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Risposte migliori

Inviato

Complimenti per l'interessante dissertazione. Ti chiedo solamente un paio di chiarimenti.

1. Quando parli di "falsi d'epoca" intendi dei "falsi di stato" prodotti da zecche ufficiali oppure dei falsi veri e propri prodotti in officine non autorizzate? La qualità delle incisioni mi farebbe propendere per il primo caso, a meno che non ipotizziamo che gli incisori ufficiali "arrotondassero", per così dire...

2. Il discorso sul conio decentrato non mi convince del tutto. Stai ipotizzando un "controllo di qualità" piuttosto accurato che forse non si adatta con gli standard delll'epoca, almeno da quello che vediamo in termini di variabilità dei livelli qualitativi nelle varie officine. A meno che la moneta da te citata non provenga da una zecca di cui sappiamo con certezza che il livello qualitativo era particolarmente alto.

A proposito degli assi di conio, mi pare di ricordare che nel periodo considerato era già ben stabilita (fin dai tempi di Nerone) la tendenza a produrre monete con assi di conio ben definiti tramite l'utilizzo di conii "inscatolati". In questo caso sembrerebbe che 0° o 180° siano gli unici valori riscontrati. Hai una base statistica sufficiente per affermare che le monete suberate erano sistematicamente prodotte con assi a 180°? Perché allora questo potrebbe essere un sistema per distinguere a colpo d'occhio le monete suberate, il che andrebbe contro gli stessi obiettivi della loro produzione :huh:

Grazie in anticipo per i commenti :)


Inviato

Ciao, Paleologo.

Vedo di rispondere ai tuoi quesiti in modo esaustivo.

1. In quanto ai falsi, reputo che fossero assolutamente frutto di attività illecite, prodotti in officine non autorizzate, ma dove penso agissero incisori ufficiali. Intenzionati, come dici tu, ad “arrotondare” lo stipendio ( e disposti a rischiare la pelle, ricordiamocelo sempre).

2. Vedi, forse non lo si capisce dalla mia scansione, ma questa moneta è fuori da qualsiasi standard qualitativo. Addirittura, il colpo di conio è avvenuto mentre il tondello era posto a metà del conio inferiore, di modo che la compressione esercitata da quello superiore l’ha piegata all’insù di circa 4 millimetri. In definitiva, sembra una specie di scodellato. Considerato che mi interesso (dapprima a fianco di mio padre, poi autonomamente) di numismatica romana da oltre 30 anni e in tutto questo tempo non ho mai visto un’altra moneta simile, direi che si tratta di un’eccezione davvero fortuita. Reputo che, per quanto poco controllassero la qualità nelle varie officine, un simile disastro non sarebbe stato messo in circolazione. Non ho mai notato antoniniani coevi così aberranti (o deformi, se preferisci) e penso che se questa moneta è entrata in circolazione, l’errore deve essere avvenuto nell’ultimissima fase di lavorazione, ovvero proprio durante la coniatura. A quel punto il pezzo cadde in mezzo alle altre e nessuno più se ne accorse. Nel caso invece l’argentatura fosse stato l’ultimo procedimento, il pezzo sarebbe stato manipolato, individuato e scartato (tra l’altro, l’esecuzione del ritratto e del retro è eccellente, superiore ad altri pezzi coevi. Ciò significa che l’officina era abituata ad alti standard).

Acquistai la moneta anni fa da un vecchio collezionista che, purtroppo, stava morendo di cancro: appassionato alle monete romane “bizzarre” (di cui aveva esemplari davvero unici, vari incusi a parte), mi confessò che pure lui in tanti anni non ne aveva vista un’altra simile. Entrambi concordammo sul fatto che grazie a tale esemplare si poteva evincere che i tondelli fossero perfettamente rettificati prima del conio, di spessore superiore alla moneta coniata e, ovviamente di diametro inferiore. Tutte cose ovvie, dirai, ma che qui sono rese tangibili, proprio come la presenza dell’argentatura sul taglio della moneta, perfettamente uniforme là dove il metallo non si è deformato, meno dove la moneta è stata coniata e se ne sono staccate alcune particelle.

