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Modello Iglese


Giovenaledavetralla

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La "sinergia pubblico-privato" più di una volta ha dato ottimi risultati. Secondo me però la "devoluzione" totale della gestione dei beni culturali a istituzioni private non è pensabile: l'istituzione pubblica deve comunque mantenere almeno il potere di indirizzo e supervisione. Se vuoi considerare questa una posizione ideologica fallo pure :)

Questo però non sposta i termini originali della questione: qualunque possa essere il modello adottato per la gestione del patrimonio culturale (quello già acquisito) che fare dei nuovi ritrovamenti e degli studi in corso? Anche in questo caso secondo me il modello "fai da te" non è applicabile e mi trovo abbastanza d'accordo con Lucio sul fatto che l'istituzione pubblica non deve abdicare al dovere di tutelare il bene comune (di cui il patrimonio culturale è una componente importante). Che poi non lo sappia fare o non riesca o non voglia farlo è un altro discorso: ma questo potrebbe essere un aspetto di un discorso molto più generale sul "fai da te" che riguarda tanti campi della vita sociale (sicurezza, pensioni, tasse, sanità) e che ci porterebbe forse troppo lontano. Io però noto una cosa: quante volte è successo, in Italia e altrove, che si siano tagliate le risorse alle istituzioni pubbliche per metterle in condizioni di non poter funzionare e poi dire "vedete? il pubblico non funziona, il privato è meglio!" Ma questo, ripeto, è un discorso che ci porterebbe lontano e non voglio buttarla in politica...

Ciao, P. :)

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...guarda solo l' esempio del FAI che in 20 anni ha restaurato e ridonato alla comunità svariati castelli e ville storiche..Se avesse l' oppurtunità di finanziare scavi e ricerche archeologiche non sarebbe meglio che una squattrinata sovrintendenza?

247813[/snapback]

No NON sarebbe meglio.

Perché il FAI rappresenta alcuni che decidono di associarsi per conseguire i risultati che interessano a loro, per fini nobili, sì, ma in definitiva con i loro modi e con le loro priorità; la Sovrintendenza invece rappresenta gli interessi di tutti gli Italiani.

Comunque le libere associazioni e le fondazioni hanno ampie possibiltà di eseguire azioni di salvaguardia, di tutela, di recupero e di valorizzazione. Sono benvenute, nessuno oppone loro difficoltà e alcune di esse si beccano persino i soldi del 5/1000 dell'IRPEF (o hanno goduto in passato di elargizioni in Finanziaria). Ciò in cui sono giustamente limitate è nell'effettuare nuove ricerche: per fare questo (e sarebbe meglio che non lo facessero se non eccezionalmente) debbono ottenere una specifica concessione, che non è facile ottenere ma in realtà nemmeno impossibile. Io conosco bene qualcuno di questi soggetti privati che esegue ricerche archeologiche in questo (legale) modo.

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No NON sarebbe meglio.

Perché il FAI rappresenta alcuni che decidono di associarsi per conseguire i risultati che interessano a loro, per fini nobili, sì, ma in definitiva con i loro modi e con le loro priorità; la Sovrintendenza invece rappresenta gli interessi di tutti gli Italiani.

bhe meglio avere un qualcosa di più che un qualcosa di meno..al normale cittadino non interessa i fini (sempre nobili) di un o o l' altro soggetto.

interessa invece avere la fruibilità del bene tuttalpiù..o no?

Ciò in cui sono giustamente limitate è nell'effettuare nuove ricerche: per fare questo (e sarebbe meglio che non lo facessero se non eccezionalmente) debbono ottenere una specifica concessione, che non è facile ottenere ma in realtà nemmeno impossibile. Io conosco bene qualcuno di questi soggetti privati che esegue ricerche archeologiche in questo (legale) modo.

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nuove ricerche sempre coordinate dal pubblico , ma senza inutili cavilli e permessi che come tu dici dissuadono il privato dall' eseguirli(sempre ente o fondazione mai persona fisica)...perchè?che differenza fa se il lavoro di scavo ( e premettendo al medesimo livello di qualità della sovrintendnza) è eseguito da un archeologo stipendiato dallo stato o da un' associazione?che differenza c' è se i reperti vanno a finire in un museo gestito da privati e fruibile al pubblico o dello stato?

:)

Modificato da Matapan
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[...]

in Italia questo tesoretto sarebbe semplicemente finito in qualche scantinato di una sovrintendenza nell'attesa che qualche anima pia si interessi.

allo scopritore casini infiniti anche se in buona fede...

[...]

247805[/snapback]

Lasciamo da parte il tasso di onestà di un popolo rispetto a quello di altri.

Matapan ha messo in luce uno dei meccanismi che fanno sì che nel Regno Unito il sistema funzioni: è veloce ed equo, quindi non disincentiva la denuncia dei ritrovamenti.

Il pragmatismo inglese è solitamente padre di sistemi snelli ed efficienti, anche se teoricamente a maglie larghe: ne ho avuto prova diretta in varie occasioni vivendo lì per un certo periodo.

C'è da dire che l'Italia è "sfavorita" da una quantità immensa di reperti e ritrovamenti, il cui volume pone problemi organizzativi non indifferenti. Forse un po' di sano realismo e pragmatismo ci aiuterebbe...

Modificato da rob
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. . . che differenza fa se il lavoro di scavo ( e premettendo al medesimo livello di qualità della sovrintendnza) è eseguito da un archeologo stipendiato dallo stato o da un' associazione?che differenza c' è se i reperti vanno a finire in un museo privato o dello stato?

247829[/snapback]

L'interesse della Collettività non è che vengano depauperati i "giacimenti" archeologici per tirare fuori altri reperti in più dei troppi che sono già in circolazione.

Meno scavi si fanno meglio è.

Il vero interesse culturale è soprattutto che vengano "fruiti" al meglio e "pubblicamente" i reperti che già sono stati rinvenuti e che sono in magazzini pubblici o in forzieri privati e poi che vengano "salvati" in emergenza quelli che sono in vero pericolo di andare distrutti o dispersi (e se invece si trova di volta in volta il modo di scongiurare il pericolo senza scavare tanto meglio).

Lasciar con più larghezza di oggi condurre ricerche a Fondazioni e singoli Cittadini interessati? Se i reperti attualmente ancora da scoprire (quindi secondo la nostra plurisecolare tradizione giuridica riservati alla proprietà pubblica) vengono messi in luce e impossessati (anche legalmente) da privati, è evidente che la Collettività è stata depauperata di una possibilità futura (anche se magari il privato ci promette che qualche volta certuni ce li farà vedere).

