosìdetta protezione ,utilizzando in caso di riluttanza, minacce ed intimidazioni che potevano raggiungere nei casi più gravi fino agli omicidi e sequestri di persona.

Progressivamente, poi, il “pizzo mafioso” diventò una vera e propra tassa ,sugli utili dei fondi agrari che il proprietario o l’affittuario dovevano pagare.

In Sicilia ,gli eletti alle prime elezioni per il parlamento del regno d’Italia furono nella stragrande maggioranza membri della piccola nobiltà terriera e di quella borghesia cittadina strettamente ed indissolubilmente legata ad essa .

La legge elettorale del nuovo regno d’altra parte prevedeva il diritto di voto solamente per una ristretta fascia di popolazione che rappresentava appena il 2 per cento del totale.

Nell’isola gli aventi diritto al voto superavano di poco le 40.000 unità . L’ impossibilità poi di poter dimostrare il reddito legale era di ostacolo alla partecipazione diretta deì gabellotti alle elezioni ,oltre all’analfabetismo largamente diffuso che tagliava i loro diritti al voto.

Diviene così indispensabile un tacito mutuo accordo tra borghesia urbana e piccola nobiltà terriera da una parte e la Mafia dall’altra .

Alle prime due forze venne assegnato il potere legale ,e attraverso le elezioni, le cariche pubbliche e la diplomazia ed alla seconda il controllo del potere economico e illegale.

Queste due tendenze,lungi dal nuocersi giovarono ad entrambe le formazioni sociali,e diedero luogo alla nascita di una “borghesia mafiosa”, che ha costituito a lungo un blocco sociale in Sicilia.

da "Geometria del male" di Sigismondo Panvini


Inviato

ho postato le due articoli che manifestano le contrapposte tesi maggiori relative alla querelle storica sullo sbarco di marsala, in modo tale che ogn'uno possa farsi la sua idea.

Con il giusto equilibrio e con la serietà che contraddistingue questo forum.

Visto che il discorso era venuto fuori, approfondiamolo con le giuste argomentazioni.

Cordialmente


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