In merito allo scarso controllo, aggiungo che - per esempio - un asse di Domiziano della mia collezione presenta la dicitura sul retro incisa alla rovescia: un errore clamoroso, certo, ma che non balza all’occhio quanto una moneta sensibilmente concava. Una moneta simile non penso potesse essere ritenuta accettabile, neanche in una fase storica problematica o in ambito di scarsi standard qualitativi

3. La questione degli assi di conio è da te ben riportata. Mi limito semplicemente a constatare che, da quando sono entrato in possesso del denario di rame, ho prestato particolare attenzione a tutti gli esemplari d’argento dello stesso tipo monetale (Vesta) e ho constatato che curiosamente, sebbene ne abbia visionati una decina, tutti presentavano il medesimo asse di conio. Solo quello in rame mostra gli assi di conio invertiti. Non so se sia probante: bisognerebbe chiedere a quanti più collezionisti possibile di verificare i propri esemplari. Oltre a ciò non posso azzardare ipotesi: certo un falsario avrebbe dovuto prestare attenzione al particolare, ma forse all’epoca una svista del genere non dava nell’occhio più di tanto. Chissà... Ho aggiunto il particolare solo per amor di precisione. Certo, sarebbe interessante sapere come si presentano gli esemplari descritti nell’articolo pubblicato su Minerva; purtroppo l’autore non menziona affatto la cosa.

Grazie per il tuo interessamento.


Inviato (modificato)

DE GREGE EPICURI

Caro Fabius Silvanus J., grazie per i tuoi interventi molto sostanziosi e in grado di indurre molte nuove riflessioni. Personalmente io direi:

1.Quanto all'orientamento degli assi, finora non li ho controllati, ma appena possibile lo farò sui miei 18 o 19 "denari di bronzo" e vi farò sapere. Occorre capire però se si può fare un discorso generale (denari d'ag da una parte e di bronzo dall'altra) o se il confronto va fatto sulla singola tipologia (es. Vesta di J.Mamea).

2.A mio parere il tuo Numeriano è molto interessante e forse può dimostrare proprio quel che tu dici. Però un discorso sugli antoniniani, che per definizione avevano un titolo di ag basso o molto basso, non può essere esteso ai denari.

3.Il tesoretto descritto da I.Vecchi effettivamente non era noto a nessuno di noi (forse perchè non è stato studiato in Italia ma è "arrivato" direttamente in Inghilterra!) A me vien da pensare: i denari del tesoretto descritti erano evidentemente tutti dei tipici suberati. Al contrario, su quelli che stiamo descrivendo in questo topic (io ne ho 19, ma scopro ogni giorno altri amici collezionisti che ne possiedono), come mai l'ag è proprio sempre e del tutto assente? Io non riesco a convincermi della spiegazione : erano argentati superficialmente, ed hanno perso l'argentatura. Secondo me, non erano argentati proprio. Ci sono invece moltissimi denari di S.Severo

(dopo il 194) assai piccoli, leggeri o con basso titolo (quelli che venivano usati per dare il "sussidio" ai Germani, secondo Tomaso Lucchelli).

Ti ringrazio ancora e posto un ulteriore Settimio Severo di bronzo. Pesa 2,8 g. e misura 18 mm. Al D: SEPT SEV PERT AUG IMP VI Al R. PROVIDE-NTIA AUG.

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Modificato da gpittini

Inviato

In risposta a De Rege Epicuri.

1. L’orientamento degli assi, nell’ottica della nostra discussione, mi pare la questione meno interessante. L’ho sollevata per gusto della precisione, non penso possa essere elevata a sistema. Direi piuttosto che, nel caso riuscissimo a verificare un numero elevato di denari dello stesso tipo (ad e. Julia Mamea - Vesta), allora potremmo avere conferma del fatto che i falsari non tenevano in gran conto l’orientamento della moneta. Questo nel caso gli originali fossero TUTTI orientati nello stesso modo, contrariamente ai falsi.

2. Il discorso inerente il Numeriano e le modalità dell’argentatura deve essere estrapolato e applicato nella giusta ottica.

Come ho detto, i suberati tipici, per così dire, presentano uno strato superficiale piuttosto spesso (apprezzabile con una lente o persino a occhio nudo); ciò è dovuto al rivestimento ottenuto con una vera e propria lamina metallica. Di solito questi pezzi sono repubblicani o arrivano alla metà/fine del II secolo d.C.