Teniamo anche conto del valore della documentazione dei contesti, che quasi sempre è più significativo della integrità degli oggetti stessi (meglio ridotto in cocci, ma all'interno di una stratigrafia ben indagata, anzi indagata come oggi non siamo capaci di fare ma magari fra cinquant'anni lo saremo, che intero decontestualizzato).

Il "bene culturale" più delicato ed insostituibile non sono gli oggetti, ma i contesti stratigrafici che li contengono.

Al momento la direzione nella quale andrebbero incoraggiati gli entusiasmi e le generose (o anche interessate, non importa ;) ) disponibilità di tanti privati non è verso la ricerca ma verso la valorizzazione, la catalogazione, l'esposizione.

Una direzione che fino a pochi anni fa sembrava preclusa (quando persino gli Enti Locali facevano fatica a farsi assegnare in deposito materiali archeologici del proprio territorio), e che al contrario oggi è percorribile.

Modificato da LUCIO
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Che poi secondo me questo è il vero "modello inglese": lo sforzo di tutti (Istituzioni e Cittadini) di mettere a disposizione la conoscenza dei Beni Culturali.

Non ricerca sfrenata, ma sfrenata attività di censimento e di "pubblicazione" (in tutti i sensi :P ).

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Al momento la direzione nella quale andrebbero incoraggiati gli entusiasmi e le generose (o anche interessate, non importa  ;)  ) disponibilità di tanti privati non è verso la ricerca ma verso la valorizzazione, la catalogazione, l'esposizione.

247834[/snapback]

Siamo al cuore della questione. Su questo punto concordo con Lucio al 100%.

P.

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Non ricerca sfrenata, ma sfrenata attività di censimento e di "pubblicazione" (in tutti i sensi  ).

D'accordo Lucio, quello che sottolinei mi sembra implicito in tutto il discorso; quando parlo di sistema che non funziona non mi riferisco solo ai ritrovamenti ma anche a tutto quello che segue e vi sta intorno.

Uno degli spunti iniziali non era per caso alla collezione reale mai catalogata e pubblicata.

Tuttavia al di la della legge attuale: non conosco quante siano le persone, con quanti fondi e quanti compiti abbiano degli enti che si occupano di queste (ed altre) raccolte per cui è difficile fare valutazioni; ma è possibile che in 60 anni non si sia riusciti a pubblicare il catalogo della collezione? Altri, che hanno fatto lavori egregi con il materiale affidatogli, avevano più mezzi?

in Itaia questo tesoretto sarebbe semplicemente finito in qualche scantinato di una sovrintendenza nell' attesa che qualche anima pia si interessi.

allo scopritore casini infiniti anche se in buona fede...

Io stavo dicendo

Con una legge diversa

intendendo ovviamente estesa anche ad aspetti che non siano solo quelli relativi ai rinvenimenti.

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Vorrei però che si facesse chiarezza su un punto o sul significato dell'aggettivo "TUTELARE".

Questo è ciò che dice il vocabolario ed è il significato vero della parola:

tutelàre (aggettìvo): tutelàre (aggettìvo)

agg.

nel linguaggio giuridico, che è in relazione con l'istituto della tutela; che ha l'esercizio della tutela

che protegge, che difende; protettivo: divinità tutelari, quelle che avevano la protezione di una città.

Allora qui si parla di "proteggere" "difendere" in pratica tutelare.

Ma mi è sembrato di capire anche da altri discorsi fatti in precedenza, che questa parola viene collegata ad altri aggettivi tipo "obliterare" (chiudere o far sparire), o "distruggere" (tramite lavori agricoli o altro) dei siti meno importanti o che non interressano a nessuno.

E come dire che al tribunale dei minori (dove maggiormente viene messa in atto la tutela) su cento minori riescono a tutelarne 30 e gli altri 70 gli fanno fare una brutta fine.

E' tutela questa? :blink: :blink: :blink:

Invece penso che con il modello inglese l'archeologia sia molto più tutelata perchè coivolge maggiormente il cittadino, che si sente in dovere di fare la denuncia alle autorità non avendo nulla da temere.

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In questo senso potremmo dire che il patrimonio archeologico britannico è meno tutelato, ma più valorizzato: nel senso che si salva di meno ma quello che si salva viene censito, esposto, pubblicato etc.

Invece il patrimonio italiano è più tutelato (nel senso che più cose vengono salvate recuperandole o salvate lasciandole nel sottosuolo in condizioni di sicurezza), ma è meno valorizzato (anche perchè il nostro patrimonio è molto più abbondante e noi ci illudiamo che basti avercelo e che esso parli da solo senza bisogno di censimenti, esposizioni, pubblicazioni etc. etc.)

Sì, questo è vero e non ci fa onore; e in parte si spiega con la prima considerazione che avevo proposto in un mio primo post: dalle Università inglesi escono giovani studiosi di Archeologia, Numismatica etc. molto più maturi e pronti all'esercizio di attività concrete di quanto siano quelli che escono dal nostro sgangherato sistema accademico (che devono farsi le ossa un po' di anni prima di cominciare ad orientarsi da soli).

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Ciao a tutti.

"Invece il patrimonio italiano è più tutelato (nel senso che più cose vengono salvate recuperandole o salvate lasciandole nel sottosuolo in condizioni di sicurezza)...."

Non credo proprio che, se si fa un discorso di sostanza, il patrimonio archeologico italiano sia più "tutelato" di quello inglese.

E' vero che in Italia la "tutela" formale risulta, almeno apparentemente, più severa, irrigidita com'è da tutta una serie di divieti ed obblighi in capo ai regnicoli (pardon.. volevo scrivere ai cittadini...), che ben poco potrebbero fare di loro iniziativa senza correre il rischio di commettere reati o illeciti amministrativi.

Questa però è pura teoria, nel senso che, come i fatti di cronaca dimostrano, lo Stato è disposto a "transigere" spesso e volentieri con i trasgressori (si vedano i condoni in materia di "abusi edilizi", che è l'altra faccia della medaglia del patrimonio culturale di un Paese), mentre è incline a perseguire cittadini onesti la cui unica colpa consiste nell'essersi scelti una passione o una professione rischiosa come quella della numismatica o dell'arte antica in generale.

Ma vogliamo dire una volta per tutte, in modo diretto e senza perifrasi, qual'è il motivo di tutto ciò?

