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Ciao, qualcuno sa in età antonina, quindi nel II secolo d.C. che cosa ci si poteva comprare con un aureo (circa 110 sesterzi)?
Martina

Inviato
[quote name='martina' date='16 maggio 2005, 14:42']Ciao, qualcuno sa in età antonina, quindi nel II secolo d.C. che cosa ci si poteva comprare con un aureo (circa 110 sesterzi)?
Martina
[right][post="33450"]<{POST_SNAPBACK}>[/post][/right][/quote]

Ciao Martina, ti riporto di seguito, oltre ai link che trovi a fondo pagina, qualche nozione che spero ti possa essere d'aiuto:

[color="red"]L'aureo[/color], (lat. aureus; pl. aurei) era una moneta d'oro di Roma antica, valutata 25 denarii d'argento. L'aureo fu emesso regolarmente dal primo secolo AC all'inizio del quarto secolo d. C., quando fu sostituito dal solido. L'aureo era approssimativamente dello stesso formato del denario, ma più pesante a causa della più alta densità dell'oro.

Prima di Giulio Cesare l'aureo è stato battuto molto raramente, solitamente per i grandi pagamenti che venivano dal riscatto di prigionieri. Cesare ha battuto più frequentemente la moneta ed ha standardizzato il peso al 1/40 della libbra romana (circa 8 grammi). La massa dell'aureo è stata diminuita al 1/45 di libbra durante il regno di Nerone.

Dopo il regno di Marco Aurelio la produzione dell'aureo diminuì ed anche il peso diminuì ulteriormente fino ad 1/50 di libbra al tempo di Caracalla. Durante il terzo secolo pezzi di oro furono introdotti in una varietà di frazioni e di multipli che rendono difficile determinare la denominazione di ogni moneta d'oro.

Costantino I introdusse il solido nel 309, che sostituì l'aureo come moneta standard di oro dell'Impero romano. Il solido era una moneta con un diametro più grande e più sottile, mentre l'aureo era più piccolo e spesso e simile al denario nella dimensioni.



[color="red"]Monetazione repubblicana[/color]

Nella prima parte della storia di Roma, dalla sua fondazione (25 aprile 753 AC) a tutto il periodo monarchico (753-509 AC) e parte del periodo repubblicano (509-31 AC), il commercio non si basava sull'uso della moneta, ma su una forma di baratto che sfruttava barre di bronzo (aes rude) come mezzo di scambio: si consideri, per contro, che già alla metà del IV secolo AC, nel mondo greco, la moneta aveva raggiunto una diffusione e livelli artistici elevatissimi. L'utilizzo dell'aes rude si scontrava con la necessità di dover pesare il quantitativo di bronzo ad ogni scambio; su iniziativa di singoli mercanti, quindi, iniziarono ad essere utilizzati getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare che riportavano il loro valore, detti aes signatum. La prima moneta standardizzata da parte dello stato fu l'Aes grave o aes librale (asse librale), introdotta con l'avvio dei commerci su mare intorno al 335 AC. Il peso dell'asse (moneta) era inizialmente pari ad una libbra latina (273 g), passando poi ad una libbra romana (373 g). Multipli dell'asse furono il dupondio (2 assi), il tripondio (3 assi) ed il decusse (10 assi). Frazioni dell'asse furono il semisse (1/2 asse), il triente (1/3 di asse), il quadrante (1/4 di asse), il sestante (1/6 di asse) e l'oncia (1/12 di asse). Il valore dell'asse conobbe un progressivo calo, acquisendo via via il valore delle sue frazioni, con 1/2 libbra romana nel 286 AC, 1/6 di libbra nel 268 AC, 1 oncia (cioè 1/72 di libbra) nel 217 AC e 1/2 oncia nell'89 AC. L'uso del bronzo ha termine nel 79 AC.

