Vai al contenuto
IGNORED

Il mio RE


Risposte migliori

Inviato

Il "re cassetta", come lo chiamano dalle mie parti, oltre la retorica della redenzione: quando il Trentino venne annesso all'Italia, dopo la fine della Grande Guerra, la lira italiana venne introdotta con forti proteste legate al cambio delle corone austriache. Il cambio fissato alla fine in 40 centesimi arrivò dopo lunghe tergiversazioni e con grave ritardo e ne nacque il detto: “Trentino redento al quaranta per cento: viva il re e la regina, se tornan come prima”.

Per il resto, viva il re numismatico, ma solo in quanto tale: per il resto stendiamo un velo pietoso, anche se, umanamente, c'è da dire che non è stata tutta colpa sua.


  • Risposte 80
  • Iniziato
  • Ultima Risposta

Utenti più attivi in questa discussione

  • legioprimigenia

    12

  • Frenkminem

    9

  • Maffeo

    6

  • luke_idk

    6

Utenti più attivi in questa discussione

Immagini inviate

Inviato
e permettetemi d'aggiungere: W anche il PAPA RE !!!

post-1393-1224106757_thumb.jpg

Concordo.

Solo che bisognerebbe osservare che i Savoia si sono resi complici della sacrilega presa di Roma e dell'invasione vile del Regno delle Due Sicilie.

Due delitti che gridano ancora vendetta !

Altro che esaltazione di certi personaggi...

Vittorio Emanuele II - l'usurpatore

Umberto I - colui che distribuì piombo al popolo che chiedeva pane (e che per questo motivo perse anche la vita)

Vittorio Emanuele III - l'opportunista.

Forse l'unico signore del casato fu Umberto II, che probabilmente avrebbe dimostrato di essere un buon re.

Stendiamo un velo pietoso sullo squallore degli ultimi rampolli del casato.

Mi pare però che si tratti di un vizio di origine: il Regno d'Italia nasce contro Dio e contro il popolo, usurpando i diritti dei legittimi sovrani e giungendo al sacrilegio di violare la Città Santa e i diritti del Vicario di Cristo in terra.

E' ovvio che da tale abominio poteva discendere solo lo squallore di una dinastia che merita disprezzo.


Inviato

Ogni Popolo ha i Sovrani e i politici che si merita... e gli Italiani non fanno eccezione.

Vittorio Emanuele III rientra nella regola di cui sopra pur essendo stato un grandissimo numismatico.

PS Verrebbe voglia di andarsene dall'Italia e non tornare mai più per quello che si vede e si sente in giro ogni giorno. E non vedo speranza di miglioramenti.

Bah... <_<


Inviato
il Regno d'Italia nasce contro Dio.....giungendo al sacrilegio di violare la Città Santa e i diritti del Vicario di Cristo in terra.

Mi pareva che Cristo avesse detto chiaramente che il Suo Regno non è di questo mondo...di quali diritti in terra parli?

petronius B)


Inviato
Mi pare però che si tratti di un vizio di origine: il Regno d'Italia nasce contro Dio e contro il popolo, usurpando i diritti dei legittimi sovrani e giungendo al sacrilegio di violare la Città Santa e i diritti del Vicario di Cristo in terra.

E' ovvio che da tale abominio poteva discendere solo lo squallore di una dinastia che merita disprezzo.

Concordo con il disprezzo, ma ricordati che il re era tale per grazia di dio e (dopo Carlo Alberto) per volontà del popolo in quanto re costituzionale.

In quanto al resto ti trovo un po' retrò, l'invasione Savoia (perché questo fu una guerra d'invasione che ci hanno spacciato per guerra d'indipendenza) era purtroppo un "dovere storico" un'occasione per portare l'Italia al pari delle altre nazioni moderne.

Difficilmente le altre dinastie (tutte bene o male compromesse con gli Asburgo) avrebbero potuto portare all'unità del paese (questo è stato l'unico aspetto positivo dell'invasione dei sardo-piemontesi).

Ma i Savoia non furono in grado di gestire il paese (pensa alla questione meridionale) né i rapporti internazionali, fecero inutili guerre coloniali (quanto sangue versato per niente), s'inventarono un impero di morti di fame (sì perché in Italia ancora si pativa la fame, il flusso migratorio era ai massimi storici e la percentuale degli analfabeti era altissima).

Riuscirono a vincere la prima disastrosa guerra mondiale con l'aiuto degli stranieri (a noi ci avevano ricacciato fino al Piave e in due anni non solo non eravamo riusciti a conquistare un palmo di terra ma c'eravamo persi pure il Friuli), del "puzzone" e della seconda guerra è meglio calare un velo pietoso...un re burattino nelle mani delle forze più retrive e barbare della travagliata storia del nostro povero paese (e pensare che ci sono pure ancora dei nostalgici che manco erano nati).

scusate lo sproloquio la chiudo qui.

Non avremmo vinto la guerra, ma anche nella sconfitta ci vuole dignità, come quella dei caduti di El Alamein, Cefalonia, Russia e tanti e tanti altri sconosciuti eroi dimenticati. Pochi generali rimasero a fianco dei nostri soldati.

In questo sono d'accordo con elledi ai Savoia è mancata la dignità dei sovrani.


Inviato
Mi pare però che si tratti di un vizio di origine: il Regno d'Italia nasce contro Dio e contro il popolo, usurpando i diritti dei legittimi sovrani e giungendo al sacrilegio di violare la Città Santa e i diritti del Vicario di Cristo in terra.

E' ovvio che da tale abominio poteva discendere solo lo squallore di una dinastia che merita disprezzo.

Concordo con il disprezzo, ma ricordati che il re era tale per grazia di dio e (dopo Carlo Alberto) per volontà del popolo in quanto re costituzionale.

In quanto al resto ti trovo un po' retrò, l'invasione Savoia (perché questo fu una guerra d'invasione che ci hanno spacciato per guerra d'indipendenza) era purtroppo un "dovere storico" un'occasione per portare l'Italia al pari delle altre nazioni moderne.

Difficilmente le altre dinastie (tutte bene o male compromesse con gli Asburgo) avrebbero potuto portare all'unità del paese (questo è stato l'unico aspetto positivo dell'invasione dei sardo-piemontesi).

Ma i Savoia non furono in grado di gestire il paese (pensa alla questione meridionale) né i rapporti internazionali, fecero inutili guerre coloniali (quanto sangue versato per niente), s'inventarono un impero di morti di fame (sì perché in Italia ancora si pativa la fame, il flusso migratorio era ai massimi storici e la percentuale degli analfabeti era altissima).

Riuscirono a vincere la prima disastrosa guerra mondiale con l'aiuto degli stranieri (a noi ci avevano ricacciato fino al Piave e in due anni non solo non eravamo riusciti a conquistare un palmo di terra ma c'eravamo persi pure il Friuli), del "puzzone" e della seconda guerra è meglio calare un velo pietoso...un re burattino nelle mani delle forze più retrive e barbare della travagliata storia del nostro povero paese (e pensare che ci sono pure ancora dei nostalgici che manco erano nati).

scusate lo sproloquio la chiudo qui.

Non avremmo vinto la guerra, ma anche nella sconfitta ci vuole dignità, come quella dei caduti di El Alamein, Cefalonia, Russia e tanti e tanti altri sconosciuti eroi dimenticati. Pochi generali rimasero a fianco dei nostri soldati.

In questo sono d'accordo con elledi ai Savoia è mancata la dignità dei sovrani.

Pio IX e Francesco II erano re per grazia di Dio, e così pure tutti gli altri sovrani degli stati preunitari.

Vittorio Emanuele II fu solo un vile e squallido usurpatore.

La volontà del popolo ?

A parte il fatto che è quasi sacrilego porla sullo stesso piano di quella di Dio, c'è da dire che i "plebisciti" furono una delle più ignobili farse che hanno caratterizzato il vergognoso spirito "risorgimentale " (le virgolette sono d'obbligo).

L'unificazione non fu un dovere storico, ma solo un disprezzabile complotto massonico. Molte anime staranno pagando col fuoco eterno questo peccato mortale.

Tra l'altro, aggiungo, non si trattò nemmeno di una reale unificazione nazionale, dato che il regno d'Italia ha inglobato altre nazioni, attuando nei loro confronti un processo di italianizzazione forzata.

Insomma, da questo punto di vista l'Italia non si è comporta diversamente da come si comportano la Cina con il Tibet, la Francia con la Corsica,la Turchia con il Kurdistan e via dicendo.


Inviato

L’ INSURREZIONE DI MILANO DEL 1898

Il secondo Re d’Italia, Umberto I, viene ancora accusato di aver consentito il massacro

di centinaia di dimostranti a Milano, nel maggio 1898. Secondo le accuse, i

manifestanti protestavano solo per la mancanza di pane, e per il prezzo del grano,

ritenuto troppo elevato.