La verità è che la tradizione culturale dei cittadini di questo paese, fatta eccezione per una minoranza (oserei dire, quasi patetica, di coscienze avvedute), non ha alcuna conoscenza del patrimonio culturale che ci circonda (ambiente incluso) nè tantomeno della storia e, dunque, non ha alcun rispetto effettivo di essi.

La sensibilità verso i beni culturali, che talvolta viene sbandierata pubblicamente qui e là dall'oratore di turno, è frutto della demagogia parolaia di qualche cialtrone in cerca di voti e che sarà il primo (c'è da scommetterci) ad avere la casa abusiva sugli scogli (ma sanata grazie ai condoni) e le anfore puniche in giardino.

Questo atteggiamento spiega tra l'altro come mai una materia così delicata come quella dei beni culturali e del paesaggio (che giustamente vengono ricompresi, quasi costituissero un unicum) inscindibile), è stata governata per circa 60 anni dai noti provvedimenti legislativi di concezione fascista, purtuttavia giudicati ancor'oggi più "liberali" del "Codice Urbani" (il che è tutto dire!!) e sia tuttora informata a divieti ed obblighi degni di un regime totalitario.

C'è però qualcosa nel nostro sistema che, se possibile, è anche peggiore del proibizionismo poliziesco.

Mi riferisco all'ignoranza (madre di tutte le storture) di molti di coloro che dovrebbero amministrare il nostro patrimonio culturale, all'ignavia (o forse dovrei dire alla connivenza?) di quei sindaci che per non scontentare nessuno lasciano che si devasti l'ambiente con i piccoli e grandi ecomostri, chiudendo non uno ma due occhi ed applicando la filosofia del ....chi me lo fa fare di pestare i piedi ad un possibile elettore?

Siamo però onesti fino in fondo con noi stessi: questa situazione da terzo mondo sottosviluppato rappresenta fedelmente il disprezzo che la maggioranza dei nostri connazionali nutre verso il patrimonio culturale ed ambientale: questa comunità è disposta a pagare per vedere un'oscenità (lo dico in senso laico) come il Grande Fratello e qualsiasi altra porcheria televisiva, ma se le domandate di spendere cinque euro per entrare in un museo o partecipare con un contributo economico al restauro di un'opera d'arte, allora aspettatevi un sicuro diniego (accompagnato forse anche dal "gesto dell'ombrello").

Una vera "tutela" del patrimonio culturale non può ottenersi con sistemi repressivi ma si raggiunge grazie allo studio, alla conoscenza della storia, al senso civico dei cittadini.

Il paradosso è che gli esempi più fulgidi di amore e rispetto per i beni culturali ci vengono non dal pubblico ma proprio dai quei "privati" (si pensi solo alle collezioni numismatiche donate allo stato da illustri raccoglitori e studiosi) i cui contributi costituiscono un apporto essenziale al progresso degli studi e quindi della conoscenza: doppiamente meritevoli, prima per aver pazientemente raccolto e poi per aver generosamente donato.

Ma donato a chi? A chi, dopo decenni, non è stato in grado di catalogare quelle raccolte? A chi non è neppure in grado di custodire quelle raccolte?

Forse sarebbe stato meglio lasciare tutto ai talebani......

Saluti.

Michele

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Ciao a tutti.

"Invece il patrimonio italiano è più tutelato (nel senso che più cose vengono salvate recuperandole o salvate lasciandole nel sottosuolo in condizioni di sicurezza)...."

Non credo proprio che, se si fa un discorso di sostanza, il patrimonio archeologico italiano sia più "tutelato" di quello inglese.

E' vero che in Italia la "tutela" formale risulta, almeno apparentemente, più severa, irrigidita com'è da tutta una serie di divieti ed obblighi in capo ai regnicoli (pardon.. volevo scrivere ai cittadini...), che ben poco potrebbero fare di loro iniziativa senza correre il rischio di commettere reati o illeciti amministrativi.

Questa però è pura teoria, nel senso che, come i fatti di cronaca dimostrano, lo Stato è disposto a "transigere" spesso e volentieri con i trasgressori (si vedano i condoni in materia di "abusi edilizi", che è l'altra faccia della medaglia del patrimonio culturale di un Paese), mentre è incline a perseguire cittadini onesti la cui unica colpa consiste nell'essersi scelti una passione o una professione rischiosa come quella della numismatica o dell'arte antica in generale.

Ma vogliamo dire una volta per tutte, in modo diretto e senza perifrasi, qual'è il motivo di tutto ciò?

La verità è che la tradizione culturale dei cittadini di questo paese, fatta eccezione per una minoranza (oserei dire, quasi patetica, di coscienze avvedute), non ha alcuna conoscenza del patrimonio culturale che ci circonda (ambiente incluso) nè tantomeno della storia e, dunque, non ha alcun rispetto effettivo di essi.

La sensibilità verso i beni culturali, che talvolta viene sbandierata pubblicamente qui e là dall'oratore di turno, è frutto della demagogia parolaia di qualche cialtrone in cerca di voti e che sarà il primo (c'è da scommetterci) ad avere la casa abusiva sugli scogli (ma sanata grazie ai condoni) e le anfore puniche in giardino.

Questo atteggiamento spiega tra l'altro come mai una materia così delicata come quella dei beni culturali e del paesaggio (che giustamente vengono ricompresi, quasi costituissero un unicum) inscindibile), è stata governata per circa 60 anni dai noti provvedimenti legislativi di concezione fascista, purtuttavia giudicati ancor'oggi più "liberali" del "Codice Urbani" (il che è tutto dire!!) e sia tuttora informata a divieti ed obblighi degni di un regime totalitario.

C'è però qualcosa nel nostro sistema che, se possibile, è anche peggiore del proibizionismo poliziesco.

Mi riferisco all'ignoranza (madre di tutte le storture) di molti di coloro che dovrebbero amministrare il nostro patrimonio culturale, all'ignavia (o forse dovrei dire alla connivenza?) di quei sindaci che per non scontentare nessuno lasciano che si devasti l'ambiente con i piccoli e grandi ecomostri, chiudendo non uno ma due occhi ed applicando la filosofia del ....chi me lo fa fare di pestare i piedi ad un possibile elettore?