La prima moneta d'argento battuta a Roma fu il didramma. Questa moneta, realizzata sullo stile di quelle greche, fu coniata in Campania per facilitare il commercio con le colonie greche del sud Italia nel 315 AC con un peso di 6,82 g. La moneta d'argento che costituì l'ossatura dell'economia romana fu, però, il denario, battuto per la prima volta a Roma nel 268 AC. Il valore iniziale del denario era di 10 assi, pari a 1/72 di libbra (4,55 g), ed aveva come frazioni il quinario (1/2 denario) ed il sesterzio (1/4 di denario). Nel 217 AC il denario fu rivalutato a 16 assi, a seguito della riduzione del valore di quest'ultimo. Venne anche coniata un'altra moneta d'argento, il Vittoriato con un valore pari a 3 sesterzi, che ebbe, però, scarsa diffusione.

La produzione di monete in oro (aureo) fu estremamente sporadica prima della conquista della Gallia (e delle sue miniere) da parte di Giulio Cesare. Le prime emissioni, ricalcando il sistema monetario greco per facilitare gli scambi con il sud dell'Italia e con l'oriente, si ebbero nel 286 AC (con un peso per l'aureo di 6,81g) e nel 209 AC (con un peso di 3,41 g). I primi aurei realmente romani si ebbero nell'87 AC da parte di Silla (con un valore di 1/30 di libbra, 9,11 g), seguiti da emissioni nel 61 AC da parte di Pompeo (con un valore di 1/36 di libbra, 9,06 g), nel 48 AC da parte di Cesare (con un valore di 1/38 di libbra, 8,55 g) ed ancora nel 48 AC, sempre da parte di Cesare (con un valore di 1/40 di libbra, 8,02 g).


[color="red"]Coniazione e ruolo della moneta[/color]

Il valore delle monete romane, e di tutte le monete antiche, era dato, a differenza delle monete attuali, dal loro valore intrinseco cioè dal valore del metallo con il quale erano realizzate.

In realtà, il valore delle monete era maggiore di quello del solo metallo in esse contenute: stime del valore di un denario, ad esempio, vanno da 1,6 a 2,85 volte il suo contenuto in argento. Ovviamente, non tutte le monete in circolazione erano in metallo prezioso, per avere anche valori utilizzabili per un uso quotidiano. Nel primo secolo dopo Cristo, ad esempio, con un asse si poteva acquistare metà libbra di pane.

Questo, però, portava ad una dicotomia tra monete con elevato valore intrinseco (sulla circolazione delle quali lo stato era particolarmente attento) e quelle che non ne avevano. Questo si può constatare, ad esempio, nella scarsa produzione di monete in bronzo dalla fine del periodo repubblicano, quando dal tempo di Silla a quello di Augusto non venne coniata nessuna moneta in bronzo; anche quando queste monete venivano poi prodotte, esse erano molto grossolane e di bassa qualità. La coniazione di monete in bronzo, infatti, venne permessa a molte autorità locali, mentre questo non avvenne per le monete in metallo prezioso. Uno dei motivi per i quali l'emissione locale di monete in bronzo era considerata di scarsa importanza per Roma, risiedeva nel fatto che le spese per lo stato erano sempre di entità considerevole e quindi venivano pagate con monete in metallo prezioso.

Oltre al riflesso economico, le monete ebbero anche un ruolo fondamentale nei diffondere nella società romana idee e messaggi tramite le iscrizioni e le immagini in esse utilizzate. La scelta delle immagini veniva delegata a dei monetari ("tresviri monetales"), giovani in attesa di diventare senatori. Questa carica, creata nel 289 AC e che durò fino alla metà del III secolo DC, prevedeva inizialmente solo tre magistrati, ma il loro numero fu portato a quattro da Giulio Cesare verso la fine delle Repubblica.