Al contrario, i denari di bronzo (direi, più propriamente, di rame) che stiamo analizzando sono tutti databili a un periodo storicamente più tardo. Se non erro datano quasi tutti dal regno di Settimio Severo in poi (Jualia Domna, Caracalla, la mia Julia Mamea, gli Alessandro Severo riportati nell’articolo citato...). Se osservo il mio esemplare, che sembrerebbe essere di rame, noto ancora un vago alone di argentatura. Un amico collezionista di Novara (persona riservatissima, devo sperare di convincerlo a farmi scansionare il suo esemplare) possiede un denario di Septimio Severo in rame, con ancora buona parte dell’argentatura sul dritto. Ebbene, quello che ho notato è il differente tipo di argentatura di questi esemplari rispetto ai suberati più noti (quelli cui siamo abituati); aggiungo che anche gli esemplari del tesoretto riportato nell’articolo vengono descritti come rivestiti da “un velo” di argentatura. Il mio ragionamento è stato che in quella fase storica (fine II secolo, inizi del III d.C.) si doveva essere sviluppata la tecnica più tardi diffusa a livello sistematico con la produzione ufficiale degli antoniniani argentati. Tecnica che reputo comportasse il bagno in soluzione di mercurio, come ho riportato.

Il fatto che gli esemplari postati qui si presentino privi di argentatura in fondo non dovrebbe stupire; se ci pensi, la stragrande maggioranza di antoniniani ufficiali di imperatori come Probo, Aureliano, Caro, Carino, Numeriano, ecc. ci sono pervenuti privi di argentatura. Anche in condizioni splendide, con dettagli molto fini, ma pur sempre “nudi”. Questo perché lo strato superficiale di argento era davvero esiguo. Vi domando: quanti di voi hanno un Probo “allo stato dell’arte”, ossia argentato perfettamente nei minimi particolari? I miei esemplari migliori sono comunqu “macchiati”, consunti in alcuni punti, mai perfettamente uniformi.

Il mio ragionamento, inoltre, si estende ad altre considerazioni. Possiamo infatti fare un distinguo, ossia pensare che alcuni esemplari, come la mia Julia Mamea e gli esemplari del tesoretto esposto a Londra fossero in effetti dei falsi, mentre quelli postati in queste pagine fossero monete ufficiali, utilizzate lungo il limes per transazioni commerciali con popolazioni barbariche e per pagare il soldo alle truppe. Tuttavia, mi domando come quelle genti avrebbero accolto monete dall’aspetto così “povero” e mi viene naturale pensare che per accrescere il loro “appeal” fosse scontato - anche per l’erario romano - sottoporle a un tutto sommato economico (allora, non oggi!) e svelto procedimento di argentatura. D’altra parte, a livello puramente speculativo, direi anzi tattile, come sarebbe stato possibile convincere gente già di per sé sospettosa (comunque non sostanzialmente intrisa di romanità) che quelle monetine di rame (o bronzo...) avessero lo stesso potere di acquisto dei denari comunemente circolanti, fatti di argento massiccio (beh, presunto tale... visto che all’epoca di Settimio la mistura già impazzava)? Pur accettando che le monete viste qui fossero emissioni ufficiali dello Stato, reputo che dovessero essere anch’esse argentate. Ovviamente posso benissimo sbagliarmi, ma ritengo questa supposizione intrigante, oltre che ragionevolmente sostenibile. Certo sarebbe interessante visionare i pezzi del tesoretto esposto a Londra: dalle foto, sembrano comuni denari in tutto e per tutto.

Mi si dirà che mi sbaglio a supporre che le monete qui illustrate avessero lo stesso valore nominale di un normale denario, ma allora chiedo: perché farle sembrare tali? Se lo Stato romano avesse voluto coniare monete di poco costo per particolari utilizzi (come le transazioni lungo il limes), perché si sarebbe complicato le cose coniando i nuovi pezzi con dimensioni e aspetto simile a quello dei denari? Ingenerando, tra l’altro, una certa confusione negli utenti, oltre che la necessità di introdurre un cambio ufficiale tra questi pezzi e il circolante ufficiale? Più facile sarebbe stato introdurre un nuovo modulo ben riconoscibile, credo. I pezzi di cui stiamo parlando, invece SEMBRANO a tutti gli effetti dei denari, ma coniati con il materiale sbagliato.

3. Posto che gli esemplari del tesoretto e quello in mio possesso siano della medesima provenienza (il fatto che si tratti sempre del tipo monetale con Vesta sul retro me lo lascia supporre), direi che ci troviamo davanti a denari di rame con leggerissima argentatura superficiale. Gli esemplari dell’articolo si sono conservati in modo ottimale (un tesoretto, in effetti, quindi protetto per secoli e in ambiente chiuso), altri - la maggioranza - assolutamente no, come il mio d’altra parte. Non lo trovo strano. Oltretutto in questa sede siamo pochi interlocutori: interessante sarebbe coinvolgere decine, centinaia di collezionisti e chiedere loro se possiedono esemplari che combacino con le nostre descizioni: A) pseudo denari ben conformati ma non d’argento B) denari suberati, con argentatura leggera ben conservata, databili al periodo che ci interessa (dalla fine del II secolo in poi).