Siamo però onesti fino in fondo con noi stessi: questa situazione da terzo mondo sottosviluppato rappresenta fedelmente il disprezzo che la maggioranza dei nostri connazionali nutre verso il  patrimonio culturale ed ambientale: questa comunità è disposta a pagare per vedere un'oscenità (lo dico in senso laico) come il Grande Fratello e qualsiasi altra porcheria televisiva, ma se le domandate di spendere cinque euro per entrare in un museo o partecipare con un contributo economico al restauro di un'opera d'arte, allora aspettatevi un sicuro diniego (accompagnato forse anche dal "gesto dell'ombrello").

Una vera "tutela" del patrimonio culturale non può ottenersi con sistemi repressivi ma si raggiunge grazie allo studio, alla conoscenza della storia, al senso civico dei cittadini.

Il paradosso è che gli esempi più fulgidi di amore e rispetto per i beni culturali ci vengono non dal pubblico ma proprio dai quei "privati" (si pensi solo alle collezioni numismatiche donate allo stato da illustri raccoglitori e studiosi) i cui contributi costituiscono un apporto essenziale al progresso degli studi e quindi della conoscenza: doppiamente meritevoli, prima per aver pazientemente raccolto e poi per aver generosamente donato.

Ma donato a chi? A chi, dopo decenni, non è stato in grado di catalogare quelle raccolte? A chi non è neppure in grado di custodire quelle raccolte?

Forse sarebbe stato meglio lasciare tutto ai talebani......

Saluti.

Michele

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Mi trovo daccordo con le tue affermazioni, che purtroppo sono la realtà Italiana.

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. . . come mai una materia così delicata come quella dei beni culturali e del paesaggio (che giustamente vengono ricompresi, quasi costituissero un unicum) inscindibile), è stata governata per circa 60 anni dai noti provvedimenti legislativi di concezione fascista, purtuttavia giudicati ancor'oggi più "liberali" del "Codice Urbani"

. . . quei sindaci che per non scontentare nessuno lasciano che si devasti l'ambiente con i piccoli e grandi ecomostri, chiudendo non uno ma due occhi

. . . questa situazione da terzo mondo sottosviluppato rappresenta fedelmente il disprezzo che la maggioranza dei nostri connazionali nutre . . .

Il paradosso è che gli esempi più fulgidi di amore e rispetto per i beni culturali ci vengono non dal pubblico ma proprio dai quei "privati" (si pensi solo alle collezioni numismatiche donate allo stato da illustri raccoglitori e studiosi) i cui contributi costituiscono un apporto essenziale al progresso degli studi e quindi della conoscenza: doppiamente meritevoli, prima per aver pazientemente raccolto e poi per aver generosamente donato.

248193[/snapback]

Intanto non sono filosoficamente disponibile ad accettare senza adeguata discussione il postulato di una univocità fra beni culturali e beni ambientali: si tratta di due cose diversissime che comportano due tipi di atteggiamento differenti (a cominciare dal fatto che il bene culturale non ha valore in sè ma solo come espressione testimoniale di una realtà sociale, mentre il bene culturale non è altro che una risorsa consumabile la cui tutela non è finalizzata a valori morali ma alla perpetuazione di una fonte di benessere materiale per le generazioni future).

Poi proprio non mi risultano queste donazioni di beni da parte di "Possessori Privati" in questi ultimi anni. Anzi negli ultimi quarant'anni il raro ed elitario "Possessore Privato" è diventato sempre più egoista e più ingordo di far propri altri beni della Collettività anziché di mettere in comune beni privati.

A mia memoria credo proprio che a parte qualche pseudodonazione degli anni Sessanta (diciamo "donazione pelosa") grandi fenomeni di cessione mecenatistica di collezioni archeologiche o numismatiche non ne ricordo.

Viceversa negli ultimi trentacinque-quarant'anni e negli ultimi venticinque particolarmente la coscienza diffusa e popolare della proprietà collettiva del bene culturale è cresciuta e maturata, contempraneamente ad una progressiva connotazione negativa per l'impossessamento privato dell'oggetto antico (diciamo che nel comune sentire stiamo gradualmente andando verso il superamento del collezionismo privato dell'oggetto di antichità).

La coscienza della tutela archeologica in Italia è ad un livello fra i più alti mondiali: la propensione ad autodenunciarsi in occasione di ritrovamenti fortuiti durante lavori edili è maggiore che in Inghilterra o in altri paesi occidentali, e non certo per timore di punizioni.

Il libero associazionismo a fini di tutela è un fenomeno tipicamente italiano e dagli anni Sessanta in qua cresciuto a livelli impressionanti.

Contemporaneamente, grazie ad una "nuova" generazione di Funzionari (indicativamente entrati nei ruoli dell'Amministrazione all'inizio degli anni Ottanta subito dopo l'istituzione dello specifico Ministero e quasi tutti animati da forti idealità di condivisione della Cultura come strumento di elevazione civile) oggi le Soprintendenze operano con forte spirito di collaborazione con le Comunità, con le Associazioni spontanee e con gli Enti Locali: la nascita di tanti musei comunali che espongono materiale statale e che stanno aperti con il contributo di volontari ne è dimostrazione pratica.

Però andiamo ancora male.

Andiamo male soprattutto per inadeguatezza dei nostri studiosi (l'ambiente universitario italiano è francamente pessimo in questo settore) e per la mole di lavoro arretrato che ci opprime; lavoro arretrato soprattutto nel senso della costruzione di sinergie fra soggetti differenti: emanazioni dei poteri centrali dello Stato, Amministrazioni Locali, soggetti privati.

Ma nonostante questo ci siamo saldamente immessi sulla strada giusta.

Persino nonostante il pessimo D.Lvo 42/2004.

Modificato da LUCIO
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Intanto non sono filosoficamente disponibile ad accettare senza adeguata discussione il postulato di una univocità fra beni culturali e beni ambientali: si tratta di due cose diversissime che comportano due tipi di atteggiamento differenti (a cominciare dal fatto che il bene culturale non ha valore in sè ma solo come espressione testimoniale di una realtà sociale, mentre il bene culturale non è altro che una risorsa consumabile la cui tutela non è finalizzata a valori morali ma alla perpetuazione di una fonte di benessere materiale per le generazioni future).

Mi pare ci sia un lpsus nel testo. Nel dubbio considero la definizione di bene ambientale la seconda. Pero' mi sorge un dubbio :

l'esistenza del FAI (Fondo Ambiente Italiano) una splendida realta' che molto ha fatto per la tutela, la conservazione e la fruizione dei beni culturali in Italia negli ultimi 20 anni, e' da non considerare ? Oppure si vuole sostenere che tutti i beni FAI sono solo beni 'ambientali' e non anche 'culturali' ??

