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"Cum nimis absurdum" : l'infamia cattolica contro gli Ebrei


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CUM NIMIS ABSURDUM

Il 14 luglio del 1555 fu emanata l’infame bolla “Cum nimis absurdum” che segnò per gli Ebrei l’inizio della reclusione nei ghetti. Nelle città dello Stato della Chiesa, gli Ebrei ebbero ad essere chiusi in una sola strada, separata però dai quartieri cristiani da un muro; e l’unica comunicazione consisteva in un portone o due. Le condizioni erano alquanto malsane e i luoghi oltremodo angusti. In ogni città, il ghetto poteva avere una sola sinagoga, senza il permesso di poterne edificare di altre. Inoltre, le proprietà degli Ebrei al di fuori dei confini del ghetto, dovevano essere cedute senza ricavarne qualcosa. Una berretta gialla per gli uomini e uno scialle, un velo con un quadrato di stoffa per le donne erano il segno di riconoscimento. Fu vietato loro di assumere domestici cristiani, come anche di dialogare con gli stessi, salvo però casi di necessità e si dovevano rivolgerei ai cristiani solo con “messere”. Nei giorni di feste cristiane, come anche la domenica, era vietato loro di lavorare in pubblico. Il commercio fu vietato e ai medici di origine ebraica fu interdetto di esercitare la loro scienza versi dei pazienti cristiani. L’interesse percepito dai banchieri ebrei pre 1555 era del 18 o 24 %. Dopo quella data, il massimo che potevano ottenere era il 12%. Inoltre, la lingua ebraica nella registrazione dei contabili e dei presiti venne vietata. L’unica attività che era loro consentita era il commercio di vestiti usati (“Iudaei praefati sola arte strazzariae seu cenciariae, un vulgo dicitur , contenti” ).

Questa infame bolla poneva gli Ebrei ai margini della società e di ogni cosa concernesse la stessa. Anche le sinagoghe a Roma, prima undici, ebbero a ridursi ad una sola, che ospitava diverse Scole, come quella Castigliana, la Tempio, La Nuova, la Catalana e la Siciliana. L’unico modo poi per non entrare nel serraglio, era la conversione al Cristianesimo.

Un grande esempio di risposta alle infamie di questa bolla venne da David d’Ascoli con il suo scritto “Apologia Hebraeorum”. Anche se le argomentazioni eran buone, egli purtroppo venne condannato alla prigione perpetua.

Ad ancora, nel luglio di quell’anno, diversi Ebrei riuscirono a fuggire a Pesaro come a Ferrara, tranne un centinaio di loro, che venne imprigionato. Il commissario papale ebbe però dai prigionieri molti gioielli come molto denaro, organizzando la fuga di sé stesso come quella di almeno quaranta prigionieri. 50 Ebrei però rimasero sotto l’egida degli inquisitori e torturati. Metà di questi si convertì al cristianesimo (marrani). Pur convertendosi, ugualmente furono spediti alle galee. Sulla strada per Malta, ebbero a ribellarsi denunciando così la farsa della riconciliazione. Altri Ebrei rimanenti, che non si sottomisero alla “riconciliazione” vennero strangolati e bruciati giacché rei di apostasia, ad Ancona fra l’aprile e giugno del 1556.

IL GHETTO DI ROMA

Il ghetto di Roma, da Piazza Giudea passava per vicolo de’ Cenci giungendo ad un solo edificio – le cinque sinagoghe, o Scole - . Il muro che circondava il ghetto partiva da ponte Quattro Capi, raggiungendo Portico d’Ottavia, lasciando fuori dallo stesso il Teatro Marcello; seguiva via della Pescheria discendendo al fiume seguendo vicolo de’ Cenci. .

La Comunità Ebraica viveva in un regime autonomo, separata dal popolo romano. Aveva propri tribunali, le sue finanze come i suoi tre capi che si occupavano di ripartizione delle tasse, aiuti in denaro e in alimenti ai meno fortunati ed anche del mantenimento dell’ordine; specialmente facendo rispettare le deliberazioni del Consiglio dei Sessanta (o Anziani) – vero organo legislativo del 1524 -.

Quando nel 1559 papa Paolo IV Carafa versava in punto di morte, la popolazione ebraica diede dimostrazione del suo sdegno nei confronti del sovrano pontificio, scatenandosi contro lo stemma dello stesso e la sua statua in San Gregorio, chiesa adiacente il ghetto. La morte di Paolo IV ebbe a creare un forte entusiasmo ma non solo fra gli Ebrei – ovviamente – ma anche fra la plebe non ebraica di Roma.


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