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Salve.

Il rovescio di questo denario serrato coniato su un tondello ovale raffigura Ulisse in piedi a destra, con un bastone nella mano sinistra e la destra tesa verso il suo cane Argo che abbaia in segno di saluto, avendo riconosciuto il suo padrone appena sbarcato a Itaca, alla fine del suo viaggio da Troia.

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ROMAN REPUBLICAN COINS
C. Mamilius Limetanus, 82 BC. Denarius Serratus (Silver, 21mm, 3.81 g 9), Rome. Draped bust of Mercury to right, wearing winged petasos and with caduceus over his left shoulder; behind head, N. Rev. C MAMIL LIMETAN Ulysses standing right, holding staff in his left hand and extending his right toward his dog Argus who is barking in greeting on the right. Babelon (Mamilia) 6. Crawford 362/1. Sydenham 741. Attractively toned and struck on an oval flan. About extremely fine.
From the Stoecklin Collection.

La figura di Ulisse sulla moneta trova la sua motivazione nel fatto che il monetiere produttore del denario, appartenendo alla Gens Mamilia, si riteneva discendente da Mamilia, figlia di Telegono, il figlio nato dalla relazione dell’eroe greco con la maga Circe nel periodo di permanenza sull’isola di Eea nel viaggio di ritorno da Troia. La vicenda richiede un approfondimento fino al suo tragico epilogo di cui dirò in seguito.

Sul dritto troviamo Ermes/Mercurio con il caduceo sulla spalla, una divinità che ha legami di parentela con Ulisse, suo pronipote da parte materna. Anche di questa relazione dirò in seguito.

apollonia

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Sull’isola di Eea

Circe proviene da una stirpe divina in quanto sua madre è Perseide, una delle ninfe generate da Oceano, e suo padre è il Sole. La sorella di Circe è Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, nonché colei che generò il Minotauro. Il fratello di Circe era Eeta, re della Colchide, custode del vello d’oro e padre di Medea.

Nelle avventure degli Argonauti, Medea e Giasone, in fuga dalla Colchide, approdano sull’isola Eea, la sacra isola di Circe dove la maga, con un rito, purificò la nipote Medea dal terribile crimine di cui si era appena macchiata: l’uccisione del fratellino Apsirto.

Un giorno Ulisse, nel suo viaggio di ritorno all’amata patria Itaca, giunse insieme ai suoi compagni sulle coste di Eea dove gli eroi, reduci dalla terribile avventura sull’isola dei Lestrigoni mangiatori di uomini, esitavano ad addentrarsi tra i fitti boschi dell’isola. Per questo gli uomini da mandare in avanscoperta furono estratti a sorte. Così Omero, per bocca di Ulisse, racconta come vennero scelti gli uomini da mandare in avanscoperta:

“Divisi tutti i miei forti compagni in due gruppi e ad ambedue diedi un capo, al primo io stesso, all’altro Euriloco simile a un dio. In un elmo di bronzo agitammo le sorti: uscì il segno di Euriloco dall’intrepido cuore. Insieme a ventidue compagni si avviò, piangevano tutti, e noi piangenti si lasciavano indietro.”

In un luogo appartato tra colli erbosi, gli uomini trovarono il palazzo di Circe circondato da bestie d’ogni specie: orsi, leoni e lupi che lei, con filtri magici, aveva stregato. Le belve corsero incontro agli eroi ma non li aggredirono, anzi scodinzolarono placidamente e fecero loro le feste finché delle ancelle accolsero i valorosi eroi facendoli entrare. Il cauto Euriloco però, temendo un tranello, rimase fuori osservando dal portico ciò che accadeva all’interno.

Circe, regale e coperta da un manto d’oro, sedeva su un imponente trono. Non appena scorse i giovani greci li invitò a sedere su troni d’argento e li colmò di premure. Poi ordinò alle ancelle di preparare il kikeon, una deliziosa bevanda di vino, orzo, formaggio e miele alla quale però ella stessa aggiunse di nascosto una pozione magica. Gli uomini furono trasformati in porci ed Euriloco, che con sgomento aveva visto tutto, tornò alla nave e raccontò l’accaduto ad Ulisse. Questi, udito il tragico racconto, si allontanò immediatamente dalla nave per andare a salvare i compagni dalla tremenda maga.

L’incantesimo della maga Circe che trasforma i compagni di Ulisse in porci è illustrato da questo rebus che ho presentato in Agorà

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Mentre Ulisse s’inoltrava impavido tra i fitti boschi gli venne incontro Mercurio, il dio dai sandali alati e dal caduceo portatore di pace, che gli diede il moly, un fiore bianco con radici nere che solo gli dei erano in grado di estrarre e serviva da antidoto per combattere il filtro magico di Circe. Prima di tornare sull’Olimpo Mercurio svelò a Ulisse il segreto per sfuggire agli incanti della maga tentatrice.

(segue)

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Così l’eroe dalla mente accorta, protetto dal potere e dagli ammonimenti divini, entrò nel palazzo di Circe. Ulisse aveva l’aspetto di un dio e Circe al vederlo si aperse in un sorriso. Poi gli offrì da bere la pozione magica, ma egli vi aggiunse il divino antidoto. Così, quando la divina ammaliatrice lo sfiorò con la bacchetta magica, l’incantesimo non stregò lo scaltro Ulisse che subito, sguainando la sua affilata spada, si lanciò su Circe come se volesse ucciderla. Lei atterrita e al contempo affascinata dall’unico mortale capace di resisterle, si sottrasse e abbracciando le ginocchia dell’eroe gli disse:
“Chi sei tu che resisti ai miei incanti? Certo, devi essere Ulisse l’eroe del lungo viaggio. Mercurio mi predisse che saresti venuto da me di ritorno da Troia. Riponi nel fodero la tua spada d’argento e sali sul mio letto.”