Poi proprio non mi risultano queste donazioni di beni da parte di "Possessori Privati" in questi ultimi anni. Anzi negli ultimi quarant'anni il raro ed elitario "Possessore Privato" è diventato sempre più egoista e più ingordo di far propri altri beni della Collettività anziché di mettere in comune beni privati.

A mia memoria credo proprio che a parte qualche pseudodonazione degli anni Sessanta (diciamo "donazione pelosa") grandi fenomeni di cessione mecenatistica di collezioni archeologiche o numismatiche non ne ricordo.

Non sarei cosi' drastico. E' pur vero che le donazioni di beni strettamente 'archeologici' si sono ridotte moltissimo [d'altra parte come potrebbe non essere, visto che i proprietari privati di beni archeologici sono stati in questi anni , e lo sono tuttora, dei perseguitati politici per i quali si invoca lo sterminio se non il genocidio alla stregua delle popolazioni kurde o armene ?]

Ma se guardiamo ad altre categorie di beni culturali : quadri, sculture, opere d'arte (il cui valore culturale e' innegabile , a meno che non si voglia restringere tale definizione ai soli beni archeologici, ma allora occorrerebbe argomentare perche' gli altri beni artistici non sono culturali..) negli ultimi 40 anni vi sono state molte donazioni anche assai rilevanti ( Junker, Lemme, Agnelli, etc. solo per citare alcuni esempi a casa nostra, se poi andiamo all'estero potremmo riempire un elenco del telefono..)

Per le monete, e' pur vero, le donazioni sono state poche e inferiori come importnaza al passato, ma come dare torto ai collezionisti se quello che viene lasciato spesso non viene catalogato (cronica mancanza di mezzi) ne' esposto (leggi sopra) , ne' valorizzato (mancanza di volonta' da parte dei soprintendenti, dico io) ??

Concordo, in ogni caso, che al di la' di croniche deficienze dell'apparato pubblico italiano, e di un atteggiamento dei Beni Culturali ancora molto repressivo nei confronti del cittadino, tuttavia vi sono validi studiosi, che anche se pochi, combattono per un miglioramento della diffusione culturale dei beni artistici e per una loro tutela e valorizzazione, portando il loro piccolo ma significativo contributo.

La battaglia non e' assolutamente persa anche se i progressi sono lenti e paiono piccoli nel mare magnum dell'indifferneza culturale, indifferenza che si cmbatte sono disseminando piu' cultura, ma di "qualita'" non di apparenza o spettacolo come oggi e' di gran moda... B)

numa numa

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Oppure si vuole sostenere che tutti i beni FAI sono solo beni 'ambientali' e non anche 'culturali' ??

248329[/snapback]

Che c'entra il FAi? Il FAi è un soggetto privato che sceglie liberamente di che cosa interessarsi: se dovesse decidere di sostenere attivamente la diffusione del gioco della pallacorda chi dovrebbe sindacare qualcosa?

   E' pur vero che le donazioni di beni strettamente 'archeologici' si sono ridotte moltissimo [d'altra parte come potrebbe non essere, visto che i proprietari privati di beni archeologici sono stati in questi anni , e lo sono tuttora, dei perseguitati politici per i quali si invoca lo sterminio se non il genocidio alla stregua delle popolazioni kurde o armene ?]

Ma se guardiamo ad altre categorie di beni culturali : quadri, sculture, opere d'arte . . . negli ultimi 40 anni vi sono state molte donazioni anche assai rilevanti . . . Per le monete, e' pur vero, le donazioni sono state poche e inferiori come importnaza al passato,

248329[/snapback]

Mentre rimane alto l'apprezzamento per le opere d'artista di ogni età (e per le arti figurative in particolare), ivi compreso il piacere per il possesso di un originale d'Autore, sta finalmente passando l'idea che il puro possesso di un oggetto archeologico pur che sia non costituisce nulla di culturale e non porta con sè alcunché di prestigioso per il privato Cittadino, anzi al contrario, si sta finalmente affermando l'idea diffusa che certe cose fanno a pugni con il possesso privato (un po' come se uno volesse tenersi in casa dei reperti giudiziari provenienti da qualche tribunale).

L'idea di cominciare a conferire a Tribunali Internazionali i crimini (quelli veri, quelli di distruzione sistematica e di contrabbando internazionale organizzato, anche di oggetti singolarmente minuti ma complessivamente imponenti) contro il patrimonio archeologico della Collettività è in arrivo.

. . . un atteggiamento dei Beni Culturali ancora molto repressivo nei confronti del cittadino, tuttavia vi sono validi studiosi

248329[/snapback]

Mi sembrava di essere stato chiaro: l'atteggiamento oggi in Italia degli Organi di Tutela Archeologica (soprattutto le Soprintendenze) non è affatto repressivo, anzi è ispirato a collaborazione fra soggetti differenti di ogni natura (e questo faccio osservare con grande dispendio di energia, perché la tentazione di limitarsi ai compiti istituzionali è ovvio che venga proprio quando ci si trova sotto una mole di superlavoro). E soprattutto è ispirato ad una enorme sensibilità nei confronti del Cittadino (quello che non volendolo si tova in mezzo ai iedi un "problema" e quello che "per pura curiosità" vuol conoscere il passato del proprio territorio).

Semmai il problema è l'inadeguatezza e l'improvvisazione degli studiosi "teorici" non in organico o non ancora in organico alle Soprintendenze e che tuttavia si affacciano all'esercizio della professione nel settore, e la loro inconsistente compenetrazione nella realtà sociale (Amministrazioni Locali, sistema scolastico, partiti politici, associazionismo), affetti da endemica impreparazione soprattutto i giovanissimi venticinquenni e trentenni, costretti ad inventarsi da sè e sostanzialmente impreparati nel proprie stesse tematiche: è un problema la cui risoluzione non può che passare anche attraverso una profonda riforma del sistema universitario del settore (ed un profondo ricambio dei docenti e del loro sistema di reclutamento). Ma i quali (giovani) studiosi intanto si arrabattano nel confrontarsi con le scelte di gestione del territorio e con le politiche museali: spesso mettendoci impegno, non sempre facendo bene, quasi mai riuscendo a concludere abbastanza.

La battaglia non e' assolutamente persa anche se i progressi sono lenti . . .

248329[/snapback]

Speriamo bene.

