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Denario di bronzo.


gpittini

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DE GREGE EPICURI

Grazie Meja per le immagini molto interessanti; non avevo mai visto un vittoriato suberato, ce ne sono molti? Credo però che le Repubblicane vadano considerate a parte. Il titolo del futuro articolo potrebbe essere: SUBERATI TARDI E DENARI DI BRONZO. Ma FSJ è in trasferta?

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Ecco un denario di Giulia Domna, l'aspetto generale puo' far pensare alla fusione. Moneta piuttosto comune, riportata anche dal Cohen (al 22) e dal RIC (che la classifica come base denarius e la riporta accanto all'argentea "sorella maggiore" al 637).

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Non ho il peso di questo esemplare.

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Qui invece un esempio con Adriano (la cui versione ufficiale e' classificabile come RIC 95b, Cohen 1147), per anni relegato tra le dubbie... il materiale si direbbe bronzo, l'aspetto del dritto (soprattutto dell'iscrizione) potrebbe portare a pensare ad una fusione, pero' e' interessante vedere che le lettere sono "sdoppiate" come se ci fosse stato uno slittamento di conio che non mi sembra di vedere in maniera evidente sul ritratto.

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Il peso e' 2.40g.

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DE GREGE EPICURI

Grazie Augustus per queste due belle monete; se siano fuse o coniate, è davvero difficile deciderlo. La seconda è in condizioni veramente buone, ed a mio avviso rientra nelle "prove" che questi pseudo-denari non sono mai stati argentati: altrimenti, qualche traccia sarebbe rimasta, almeno nelle monete di qualità BB. Oggi invece posto una moneta singolare: apparentemente rientra nella stessa categoria, ma presenta delle anomalie nella legenda, che fanno pensare ad un incisore illetterato: si avvicina perciò alle c.d. imitazioni barbariche. E' un M.Aurelio, pesa 2,8 g. e misura 17-18 mm. Al D., la titolatura MAUREL ANTONIN AUG è preceduta da 3 lettere di cui non riesco a comprendere il senso (NAP, forse al posto di IMP ). Al R. leggo: ...TO (?)X COS II, e quel "..TO" mi risulta inspiegabile. C'è una figura stante a sin., forse con patera o ramoscello nella dx., e lancia o bastone a sin.

Modificato da gpittini
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DE GREGE EPICURI

Ho letto un articolo che indirettamente ci può aiutare; è di A.Bursche, studioso di Varsavia, è pubblicato negli Atti del XI Congr. Internazionale di Numismatica (Bruxelles, 1991, edizione 1993).

Titolo: "Perchè i denarii coniati dopo il 194 erano assenti nel Barbaricum?" (traduco dal francese). Si esamina la letteratura relativa a decine/centinaia di tesoretti ritrovati oltre il Limes, prevalentemente in Scandinavia, Polonia, Russia, Ukraina,ecc. Le conclusioni unanimi degli studiosi rilevano la totale o quasi-totale assenza di denari coniati dopo il 194, come pure degli antoniniani coniati fino al 225 circa; sono presenti invece monete d'argento precedenti e successive a queste date.

L'Autore, citando altri studiosi, esclude che si trattasse di un "rifiuto" da parte dei barbari dei denari "leggeri"coniati dopo il 194-195 (penuria d'argento e produzione di monete a titolo molto più basso). Sostiene invece che l'Impero dovette fronteggiare una grave penuria di metallo nobile, e specie di Ag (per le enormi spese di Commodo e la scarsa produzione delle miniere) per cui risultò necessario trattenere tale metallo all'interno dell'Impero, risultandone molto sconveniente l'utilizzo all'esterno, es. per acquistare ambra o altri materiali, riscattare prigionieri, pagare sussidi. La conclusione che io traggo è che, specie in quegli anni (diciamo fra il 194 e il 225) ci fu una estrema carenza di tale numerario, specie sul Limes e all'esterno di esso, e quindi una forte spinta a produrre forme di monetazione sostitutiva.

Ho avuto indicazioni di altri articoli forse utili, e ve li segnalo perchè temo di non riuscire personalmente a reperirli, salvo forse il primo:

1.Guey J., R.N., s 6,4,1962 (pp. 73-140)"L'aloi du denier romain de 177 à 211 après J.C. Etude descriptive".