Concludo ponendoti comunque un quesito: se, secondo te, questi esemplari (come quello, magnifico, che hai postato) non erano affatto argentati, quale era in effetti il loro scopo e quale la loro origine, alla luce di considerazioni eminentemente pratiche legate all’introduzione di un tipo monetale così particolare in un ben preciso momento storico?

PS L’esemplare di Settimio che ho citato, appartenente a un amico, è un denario in rame, rivestito di un velo d’argento, del tipo “consecratio”, con aquila ad ali dispiegate. Evidentemente coniato sotto Caracalla, reputo fosse in realtà un falso e non un denario per il “sussidio” ai Germani; tuttavia la sua argentatura è davvero diversa da quella dei suberati più antichi. Questo mi sembra comunque un elemento di non poco conto.

Ciao e grazie ancora.

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Inviato

A questo punto mi viene da fare una analogia con la numismatica medievale quando i denaretti in bassa mistura erano una specie monetale estremamente diffusa. Questi denari (e più tardi i loro successori in termini di potere d'acquisto, quattrini sesini ecc.) avevano un contenuto d'argento davvero minimo (<1%) e quindi il loro aspetto esterno aveva ben poco di "argenteo" (veniva infatti chiamati anche denari neri). Venivano perciò sottoposti a un processo chimico detto bianchitura, consistente in sostanza in un lavaggio con acidi che rimuoveva prioritariamente il rame dallo strato superficiale della moneta. In questo modo lo strato superficiale risultava relativamente più ricco d'argento e quindi assumeva un aspetto decisamente più "argentoso". Queste monete oggi si trovano nel 99% dei casi totalmente prive di argentatura, il loro aspetto esterno è alla vista identico a quello di una moneta di puro rame, salvo casi eccezionali in cui si trovano ancora tracce dell'argentatura originaria. La bianchitura è un processo ben conosciuto (cf. ad es. Francesco Balducci Pegolotti, La Pratica della Mercatura, trattato pubblicato a Firenze nel XIV sec.; Angelo Finetti, Numismatica e Tecnologia, Roma 1987 - se ne trovate una copia fatemi un fischio) e penso che fosse tecnologicamente alla portata delle officine monetarie romane di epoca imperiale, anche se non conosco documenti al riguardo. Ho visto che FSJ nei suoi interventi ha parlato di un processo simile, che però partiva da un tondello di rame puro con arricchimento superficiale di argento. Possiamo invece pensare che si partisse da un tondello di mistura arricchito superficialmente in argento per sottrazione del rame? Per analogia col caso medievale questo potrebbe spiegare meglio l'aspetto esterno dei denari "di rame". Che ne pensate?

Ciao, P.


Inviato

Ciao Paleologo,

mi interessa molto il tuo riferimento a quanto scritto da FSJ: poché sono nuovo, ed evidentemente anche un po’ imbranato, mi dici per favore in quale sezione trovo l’intervento a cui ti riferisci?

Per quanto riguarda il processo di bianchitura (che mi è noto e ben chiaro), lo escluderei, per lo meno in merito agli antoniniani argentati. La bianchitura, in effetti lascia la superficie della moneta alquanto porosa, mentre sappiamo che gli esemplari di antoniniani o follis ancora ben conservati presentano una superficie liscia, lucida e compatta, anche a 8 ingrandimenti e più.

Tuttavia, l’idea che tale processo venisse applicato per i “denari di rame” o “di limes” di cui stiamo parlando qui, non mi sembra pellegrina. Ciò spiegherebbe il loro aspetto abbastanza poroso; tuttavia, l’esemplare postato da gpittini il 17 novembre (peraltro, gran bella moneta), mi pare presenti una superficie decisamente liscia. Che dire? mi piacerebbe conoscere altre opinioni.

Preciso che se insisto con la mia idea dell’argentatura ottenuta con bagno di mercurio (almeno per quanta riguarda gli antoniniani tardi), non è perché amo aver ragione a tutti i costi, ma perché i risultati ottenuti sono stati sorprendentemente buoni (e anche perché in epoca romana erano già note le proprietà solventi del mercurio). Tra l’altro, se si osserva al microscopio, o comunque con un elevato ingrandimento, un antonianiano o un follis argentati e si usa la punta di un bisturi, si noterà che è possibile rimuovere l’argentatura, che si stacca formando piccole scaglie rigide, argentate vero l’esterno, nerastre verso l’interno. Ho ottenuto i medesimi risultati durante i miei esperimenti da aspirante stregone. Avrei desiderato effettuare altre prove e ottenere diversi riscontri, ma il procedimento che ho descritto mi ha rovinato le mani per un lungo periodo di tempo(i polpastrelli mi sono rimasti insensibili per giorni), è stato lungo, laborioso e... puzzolente. A ciò si aggiunge il fatto che mia moglie, solitamente comprensiva e anzi interessata alle mie attività, mi ha intimato decisamente di smettere di avvelenarci. Come non capirla?