Torno a dire: nel "modello inglese" non c'è un intento di "liberalizzazione", anzi a furor di popolo si stanno compiendo poco alla volta piccoli passaggi di completamento di una legislazione lacunosa verso l'idea della pertinenza pubblica delle antichità archeologiche. Ciò che quel modello ha da insegnarci è invece la bontà del sistema universitario, la capacità organizzativa e l'importanza culturale data alla effettiva fruibilità dei beni.

E non è questione di avere meno cose per gestirle meglio, ma intanto essere tecnicamente capaci di gestire meglio e dopo si vedrà quali priorità darsi.

Modificato da LUCIO
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Lo scorso anno è stato aperto un museo a Bracciano ed è stato aperto grazie (per quanto riguarda i reperti Etruschi) alla donazione di un privato.

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Mentre rimane alto l'apprezzamento per le opere d'artista di ogni età (e per le arti figurative in particolare), ivi compreso il piacere per il possesso di un originale d'Autore, sta finalmente passando l'idea che il puro possesso di un oggetto archeologico pur che sia non costituisce nulla di culturale e non porta con sè alcunché di prestigioso per il privato Cittadino, anzi al contrario, si sta finalmente affermando l'idea diffusa che certe cose fanno a pugni con il possesso privato (un po' come se uno volesse tenersi in casa dei reperti giudiziari provenienti da qualche tribunale).

Contesto recisamente questa affermazione. Il privato ha sempre avuto una grossa parte nella formazione di collezioni pubbliche di importanza capitale.

Anzi, se conosciamo e leggiamo la storia delle collezioni pubbliche, la maggior parte, se non tutte, partono da dei nuclei 'fondamentali' messi insieme da privati.

Qualche esempio : la collezione del museo Borghese, uno dei musei piu' belli di Roma, deriva da quella del cardinale Scipione Borghese che con mezzi, gusto e scelte sapiente formo' una delle piu' selezionate raccolte di opere d'arte a noi pervenute. La favolosa collezione di sculture che oggi possiamo ammirare a Palazzo Altemps (Museo Nazionale Romano) fu formata dal Cardinale Altemps.

Ma senza andare troppo indietro nel tempo, mecenati moderni e illuminati hanno speso buona parte delle loro sostanze per mettere insieme delle raccolte che oggi sono aperte, fruibili, presentate benissimo al pubblico che, pagando un bigliietto, puo' goderle con dei supporti informativi e mediatici che illustrano al meglio l'opera esposta.

Qualche esempio piu' recente : la splendida collezione Gulbenkian a Lisbona (arte egiziana, greca, medio-orientale, argenti e dipinti, con una delle piu' selezionate collezioni di monete greche mai assemblate); il museo Getty a Malibu che penso tutti conoscano e che, al di la' di alcune giuste e importanti contestazioni, fornisce un esempio di mecenatismo culturale senza pari per la qualita' degli oggetti raccolti e la fruibilita' permessa al pubblico che lo visita.

Sottolineo che il collezionismo, privato, di opere d''arte e' esistito da sempre, i Tolomei collezionavano, Nerone collezionava (e ogni cittadino romano abbiente - prova ne siano le innumerevoli copie romane di poriginali greci giunte fino a noi), Petrarca collezionava, Lorenzo de' Medici, i Gonzaga, i Farnese, il Cardinale, poi papa Borgia... Si deve prendere atto di questa insopprimibile tendenza dell'animo umano e guai a volerla reprimer in nome di una mal compresa idealizzazione della proprieta' pubblica che demonizzi ogni slancio privato verso il possesso.

Piuttosto e' auspicabile una maggiore collaborazione tra pubblico e privato, spingendo il privato, come avviene in Paesi culturalmente aperti ed avanzati, a far si' che il privato metta a disposizione le sue raccolte per una consapevole e accorta fruizione pubblica collettiva.

Semmai il problema è l'inadeguatezza e l'improvvisazione degli studiosi "teorici" non in organico o non ancora in organico alle Soprintendenze e che tuttavia si affacciano all'esercizio della professione nel settore, e la loro inconsistente compenetrazione nella realtà sociale (Amministrazioni Locali, sistema scolastico, partiti politici, associazionismo), affetti da endemica impreparazione soprattutto i giovanissimi venticinquenni e trentenni, costretti ad inventarsi da sè e sostanzialmente impreparati nel proprie stesse tematiche: è un problema la cui risoluzione non può che passare anche attraverso una profonda riforma del sistema universitario del settore (ed un profondo ricambio dei docenti e del loro sistema di reclutamento). Ma i quali (giovani) studiosi intanto si arrabattano nel confrontarsi con le scelte di gestione del territorio e con le politiche museali: spesso mettendoci impegno, non sempre facendo bene, quasi mai riuscendo a concludere abbastanza.

Francamente mi sfugge dove si voglia andare a parare. Ma e il senso dovesse essere quello di considerare i funzionari della Soprintendenza come gli unici depositari della verita' sui beni culturali, allora ahinoi..

Per fortuna vi sono fior di studiosi (veri) professori universitari e non che mantengono alto il livello di conoscenza su molte opere d'arte, ove i pur lodevoli funzionari della Soprintendenza rappresentano un contributo molto piu' limitato.

numa numa

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Lo scorso anno è stato aperto un museo a Bracciano ed è stato aperto grazie (per quanto riguarda i reperti Etruschi) alla donazione di un privato.

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Può anche essere che qualche volta vi siano donazioni di beni archeologici o numismatici a vantaggio delle strutture museali pubbliche.

Però esistono anche forme strane di accasamento temporaneo di beni (con la collaborazione e la disponibilità a spenderci di un Ente Locale, magari) in vista di una rivalutazione antiquaria al momento di una prossima successione in via ereditaria (per la serie oggi mi costerebbe tenermeli, un domani la Collettività sarà comunque obbligata a restituirli ai miei eredi che ne faranno quel che vorranno).

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Lo scorso anno è stato aperto un museo a Bracciano ed è stato aperto grazie (per quanto riguarda i reperti Etruschi) alla donazione di un privato.

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Può anche essere che qualche volta vi siano donazioni di beni archeologici o numismatici a vantaggio delle strutture museali pubbliche.

Però esistono anche forme strane di accasamento temporaneo di beni (con la collaborazione e la disponibilità a spenderci di un Ente Locale, magari) in vista di una rivalutazione antiquaria al momento di una prossima successione in via ereditaria (per la serie oggi mi costerebbe tenermeli, un domani la Collettività sarà comunque obbligata a restituirli ai miei eredi che ne faranno quel che vorranno).