Le immagini dei primi denari consistevano di solito nel busto di Roma sul dritto e di una divinità alla guida di una biga o di una quadriga al rovescio. Il nome del magistrato monetario non appariva, anche se a volte le monete presentavano dei segni di controllo, come lettere o simboli che potevano essere utilizzati per identificare chi era responsabile di una particolare moneta. Questi simboli, poi, iniziarono ad essere sostituiti da forme abbreviate del nome del magistrato ed in seguito si iniziarono ad utilizzare le monete per rappresentare scene della storia della famiglia dei monetari: ad esempio, Sesto Pompeio Fostulo rappresentò il suo avo Fostulo che assisteva Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il numero di questi casi si fece sempre più ampio e con riferimenti sempre più recenti, diventando strumento di promozione delle classi in lotta per il governo delle Repubblica.

Un salto di livello nella immagini utilizzate si ebbe con l'emissione da parte di Giulio Cesare di monete con il proprio ritratto, invece di quello di propri antenati. Questa impostazione venne adottata anche nel periodo imperiale, con l'immagine del capo del governo utilizzata per rafforzare l'impersonificazione nell'imperatore dello stato e delle sue regole. Successivamente, l'immagine dell'imperatore venne progressivamente associata a quella delle divinità. Ulteriore salto di livello si ebbe durante la campagna contro Pompeo, nella quale Cesare emise monete con anche immagini di Venere ed Enea, con l'obiettivo di avallare in questo modo l'ipotesi di una sua discendenza divina. Questa tendenza venne portata all'estremo da Commodo, che proclamò il suo stato divino emettendo nel 192 una moneta che raffigurava sul dritto il suo busto vestito con una pelle di leone, mentre sul rovescio un'iscrizione lo proclamava come la reincarnazione di Ercole. Ulteriore sviluppo dell'utilizzo della moneta si ebbe come legittimazione della successione al trono. Dal tempo di Augusto fino alla fine dell'impero, infatti, la rappresentazione di antenati venne sostituita da quella dei familiari e degli eredi dell'imperatore, rafforzando l'immagine pubblica di quelli che si voleva venissero considerati all'altezza dell'imperatore stesso.

Mentre il dritto continuava a riportare l'immagine dell'imperatore, si assistette ad una progressiva diversificazione del rovescio delle monete per uso propagandistico. L'incisione di frasi propagandistiche, già avvenuta al termine della repubblica, durante l'impero venne spesso utilizzata in concomitanza di eventi bellici, per sottolineare l'occupazione, liberazione o pacificazione di un territorio. Alcune di queste iscrizioni erano a volte estremamente di parte, come avvenne nel 244, quando si annunciò la conquista della pace con la Persia, anche se in realtà Roma era stata costretta dai persiani a pagare forti somme di denaro per ottenere la fine delle ostilità.


[color="red"]Monete imperiali[/color]

Anche se il denario restò l'elemento portante dell'economia romana dalla sua introduzione nel 211 AC fino al termine della sua coniazione nella metà del III secolo DC, la purezza ed il peso della moneta andò lentamente, ma inesorabilmente riducendosi. Il fenomeno della svalutazione nell'economia romana era pervasivo e causato da una serie di fattori, quali la carenza di metallo prezioso, lo scarso rigore delle finanze statali e la presenza di una forte inflazione. Come detto in precedenza, il denario alla sua introduzione conteneva argento quasi puro con un peso di circa 4,5 grammi. Questi valori rimasero abbastanza stabili durante tutta la repubblica, ad eccezione dei periodi bellici. Ad esempio, i denari coniati da Marco Antonio durante la sua guerra con Ottaviano erano di diametro leggermente più piccolo e con un titolo considerevolmente inferiore: il dritto raffigurava una galea ed il nome di Antonio, mentre il rovescio presentava il nome delle particolare legione per la quale la moneta era stata emessa; c'è da notare che queste monete rimasero in circolazione per più di 200 anni a causa della carenza di metallo prezioso.

La prima riforma monetaria importante del periodo imperiale fu quella di Augusto, che prevedeva dal 15 AC la coniazione delle monete in oro ed argento controllata direttamente dall'imperatore, mentre il senato poteva decidere su delibera la coniazione dei valori minori. Per quanto riguarda le monete d'oro, ci si basava sull'aureo (1/42 di libbra romana, 7,78 g), con il quaternione come multiplo (4 aurei) ed il quinario come sottomultiplo (1/2 aureo). Per le monete d'argento, rimaneva il denario (1/84 di libbra, 3,90 g) ed il suo sottomultiplo quinario (1/2 denario). Per i valori minori, si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco, un metallo simile all'ottone, detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse).