Comunque, gran bel suggerimento. Ho da pensarci su per un po’...


Inviato
mi interessa molto il tuo riferimento a quanto scritto da FSJ

Chiedo scusa! Nella mia testa (ma evidentemente solo lì) FSJ era semplicemente l'abbreviazione di Fabius Silvanus Julius. Come JFK per John Fitzgerald Kennedy :D

Mi riferivo in effetti al messaggio #25 più in alto in questa stessa discussione.

Ciao, P. :)


Inviato

DE GREGE EPICURI

Cari amici, scusate il ritardo, ma ero a VR a fare scorta...purtroppo non di denari di bronzo, non ne ho trovato manco uno! A proposito di questa discussione, credo che fra poco potremo organizzare un convegno, o almeno scrivere una monografia, che ne dici FSJ? In vista di ciò aggiungo:

-E' vero che gli antoniniani di Aureliano o Probo non sono quasi mai perfettamente argentati (alcuni però lo sono), ma spessissimo conservano abbondanti o semi-complete tracce di argentatura superficiale. Credo verosimile l'ipotesi del bagno di mercurio; confesso però che di chimica metallurgica riesco a capire e ricordare davvero poco (avevo letto con interesse il libro di Finetti, ma ne ricordo pochissimo).

- I denari di rame (o bronzo) non iniziano con S.Severo; io ne possiedo alcuni di Traiano ed Adriano, e li posterò appena possibile; purtroppo sono piuttosto usurati, segno però che hanno circolato.

Potrebbero essere malconci, però, anche in quanto rappresentanti il nucleo di un "vecchio suberato"; ho un suberato di Sabina, quasi senza argento, che è molto simile ad essi.

- La mia ipotesi relativa all'uso dei denari di bronzo la riassumo molto brevemente: a mio avviso non venivano certo coniati a Roma, ma sul Limes; non erano usati per pagare i barbari, almeno in linea di massima (per questo servivano i denari di Severo a basso titolo, che almeno sembravano di puro argento) ma solo per i commerci minuti delle truppe, dentro e fuori gli accampamenti. Sicuramente non potevano essere cambiati con denari "buoni", nè potevano essere usati per lo stipendio delle truppe stesse, che si sarebbero ribellate. Insomma, a mio avviso rientravano in quella monetazione minuta di necessità, di cui fanno parte anche i fusi di bronzo.(vedi altro post).

-Molti denari di bronzo hanno le stesse dimensioni di quelli di Ag, ma alcuni sono un po' più piccoli.

Si può forse pensare che per alcuni si usassero conii ricavati dai conii per l'Ag, e cha per altri si preparassero dei conii ad hoc.

-Resta certo più di un interrogativo: a Carnuntum sicuramente era facile preparare dei fusi, molto meno facile coniare monete, argentate o meno...

Alla prossima puntata!


Inviato

“...credo che fra poco potremo organizzare un convegno, o almeno scrivere una monografia, che ne dici FSJ? ...”

Caro Gianfranco,

attento che potrei prenderti molto sul serio. Scrivere, infatti, non è solo un mio hobby... Comunque, sono curioso di vedere se verranno postati altri interventi. Come avrai intuito, la questione delle tecniche di argentatura è un campo che mi interessa estremamente.

Aggiungo il fatto che sono entusiasta di questo forum: continuo a domandarmi perché non ho navigato il web prima. Sto leggendo affannosamente di tutto un po' e sono sbalordito dalla mole di informazioni e opinioni qui riunite. Davvero magnifico. Complimenti a ideatori, moderatori, utenti.


Inviato

DE GREGE EPICURI

A proposito di scrivere qualcosa, non scherzavo affatto! Oggi però mantengo la promessa di postare due denari di bronzo di Traiano, che sono di qualità pessima (su questo sono possibili molte congetture.) Il 1° pesa 1,8 g. e misura 17-18 mm;al D. il ritratto di Traiano è ben riconoscibile; al R. c'è una figura maschile a sin., forse su un basamento; potrebbe trattarsi del "Genius", C394 e RIC 184.