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E' anche giusto perchè è sempre un bene di un privato, che, anzi sarebbe di fargli tanto di cappello, per un periodo lo mette a dispozione di tutti.

E poi il museo si fà pagare il biglietto per far vedere una "collezione privata", quando si poteva aprire un museo con qualche "oggetto" che è relegato negli scantinati di tanti musei Italiani, cosi non si chiedeva al privato.

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. . . Il privato ha sempre avuto una grossa parte nella formazione di collezioni pubbliche di importanza capitale.

. . . la collezione del museo Borghese, uno dei musei piu' belli di Roma, deriva da quella del cardinale Scipione Borghese . . . La favolosa collezione di sculture che oggi possiamo ammirare a Palazzo Altemps (Museo Nazionale Romano) fu formata dal Cardinale Altemps. . . la splendida collezione Gulbenkian a Lisbona . . . il museo Getty a Malibu . . . i Tolomei collezionavano, Nerone collezionava (e ogni cittadino romano abbiente - prova ne siano le innumerevoli copie romane di poriginali greci giunte fino a noi), Petrarca collezionava, Lorenzo de' Medici, i Gonzaga, i Farnese, il Cardinale, poi papa Borgia...

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Erano, furono, collezionarono. A quali prezzi per le Collettività? Non importa.

Finalmente è nato uno spirito nuovo: quello della dimensione pubblica delle antichità e del valore testimoniale profondo e non di Wunderkammer.

Il Mecenate di oggi non va a depredare siti archeologici, ma si fa bello di produzioni artistiche contemporanee o del recupero di opere civili o sacre già di loro collocate a disposizione dei più.

Oggi si diffonde un senso di vergogna a esibire il reperto archeologico privato (vergona, non paura di chissaché): il sentimento comune è che di certe cose debbano occuparsene le istituzioni pubbliche e che siano fuori luogo in ambito privato.

Ho constatato questo in tante persone e in famiglie benestanti che trenta o quarant'anni fa si atteggiavano ben diversamente.

Di pari passo cresce il senso di inadeguatezza dell'oggetto archeologico in quanto tale e decontestualizzato: cresce il sentimento che oggetto decontestualizzato è uguale a un contesto distrutto da qualche parte.

. . . i pur lodevoli funzionari della Soprintendenza rappresentano un contributo molto piu' limitato.

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Torniamo al punto: i Funzionari delle Soprintendenze italiane sono tranquillamente all'altezza se non al di sopra dei loro colleghi del Patrimonio inglese: in numero paragonabile svolgono una mole di lavoro enormemente superiore e con risultati in termini di "tutela" non di rado migliori. Certo, sono aiutati da una legislazione che attribuisce loro poteri più incisivi, anche se sono limitati da un sistema burocratico assurdo.

Viceversa il sistema della valorizzazione e della esposizione museale e persino quello dello studio e della divulgazione in Italia sono insufficienti.

Come in Italia è indubbiamente peggiore il livello degli studi universitari di archeologia e persino di numismatica rispetto ai buoni livelli dell'Inghilterra. Io dico che c'è un nesso in queste cose e che il principio molto forte della proprietà pubblica dei nuovi ritrovamenti è per noi un'ancora di salvezza, mentre il nostro problema sta altrove (nelle Università, nella loro scarsa capacità di fare cultura e nel loro perverso sistema di reclutamento dei docenti).

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. . . Il privato ha sempre avuto una grossa parte nella formazione di collezioni pubbliche di importanza capitale.

. . . la collezione del museo Borghese, uno dei musei piu' belli di Roma, deriva da quella del cardinale Scipione Borghese . . . La favolosa collezione di sculture che oggi possiamo ammirare a Palazzo Altemps (Museo Nazionale Romano) fu formata dal Cardinale Altemps. . . la splendida collezione Gulbenkian a Lisbona . . . il museo Getty a Malibu . . . i Tolomei collezionavano, Nerone collezionava (e ogni cittadino romano abbiente - prova ne siano le innumerevoli copie romane di poriginali greci giunte fino a noi), Petrarca collezionava, Lorenzo de' Medici, i Gonzaga, i Farnese, il Cardinale, poi papa Borgia...

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Erano, furono, collezionarono. A quali prezzi per le Collettività? Non importa.

Finalmente è nato uno spirito nuovo: quello della dimensione pubblica delle antichità e del valore testimoniale profondo e non di Wunderkammer.

Il Mecenate di oggi non va a depredare siti archeologici, ma si fa bello di produzioni artistiche contemporanee o del recupero di opere civili o sacre già di loro collocate a disposizione dei più.

Oggi si diffonde un senso di vergogna a esibire il reperto archeologico privato (vergona, non paura di chissaché): il sentimento comune è che di certe cose debbano occuparsene le istituzioni pubbliche e che siano fuori luogo in ambito privato.

Ho constatato questo in tante persone e in famiglie benestanti che trenta o quarant'anni fa si atteggiavano ben diversamente.

Di pari passo cresce il senso di inadeguatezza dell'oggetto archeologico in quanto tale e decontestualizzato: cresce il sentimento che oggetto decontestualizzato è uguale a un contesto distrutto da qualche parte.

. . . i pur lodevoli funzionari della Soprintendenza rappresentano un contributo molto piu' limitato.

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Torniamo al punto: i Funzionari delle Soprintendenze italiane sono tranquillamente all'altezza se non al di sopra dei loro colleghi del Patrimonio inglese: in numero paragonabile svolgono una mole di lavoro enormemente superiore e con risultati in termini di "tutela" non di rado migliori. Certo, sono aiutati da una legislazione che attribuisce loro poteri più incisivi, anche se sono limitati da un sistema burocratico assurdo.

Viceversa il sistema della valorizzazione e della esposizione museale e persino quello dello studio e della divulgazione in Italia sono insufficienti.

Come in Italia è indubbiamente peggiore il livello degli studi universitari di archeologia e persino di numismatica rispetto ai buoni livelli dell'Inghilterra. Io dico che c'è un nesso in queste cose e che il principio molto forte della proprietà pubblica dei nuovi ritrovamenti è per noi un'ancora di salvezza, mentre il nostro problema sta altrove (nelle Università, nella loro scarsa capacità di fare cultura e nel loro perverso sistema di reclutamento dei docenti).