Durante la dinastia Giulio-Claudia (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone) il valore del denario rimase relativamente stabile. Nerone, invece, introdusse nel 65 DC una nuova riforma monetaria: l'aureo venne portato ad 1/42 di libbra (7,28 g), mentre il denario a 1/96 di libbra (3,41 g). Alla fine della dinastia del Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano), Domiziano annullò la riforma di Nerone, riportando le monete ai valori della riforma di Augusto, mentre nel periodo degli imperatori adottivi (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio), Traiano reintrodusse i valori della riforma di Nerone.

Un'altra riforma si ebbe nel 215 per opera dell'imperatore Caracalla. Il denario, infatti, continuò il suo declino durante tutto l'impero di Commodo e di Settimio Severo. Con Caracalla l'aureo venne svalutato di nuovo, portandolo ad 1/50 di libbra (6,54 g). Inoltre, sia per l'aureo che per il denario (ridotto ad avere meno del 50% di argento) vennero introdotte monete con valore raddoppiato: il doppio aureo (o binione) ed il doppio denario (o antoniniano), anche se per quest'ultimo non contenne mai più di 1,6 volte il contenuto d'argento del denario. Comunque, mentre l'aureo riuscì ad avere una valutazione abbastanza stabile, anche l'antoniniano conobbe la stessa progressiva svalutazione vista col denario, fino a ridursi ad un contenuto d'argento del 2%.

Tra il 272 ed il 275, Aureliano riformò nuovamente il sistema monetario romano, eliminando la possibilità di coniazione locale delle monete minori per riportarle ad un livello qualitativo paragonabile a quello delle altre monete. L'aureo fu portato inizialmente a 1/60 di libbra (5,54 g), ma poi il suo valore fu fissato ad 1/50 di libbra (6,50 g). Per l'antoniniano si fissò un peso di 3,90 g ed un titolo di 20 parti di rame ed uno d'argento, rapporto indicato sulla moneta tramite il simbolo XXI in Latino o KA in Greco.

A seguito della riforma di Diocleziano, la monetazione romana cambiò radicalmente. Dato che il governo introdotto da Diocleziano si basava su di una tetrarchia, con la suddivisione dell'impero in due territori assegnati a due diversi imperatori e con due Cesari a supporto ai due reggenti, le monete iniziarono a non impersonificare più un singolo reggente, ma a dare un'immagine idealizzata dell'imperatore sul dritto, con il rovescio che celebrava tipicamente la gloria di Roma e la sua potenza militare. Anche dopo l'adozione del cristianesimo come religione di stato, quest'impostazione rimase abbastanza invariata: solo in poche eccezioni vennero utilizzate immagini cristiane come il chi-rho, monogramma greco per il nome Gesù Cristo. Nel 300 venne emanato un editto che fissava i prezzi massimi delle merci, con l'intento di calmierarli: i prezzi venivano espressi in denarii, anche se questa non era ormai più una moneta in circolazione. L'aureo torna ad un peso di 1/60 di libbra. Si introduce una moneta in argento, detta argenteo, con un peso pari a 1/96 di libbra. Oltre ad un antoniniano con un peso di 3,90 g, fu introdotta anche una moneta in bronzo, il follis, con un peso di circa 10 g.

Ultima riforma dell'impero romano fu nel 310 quella di Costantino, che si rifaceva al sistema bimetallico di Augusto. Venne introdotto il solido d'oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, e la siliqua d'argento, di 2,27 g pari a 1/144 di libbra: il miliarensis, con un valore doppio della siliqua, aveva quindi lo stesso peso del solido. Per quanto riguarda i bronzi, il follis, ormai fortemente svalutato, venne sostituito da una moneta di 3 g, detto nummus centonionalis, cioè 1/100 di siliqua.