I fatti, però, raccontano una realtà ben diversa:

1. verso la fine del secolo diciannovesimo, erano in pieno svolgimento manovre

eversive di ampio respiro, tendenti a colpire, fra le altre, anche la Monarchia

italiana e il suo stato liberale;

2. nella primavera 1898 si verificò, in alcune zone d’Italia e specialmente al sud,

una crisi alimentare temporanea, causata dalla “saldatura” con il raccolto

dell’anno precedente e dall’imperversare del conflitto ispano – statunitense;

3. nelle zone colpite esplosero tumulti e il Governo, a tutela dell’ordine pubblico,

fu costretto a inviare reparti militari al sud, indebolendo le guarnigioni al nord;

4. a Milano non c’era alcun problema alimentare, ma gli eversori, di matrice repubblicana,

socialista e radicale e finanziati dal radicalismo francese - La Francia mal sopportava il legame italiano con Germania ed Austria-Ungheria (la triplice alleanza), sfruttarono il momento per scatenare la rivolta lungamente preparata, sperando di

colpire a morte lo Stato;

5. si eressero barricate e si provocarono disordini gravi, costringendo il Governo

a dichiarare lo stato d’assedio;

6. con le forze di cui disponeva, il comandante militare del presidio, Gen. Bava

Beccaris, occupò Piazza del Duomo, ne fece il proprio quartier generale presidiandolo

con la cavalleria e da lì iniziò la riconquista della città invasa dai ribelli;

7. questi ultimi opposero resistenza accanita ma, privati dei capi politici fra i quali i socialisti Turati ed Anna Kuliscioff

(che con mossa abile Bava Beccaris aveva arrestato subito), in soli due giorni furono

costretti a cedere;

8. i morti, compresi i soldati, non superarono gli 80, cifra dolorosa, certo, ma ben

diversa da quelle che si registrarono, ad esempio, nelle repressioni repubblicane

francesi

9. Bava Beccaris fu decorato per una sola ragione: aveva saputo compiere il proprio

dovere in circostanze obiettivamente difficili.

In conclusione: i fatti di Milano vengono ancora strumentalizzati per ragioni ideologiche

e politiche di parte. In realtà, è pacifico che lo Stato liberale aveva il diritto

e il dovere di non cedere al ricatto e di difendersi dal disegno eversivo. La responsabilità

morale per la morte dei dimostranti non è del Re, ma degli organizzatori

della rivolta che, per motivi ideologici, non esitarono a coinvolgere persone

non preparate a quello che ben sapevano sarebbe stato un duro confronto con i militari.


Inviato

RE VITTORIO EMANUELE III E L’ASCESA DEL FASCISMO

Il Re non fu il responsabile dell’ascesa al potere di Mussolini.

Ecco i fatti che lo dimostrano:

1. dopo la prima guerra mondiale l’Italia visse un periodo molto difficile, durante

il quale alle difficoltà economiche derivanti dal conflitto appena concluso si

aggiunsero le agitazioni politiche fomentate da anarchici, socialisti e comunisti,

che speravano di estendere anche al nostro Paese la rivoluzione bolscevica

avvenuta in Russia solo un anno prima. Ne nacque un conflitto politico interno,

perché alle sinistre si opposero la destra parlamentare e i cattolici.

2. In questa lotta si inserì Mussolini, promettendo ordine pubblico e rispetto dei

valori tradizionali, che gli anarchici e parte delle sinistre manifestavano di disprezzare.

Già dopo l’autunno del 1920, il fascismo ottenne l’appoggio degli

industriali, di importanti organi d’informazione e di una buona parte della popolazione.

3. Secondo la norma costituzionale di allora, al Re spettava l’onere di scegliere il

capo del governo, il quale, però, avrebbe dovuto sottoporsi al giudizio del parlamento

per il voto di fiducia.

4. In quegli anni, Vittorio Emanuele III cercò costantemente di formare governi

di conciliazione nazionale, proponendo anche a Turati, esponente socialista di

primo piano, di entrare nell’area governativa. Ma i socialisti rifiutarono e le

crisi di governo furono almeno 8 in meno di 4 anni15.

5. Nel frattempo, Mussolini acquisiva consensi, soprattutto fra la gente comune, e

progettava la cosiddetta “marcia su Roma”. Il Re si sforzò in tutti i modi di ricondurre

il fascismo nell’alveo costituzionale, rifiutò di dichiarare lo stato

d’assedio che era stato proposto dal Presidente del Consiglio Facta e cercò con

perseveranza di formare un governo senza includervi i fascisti.

6. I contrasti fra i maggiori partiti del tempo (socialista, liberale e popolare) non

consentirono la formazione di alcun governo stabile. Per esempio, nel solo

1922, i popolari di don Sturzo misero per ben due volte il veto su Giolitti quale

capo del governo, mentre i socialisti impedirono la formazione di un ministero

Orlando. Il Re chiamò allora De Nicola, che rifiutò, e Salandra, che non riuscì.

7. Non rimanevano che due possibilità: sospendere le libertà individuali imponendo

un governo autoritario militare, rischiando tra l’altro di scatenare una

guerra civile, oppure incaricare Mussolini. Lo stesso Benedetto Croce, in

quei giorni, dichiarava: “il fascismo sarà liberale”.

8. Il Re capì di non avere scelta. Non ne aveva perché voleva rimanere Re costituzionale,

rispettoso delle norme vigenti, e non un despota che ricorre alle maniere

forti quando la situazione si evolve in modo diverso da quanto desidera.

( Purtroppo i socialisti rivaleggiavano in demagogia coi comunisti e i loro capi più seri,

come Turati e Treves, non sapevano né potevano trovare il modo di staccarseli).

16 Giorgio Amendola, esponente comunista, scrisse: “la irresponsabilità delle forze politiche

che non riuscirono a formare un governo causò l’incarico a Mussolini”. Dello stesso parere lo

storico Renzo De Felice, che scrisse: “di fatto, Vittorio Emanuele III si vide costretto ad affidare

a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo”. Accadde qualcosa di molto simile anche in

Germania, dopo le elezioni del 6 novembre 1932: i socialdemocratici e le formazioni centriste

rifiutarono di unirsi alla destra moderata per contrastare il partito di Hitler (sconfitto in tali elezioni),

favorendone in modo determinante l’ascesa al potere (31 Gennaio 1933).

17 Giovanni Giolitti, avversario politico di Mussolini, affermo che la crisi “era in cancrena e non

lasciava altra via di scampo”.

18 Ecco alcuni pareri qualificati in merito (cfr. “Storia Illustrata”, dicembre 1984):

- Indro Montanelli: “Se il Re avesse firmato lo stato d’assedio il Paese si sarebbe spaccato

in due, in quanto l’esercito faceva corpo coi fascisti. Ero un bambino ma le ricordo queste

cose. La responsabilità del fascismo è tutta sulla coscienza dell’antifascismo di allora

perché quando a prevaricare è un estremismo infantile e pazzesco, quando si sputa in

faccia ai reduci della guerra, è chiaro che la maggior parte della popolazione vede con

simpatia chi dice di portare ordine, di ripristinare i valori tradizionali ecc. direi quindi che la

vecchia democrazia creò con le sue mani il fascismo.”

- Enzo Biagi “Quando il Re ricevette Benito Mussolini per dargli l’incarico di formare il governo,

aveva dietro una larga parte dell’opinione pubblica, compresi molti che poi divennero

antifascisti. Il capo delle camice nere piaceva all’inizio al Corriere della Sera e anche

a Croce e a Toscanini.”

- Giorgio Bocca: “Io non riconosco gravi responsabilità ai Savoia né per la dittatura, né per

la guerra. Le responsabilità furono di tutti: del fascismo ma anche di buona parte del popolo.

Dire che Casa Savoia ha delle responsabilità particolari è mettersi fuori dalla storia.”

A proposito dei sentimenti di Re Vittorio Emanuele III, Nell’ambito della trasmissione

“Passpartout”, andata in onda su RaiTre il 27 dicembre 2005, Bocca, ex partigiano e quotato

esponente della cultura di sinistra, ha precisato che “noi lo percepivamo come antifascista)”.

9. Mussolini formò un governo di coalizione con popolari e liberali19 e si presentò

alla Camera chiedendo la fiducia e pieni poteri20. Ebbe larghissima maggioranza21,

nonostante il fatto che i deputati fascisti fossero solo 35. Poi propose

lo scioglimento della Camera e nuove elezioni, con una legge elettorale che attribuiva

i due terzi dei seggi alla lista di maggioranza relativa22.

Il popolo venne chiamato alle urne il 6 Aprile 1924 e la lista fascista ottenne il

65% dei voti validi23.

10. Dopo il delitto Matteotti (10 Giugno 1924), la stragrande maggioranza dei parlamentari

non fascisti, invece di impegnarsi a creare le condizioni per un voto

di sfiducia al governo e di dare così al Re la possibilità di destituire Mussolini,

abbandonò volontariamente il Parlamento, ritirandosi simbolicamente

sull’Aventino. Lasciarono così mano libera a Mussolini ed uscirono

dall’ambito costituzionale, assumendo un atteggiamento eversivo del tutto ingiustificato26.