2.Walker D.R.,1978, The Metrology of the Roman Silver Coinage, III, from Pertinax to Uranius A.

(B.A.R., suppll. ser. 40, Oxford).

3.Kolendo J., L'arret de l'afflux de monnaies romaines dans le Barbaricum sous S.Sévère, in: Les dévaluations à Rome, etc., 2, Gdansk, 19-21, ripubblic. in: Collection de l'Ecole Française de Rome, 37, Paris-Rome, pp. 169-172.

Modificato da gpittini
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Ringrazio GPittini per le interessanti citazioni bibliografiche e la traduzione dell'articolo di Bursche e chi ha contribuito con le utili foto delle monete suberate!

Il quesito che mi pongo, però, circa la possibilità di concepire dei denarii coniati in solo bronzo, è sul valore che questi potevano avere rispetto alle altre monete coniate nello stesso metallo; un asse avrebbe avuto un valore maggiore del denario perchè di modulo più grande e peso maggiore. La mentalità dell'epoca, infatti, era ancorata al valore intrinseco della moneta.

Spero anch'io di riuscire a rintracciare gli articoli citati con la speranza che possano contribuire in qualche modo al nostro interessante quesito. Enrico :)

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Ciao a tutti,

chiedo scusa per la prolungata assenza, ma in effetti ha ragione gpittini (messaggio #55) : sono stato “in trasferta” per ragioni di lavoro e senza neanche molto preavviso. Purtroppo, quando sono lontano da casa non ho proprio modo di accedere a internet per scopi che non siano strettamente legati ai contatti di lavoro o familiari.

In ogni caso, un paio di sere addietro ho letto e osservato con attenzione tutti i più recenti messaggi e oggi ho fatto un po’ di ricerche. Innanzi tutto, ho avuto modo di accedere a una collezione di denari e vittoriati repubblicani piuttosto cospicua e posso confermare anche la presenza di vittoriati suberati. I 4 suberati che ho potuto maneggiare (1 vittoriato e 4 denari), tutti in condizioni molto buone, ossia con l’argentatura quasi completa, differiscono dal peso ufficiale in misura variabile, tuttavia SEMPRE in meno (il vittoriato: -0,2 gr; i denari rispettivamente: - 0,6 gr; -0,4 gr; - 0,4 gr; -0,5 gr)

Grazie alla disponibilità dell’amico collezionista ho quindi provveduto a pesare tutte le altre monete (oltre un centinaio di pezzi). Infine ho pesato sistematicamente tutti i miei pezzi repubblicani. Ho così verificato che l’oscillazione media rispetto al peso ufficiale (che stimo a 3,9 \ 4 gr) è di 0,2 gr in più o in meno. La conclusione che ne traggo è la seguente: dato che i denari ufficiali non hanno un peso standard preciso al decimo di grammo, se il suberato repubblicano non ha perso almeno in parte la sua argentatura, è abbastanza difficile rendersi conto della falsificazione. Riallacciandomi a quanto ho scritto in precedenza, ho comunque notato che i suberati, se fatti tintinnare, mandano un suono che è un po’ diverso da quello abituale.

Ho poi osservato con attenzione un paio di suberati in cattive condizioni di conservazione: uno, in particolare, presenta una delle facce del tutto priva di argento (in questo caso il peso è appena di 3 gr). Ho riscontrato che in questi casi la superficie in rame si presenta fortemente erosa e butterata: in definitiva, la moneta risulta ben poco leggibile e le legende sono pressoché scomparse.

Ricordando quanto ho scritto nel messaggio # 25 e con riferimento al testo di F. Catalli citato nel messaggio # 40, direi che si può assumere quanto segue: in età repubblicana e fino alla fine del II secolo d.C. la pratica di contraffazione dei denari prevedeva la produzione di tondelli di rame, rivestiti a caldo con due sottili lamierini d’argento e quindi coniati. La lenta ma ineluttabile reazione chimica tra i due metalli porta i suberati a danneggiarsi più o meno gravemente e in genere la parte in rame risulta quasi illeggibile, mentre il rivestimento argenteo conserva meglio i tratti originali. Sicuramente i danni più o meno gravi subiti dai suberati sono causati sia dalle condizioni in cui si è conservata la moneta (possono benissimo esistere suberati ancora perfetti e difficilmente individuabili), sia dalla cura con cui vennero preparati originariamente i tondelli. Se infattti lo strato d’argento non aderisce perfettamente al nucleo di rame, a causa di una temperatura troppo bassa al momento della fusione dello strato argenteo, il decadimento è assai più rapido, a causa dell’insorgenza di fenomeni ossidativi ed erosivi.