Questo sistema monetario durò fino alla fine dell'Impero d'Occidente.


Inoltre ti aggiungo questo link che potrai leggerlo poi con calma e che spiega dettagliatamente alcune fasi dell'economia del periodo oltre ad altre informazioni:

Link: [url="http://www.homolaicus.com/storia/antica/roma/economia_classi.htm"]Economia e Classi Sociali[/url]

Prova a leggere anche questo link che ti riporto, molto interessante anche questo:
Link: [url="http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1859/criticaep/2-4.htm"]I metalli nobili[/url]

Inviato
Ciao, in sintesi per rispondere effettivamente alla tua domanda:

Ottaviano Augusto nel 23 a.C. riordinò il sistema monetario anche per farlo corrispondere alla vastità e alla ricchezza dell’impero, fondandolo sull’oro e sull’argento e cercando di riportare il valore intrinseco delle monete vicino al loro valore nominale.
Nel I sec. d.C. un aureo (moneta d'oro) era corrispondente a 25 denari (moneta d'argento), 100 sesterzi (moneta di bronzo), 400 assi (moneta di bronzo). Quindi un denario corrispondeva a 4 sesterzi e un sesterzio a 4 assi.
Con un asse si potevano acquistare 542 grammi di grano, due chili di lupini, un quarto di vino comune, mezzo chilo di pane, o entrare alle terme. Quindi un asse poteva valere all'incirca 0,5 € e un sesterzio circa due €.
Oltre due secoli dopo (fine del III secolo d.C.) per comprare 6,5 chili di grano occorrevano 240 sesterzi (ce ne volevano tre nel I secolo d.C.). Quindi a causa dell'inflazione il sesterzio si era svalutato di 80 volte: approssimativamente il suo valore potrebbe essere calcolato a poco più di due centesimi di €.
Crasso, uno degli uomini più ricchi di fine Repubblica, aveva un patrimonio stimato in 192 milioni di sesterzi, e il suo "collega" Giulio Cesare, nei nove anni di campagna in Gallia, fece oltre un milione di prigionieri che vennero venduti come schiavi a Roma ed ai popoli vicini. I tributi imposti ai popoli non rendevano nemmeno una minima parte di quello che si ricavava dalla vendita di schiavi. Se pensiamo che a tutta la Gallia Cesare impose un tributo annuo di 40 milioni di sesterzi, che in nove anni portò a Roma 360 milioni, quanto ricavò dalla vendita degli schiavi, considerando che il prezzo di ognuno di loro si aggirava sui 1.200-2.500 sesterzi?
La borghesia più bassa, esclusa dal potere pubblico, doveva avere almeno 5.000 sesterzi di rendita annuale, mentre quella dell'ordine equestre partiva da un censo minimo di 400.000 sesterzi: meno della metà rispetto al milione di sesterzi che come minimo doveva avere un senatore. Un cittadino poteva rivolgersi al Senato di Roma soltanto per cause dal valore maggiore di 15.000 sesterzi.
Ma nella Roma di Traiano 20.000 sesterzi di rendita erano appena sufficienti per le necessità vitali del piccolo borghese. Il poeta Giovenale limita a 400.000 sesterzi il capitale di un uomo equilibrato che sappia accontentarsi di 20.000 sesterzi di rendita, al di sotto della quale regnava l'indigenza.
Plinio il Giovane possedeva un capitale non inferiore ai venti milioni di sesterzi, eppure si dichiarava di modicae facultates e costretto a vivere di vita frugale.