- Franco Franchi: “La monarchia si comportò con saggezza nel 1922, prendendo atto della

realtà e della volontà di una larga opinione pubblica, favorevole a Mussolini; atteggiamento

che del resto fu proprio anche dei partiti antifascisti, che accettarono di entrare nel governo

fascista.”

19 Il primo governo Mussolini era composto da 4 ministri fascisti e ben 9 ministri provenienti

dall’area liberale, fra i quali:

- due popolari: Vincenzo Tangorra (al tesoro) e Stefano Cavazzoni (al lavoro e previdenza

sociale);

- due liberali: Giuseppe de Capitani D'Arzago (all’ agricoltura) e Teofilo Rossi (all’industria

e commercio, con Giovanni Gronchi, futuro Presidente della Repubblica, quale sotto segretario);

- due democratico-sociali: Gabriello Carnazza (ai lavori pubblici) e Giovanni Colonna di

Cesarò (alle poste e telefoni).

20 Appoggiarono il governo di coalizione mussoliniano molti autorevoli esponenti democratici,

come Nitti, Giolitti, Cavazzoni, Bonomi, Salandra, Croce, De Nicola, De Gasperi, don Sturzo e

Gasparotto. A proposito del primo governo Mussolini, Alcide De Gasperi affermò: “Crediamo

oggi che sia l’unico governo possibile e non pensiamo certo di sbarrargli la strada con abili

barricate parlamentari”.

21 Ottenne infatti 306 voti a favore, 116 contrari. Qualche giorno prima, nel discorso per ottenere

la fiducia, Mussolini aveva minacciato apertamente il parlamento, ricordando che avrebbe

potuto trasformare quell’aula “sorda e grigia” in un “bivacco di manipoli”. Ma i parlamentari non

sembrarono preoccuparsene affatto.

22 Questa legge venne approvata dalla Camera con una maggioranza altrettanto schiacciante:

303 voti favorevoli.

23 Le liste presentate da Mussolini ottennero quindi direttamente dal voto popolare una maggioranza

corrispondente a quella prevista dalla nuova legge elettorale. In sostanza, quindi, il

fascismo non ottenne alcun vantaggio da questa legge.

24 Nell’Aprile 2003 persino Marcello Staglieno, scrittore di sinistra, definì questo comportamento

“sterile” e frutto di “sconsiderato autolesionismo”.

25 A questo proposito, Giolitti, già numerose volte capo del governo, dichiarò: “L’onorevole

Mussolini ha tutte le fortune politiche. A me l’opposizione ha sempre dato fastidi e travagli, con

lui se ne va e gli lascia libero il campo”.

26 Il socialista Turati scrisse ad Anna Kuliscioff: “Non ti dico come sono pentito del nostro gesto...

il ministero, più furbo di noi, ne profittò subito per liberarsi della Camera per sette mesi. E

la Camera voleva dire la sola tribuna possibile, la sola trincea, il solo controllo”.

In sintesi: furono i maggiori partiti politici del tempo (socialista, comunista, liberale

e popolare), a consegnare il governo nelle mani di Mussolini. I tentativi del Re

di trovare un’alternativa al futuro duce furono sistematicamente boicottati da quelle

forze politiche per interessi di parte, non lasciando al Sovrano altra possibilità.

E quando, dopo il delitto Matteotti, avrebbero potuto crearsi le condizioni per fornire

alla Corona il necessario appiglio costituzionale per un cambiamento, gli

stessi partiti si tirarono indietro, preferendo un atteggiamento vuoto e demagogico.


Inviato

LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938

Vittorio Emanuele III non si macchiò d’alcuna colpa promulgando le leggi razziali

dell’autunno 1938. Lo dimostrano i fatti che seguono.

Va precisato, innanzi tutto, che:

a) le leggi furono volute da Mussolini, (attraverso il parlamento), non dal Re. Una

verità troppo spesso dimenticata.

B) quelle norme non prevedevano deportazioni o uccisioni di ebrei, ma assurde

limitazioni dettate dalle pressioni naziste, come quella di non poter sposare una

donna “di razza italiana” o quella di non poter ricoprire cariche o uffici pubblici.

c) In base alle leggi di quel periodo, la promulgazione delle norme approvate dal

parlamento era, per il Re (rigidamente costituzionale), un atto dovuto.

Il Re fu sempre contrario a quelle norme discriminatorie27. Per ben 3 volte rifiutò di

firmarle, nella speranza che il parlamento ci ripensasse o che chi era contrario insorgesse,

ma invano28. A quel punto, Vittorio Emanuele III sapeva che c’erano solo

due possibilità:

1. rifiutare la promulgazione delle leggi: il Re sapeva che non sarebbe servito a

nulla. Le leggi sarebbero passate ugualmente29, anche perché Mussolini, (allora

all'apice del consenso popolare e con la Germania nazista al vertice del potere

in Europa) avrebbe trovato l’occasione che cercava da tempo per sostituire Vittorio

Emanuele III (con il quale era già ampiamente in contrasto30) con il Duca

(7 Dichiarò apertamente a Mussolini di “provare un’infinita pietà per gli ebrei”.

28 Si veda in proposito l’articolo di Mino Monicelli in “Il Giorno”, 17 Febbraio 1968.

29. Al Senato si ebbero solo 10 voti contrari, alla Camera nessuno. Nessuno dei parlamentari

ebrei, né alla Camera né in Senato, disse una sola parola contro l’approvazione di quelle norme

Nessun esponente della politica o della cultura si oppose pubblicamente all’approvazione.

Il Re era completamente isolato.

30 Un giorno, a proposito di Hitler, il duce affermò: “Se avesse avuto tra i piedi un monarca,

non sarebbe andato lontano”. In altra occasione, Mussolini rincarò la dose, dichiarando: “Peccato

che il Re non sia di razza ebraica: ci sarebbe un ottimo pretesto per spedirlo in un campo

di concentramento e liberarci da questa palla al piede.”) d'Aosta, da molti considerato più vicino al pensiero fascista.

Rifiutando la promulgazione di quelle leggi, Vittorio Emanuele III non avrebbe più potuto agire, come invece fece, per evitare che il fascismo sconfinasse negli eccessi e

nella barbarie dei regimi totalitari, come quello nazista o quello comunista.

2. Promulgare le leggi, facendo il possibile affinché non venissero applicate rigidamente.

Fu proprio ciò che accadde. Il Re non era razzista. Lo storico Luciano

Regolo, di fede repubblicana, conferma che è dalle stesse fonti originali

fasciste che apprendiamo dell’azione moderatrice effettivamente svolta dal Sovrano

sui deliranti propositi antisemiti di Mussolini e dei fanatici del regime.

Fino a quando il Re ebbe la possibilità di agire con funzione deterrente, cioè

fino all’ 8 Settembre 1943, l’estremismo antisemita non ebbe alcuna possibilità

di svilupparsi. Non furono dunque le norme italiane a provocare l'olocausto

nel nostro Paese, come prova il fatto che gli ebrei residenti nelle zone occupate

dai nazisti cercassero disperatamente, anche dopo il 1938, di raggiungere l'Italia.

(le leggi in questione non furono applicate ai parlamentari ebrei. Inoltre,

con la legge n. 1024 del 1939, promulgata dal Re, fu stabilito che le leggi razziali non dovevano

essere applicate ai familiari di ebrei volontari, caduti, mutilati, invalidi o decorati di

guerra, agli iscritti al P.N.F. dopo il delitto Matteotti, ai familiari di combattenti per la “causa fascista”,

agli ebrei che avessero acquisito speciali benemerenze e ai loro familiari etc.

L’autorevole storico tedesco Ernst Nolte ha recentemente affermato in proposito: “La discriminazione

razziale, sopravvenuta tardivamente, è stata marginale e di fatto non operativa”.

32 Ne è prova inconfutabile il fatto che la prima deportazione d’ebrei italiani fu organizzata dai

tedeschi, a Merano, dopo l’8 Settembre 1943, in una zona sotto il loro controllo militare. Nel

corso della seconda guerra mondiale, i tedeschi effettuarono deportazioni di ebrei da tutti i territori

occupati, fra i quali Polonia, Francia, Olanda e Unione Sovietica.

Citiamo a questo proposito il parere dello scrittore ebreo Alain Elkann (che ebbe i nonni uccisi

dai nazisti), secondo il quale “le leggi razziali del ’38 non erano state applicate in modo così

drastico come in altri paesi. La situazione si aggravò dopo l’8 settembre, quando i tedeschi

presero in pugno la situazione”. (“Dossier 8 settembre 1943”, con “Il Giorno”, 06-09-2003)

33Ecco cosa afferma nel suo libro “Gli ebrei in Italia durante il Fascismo” Guido Valabrega, del

Centro di Documentazione ebraica contemporanea: “Si deve obiettivamente riconoscere che

fino all’8 settembre 1943 la persecuzione razziale in Italia fu contenuta in limiti moderati e di

portata soprattutto economica […]. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 comincia per gli ebrei

italiani un tremendo periodo nuovo: l’Italia era ormai sotto il tallone tedesco e Mussolini

voleva riabilitarsi agli occhi dell’alleato.”.