Al rovescio si legge solo:...PRINCIPI. eCCO IL d.

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Inviato (modificato)

DE GREGE EPICURI

Il 2° pseudo-denario pesa 2,1 g. e misura 18 mm. Al D. leggo: IMP CAES..TRAIAN AUG GERM.

Al R. leggo solo: ....COSIIII PP. Vi è Ercole in piedi, volto a sin., con clava nella dx e leontea nella sin.Potrebbe essere: C216, RIC 37.Anche questo è molto consunto, anche se un po' più pesante del precedente. Io avanzo l'ipotesi che QUESTI possano essere il "nocciolo duro" di denari suberati. Ecco il D.

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Modificato da gpittini

Inviato

L'argomento trattato è davvero interessante e mi complimento ancora per le notevoli conoscenze che Fabius ha riportato in questa discussione e che, per quanto mi riguarda, hanno aperto delle prospettive di approfondimento non indifferenti. Colgo l'occasione, inoltre, per dargli il benvenuto nel Forum, certo che il suo contributo non potrà che ampliare le conoscenze di ognuno di noi.

Ringrazio anche GPittini per le utili, altre foto delle monete e chiunque ha partecipato e perteciperà attivamente all'approfondimento della presente tematica. Si potrebbe fare davvero un ottimo lavoro!

Con l'intento di aggiungere una prospettiva altra alla tecnica di "argentatura" dei denari suberati e che potrebbe essere utile a sviluppare delle tesi dialetticamente interessanti, cito quanto scrive Fiorenzo Catalli in "Numismatica Greca e Romana, Libreria dello Stato, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2003". Scrivendo dei suberati, l'autore argomenta: "L'anima (dei denari che era in Rame), realizzata per fusione, doveva essere pulita a specchio in modo tale da eliminare tutti gli ossidi della superficie e, quindi, rivestita, a freddo e per pressione, di una lamina d'argento di piccolo spessore pur se incostante. Il tutto veniva portato alla temperatura di 960°C per raggiungere il punto di fusione dell'Argento che sciogliendosi avrebbe aderito alla superficie del tondello di Rame. Sembra giusto credere che, essendo il punto di fusione del Rame a non eccessiva distanza (1080°C), l'adesione dell'argento fosse favorita anche dal forte surriscaldamento della stessa superficie esterna del Rame. La coniazione vera e propria doveva avvenire ancora durante la fase di raffreddamento dei tondelli" (P. 84). Enrico :)

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Inviato

Ringrazio Minerva,

sia per l’elogio, sia per aver postato le parti salienti dello scritto di Fiorenzo Catalli. Grazie a questo e all’osservazione delle ultime monete postate da gpittini, direi che possiamo avvicinarci a un’ipotesi concreta. Come giustamente scrive Gianfranco, le due ultime monete devono essere il nucleo di suberati, ottenuti con le tecniche riportate da Catalli. Questo spiegherebbe anche il loro peso, decisamente inferiore a quello di un denario. Avendo perso il rivestimento argenteo, tali monete risultano più leggere di oltre 1 grammo rispetto al peso normale.

I due suberati in questione, entrambi risalenti ai primi del II secolo, sono il frutto della più antica tecnica di contraffazione applicata dai falsari romani, che prevedeva un utilizzo comunque relativamente elevato di argento (più o meno un terzo del peso complessivo della moneta). Questo mi pare confermare l’ipotesi che solo da un certo momento in poi (inizi del III secolo) venne messa a punto una nuova e più efficace tecnica di argentatura (efficace, nel senso tra l’altro che prevedeva l’impiego di ben poco argento). Le ultime monete postate presentano un aspetto tanto scabro a causa dell’ossidazione e della susseguente dispersione dello strato di argento. Inoltre, proprio a causa delle reazioni chimiche che ho già menzionato, questo tipo di suberati penso che vada incontro a un deperimento più rapido e profondo rispetto alle normali monete coniate in un solo metallo.

I falsi d’epoca come il denario di Giulia Mamea da me postato, al contrario di quanto appena visto, venivano rivestiti da una sottilissima velatura d’argento (ottenuta, come credo, tramite bagno in soluzione di mercurio) e ciò spiega il fatto che tali “denari di rame”, pur privati dello strato superficiale, differiscono di pochissimo rispetto al peso ufficiale della moneta (- 0,2 / 0,4 gr). Non a caso, secondo me, questo tipo di “nuovi suberati” data a un periodo più tardo.