Il materiale usato per produrre il nucleo era solitamente il rame, che poteva essere sostituito dall’oricalco: si può pensare che per i falsari fosse conveniente (grazie anche alla facilissima reperibilità del materiale) fondere monete circolanti come assi e dupondi, per ottenere pezzi di ben maggior valore nominale.

Dalla fine del II secolo d.C., come ho gia abbondantemente riportato, la tecnica di falsificazione cambiò radicalmente. L’argento per il rivestimento del nucleo di rame divenne sottilissimo e di peso esiguo (0,2 / 0,3 gr). Di conseguenza questi falsi antichi si presentano - seppure privati dell’argentatura - con un aspetto estremamente simile a quello di un denario ufficiale: ne fanno fede le immagini postate nei messaggi #19 e #20. La diffusione di tali denari è confermata dal tesoretto esposto a Londra e già citato.

Avendo osservato attentamente i cosiddetti “denari di bronzo” postati da gpittini e altri, devo comunque modificare in parte la mia opinione. Queste monete, infatti, in genere presentano aspetti piuttosto differenti. E sembrano coniate con metalli diversi. Cerco ora di trarre delle conclusioni.

Tra le monete postate, quelle meglio conservate non potevano essere suberati di I tipo: dopo aver perso tutto l’argento superficiale non sarebbero così ben leggibili e dovrebbero pesare di meno. Al contrario, le monete mal conservate (come il #10 #11, i due Adriano e i due Traiano) potrebbero benissimo essere suberati di I tipo: sono molto erose e pesano decisamente di meno, come se il decurtamento fosse dovuto alla scomparsa dell’argento. Il fatto che siano di rame e oricalco parrebbe suffragare la mia ipotesi che - almeno in una certa misura - i falsari fondessero anche monete circolanti (altrimenti non mi spiegherei l’uso dell’oricalco, metallo poco usato al di fuori dalla produzione di monete).

L’Eliogabalo (#48 e #49) potrebbe essere a mio avviso un suberato di II tipo, almeno a giudicare dall’aspetto (argento sottilissimo) e dal peso; sarebbe quindi analogo a quello di Giulia Mamea.

Rimane il fatto che i pesi delle monete finora postate sono piuttosto vari. Li riporto ancora una volta: 2,7 gr; 2,5 gr; 1,9 gr; 2,9 gr; 2,4 gr; 2,7 gr; 3 gr; 2,9; 2,8 gr; 1,8 gr; 2,1 gr; 1,8 gr; 2,1 gr; 2,65 gr; 2,40 gr; 2,8 gr. Il loro diametro è invece pressapoco il medesimo: 17 / 19 mm.

Mi pare a questo punto evidente che il discorso non possa limitarsi a suberati di I e II tipo. Se alcune di queste monete, infatti, sono a mio parere palesemente dei falsi antichi (ossia suberati rimasti privi dell’Ag), altre danno decisamente da pensare. Non tanto perché, come dice gpittini, paia innaturale che abbiano perso del tutto il loro seppur leggero strato d’argento, ma perché il loro aspetto è davvero strano. Il Settimio Severo (#5 e#6), la Giulia Domna (#56) e l’Adriano (#57) sono dei veri rebus. Sembrano monete perfettamente rifinite, sebbene un po’ più grossolane rispetto alla media in quanto alla resa del ritratto e ai caratteri delle diciture (che sono un po’ “grassottelle”) e non si direbbe fossero affatto argentate; soprtattutto, in confronto alla mia Giulia Mamea, non paiono avere la minima traccia di Ag. Sembrerebbero dunque confermare il notevole intervento riportato da gpittini (#61), ma la moneta di Adriano fu senz’altro coniata prima del 194 d.C. Quindi rappresenta un’ulteriore eccezione. Inoltre, le tre monete hanno pesi diversi (1,9 gr; 2,4 gr; ?? gr).