Concorda anche lo storico ebreo Andreas Nachama (a lungo capo della comunità ebraica di

Berlino), che nel 2003 dichiarò: “Io ho sempre giudicato l’Italia il paese dove l’antisemitismo

era meno presente, in confronto con gli altri paesi europei. Molti ebrei tedeschi abbandonarono

subito la Germania di Hitler per rifugiarsi in Italia, dove credevano di trovare una società più

aperta e accogliente, rispetto a una Francia dove l’antisemitismo era forte. Anche dopo le leggi

razziali del ’38 l’atteggiamento della popolazione non cambia. Gli ebrei non vengono perseguitati…”.(“

Dossier 8 settembre 1943”, con “Il Giorno”, 06-09-2003)

Infatti, fino all’avvento della R.S.I. (la cosiddetta “repubblica di Salò”, nemica dichiarata di Casa

Savoia), non un ebreo Italiano morì a causa delle leggi in questione. Appena poté, con i

RR.DD. n. 25 e 26 del 20 Gennaio 1944, Re Vittorio Emanuele III abrogò le leggi razziali in tutto

il Regno del Sud. Leggi che, invece, furono mantenute in vigore nella R.S.I.)

Inoltre, grazie all’intervento diretto di Casa Savoia, numerosi ebrei si sal

varono. Di più: durante la seconda guerra mondiale, le forze armate Italiane

(fedeli al Re) che occupavano territori stranieri svolsero un’opera sistematica

di protezione degli ebrei, provocando le furiose proteste di Hitler.

In conclusione: promulgando quelle leggi, dopo aver fatto comunque tutto il possibile

per evitarle, Vittorio Emanuele III dimostrò ancora una volta di saper fare i

conti con la realtà e le inevitabili contingenze e di essere in grado di agire per il

bene dell’Italia e del suo popolo, esponendosi a critiche anche feroci e mettendo a

repentaglio la propria immagine.


Inviato

LE DIMISSIONI DI MUSSOLINI

A Vittorio Emanuele III viene anche imputata la “cattura” di Mussolini dopo il voto

di sfiducia del Gran Consiglio del fascismo del 25 Luglio 1943. Il Re viene accusato

di aver imprigionato il duce con l’inganno35.

Ma ecco, come sempre, i fatti:

1. nel pomeriggio del 25 Luglio 1943, in anticipo sulla visita già fissata, il duce si

recò dal Re, allo scopo di illustrargli il voto espresso la mattina di quello stesso

giorno dal Gran Consiglio del fascismo, con il quale, di fatto, il regime sconfessava

Mussolini e consegnava nelle mani della Corona il potere politico e

quello militare.

2. la visita di Mussolini a Re Vittorio Emanuele III rientrava nella normale prassi

politica e istituzionale di quel tempo: il significato politico e il contenuto del

voto del Gran Consiglio del fascismo del 25 Luglio 1943 imponevano a Mussolini,

in qualità di capo del governo, di presentarsi al Sovrano, al quale solo

spettava il dovere di risolvere la crisi politica. Nessun sotterfugio, dunque, né

alcuna macchinazione nell’appuntamento fra il duce ed il Re.

3. Vittorio Emanuele III ricevette da solo il capo del governo, mentre il Gen.

Puntoni, aiutante di campo del Sovrano, attendeva in una sala attigua.

4. Mussolini tentò di minimizzare, ma il Re gli fece constatare la valenza politica

del voto. Fu il duce a concludere che non gli rimaneva che dare le dimissioni.

Il Re dichiarò di accettarle.

5. Si ponevano, a questo punto, due problemi importanti: la reazione dell’ala estremista

e violenta del partito fascista ed il destino personale di Mussolini, che

si era fatto molti nemici mortali.

6. Mussolini assicurò che avrebbe dato istruzione a tutte le strutture del partito,

inclusa la Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale, di non fare alcunché.

Mantenne la promessa, facendo inviare le necessarie istruzioni scritte per telegramma

a Scorza e Galbiati, responsabili rispettivamente del partito fascista e

della milizia.

7. Il Re garantì a Mussolini che sarebbe stato accompagnato segretamente e sotto

scorta in un luogo appartato, in modo tale da ridurre al minimo i rischi che la

sua persona effettivamente correva. Mussolini ringraziò per questo trattamento37

e confermò la sua riconoscenza anche per iscritto, in data 26-07-1943, con

lettera di pugno indirizzata al Maresciallo Badoglio38.

8. Effettivamente, il duce fu fatto salire a bordo di un’ambulanza, che uscì dai

giardini della dimora reale da un cancello secondario, in modo tale da passare

inosservata.

In sintesi: il Re sfruttò appieno la prima occasione costituzionalmente valida per

esautorare Mussolini, ma nonostante i tanti anni di attrito con il duce non lo trattò

come in seguito fecero i suoi oppositori politici. Si preoccupò invece, per motivi

umanitari, dell’incolumità personale del duce e, fino a quando quest’ultimo non fu

“liberato” dai paracadutisti tedeschi, al capo del fascismo non fu torto un capello.


Inviato

8 SETTEMBRE 1943: CHI TRADÌ DAVVERO?

L’ 8 Settembre 1943 il Maresciallo Badoglio diede per radio la notizia

dell’armistizio con gli anglo-americani. La vulgata dei nazisti, dei repubblicani di

Salò e del C.L.N. fu concorde nel qualificare questo armistizio come un tradimento,

perpetrato ai danni della Germania. Molti scrittori, certamente quelli più conosciuti

dal grande pubblico, hanno accettato e confermato questa tesi che, però, contrasta

con i fatti. Ecco il perché:

1. nel 1943 era chiarissimo a tutti che la coalizione formata da Italia, Germania e

Giappone (oltre ad un certo numero di altri stati minori, come la Romania,

l’Ungheria e la Finlandia) aveva perso irrimediabilmente la guerra. La pesante

sconfitta subita dai tedeschi a Kursk e lo sbarco anglo-americano in Sicilia,

cominciato il 10 Luglio 1943, ne erano una precisa conferma.

2. L’Italia (come già l’Austria-Ungheria nel 1918) era di fronte ad un bivio: chiedere

un armistizio o essere del tutto distrutta, continuando a sacrificare militari

e civili in una guerra ormai persa. In un tal frangente, è dovere di chi guida una

nazione concludere al più presto il conflitto, per evitare sacrifici inutili39. Ne

erano consci anche in Germania, dove solo il fanatismo di Hitler e dei suoi

numerosi seguaci si opponeva ad una pace negoziata.

3. Italiani e tedeschi avevano combattuto gomito a gomito sin dal Giugno 1940.

Il nostro esercito, pur riportando numerose vittorie in importanti fatti d’arme40,

si era esaurito in tre anni di lotta valorosa e durissima, contro nemici più potenti

e su fronti estesissimi. I militari germanici sapevano benissimo tutto questo.

4. Già con l’Aprile 1943, il Principe ereditario Umberto di Savoia e suo cognato,

Filippo d’Assia-Kassel, si accordarono per manifestare ad Hitler la loro convinzione

che Italia e Germania dovessero uscire dal conflitto. Il colloquio avvenne

a Klessheim in quello stesso mese, ma senza risultato41.

Hitler voleva trasformare l’Italia in un campo di battaglia, che rallentasse il più

possibile l’avanzata degli alleati verso la Germania.

5. L’Italia fu quindi costretta a far da sé.

Il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del Fascismo votò a favore di un ordine del

giorno, comunicato preventivamente a Mussolini. In esso si prevedeva, fra

l’altro, la restituzione al Re di tutti i poteri che gli spettavano in base allo Statuto

del Regno, ivi inclusa, recitava il testo, “quella suprema iniziativa di decisione

che le nostre Istituzioni a lui attribuiscono”.

6. In una situazione così disperata, Re Vittorio Emanuele III non si tirò indietro,

ma fece il suo dovere di sovrano costituzionale, accettando le dimissioni di

Mussolini e formando il nuovo governo. Il 28 luglio, lealmente, il Re propose a

Hitler un incontro. Il dittatore tedesco rifiutò. Il governo intavolò trattative di

pace con gli alleati42.

7. Questi ultimi rifiutarono ogni trattativa, imponendo una resa incondizionata

militare, così come avevano già deciso nel gennaio 1943 a Casablanca.