Ma lo scaltro Ulisse, istruito da Mercurio, rispose: “Divina Circe, affinché possa fidarmi di te giura che nessun altro malvagio inganno ordirai più contro di me.” Circe, dopo aver giurato, accolse Ulisse nel suo letto che le chiese come dono di nozze di liberare i suoi compagni dall’incantesimo. Allora la divina maga cosparse gli uomini, che uomini più non erano, con misteriosi unguenti, impugnò la bacchetta magica dalla parte opposta e pronunciò la formula magica al contrario. Così da porci tornarono uomini e si abbracciarono piangendo.

Circe accolse nel suo palazzo incantato Ulisse come suo sposo. Legati da una passione travolgente, i due vissero insieme un anno di delizie. E mentre passavano i mesi le ancelle di Circe deliziavano i compagni di Ulisse.

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Ulisse al palazzo di Circe. Willem Schubart von Ehrenberg

Ma quando si compì l’anno la nostalgia per l’amata patria divenne più forte del piacere di quegli incanti. Così Ulisse e i compagni dall’animo fiero si congedarono tra le lacrime da quelle compagne e, salpando sulla nave veloce, lasciarono l’isola incantata.

Secondo alcune versioni del mito, Circe ebbe con Ulisse un figlio di nome Telegono (nato lontano,  con riferimento alla lontananza dal padre) che lei crebbe sull’isola di Eea per poi rivelargli il nome del padre. Saputo dalla madre di essere figlio di Ulisse e volendo conoscere il padre, Telegono s'imbarcò alla sua ricerca. Gettato dalla tempesta a Itaca, credendo che fosse l'isola di Corcira, per sfamare l'equipaggio si diede a saccheggiare il paese e a razziare una parte del bestiame appartenente al re. Ulisse intervenne a difendere i suoi beni, ma Telegono lo uccise accidentalmente sulla riva del mare con una lancia che aveva per punta l'aculeo di una razza (pesce le cui ferite passavano per essere mortali).

Ulisse morente, ricordando la predizione del veggente Tiresia che nell’Ade gli aveva annunciato (Odissea, canto XI): “La morte verrà da te lontano dal mare, ti coglierà nella vecchiaia…”, si fece condurre davanti lo straniero e così ebbe la spiegazione del tragico evento. Atena, accorsa inutilmente in aiuto del suo protetto, non poté fare altro che confortarlo e convincerlo ad arrendersi ai voleri del Fato. Telegono riconosciuto il padre, lo pianse a lungo e poi ne portò la salma sull’isola di Circe per darvi degna sepoltura. Telegono portò con sé su Eea anche Penelope, moglie di Ulisse, e Telemaco, l’amato figlio che Ulisse ebbe da lei. Trascorso in esilio l'anno prescritto dalla legge, Telegono sposò Penelope, Circe sposò Telemaco e, con un incantesimo, fece diventare immortali tutti loro.

Secondo la narrazione di Igino, da questi matrimoni nacquero figli illustri: “Da Circe e Telemaco nacque Latino, dal quale prese nome la gente latina, mentre da Penelope e Telegono nacque Italo, l'eroe eponimo dell'Italia, fondatore di Tusculo (oggi Frascati) e di Preneste (Palestrina).

 

apollonia

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Ermes/Mercurio e Ulisse

Secondo la tradizione, Ulisse è figlio di Anticlea e di Laerte (da qui il soprannome di Laerziade), dal quale ha ereditato il regno di Itaca.

Anticlea, la madre di Ulisse che morì di dolore in seguito alla lunga assenza del figlio, preoccupata per le sue sorti sia nella guerra di Troia sia durante il suo ritorno a casa, era figlia di Autolico. Ulisse potè parlare con lei durante la sua discesa nell’Ade.

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Anticlea nell'Ade, in primo piano Ulisse.

Autolico, il padre di Anticlea sposa di Laerte e madre di Ulisse (che ereditò la sua proverbiale astuzia proprio da questi antenati), è figlio del dio Ermes e di Chione.

Autolico ereditò dal padre Ermes dio dei ladri il dono di riuscire a rubare a chiunque senza mai essere scoperto. Soltanto Sisifo, figlio di Eolo (non il dio dei venti, ma il nonno di quest'ultimo), era considerato superiore a lui nell'arte dell'inganno, tanto da irritare lo stesso Zeus che lo condannò a una dura fatica.

Chione, figlia di Dedalione, era una donna molto attraente famosa per la sua bellezza, tanto da vantarsi di essere addirittura più bella della dea Artemide. Questa, per punire la sua vanità, la uccise con una freccia. Per il dolore Dedalione si gettò da una rupe e Apollo lo mutò in falco prima che si schiantasse al suolo.

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La morte di Chione, di Nicolas Poussin

Chione fu amata sia da Apollo sia da Ermes: dal primo nacque Filammone, che divenne famoso per la creazione di alcune forme musicali; dal secondo nacque Autolico, celebre per la sua capacità di rubare senza essere sorpreso nonché per essere stato il nonno di Ulisse.

Anticlea, figlia di Autolico e madre di Ulisse, era quindi nipote di Ermes e di conseguenza Ulisse era pronipote di Ermes da parte materna.

apollonia


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