Nel frattempo ho letto che secondo alcuni autori, dato l’elevato costo necessario alla produzione dei conii, questi venivano sfruttati al massimo e in taluni casi venivano poi reimpiegati nelle zecche poste ai confini dell’impero per battere le monete del limes, circolanti esclusivamente in quell’ambito. Questo spiegherebbe perché le tre monete che ho citato sembrino il prodotto di un “conio stanco”. Rimane da vedere perché queste monete venissero realizzate e perché il loro peso sia così difforme da un esemplare all’altro.

Concordando con la validità dell’ipotesi sostenuta da A.Bursche (#61) e ragionando sull’ultimo quesito posto da Minerva, direi che si può esporre un’ipotesi complessa.

Delle varie monete qui postate, alcune sono falsi antichi, ossia suberati ottenuti con varie techiche, che hanno perso lo strato esterno d’argento. Alcuni altri esemplari sono invece esemplari di una monetazione prodotta in determinati periodi (ma forse non solo tra il 194 e il 225) per ovviare alla carenza di metallo nobile e utilizzata nelle regioni di confine per le quotidiane transazioni, soprattutto nei castra romani e nei villaggi più prossimi. Queste monete venivano coniate forse con conii di seconda mano (ciò spiegherebbe le limensioni analoghe a quelle dei denari e i loro tipi monetali) e prodotte con scarsa attenzione al metallo di base (rame, mistura, ecc) in quanto il loro peso ufficiale non rivestiva alcuna importanza. L’importante era che per dimensioni assomigliassero senza dubbio ai denari, che andavano a sostituire. In riferimento all’ultimo intervento di Minerva, si può pensare che in questa fase storica e in quel particolare contesto non venisse più prestata grande attenzione al valore intrinseco della moneta: si sapeva che questo modulo sostituiva il denario, di cui condivideva il potere d’acquisto. Quando il possessore di tali pezzi doveva trasferirsi in un’area meno periferica dell’impero, non aveva che da scambiarli alla pari con il circolante in metallo nobile, presso un cambiavalute autorizzato. Assimilerei dunque questi denari di rame ai gettoni (già noti e usati in epoca romana, come le tessere da lupanare) o ai buoni coniati in epoche ben più tarde e vicine a noi. In fondo, i Romani erano già abituati a qualcosa di simile: si pensi, per esempio, alla tritramma in argento di Traiano, coniata a a Caesarea, che simulava in tutto e per tutto il denario con l’Arabia sul retro, ma aveva la dicitura in greco: tale moneta, per l’uso in Roma, andava comunque cambiata (Nel caso interessasse a qualcuno, potrei postarne due esemplari a confronto) .

I pezzi finora visti apparterrebbero dunque a tipologie diverse e avrebbero diverse funzioni: falsi (di due tipi) e monete ufficiali, sostitutive di quelle in metallo nobile. Rimane il fatto che è arduo decidere di volta in volta di che cosa si tratti realmente.

Che ne dite?

PS Per gpittini: lo pseudo denario di marco Aurelio meriterebbe una trattazione a sé, tanto è interessante. Appena avrò tempo, posterò un asse di Domiziano che presenta anomalie sorprendenti, per certi versi assimilabili alla manifesta inettitudine dello “sculptor” che incise il conio con cui fu prodotto il tuo esemplare.

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Complimenti sinceri, Fabius, per l'ottima analisi che ci hai proposta e che contribuisce in maniera decisiva e chiara alla comprensione ed allo studio di un argomento trattato sempre in maniera sommaria e poco congrua alle esigenze sia tecniche che economiche dei vari periodi storici.

Esaustiva e condivisibile è anche la risposta al mio ultimo quesito: riconosco quanto sia vero il fatto che le varie necessità economiche e sociali abbiano fatto evolvere, nel mondo antico, le valenze sociologiche della moneta ed il valore della stessa che arrivò a divenire fiduciario. Non posso che ringraziarti per lo studio sistematico e serio che hai operato sui vari contributi della discussione ed elogiare la grande competenza che c'è dietro. Enrico Minerva

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Sono contento che fabius silvanus julius sia tornato ( cominciavo a preoccuparmi !) e mi complimento per l'analisi fatta da cui possiamo tutti imparare sia per i contenuti, interessantissimi, che per il metodo rigoroso .