8. Appresa la notizia dell’armistizio, la notte sul 9 settembre i tedeschi attaccarono

unità militari Italiane senza alcuna dichiarazione di guerra, attuando un piano

già organizzato (e realizzato nelle sue fasi iniziali) sin dall’Aprile 194343,

cioè cinque mesi prima dell’armistizio44. Non fu perciò l’Italia a cambiare

fronte: furono i nazisti a farlo, invadendoci e preparandosi a colpirci alle spalle

mentre ci stavamo ancora difendendo da un altro nemico (gli anglo-americani)

e sfruttando la nostra situazione militarmente molto confusa (com’è naturale

quando si è al punto di dover chiedere un armistizio).

9. Non bisogna infine dimenticare che la Germania aveva già tradito l’Italia in

numerose occasioni45 e che ne tradì una parte anche successivamente, nell’Aprile 1945, quando il Comando Germanico in Italia , senza dir nulla alla R.S.I. di Mussolini, stipulò l’armistizio con gli anglo-americani.

(42 Decisioni analoghe, in situazioni simili, furono prese da altri paesi, prima e dopo il Settembre

1943. Ecco alcuni esempi:

- nel 1918, dopo la sconfitta subita a Vittorio Veneto, l’Austria-Ungheria (alleata della

Germania) chiese separatamente un armistizio all’Italia. Non poteva fare altro, avendo

ormai perso la guerra. E nessuno si sognò d’accusarla di tradimento. Neppure

i tedeschi, che rimasero da soli contro l’Intesa (che in quel momento raccoglieva

tra gli altri Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti d’America);

- in circostanze del tutto simili, nel 1940 la Francia (alleata dell’Inghilterra) chiese un

armistizio alla Germania, lasciando da sola la Gran Bretagna; la quale, peraltro, nel

dicembre 1940 chiese la mediazione della Santa Sede per una pace separata con

l’Italia, sulla base degli accordi italo-inglesi del 1938;

- Il 3 Settembre 1944 la Finlandia firmò un armistizio con l’Unione Sovietica, svincolandosi

così dall’alleanza con la Germania. Il presidente finlandese Mannerheim affermò

che “il popolo finlandese, nella sua precaria situazione, aveva la libertà d’agire

secondo i propri interessi”;

- Il caso rumeno presenta anche maggiori affinità con quello Italiano. Il 22 Agosto

1944 Re Michele I liberò il suo paese dall’alleanza con la Germania ordinando alle

sue truppe di cessare i combattimenti. La reazione tedesca fu (senza alcuna dichiarazione

di guerra) quella di aggredire la Romania, che reagì combattendo contro l’ex

alleato, proprio mentre si scatenava, nella zona di Jassy, una grande offensiva sovietica.

La parte meridionale del fronte orientale tedesco crollò completamente.

43 Secondo alcune fonti, questa operazione fu denominata “piano Alarico”, dal nome del capo

dei Visigoti che invase e cominciò a saccheggiare l’Italia nel 401 d.c.

44 Già in Aprile, il famoso generale tedesco E. Rommel fu incaricato da Hitler di istituire un comando

di gruppo d’armate per organizzare l’entrata di truppe tedesche in Italia.

45 Per esempio, con il “patto d’acciaio” del maggio 1939, Hitler garantì all’Italia che non avrebbe

provocato guerre per almeno tre anni: meno di tre mesi dopo informò gli Italiani che intendeva

attaccare la Polonia. Un altro esempio: nel patto “Anticomintern”, la Germania aveva preso

l’impegno, anche con l’Italia, di non accordarsi con l’URSS, ma il 23 Agosto 1939, come se

nulla fosse, venne stipulato il cosiddetto “patto di non aggressione” con Stalin, in realtà un accordo

per l’aggressione simultanea e la spartizione della Polonia, dei tre Stati baltici, della Finlandia

e della Romania. Ancora: a Monaco, nel 1938, Hitler aveva promesso ai rappresentanti

d’Italia, Inghilterra e Francia di rispettare l’autonomia della Cecoslovacchia, ottenendo in cambio

la regione dei Sudeti. Ma sei mesi dopo si annettè con la forza l’intero territorio cecoslovacco.

Persino Mussolini concordava sul tradimento tedesco;

In conclusione: i tedeschi sapevano bene che l’Italia non poteva continuare la

guerra. Lo sapevano anche formalmente già dall’Aprile 1943, per iniziativa del

Principe Ereditario Italiano e di suo cognato. Non si può perciò parlare di tradimento

Italiano. Si deve invece parlare di tradimento tedesco, giacché fu la Germania

ad aggredire alle spalle l’Italia, per proprio esclusivo interesse e senza alcuna

dichiarazione di guerra.


Inviato

8 SETTEMBRE 1943: GLI ORDINI C’ERANO

A Vittorio Emanuele III viene spesso rivolta l’accusa di aver lasciato l’esercito

senza ordini alla data dell’armistizio. In realtà, le cose andarono diversamente.

Una premessa indispensabile: in ogni Monarchia Costituzionale (ed in ogni Repubblica)

il Capo dello Stato, pur essendo nominalmente capo delle forze armate,

non interviene direttamente nell’azione di comando. Il motivo è molto semplice:

anche quando un Sovrano od un Presidente hanno una formazione militare, è evidente

che il comando delle forze armate deve essere affidato alle persone più tecnicamente

preparate in materia, cioè agli ufficiali di carriera. Tutt’al più, il Presidente

od il Re intervengono in situazioni d’estrema gravità, quando sono in gioco i

destini della Nazione. Anche in questi casi, però, si limitano a prendere poche decisioni,

quelle principali, lasciando ovviamente ai quadri dell’esercito la loro esecuzione46.

Al di là della bontà delle decisioni prese dal vertice dello Stato, è evidente che il risultato

finale dipende moltissimo sia dai vincoli imposti dalle situazioni di fatto sia

dal modo in cui le decisioni del Capo dello Stato vengono messe in pratica.

Torniamo ai fatti storici:

1. La possibilità che i tedeschi aggredissero l’Italia subito dopo la proclamazione

dell’armistizio era ben nota a tutti i militari Italiani, soprattutto agli ufficiali superiori. Naturalmente, non vi era la certezza che ciò sarebbe successo, ma giustamente, lo si riteneva estremamente probabile.

“Siamo stati in qualche modo traditi”. Mussolini rispose: “Verissimo” (cfr. “Il Giornale”, 24-

07-2003).

( Fu così non solo dopo il 25 Luglio 1943, con la decisione dell’armistizio, ma anche, per esempio,

nel Novembre 1917, quando S.M. Vittorio Emanuele III impose agli alleati francesi e

britannici la sua decisione di arrestare l’offensiva germano-austro-ungarica sulla linea del Piave.

In entrambi i casi, il Re salvò la Patria da ben più tristi destini.

Fra i tanti esempi stranieri accenniamo a quello russo: alla fine del 1915, in piena prima guerra

mondiale, lo Zar Nicola II decise di assumere direttamente il comando dell’esercito, in grave

difficoltà. Lo Zar si trasferì al quartier generale e supervisionò la condotta delle operazioni, lasciando

naturalmente ai militari di carriera le decisioni tecniche. Da quel momento, le truppe

russe non fecero più un passo indietro. Tutto crollò, invece, con il colpo di stato repubblicano.)

2. D’altra parte, è evidente che, in virtù del patto d’alleanza stipulato il 22 Maggio

1939, l’Italia non potesse arbitrariamente voltare i cannoni in faccia ai tedeschi

per il solo fatto di aver chiesto un armistizio agli anglo-americani.

Quando venne compilato il proclama che il Maresciallo Badoglio lesse alla radio

la sera dell’8 Settembre 1943, ci si rese conto che non si poteva ordinare di

attaccare i tedeschi. Bisognava invece impartire ordini per il caso in cui i tedeschi

avessero attaccato per primi47. Ecco il significato della frase chiave di quel

proclama: “le forze armate Italiane reagiranno ad attacchi di qualunque altra

provenienza”. Un significato ben chiaro a chiunque, dal più blasonato generale

al più piccolo soldato. D’altra parte, quale avrebbe potuto essere questa “altra

provenienza”, se non quella tedesca?

3. Ma c’è molto di più. Nella sostanza, tenendo conto del rapido evolversi della

situazione, l’ordine di resistere ai tedeschi era già stato impartito con il Foglio

111 CT di metà agosto, con la memoria OP 44 (e relativo ordine applicativo48),

con la memoria OP 45 e con i promemoria n. 1 e 2. Fu infine confermato sia

dal telegramma 24202, indirizzato a tutti i comandi periferici alle ore 02 del 9

settembre, sia dall’ordine impartito dal Comando generale di Brindisi l’11 settembre.

Gli ordini, perciò, c’erano e infatti furono eseguiti eroicamente in moltissimi

casi, come vedremo in un prossimo paragrafo49.

4. Ma vi fu chi preferì non eseguire questi ordini, approfittando del clima di confusione,

peraltro inevitabile, di quel momento. E per giustificarsi inventò la favola

della loro mancanza, ben presto sfruttata (in chiave anti-monarchica) da

CLN, comunisti, R.S.I. e nazisti e poi perpetuata nei decenni seguenti dagli

storici conformisti.