Resta da vedere se i “denari di bronzo” (o “di rame”, il che mi sembra più corretto) di cui stiamo parlando, appartengono alla medesima tipologia, oppure no. Ossia: ci troviamo di fronte esclusivamente a falsi d’epoca (suberati vecchi e nuovi), oppure queste monete ricadono in due DIVERSE tipologie, cioè monete false, e monete ufficiali coniate per scopi a noi sconosciuti? In effetti, la moneta che più mi fa pensare è quella postata da gpittini (#5 e 6). Di certo non è un suberato di vecchio tipo (o I tipo, lasciatemi introdurre questa terminologia, per semplicità), considerato il suo magnifico aspetto. Il quale ricorda il mio denario di rame di Giulia Mamea, che affermo essere un suberato di nuovo tipo (o II Tipo, se vogliamo). Tuttavia, il suo peso è sconcertante e non si attaglia alla tecnica di argentatura tramite mercurio, che gli avrebbe conferito pochi decimi di grammo in più.

Sempre in merito al peso, avrete notato che più o meno tutte le monete postate fin qui presentano pesi simili. I due Traiano pesano 1,8 e 2,1 grammi: entrambi presentano una conservazione e nel complesso un aspetto differenti da quelli risalenti a età più tarda.

In merito a quest’ultimi, iniziando dalla prima moneta mostrata da gpittini abbiamo: 2,7 gr, 2,5 gr, 1,9 gr, 2,9 gr, 2,4 gr, 2,7gr, 2,8gr) il mio Giulia Mamea pesa 2,9 gr. Ebbene, stiamo considerando esemplari databili da Settimio Severo in poi, tutti piuttosto ben conservati e tutti con peso molto simile. Solo l’esemplare da 1,9 grammi fa eccezione.

Direi a questo punto che ci troviamo di fronte a monete falsificate, ossia “suberati”, appartenenti a due fasi metallurgiche differenti: quelli quelli del primo gruppo (traiano) pesano di meno in quanto la loro argentatutra pesava di più; quelli del secondo gruppo pesano di più perché la loro argentatura pesava di meno. Tecniche differenti richiedono tondelli di partenza di peso differente.

Rimane da capire cosa sia in effetti l’esemplare pesante 1,9 grammi, che oltrettutto presenta la conservazione migliore e sembra in effetti una moneta perfettamente finita. Questa moneta è un vero dilemma (penso anche per il suo giustamente orgoglioso proprietario). Potrebbe essere questa un vero esemplare di “moneta del limes”?

Il commento riguardante il fatto che tutte queste monete abbiano curiosamente perso l’argentatura, lo risolvo in questo modo: avendo osservato le immagini apparse a corredo dell’articolo pubblicato su Minerva, ho potuto constatare che all’apparenza sembrano (ho detto sembrano: dovrei vederne una dal vivo) monete assolutamente normali. In più, si evince che in tali condizioni perfette il loro peso è conforme ai denari ufficiali. Mi domando allora quanti di questi “suberati di II tipo” siano riposti nelle nostre collezioni, senza che ci abbiano insospettiti.

Questo ragionamento mi ha indotto a formularne un secondo... In effetti, l’avrete notato più o meno tutti, le monete hanno “suoni” ben riconoscibili e specifici, quando vengono battute sulla medesima superficie. Mi spiego: tutti i miei denari, che so, di Antonino Pio, emettono più o meno la stessa nota squillante. I suberati hanno un suono fesso, in genere. Ho provato a far risuonare i denari di Giulia Mamea della mia collezione, a confronto col suono emesso dal “denario di rame”: gli uni emettono un tintinnio alto, quest’ultimo ha un suono più basso. Forse è solo un metodo empirico, ma è scientificamente dimostrato che, a causa del peso specifico e della densità molecolare, oggetti identici ma di metalli diversi producono suoni diversi qualora percossi.

Cosa ne pensate? Qualcuno di voi è in grado di verificare?