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Da come la descrivi tu sembra una situazione sotto controllo e che funziona bene, ma andando in giro per i campi mi sembra molto differente, tra abbandono, distruzione e ruberie varie. :blink: :blink: :blink:

Ma ci vai mai in giro per i campi??? :blink: :blink: :blink:

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Ah no?

Mi sembra una analisi equilibrata la mia: quali vedo essere le differenze con il "modello inglese" e dove ritengo bisognerebbe mettere coraggiosamente mano (nella formazione di una nuova generazione di studiosi e nella buona divulgazione soprattutto a favore degli insegnanti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado).

Quanto a quelli che rubacchiano nei campi più che andarli a cercare bisognerebbe disincentivarne l'operato diffondendo il disprezzo (e non l'ammiccante compiacimento) per ciò che essi fanno.

Modificato da LUCIO
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Analisi equilibrate a parte. Lettura oggettiva della realta' o meno.

A me pare che la questione sia un'altra.

Personalmente non mi disturba che un bene sia di proprieta' pubblica o privata, quanto che sia FRUIBILE dalla collettivita'

Per fruibile intendo, innanzitutto studiato (prima occorre studiare, comprendere le attinenze dell'opera, la sua contestaualizzazione, e poi si puo' esporla al meglio..)

catalogato a dovere, se importante pubblicato e poi finalmente esposto con i dovuti criteri di tutela, conservazione e preservazione per le generazioni future.

Che questo sia fatto da enti privati o pubblici e' a mio avviso, secondario.

Certo, la 'mano pubblica' ha una dimensioen e un respiro ben maggiore di quella privata, ma se poi si rivela inefficiente, allora ben venga il privato se riesce a garantire gli stessi obiettivi.

Non so quale sia la realta' cui Lucio faccia riferimento. Anche se in Italia la situazione del mercato dei beni archeologici e' ben diversa per i motivi cui accennavo sopra, in molti Paesi il commercio di beni archeologici, regolato e con lecita provenienza e' piu' florido che mai. Molti sono i privati che aspirano ad avere delle testimonianze storiche ed archeologiche per interesse culturale, artistico o anche come simbolo di prestigio.

C'e' un mercato dell'arte internazionale e, nei canali leciti, una stretta regolamentazione che viene osservata da mercanti, case d'asta e operatori del settore. Questo e' un dato di fatto come incontrovertibile e' l'incremento, negli anni recenti, degli scambi commerciali in questo settore.

E' inutile mettere la testa sotto la sabbia, piuttosto e' piu' costruttivo capire come spingere maggiormente i privati a far fruire dei beni artistici in loro possesso un pubblico piu' vasto.

La collezione Thyssen (seconda collezione privata di quadri al mondo dopo quella della regina Elisabetta) , che non e' di 200 anni fa, da di poche decine di anni fa, e' un altro esempio di collezione privata 'prestata' al pubblico attraverso una cooperazione pubblico-privato che merita tanto di cappello. Vorrei proprio vedere quali tempi avrebbe richiesto la stessa cosa in Italia se mai sarebbe potuta accadere...

numa numa

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. . .

Personalmente non mi disturba che un bene sia di proprieta' pubblica o privata, quanto che sia FRUIBILE dalla collettivita'.

. . .

Certo, la 'mano pubblica' ha una dimensioen e un respiro ben maggiore di quella privata, ma se poi si rivela inefficiente. . .

248425[/snapback]

Il nodo della questione è quello della fruibilità.

E' che se ad un pincopallino qualsiasi gli interessa la serie fusa romano-repubblicana deve poter avere facile accesso ai pezzi finora rinvenuti, ovunque essi siano.

E non c'è niente da fare: per ottenere questo scopo bisogna migliorare di molto il livello dei nostri studiosi, bisogna censire, esporre, pubblicare.

Quindi c'è bisogno di giovani studiosi capaci e svincolati dalle logiche baronali.

Questo è il "modello inglese".

Poi il "modello inglese" (se ne stanno accorgendo anche loro) funziona meglio e più facilmente se la maggior parte degli oggetti sono di proprietà pubblica: se a nessuno viene in mente che potrebbe impossessarsi egoisticamente della monetina antica ritrovata, perché è ovvio che va consegnata, in quanto è un bene di tutti.

Se ad un Antiquarium comunale o ad una Fondazione privata viene sopontaneo di chiedere e di ottenere la gestione di beni pubblici per l'esposizione.

Il sistema italiano è vicino ad essere sufficientemente efficiente riguardo alla "tutela" , ma è inadeguato riguardo alla "fruibilità". La tutela dovrebbero farla le Soprintendenze e infatti la fanno; la fruibilità dovremmo farla un po' tutti, Enti Locali e Privati compresi, ma soprattutto dovrebbero lavorarci le Università.

Teniamo dunque buona la tutela che c'è, anche aumentandola se possibile, ma soprattutto induciamo gli altri soggetti a fare della buona fruibilità.

E lo stiamo facendo, piano piano lo stiamo facendo: la "palla al piede" rimane un certo mondo avvelenato dentro alle Università.

Modificato da LUCIO
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si tratta di due cose diversissime che comportano due tipi di atteggiamento differenti (a cominciare dal fatto che il bene culturale non ha valore in sè ma solo come espressione testimoniale di una realtà sociale, mentre il bene culturale non è altro che una risorsa consumabile la cui tutela non è finalizzata a valori morali ma alla perpetuazione di una fonte di benessere materiale per le generazioni future).

Mi pare ci sia un lpsus nel testo. Nel dubbio considero la definizione di bene ambientale la seconda.

Concordo con la lettura di numa e trasecolo. Lucio, va bene che sei appassionato di storia risorgimentale, ma non sarebbe il caso di aggiornare la tua concezione di bene ambientale che risale almeno al 1850? L'ambiente non è altro che una risorsa consumabile? Solo una fonte di benessere materiale? La protezione dell'ambiente non ha valore morale? Santo cielo, spero che sia un equivoco... Se non altro perchè purtroppo pensare il pianeta come un sistema aperto (estraggo una quantità illimitata di risorse primarie, le processo per produrre beni materiali, butto una quantità illimitata di scarti nello scarico del cesso...) non è più fattibile: ti è capitato di guardare le previsioni del tempo ultimamente? Scusate l'off-topic, non voglio fare "l'abbracciatore di alberi" ma certe affermazioni per me non possono passare inosservate. D'altra parte perchè ci si dovrebbe vergognare di tenersi l'anfora a casa e non di pensare a un bel prato solamente in funzione del suo valore come terreno edificabile?

Ciao, P. :angry:

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