In conclusione: gli ordini c’erano, ed erano estremamente chiari. Fu solo la propaganda

anti-monarchica che affermò il contrario, contribuendo tra l’altro a coprire

chi aveva preferito non compiere il proprio dovere.

(Già il 26 Luglio 1943 le armate di Hitler avevano oltrepassato il Brennero, spingendosi in

Veneto ed in Liguria, verso il centro dell’Italia. Gli attacchi a unità italiane cominciarono la notte

dell’8 settembre.

Tre ufficiali superiori di Stato Maggiore del Comando Supremo, situato a Monterotondo, telefonarono

personalmente l’ordine, “in telefonia segreta”, a tutti i Comandi ai quali era stata inviata

la OP 44 (cfr. Torsiello, in “Rivista Militare”, la rivista ufficiale dell’Esercito, 3 marzo 1952).

Basti ricordare, per ora, che intere divisioni eseguirono questi ordini, come risulta anche dal

diario ufficiale di guerra tedesco per il 1943. Citiamo, ad esempio, la “Venezia”, la “Taurinense”,

l’ ”Ariete”, la “Bergamo”, la “Acqui”, la “Piave”, la “Pinerolo”, la “Perugia” e la “Firenze”.)


Inviato

LA PARTENZA DA ROMA DI RE VITTORIO EMANUELE III

Al terzo Re d’Italia viene spesso contestato il fatto d’aver lasciato Roma il 9 Settembre

1943, sostenendo che fu un atto di vigliaccheria.

Ecco, però, i fatti:

1. In un momento così delicato, il Re, in qualità di Capo dello Stato, aveva il dovere

di evitare che l’Italia cadesse in balia dei tedeschi o degli angloamericani,

che avrebbero senza dubbio disposto a loro piacimento del nostro

Paese, creando un governo fantoccio ai propri ordini50. Era quindi assolutamente

necessario dare continuità alle istituzioni Italiane legittime, innanzi tutto

formando un nuovo governo e mettendolo in grado di agire liberamente.

2. Per riuscire in questo intento era necessario evitare la cattura da parte dei nazisti

(che progettavano la deportazione dell’intera famiglia reale già dal Luglio

194351), rimanendo però in Italia. In quel momento, la Puglia offriva questa

possibilità, così il Re si trasferì con il governo a Brindisi52.

3. Roma non poteva essere difesa. Infatti, accogliendo l'appello di Papa Pio XII,

per evitare sofferenze inutili alla popolazione e danni gravi al patrimonio artistico,

il governo italiano aveva dichiarato Roma "città aperta" sin dal 31 Luglio

1943.

4. E’ vero che il Principe ereditario Umberto di Savoia chiese di poter rimanere

nella capitale, ma infine anch’egli comprese che non poteva essere messa a repentaglio

la vita dell’ erede al trono, proprio per evitare che l’Italia rimanesse

abbandonata a sé stessa.

(50 Un caso simile, ad esempio, si ebbe in Ungheria nell’Ottobre 1944, quando i nazisti catturarono

l’ammiraglio Horthy e crearono il governo fantoccio del maggiore Ferenc Szàlasi. Gli archivi

federali statunitensi confermano, a loro volta, che il 20 Agosto 1943 gli anglo-americani

minacciarono il Re di costituire un governo fantoccio al sud.

51 Gli stessi servizi segreti americani confermarono il piano di cattura nazista in data 4 Settembre

1943. Ne parla anche un nemico di Casa Savoia, il nazista Eugen Dollmann, nel suo libro

“Roma Nazista – 1937 / 1943”, affermando che Hitler ordinò “l’arresto dell’intera famiglia reale,

di quanti Savoia si fossero potuti rintracciare e di tutto il personale di corte. “. Sempre secondo

Dollmann, “La fine della principessa Mafalda è l’indizio più chiaro e più eloquente delle intenzioni

tedesche nei riguardi della famiglia reale italiana.”

52 Lo stesso Presidente della Repubblica, Ciampi, ha affermato che così facendo “il Re ha salvato

la continuità dello stato”. Infatti, il governo italiano colmò l’incombente vuoto istituzionale,

imponendosi agli alleati quale unico interlocutore legittimo. Dello stesso parere anche il marxista

prof. Ernesto Ragionieri (cfr. la sua “Storia d’Italia”, edita da Einaudi).

Fra i tanti esempi di un tale comportamento accenniamo a quello francese del 1914, significativo

anche perché è relativo a una repubblica: durante la prima guerra mondiale, i tedeschi erano

giunti a soli 80 km da Parigi e il governo repubblicano, per assicurare un futuro alla nazione,

lasciò la capitale per trasferirsi a Bordeaux.

53 Questa dichiarazione rimase (formalmente) unilaterale, giacché non vi fu alcuna risposta ufficiale

da parte anglo-americana. Secondo il diritto internazionale, essa comportava, tra l’altro,

l’impegno italiano di eliminare dalla città ogni possibile obiettivo militare.

54 Era tutt’altro che improbabile che nel rischioso viaggio verso Brindisi, che si presentava pieno

d’incognite, Vittorio Emanuele III potesse perdere la vita, o essere catturato dai nazisti. In

tal caso, la presenza del Principe ereditario si sarebbe rivelata indispensabile.

5. Le modalità del trasferimento a Brindisi, pur effettuato velocemente a causa

del rapidissimo succedersi degli eventi, non assomigliarono certo a quelle di

una fuga: l’auto reale, con le sue insegne bene in vista, precedette tutte le altre,

imboccando la via Tiburtina alla volta di Ortona, ove avvenne l’imbarco sulla

R.N. “Baionetta” la quale, scortata dall’incrociatore R.N. “Scipione

l’Africano”, raggiunse la città pugliese nel primo pomeriggio del giorno 1055.

6. Nella situazione confusa di quei giorni, resa ancor più drammatica

dall’improvviso cambiamento della strategia anglo-americana (divenuta da un

momento all’altro incomprensibile, timida ed incerta), Vittorio Emanuele III

sapeva bene che i suoi avversari politici avrebbero avuto buon gioco

nell’accusarlo strumentalmente di vigliaccheria, ma scelse di sacrificare la sua

immagine per il bene dell’Italia.

7. Con il trasferimento a Brindisi, di fatto il Re e il Governo italiani riuscirono a

rimanere gli unici interlocutori legittimi per gli anglo-americani e impedirono

che l’Italia venisse smembrata. Gli alleati, infatti, avevano già deciso di dividere

la nostra Patria, assegnandone il nord-est (fino a Milano) agli jugoslavi, la

Puglia e parte del meridione alla Grecia, Roma alla tutela del Pontefice e tutto

il resto agli inglesi.56 La presenza di un Governo legittimo vinse anche le spinte

secessionistiche siciliane.

8. In circostanze per molti versi simili, lasciarono la capitale del loro paese la Regina

Guglielmina d’Olanda (che nel 1940 si rifugiò in Inghilterra), il Re Alberto

I del Belgio (il quale, durante la prima guerra mondiale, si rifugiò nell’unico

lembo di terra belga ancora non invaso dal nemico, per poter continuare ad esercitare

le sue alte funzioni istituzionali), il Re e il Governo greci (che ripararono

in Sudafrica), il Gen. De Gaulle e il Governo della “Francia libera” (che

si trasferirono a Londra) e persino il dittatore sovietico Stalin (che con i tedeschi

vicino a Mosca si trasferì con il suo governo a Sveldrowsk, negli Urali).

Nessuno di loro fu mai accusato di essere fuggito, perché, come la storia ha

sempre dimostrato, la salvezza del Capo dello Stato significa la salvezza della

Patria.

In sintesi: era preciso dovere del Re lasciare la capitale, sia perché in quel momento

l’Italia aveva un estremo bisogno di essere difesa anche ad alto livello, sia perché

le gravi condizioni della Patria richiedevano azioni di governo immediate, che

non potevano certo essere delegate ad alcun altro paese 57.

(Si ricordi anche i nazisti avevano già progettato e deciso la cattura dell’intera famiglia Reale e che, perciò,

rimanere a Roma sarebbe stato, per il Principe ereditario, un sacrificio inutile.

55 La velocità con la quale si effettuò il trasferimento dimostra di per sé l’infondatezza della tesi

che afferma, senza alcun riscontro documentale, che il convoglio reale poté raggiungere Pescara

grazie ad un preventivo accordo con i tedeschi.

56 Cfr. lo studio in proposito di Vanna Vailati, pubblicato nel 1988.

57 Citiamo in proposito due pareri, espressi da due persone lontanissime, sia dal punto di vista

ideologico sia in termini d’età.

- Lo storico di sinistra Lucio Villari, in un articolo di fondo pubblicato sul Corriere della Sera

del 9 Settembre 2001, scrisse: “Sono, in proposito, assolutamente convinto che fu la sal-

vezza dell’Italia che il Re, il governo e parte dello stato maggiore abbiano evitato di essere

“afferrati” dalla gendarmeria tedesca e che il trasferimento (il termine “fuga” è, com’è

noto, di matrice fascista e riscosse e riscuote però grande successo a sinistra) a Brindisi

gettò, con il Regno del Sud, il primo seme dello stato democratico e antifascista ed evitò

la terra bruciata prevista, come avverrà in Germania, dagli alleati”.