Ecco un brano interessante di Petronio (morto nel 66 d.C.), tratto dai Saturnali o Satyricon LXXVI, in cui il liberto Trimalcione diventa ricco:
"Mi venne voglia di mettermi nel commercio. Per non farvela troppo lunga, feci costruire cinque navi, le riempii di vino – e allora si pagava a peso d’oro – e le spedii a Roma. Potresti pensare che l’avessi ordinato io: tutte le navi naufragarono; ed è la realtà, non è una storia. In un solo giorno Nettuno si era divorato 30 milioni di sesterzi. Pensate che mi sia arreso? Per Ercole, questi fatti non mi toccarono nemmeno, come se non fosse successo nulla. Ne costruii delle altre, più grandi, più robuste e più belle, perché nessuno dicesse che io non sono un uomo coraggioso. Sai, una grande nave ha una grande robustezza. Le riempii di nuovo di vino, lardo, fave, profumi e schiavi. A questo punto Fortunata fece un bel gesto: vendette infatti tutti i suoi ori ed i suoi vestiti e mise nelle mie mani 100 monete d’oro. Questo fu lievito per il mio patrimonio. Si fa presto quello che gli dei vogliono. Con un solo viaggio mi tirai su 100 milioni di sesterzi. Subito mi sono ricomprato tutti i terreni che erano appartenuti al mio padrone. Mi costruisco una casa, compro mercati di schiavi e giumenti; tutto quello che toccavo cresceva come un favo di miele. Quando presi a possedere io più di quanto tutta la mia patria messa insieme possiede, passai la mano: mi ritirai dal commercio ed iniziai a fare prestiti ai liberti".
I prestiti ai liberti spesso erano usurai, al punto che per frenare questa pratica, assai diffusa, già nell’anno 357 a. C. con la legge Menenia venne stabilito un interesse massimo annuo dell’8%.

A partire dal III secolo d.C. l’economia e la politica romane incontrarono molti eventi negativi, determinati soprattutto dall'aumento delle spese imperiali e soprattutto militari: il che portò a svalutazione e inflazione dei prezzi, con conseguente scomparsa delle monete in metallo pregiato. Si cercò rimedio aumentando la produzione dell’oro e imponendo il blocco dei prezzi come fece Diocleziano, ma inutilmente, perché le monete persero inesorabilmente gran parte del loro valore reale conservando solo quello nominale stabilito dalla legge.
L’imperatore Costantino cercò, agli inizi del III secolo, di riorganizzare il sistema monetario dando maggiore importanza all’oro con una prestigiosa moneta: il solido, che durò a Roma fino al V secolo e si protrasse molto nell’oriente bizantino
Le monete in argento e in bronzo di Costantino degenerarono invece in pezzi sempre più piccoli e leggeri arrivando infine nel V secolo a valori minimi.

Inviato
Hai scritto un trattato, complimenti hai spiegato benissimo le monete in età romana.
Io ho letto da qualnche parte che una giovane schiava costava sui 20000 assi, un purosangue sui 60000 assi.
Con un asse o si entrava alla terme (uomo) perchè la donna ne pagava 4 o si comprava mezzo litro di vino e una piccola pagnotta (questo nel primo sec. a.c.)

Inviato
[quote name='martina' date='20 maggio 2005, 11:36']Ciao, grazie mille. Ora ne avrò per un po'... :)
[right][post="34340"]<{POST_SNAPBACK}>[/post][/right][/quote]

Prego............. effettivamente forse ho esagerato un po', ma almeno sono stato completo nella risposta................ :blink:
Ciao.

Inviato
[quote name='Giovenaledavetralla' date='20 maggio 2005, 19:25']Hai scritto un trattato, complimenti hai spiegato benissimo le monete in età romana.
Io ho letto da qualnche parte che una giovane schiava costava sui 20000 assi, un purosangue sui 60000 assi.
Con un asse o si entrava alla terme (uomo) perchè la donna ne pagava 4 o si comprava mezzo litro di vino e una piccola pagnotta (questo nel primo sec. a.c.)
[right][post="34452"]<{POST_SNAPBACK}>[/post][/right][/quote]

Grazie.
E' molto curioso anche se provi a rapportare i valori dell'epoca con quelli attuali, xche' si puo' capire che i valori d'acquisto, poi infine non e' che discordino + di tanto anche dopo 2000 anni.........

Inviato
Si è vero avevamo calcolato che alli circa un asse adesso dovrebbe valere sui 2 euro.

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