Aggiungo ancora una considerazione. Le monete di cui ci stiamo interessando vengono spesso definite “monete del limes” e in effetti provengono dalle zone periferiche nord-orientali dell’Impero. Per questo si è pensato spesso che avessero un ruolo ufficiale, quale moneta circolante per le truppe. Formulo un quesito: e se da là provenissero, semplicemente perché là si trovavano le officine? Non mi pare un’idea troppo stolta. In aree meno densamente popolate e meno attentamente controllate, l’attività delle officine falsarie sarebbe stata meno evidente. In occasione di uno dei miei viaggi in Perù, osservai a lungo e con attenzione i metodi antichi con cui alcuni indios ricavano l’oro dalla quarzite aurifera. Costoro dapprima frantumavano il minerale, quindi immettevano la povere grezza in grandi contenitori colmi di mercurio. L’oro si scioglieva del tutto, liberandosi dalla roccia madre e si trasformava in una soluzione metallica. Gli artefici filtravano allora il liquido, separandolo dalle scorie litiche, quindi ponevano il mercurio ricco di oro in capaci caldaie, sotto alle quali erano accesi grandi fuochi. Ebbene, l’evaporazione del mercurio - oltre a produrre un odore devastante ed effetti dannosissimi per la salute - causava alte colonne di un fumo scuro e pesante, graveolente. Insomma, se a un certo punto la tecnologia permise ai falsari di età romana di ottenere l’argentatura dei falsi tramite mercurio, penso che il loro maggiore problema fosse proprio il dissimulare gli effetti dell’evaporazione di tale metallo.

Concludo ponendo una domanda a Gianfranco: dalle foto postate, mi pare che i due denari di Traiano siano in realtà di metalli differenti. Il primo di rame, il secondo di ottone (oricalco). Mi sbaglio? Sollevo la questione perche sappiamo bene che entrambi i materiali erano di largo impiego nella monetazione ufficiale romana, quindi diffusissimi. Mi domando da cosa partissero i falsari per ottenere il nucleo dei loro falsi denari... In fondo fondere assi e dupondi per ottenerne dei denari non doveva essere affatto svantaggioso. Che ne pensate?

PS per ottenere un ulteriore dato, servirebbe che spitz ci comunicasse il peso del suo Settimio Severo (messaggio #17).


Inviato

DE GREGE EPICURI

Mi sembra che le riflessioni e gli spunti continuino ad aumentare (molto bene, così la monografia ormai è ben delineata, o per lo meno c'è il materiale!). Io direi:

-E' vero, i due Traiani sembrano di metallo diverso, il 1° di rame e il 2° di oricalco. Questo però non confligge con nessuna delle diverse ipotesi avanzate. Forse è un po' meno probabile che nel Limes venissero coniati "pseudo-denari"di oricalco, ed è maggiore la probabilità del "nocciolo di suberato".

-Posso essere d'accordo sulla ipotesi di non restringere alle truppe l'uso di queste monete (io parlo di quelle di rame, difendendo ancora l'ipotesi che non fossero argentate affatto). Si può ipotizzare che, mancando piccolo numerario, esse venissero coniate da zecche sul Limes e utilizzate in termini generali; ma non certo col valore equivalente ai denari veri!

-Zecche semi-ufficiali e tollerate o decisamente clandestine e di falsari? Non vedo per ora elementi probanti per l'una o l'altra ipotesi. Ricordiamoci però che le pene gravi erano inflitte ai falsari di Au ed Ag, ma (pare) non per il rame o bronzo.

A questo punto, incremento la galleria con 2 monete di Adriano. Il 1° pesa 1,8 g. e misura 17-18 mm. Al D. attorno al busto a dx c'è una iscrizione "lunga". Al R. leggo solo: IMP TR...COS.. C'è una figura femminile a sin., con braccio dx alzato.

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Inviato

DE GREGE EPICURI

La 2a moneta è un po' meglio conservata; pesa 2,1g. e misura 18-19 mm. Al D. IMP CAESAR TRAIAN HADRIANUS AUG. Al R. leggo: PMTRP COSIII, ed in esergo CONCORD ; figura seduta a sin. Potrebbe essere la C255, RIC II, p. 354, n. 118. Queste due monete di Adriano mi paiono in sostanza simili a quelle di Traiano; si può pensare a dei suberati che hanno completamente perso l'Ag.

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Inviato (modificato)

Ecco il R. Beh, questa però è un po' meglio della moneta precedente, e forse non è inseribile nella stessa categoria.

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Modificato da gpittini

Inviato

Ringrazio fabius silvanus julius per le interessanti considerazioni (complimenti).

Per quanto riguarda il peso del mio denario occorrerà aspettare fino a sabato quando lo potrò pesare.

PS: sono stato anche io a Verona ma non ho trovato denari in bronzo-rame...


Inviato

Ciao

do il mio piccolo contributo a questa discussione mettendo la mia minuscola collezione di Suberati dei quali conservo le immagini, inizio con Eliogabalo r/ Annona Avgvsti Ric.59


Inviato

scusate ecco l' immagine

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Inviato

peso 2,65 g 17 mm

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Inviato

Quinario Cornelia Cr.345/1a peso 1,80 g 15 mm

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