- Secondo il maresciallo Kesserling, comandante in capo delle forze armate tedesche in Italia

in quel periodo, la Monarchia aveva salvato l’unità d’Italia partendo da Roma ed aveva

preservato Roma dal saccheggio lasciandovi un membro di Casa Savoia, il Conte

Calvi di Bergolo (“Roma nazista – 1937 / 1943”, di Eugen Dollmann).


Inviato

LA GUERRA DI LIBERAZIONE

La Monarchia sabauda viene spesso accusata di non aver contribuito alla cosiddetta

“guerra di liberazione”, cioè alla lotta contro i nazisti e i nazi-fascisti della Repubblica

Sociale Italiana. L’accusa è totalmente infondata.

Ecco i fatti che lo dimostrano:

1. basandosi sul giuramento di fedeltà al Re e sul contenuto degli ordini diramati58,

lo Stato fece il possibile per reagire all’aggressione tedesca.

2. Esso poteva contare:

− sulle forze armate, composte da unità presenti sia all’interno sia all’esterno

del territorio nazionale;

− sulle formazioni partigiane monarchiche. Queste unità, dette anche “autonome”

perché non politicizzate, erano costituite proprio da militari che,

sorpresi dall’armistizio in territorio sotto controllo tedesco e non potendo

raggiungere il sud, prima rifiutarono d’arrendersi e poi si diedero alla

macchia, continuando la lotta sotto forma di guerriglia armata;

( Furono moltissimi i soldati italiani, di ogni ordine e grado, che, fedeli al giuramento prestato

al Re e sostenuti dalla popolazione, affrontarono viaggi lunghi e pericolosi per raggiungere i

territori controllati dagli alleati ed unirsi alle formazioni regolari dell’esercito. Ricordiamo, fra gli

altri, l’asso dell’aviazione silurante Carlo Emanuele Buscaglia, la M.O.V.M. Edgardo Sogno e

persino l’attuale Presidente della Repubblica, C.A. Ciampi, che però non riuscì ad arrivare al

sud e si fermò a Scanno, in Abruzzo.

60 Ricordiamo, fra le tante, la formazione piemontese costituita dai soldati della IV Armata, la

Brigata “Amendola” del Col. Gancia, la Brigata “Piave”, che operava nel trevigiano, la Brigata

“Scordia” di Cavarzerani in Cansiglio, le formazioni dei comandanti Longhi, Genovesi, De Prada

e Lombardini, operanti in Val d’Ossola e in Val di Toce, il Reggimento “Italia libera”, che agiva

in Carnia, i gruppi operanti in Lombardia e nel Veneto, il gruppo “Berta” di Tullio Benedetti,

la banda comandata da Manrico Duceschi (“Pippo”) e la banda di Bosco Martese, che agiva

nel Teramano. Ma soprattutto va ricordato l’organismo militare più importante: quello di Enrico

Martini Mauri, che operò nel basso Piemonte fino alla fine della guerra di liberazione.

Non vanno neppure dimenticati i Reali Carabinieri, molti dei quali si sacrificarono generosamente

nella guerra di liberazione. Basti ricordare i fatti di Fiesole, delle Valli di Lanzo e delle

Alpi Apuane. Fu proprio di una formazione comandata da un Capitano dei Reali Carabinieri,

Ettore Bianco, il primo successo in combattimento contro i tedeschi, conseguito a Teramo il 25

settembre 1943.

La resistenza monarchica al nazismo fu la prima a sorgere, conseguenza immediata, senza

soluzione di continuità, dell’esercizio del proprio dovere da parte dei militari.)

− sulle organizzazioni monarchiche clandestine, come l’ “Organizzazione

Franchi” di Edgardo Sogno, l’ “Organizzazione Otto” del prof. Otto Balduzzi

e il “Centro Militare”, diretto in Roma dal colonnello Giuseppe

Cordero di Montezemolo61, che coordinava tutte le azioni di resistenza

nell’Italia centrale. E ancora le attività di Amedeo Guillet (già eroe della

guerriglia italiana in Africa orientale) e di Giorgio Perlasca che, fingendosi

ambasciatore spagnolo a Budapest, salvò, a suo rischio, circa 5.000 ebrei

ungheresi.

− sul Quartier Generale di Brindisi che, alle dirette dipendenze del Re, in

contatto con gli alleati e qualche volta persino in contrasto con essi, diresse

e supportò tutte le attività, da quelle clandestine a quelle sui campi di

battaglia.

3. Nel sud del paese l’esercito italiano62 ebbe il battesimo del fuoco a fianco degli

alleati nelle due battaglie di Monte Lungo. Partecipò agli scontri, valorosamente,

anche il Principe Ereditario Umberto63. L’esercito continuò in questo suo

sforzo generoso fino al termine del conflitto, liberando molte città italiane e riscuotendo

vivi elogi da tutti i comandanti alleati che lo ebbero alle dipendenze64.

(E’ monarchico il più giovane caduto nella guerra di liberazione: il sedicenne torinese Gimmy

Curreno, portaordini, che cadde gridando “viva il Re!”.

Nell’ambito della trasmissione “Passpartout”, andata in onda su RaiTre il 27 dicembre 2005,

Giorgio Bocca, ex partigiano e quotato esponente della cultura di sinistra, ha affermato che la

resistenza non era soltanto repubblicana, ricordando le numerose formazioni partigiane monarchiche

che operavano in Piemonte ed affermando che si trovavno partigiani fedeli al Re

anche in “Giustizia e libertà”.

61 Capo riconosciuto della resistenza romana, fu la vittima più illustre del massacro nazista delle

Fosse Ardeatine.

62 Ricostituito su impulso di Umberto di Savoia nel Primo Raggruppamento Motorizzato, il nostro

esercito venne rinominato “C.I.L.” (Corpo Italiano di Liberazione) il 17 Aprile 1944, per poi

riorganizzarsi su 4 divisioni (“Cremona”, “Forlì”, “Foligno” e “Legnano”) nel Settembre dello

stesso anno. Fu la Commissione Alleata di Controllo che vietò al Principe ereditario di assumere

il comando del C.I.L. e che cercò di impedirgli di partecipare alle operazioni militari. La

stessa commissione vietò perentoriamente anche la partecipazione di Umberto di Savoia alla

guerra partigiana.

63 Riportiamo a questo proposito quanto scrisse il generale americano Clark, comandante della

V Armata americana: “il 7 Dicembre 1943, alla vigilia dell’attacco di Monte Lungo, il Principe

Umberto credette essere Suo dovere offrirsi per un volo di ricognizione sulle linee nemiche,

data la sua pericolosità ed importanza e dato che questa avrebbe salvato migliaia di vite italiane

e americane, come infatti ebbe poi a verificarsi”. Per questa azione il Principe fu proposto

dal generale americano Walker per un’alta decorazione militare americana: la Silver Star.

Umberto di Savoia fu costretto ad abbandonare l’esercito nel Giugno 1944, a causa della sua

nomina a Luogotenente del Regno. Nomina imposta dagli alleati e frutto di un marchingegno

giuridico escogitato da Enrico De Nicola, futuro Presidente della Repubblica.

64 Questi soldati, come ha autorevolmente ricordato il prof. Gian Enrico Rusconi (docente di

scienze politiche all’Università di Torino ed editorialista de “La Stampa”), “combatterono contro

i tedeschi per salvare l’onore della bandiera” (cfr. “L’Eco di Bergamo”, 24/04/2005).

La leggenda secondo la quale solo i militari della R.S.I. combatterono per l’onore d’Italia va

dunque completamente sfatata).

4. Fuori dalla penisola, e specialmente in Sardegna e in Corsica, nei Balcani, a

Cefalonia e Corfù, in Egeo, Albania e Dalmazia, la resistenza delle forze armate

italiane fu eroica65.

5. Furono decine di migliaia i militari e i semplici monarchici che, catturati dai

tedeschi e deportati in campi di concentramento, rifiutarono di collaborare con

i nazisti, sacrificando la loro libertà per non tradire il Re e, con lui, la Patria.

Almeno 70.000 pagarono la loro fedeltà con la morte66.

In conclusione: fedeli al giuramento prestato al Re ed eseguendo gli ordini ricevuti,

le forze fedeli alla Monarchia, sorrette per quanto possibile dal Quartier Generale

di Brindisi, si sacrificarono generosamente nella lotta di liberazione e costituirono

il maggior fattore italiano di resistenza al nazismo.


Inviato

REPUBBLICA E VOLONTÀ POPOLARE

Alcuni affermano che l’Italia deve rimanere per sempre una repubblica, perché così

volle il popolo dopo la seconda guerra mondiale. I fatti, però, dimostrano il contrario.