Stefano

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DE GREGE EPICURI

Caro Fabius, a questo punto il tuo inquadramento generale mi sembra decisamente convincente, anche perchè riesce a contenere e spiegare tutti gli aspetti di un fenomeno complesso, che non può essere ridotto ad una interpretazione unica. Ovviamente ci sono un sacco di dettagli su cui si potrebbe ancora lavorare. Io mi sono procurato 2 dei 3 articoli che ho citato (Guey e Kolendo), e appena posso li leggo, poi vedo di riassumerli qui. A presto!

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DE GREGE EPICURI

Vedo che il tema dei denari di bronzo si collega in maniera inestricabile (e direi logico) a quello dei suberati. La prima moneta che vorrei postarvi non è con sicurezza un suberato; potrebbe esserlo, in tal caso avrebbe perduto tutto l'Ag senza però mostrare le corrosioni e deturpazioni notate nelle 4 monete di Traiano e Adriano. Si tratta di una moneta di Vespasiano di 1,9 g. e 18 mm. Al D.: IMP CAES...VESPASIANUS AUG. Al R.: COS VII sopra un bovino volto a dx. Dovrebbe essere corrispondente a C118. Certo, se non fosse stata suberata, con un peso così modesto non avrebbe potuto ingannare nessuno!

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DE GREGE EPICURI

Questo invece è un suberato classico, che ha perduto quasi tutto l'Ag; pesa 2,0 g. e misura 17 mm.

E' dell' augusta Sabina, e al D. si legge appunto SABINA AUG. Al R. non si vede quasi nulla, ma un'indagine accuratissima mi fa propendere per una CONCORDIA; si dovrebbe trattare quindi di C 12, RIC 398. Ragionando sul peso, ne ha perso quindi almeno 1/3, forse anche poco più, e si colloca a livello dei pesi delle 2 monete di Adriano che ho postato (da #42 a #45).

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Modificato da gpittini
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Mah, direi proprio che mentre la moneta di Sabina non suscita interrogativi di sorta (ma risponde invece al quesito: qual era la percentuale di argento in un suberato?), lo pseudo denario di Vespasiano rappresenta un ulteriore enigma. Vedendola così, escluderei anch'io l'ipotesi che si trattasse di un suberato. Una certa consunzione visibile sulle parti a maggiore rilievo, anzi, lascia intuire che la moneta sia circolata alquanto. La sua datazione, tuttavia, decisamente anteriore agli esemplari visti finora, ci mette di fronte a un altro interrogativo. Ossia: quando venne iniziata la produzione di questo tipo monetale, che andava a sostituire il denario per i fini e nelle aree geografiche che già abbiamo illustrato?

Statisticamente, direi che la massima diffusione è attestabile durante il regno di Settimio Severo e nei decenni appena successivi (tra l'altro, l'avvento del radiato - o antoniniano - pose evidentemente fine a tale monetazione, data la progressiva scomparsa del denario dal circolante), tuttavia abbiamo già visto esemplari traianei e adrianei. Questo Vespasiano, però, ci fa retrodatare la comparsa di queste monete al I secolo d.C. in quanto la relativa moneta in argento dovrebbe datare all'anno 829 aUc., ossia il 76 d.C. E qui mi domando: se tale monetazione fu in auge per circa due secoli, come mai ne sono pervenuti così pochi esemplari e perché nessuno, a partire dal Cohen, ecc. ha mai intrapreso uno studio sistematico?

Certo che l'idea di essere noi i primi... :blink:

Aggiungo una considerazione: l'immagine purtroppo non è nitidissima, ma l'aspetto generale e soprattutto il retro, dove nel campo sotto il ventre si notano linee concentriche, fa pensare a una moneta ottenuta per fusione. Ammetto però che l'aspetto un po' sfatto dei volumi e delle legende potrebbe essere il frutto di un conio "stanco”. Che ne dice gpittini?