1. La legge istitutiva dell’Assemblea Costituente stabiliva che quest’ultima avrebbe

avuto un anno di tempo per approvare la Costituzione. In caso contrario,

l’assemblea sarebbe stata sciolta di diritto e il popolo avrebbe dovuto eleggerne

un’altra.

2. Alla scadenza del termine annuale (17 Giugno 1947) la Costituzione non era

ancora pronta.

3. L’Assemblea Costituente si auto-prorogò il mandato, violando la legge e impedendo

al popolo di esprimersi in proposito73.

4. Nel tentativo di evitare un ritorno democratico alla Monarchia, venne introdotto

l’art. 139 della Costituzione, che stabilisce: “La forma repubblicana non può

essere oggetto di revisione costituzionale”.

5. Questa norma fu approvata solo da una minoranza dei componenti

dell’assemblea. Infatti, votarono a favore solo 274 membri su 556 (il 49%),

mentre 205 erano assenti e 77 votarono contro. Gli emendamenti che chiedevano

la soppressione di tutto l’art. 139 non vennero neppure messi in votazione.

6. L’art. 139 vorrebbe impedire al popolo di scegliere liberamente la forma istituzionale

del proprio Stato. In altre parole, mentre la Monarchia, nella persona di

Umberto II di Savoia, accettò che fosse il popolo italiano a decidere fra Monarchia

e Repubblica, quest’ultima vorrebbe vietare allo stesso popolo di esprimersi

su un argomento di tale importanza.

In sintesi: la norma costituzionale che vorrebbe che l’Italia rimanesse per sempre

una repubblica non fu voluta dalla maggioranza degli italiani. Infatti, venne approvata

da una minoranza dei rappresentanti eletti dal popolo. Questa norma è

contraria ad ogni principio democratico, perché vorrebbe vietare al popolo di esprimersi

su un elemento essenziale: la forma dello Stato.


Inviato (modificato)

:)

post-116-1224165996_thumb.jpg

Modificato da piergi00

Supporter
Inviato

Grazie a Legio per la accurata disamina storica,veramente esauriente ed equilibrata.Studiamo(tutti)e diamoci una calmata.Proviamo a toglierci la sciarpa rossa dal collo e tentiamo di metterci alla ricerca della verita'.Qualcuno si ricordi che il Re visse al fronte nel 15-18,stette vicino ai soldati e che,dopo Caporetto,contribui' a sostenere il morale dei combattenti muovendosi da fronte a fronte(qulcuno ricorda che fu chiamato "il RE Soldato"?).Era anche piu' giovane,piu' ricco di energie...Prego i detrattori di ricordare che nel 1943 c'era un certo Sig.Badoglio.NESSUN EPITETO VOLGARE PER LUI?NESSUN RIMPROVERO DA MUOVERGLI?


Inviato

:huh: scusate tutti ma argomenti così importanti non si liquidano in pochi post. non è certo questo il luogo adatto per parlarne ma, a volte, ci vuole una rinfrescata. Queste non sono parole Nostalgiche verso un epoca che fortunatamente non ho conosciuto ma solo verità storiche che rimangono oscurate nei libri di storia, mai studiate, e strumentalizzate ad arte.

Ognuno di noi la penserà sempre come ritiene (rispetto delle opinioni altrui in primis) ma è corretto citare fonti storiche, giornali, interviste per far capire che certe decisioni erano più logiche che volute.

mi scuso se forse sono uscito off topic e spero che i moderatori non me ne vogliano. La mia voleva essere solo una precisazione "un pò vasta". per il resto sempre W l'Italia


Inviato

Legioprimigenia, il problema è a monte !

Vittorio Emanuele II e di conseguenza i regnanti suoi discendenti erano ABUSIVI perchè hanno illegittimamente costituito uno stato USURPANDO i diritti dei legittimi sovrani.

Tutto il resto è solo un triste corollario. Del resto ciascuno sa fa quello che sa fare, e i SaBoia ce lo hanno mostrato.


Inviato
.Proviamo a toglierci la sciarpa rossa dal collo

Nessuna sciarpa rossa al collo.

Io approvo, come cattolico apostolico romano, ogni frase riportato nel "Sillabo" emanato da Sua Santità Pio IX.

E questo mi impone di rigettare ogni "sciarpa rossa", ma anche di disprezzare lo squallido progetto massonico che si è realizzato col "risorgimento".


Inviato

del "puzzone" e della seconda guerra è meglio calare un velo pietoso...un re burattino nelle mani delle forze più retrive e barbare della travagliata storia del nostro povero paese (e pensare che ci sono pure ancora dei nostalgici che manco erano nati).

scusate lo sproloquio la chiudo qui.

Hai detto bene: uno sproloquio :D


Inviato

"Ognuno di noi la penserà sempre come ritiene (rispetto delle opinioni altrui in primis) ma è corretto citare fonti storiche, giornali, interviste per far capire che certe decisioni erano più logiche che volute."

ciao

tante fonti storiche, però, presentano un quadro un pò diverso della posizione di V.E. III.

P.S. Non è una polemica, è solo per discutere.

Lollone


Inviato

Forse uno sproloquio, ma altri non ci sono andati più leggeri.

Per sommi capi avrei della osservazioni da fare sulla "storia riletta dai vinti" di legio.

Cominciamo dal tentativo socialista-massonico arginato dal bravo Bava Beccaris (300 morti soltanto a Milano altro che 80!).

Intanto 'sto complotto lo conosci soltanto tu, la massoneria era stata una delle basi del Risorgimento, formata principalmente da nobili liberali, alte cariche militari, anche sovrani (N.B. Simone 79 pare che anche Pio IX fosse stato massone), giudici e persino alti prelati, che cacchio c'ha a spartire con il socialismo? I laici Savoia erano l'affermazione dei principi massoni della sovranità perché costoro avrebbero dovuto complottare contro i Savoia?

Non si sa :huh:

I socialisti forza ancora rivoluzionaria ispirata dai principi marxisti aveva tutti i vantaggi a fomentare lo scontento popolare, se stiamo dietro al più importante precetto di Marx che recita:

Non avete che da perdere le vostre catene e un mondo da guadagnare

Ma pure fosse una sommossa popolare, che chiedeva pane non il controllo dello stato, nel centro di Milano si sono trovati di fronte alle bocche dei cannoni.

Secondo me quest'ultima è una delle cose più tremende e stupide che possa fare un re, usare le armi pesanti contro il proprio popolo, contrario ad ogni etica militare (quando si fa questo si chiama colpo di stato ed è, nei termini della cavalleria, una delle cose più vigliacche: usare le armi contro i civili).

Naturalmente sparando sugli inermi Beccaris s'ammantò, di gloria e pure decorato.

Venne naturale la poca popolarità di questo sovrano con le mani sporche del sangue del suo stesso popolo, ma non fu un massone ad ucciderlo e neanche un socialista bensì un anarchico.

Tutto si può dire di Bresci tranne che facesse parte di un complotto socialmassonico per la conquista del potere dato che il precetto base del pensiero anarchico recita:

Nè Dio né Stato né Servi né Padroni

Bresci ha voluto colpire semplicemente lo Stato che uccideva i suoi figli, non voleva fare certo un colpo di stato, visto che nello stato manco ci credeva.

PS il mio anarchismo latente mi ha fatto sempre girare con la sciarpa nera (per chi non lo sapesse il fascismo mussoliniano, dati i trascorsi anarcosindacalisti d'er Puzzone, ha copiato pari pari l'iconografia anarchica mischiandola con l'iconografia del più importante movimento sindacale d'Italia quello dei Fasci Siciliani...copiandone anche il nome, insomma il fascismo è un tarocco né più né meno di un marengo comprato in Cina) :lol: :lol:


Inviato

E' giusto: un argomento così complesso non può essere trattato esaurientemente in un post; e poi sembra ancora difficile una valutazione "scientifica" e asettica di quei fatti. Non ho mai avuto simpatia per i Savoia; ma provo talora, leggendo dei fatti del 1943, a mettermi nei panni del Re, in quella tremenda situazione; credo che qualunque scelta sarebbe stata criticabile e avrebbe suscitato enormi preoccupazioni; poichè del senno di poi son piene le fosse, prima di accusarlo di vigliaccheria ci penserei su molto bene.

Saluti

Rosario


Inviato
un piccolo omaggio al nostro caro Re numismatico con una bella foto d'epoca dove si possono ammirare tante belle cosette..

post-7496-1224095256_thumb.jpg

Ma... in questo post non si sarebbe dovuto parlare di Re numismatici e foto con relative medaglie...? :rolleyes:


Ospite
Questa discussione è chiusa.

×
  • Crea Nuovo...

Avviso Importante

Il presente sito fa uso di cookie. Si rinvia all'informativa estesa per ulteriori informazioni. La prosecuzione nella navigazione comporta l'accettazione dei cookie, dei Terms of Use e della Privacy Policy.