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DE GREGE EPICURI

Mah, del Vespasiano non so che cosa pensare.In effetti, potrebbe essere fuso, e questo forse riduce un po' i problemi: per fare dei fusi non serve un conio, basta una tecnologia più elementare, ecc. Inoltre, esistono sicuramente diversi fusi di bronzo di quest'epoca (documentati da Augusto in poi), e si può pensare che siano stati prodotti anche dei denari (in Ag) o degli pseudo-denari (in Cu) fusi. Non è facilissimo escludere che questa moneta in passato avesse uno strato di Ag, anche se lo ritengo improbabile. Sono d'accordo però che tutto questo è poco convincente. Insomma: "Ci sono più cose, in cielo e in terra e nella numismatica romana, di quante non ne possa immaginare e spiegare la nostra filosofia".

P.S. Ma ti arrivano i miei MP?

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DE GREGE EPICURI

Riassumo dal fracese il lungo articolo di J.Guey: "Il titolo di Ag del denaro romano dal 177 al 211 d.C.", R.N. 1962, VI serie, T.4, pp. 73-140. L'A. inizia riportando 40 determinazioni precedenti per via chimica, sottolineandone la scarsa attendibilità. Riporta poi le sue determinazioni dirette, sempre chimiche, del titolo di 133 denari da M.Aurelio a Plautilla. Presenta inoltre lo studio di 21 denari con metodo duplice, chimico e spettrografico, per confrontare la concordanza dei 2 metodi, che è buona. Infine, i 133 denari di cui sopra sono studiati anche con la spettrografia, scegliendo piccolissime porzioni e strati sia in superficie che ad 1 o 2 livelli di profondità. Delle 133 monete studiate vengono forniti: tipologia, classificazione e riferimenti, datazione, peso complessivo, titolatura, peso del fino (Ag) contenuto. In un paragrafo si analizza la presenza di altri metalli (oro, alluminio, stagno, zinco), che risulta specifica per le diverse zecche.

Quasi tutti i denari studiati risultano databili con precisione. Il lavoro, estremamente analitico e corredato da molte figure e tabelle, giunge alle seguenti conclusioni:

1.La purezza di fino sotto M.Aurelio oscillava intorno a 730 millesimi.

2.La prima monetazione di Commodo migliorò tale titolo fino a superare 800 millesimi, ma successivamente il titolo scese fino a 700-710 intorno al 190 d.C., con minimi anche sotto i 600 nel 192 d.C. Commodo è considerato "il maggior responsabile di una svalutazione avvenuta per inerzia ed incuria", mentre quella di S.Severo fu intenzionale e ben ponderata.

3.Pertinace, D.Giuliano e Albino emisero denari migliori, fino a 740 di fino.Pescennio Nigro invece coniò sia denari ricchi (750) che poverissimi di Ag (430 millesimi).

4.Settimio Severo coniò i primi denari nel giugno 193 con un titolo di 735. Seguì un periodo transitorio (194 d.C.) in cui le zecche di Roma e di Alessandria coniarono denari di titolo oscillante fra 550 e 650 millesimi.

5.Successivamente (194-195) in una zecca orientale, probabilmente Emesa, venne coniato un "cattivo denario" a titolo 475, mentre infuriava la lotta fra S.Severo ed i suoi contendenti. Poco dopo, il "cattivo denario" fu coniato anche a Roma, con un titolo che rimase sempre oscillante fra 480 e 600 millesimi fino al 211 d.C. S.Severo ebbe l'accortezza di integrare il ridotto Ag con molto Cu, in modo che i suoi denari non ebbero mai un peso ridotto (in genere erano sui 3 g.), a differenza di quanto era avvenuto con Commodo. Sembra che la riduzione dell'Ag non sia stata percepita, e non vi fu un aumento dei prezzi.

6.Le determinazioni chimiche e soprattutto spettrografiche hanno evidenziato differenze significative del titolo di Ag (anche oltre il 15%!) fra la superficie, più ricca di Ag., e l'interno della moneta, che ne è più povero. Nel denario vi è quindi, almeno in quest'epoca, una differenza di contenuto di Ag fra superficie e profondità che è simile a quella evidenziata nei primi antoniniani.

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DE GREGE EPICURI

Ho postato molti dei miei pseudo-denari, ma vorrei aggiungere anche questo Caracalla. Pesa 2,5 g. e misura 18 mm. Al D. ANTONINUS PIUS AUG BRIT. Al R. PM TRP XV COSII PP; figura volta a sin. con lungo scettro. E' del 212 d.C. Condizioni discrete, non certo ottimali.

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