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Primo nucleo di fonti sulla zecca sveva di Napoli, in Mémoire des Princes Angevins


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  • 1 anno dopo...
Inviato (modificato)

Uno dei problemi fondamentali della numismatica è la presenza di numerose pubblicazioni che mancano di un referaggio serio. 

Questo fa sì che si costruiscono gradualmente castelli di carte su castelli di carte che portano poi a concludere che: la zecca principale del periodo svevo era Napoli  :bash:

Il problema fondamentale del lavoro che si mettono assieme informazioni innovative ed interessanti con altre che spesso poggiano su una forzatura estrema delle fonti. 

 

Reputo opportuno quindi referare quest'articolo così da far riflettere il lettore quando si trova a leggere determinate conclusioni.

  • Il testo comincia col dimostrare un privilegio concesso ai cittadini di Napoli, permettendo loro sia l’accesso alla cavalleria che il diritto di coniare moneta d’argento in città. L'atto è autenticato con il sigillo reale e redatto a Palermo nel 1190, durante il primo anno di regno di Tancredi di Sicilia, che regnò dal 1190 al 1194. 

In altre parole, Napoli ha la facoltà di coniare monete quantomeno dal 1190. Nulla da obiettare.

  • Un ulteriore documento dimostra la probabile esistenza di uno zecchiere a Napoli in data 1200. Il documento è però citato in lavoro del 18° secolo. Dell'originale non si ha traccia, come lo stesso autore ci conferma, con molta onestà. E fin qui, nulla da obiettare.   
     
  • Abolizione dei privilegi di Tancredi - 1220. Il precedente privilegio viene abolito in seguito alle assise di Capua del dicembre del 1220. Verosimilmente Federico II, riordinò le zecche chiudendo tutte le zecche del Regno eccetto Brindisi e Messina, come acclarato anche da altre fonti, come da San Germano, che in seguito parlerà solo ed esclusivamente di queste due zecche. Plauso all'autore! Fin qui articolo interessantissimo. 
     

     
  • viene poi citato un provvedimento di Giovanna I in cui si afferma che agli zecchieri di Napoli (siamo nel periodo Angioino) si estendono gli stessi privilegi delle zecche di Brindisi e Messina, confermando le immunità.
    Inserisco il testo tradotto di pertinenza: 
     

    Giovanna, per grazia di Dio Regina di Gerusalemme e di Sicilia, del ducato di Puglia e del principato di Capua, Contessa di Provenza e Forcalquier nonché del Piemonte, al Maestro della Giustizia o al suo vice, ai Regenti della Corte Vicaria del Regno di Sicilia, ai Giustizieri, Capitani, Segreti, Maestri Portolani e ai loro luogotenenti, vicari, magistrati, giurati, camerari, baiuli, giudici, periti estimatori, tassatori, esattori, nonché agli altri ufficiali e persone costituite nelle terre e nei luoghi del detto Regno, presenti e futuri, che ispezioneranno queste lettere, ai nostri fedeli, grazia e benevolenza.

    È noto alla nostra Corte, per i pertinenti privilegi concessi dai signori nostri bisavolo, avo e padre, Duchi e Re di illustre e venerata memoria, l’immunità, il privilegio e la libertà già da tempo concessi agli ufficiali della Zecca di Brindisi e Messina, così come risulta dal privilegio esibito in pubblico documento che conferma la medesima immunità concessa a detti ufficiali della Zecca dall’imperatore Federico, un tempo sovrano dei Romani, prima della sua deposizione ed scomunica, il cui contenuto è espressamente dichiarato nella loro serie, ovvero:

    Affinché tutte le persone idonee e utili ai servizi delle nostre Zecche siano immuni ed esenti da tutte le tasse, imposte e servizi, e affinché non siano tenute a rispondere di alcuna causa, sia civile che penale, davanti a qualsiasi giudice o ufficiale della nostra Corte, se non davanti ai maestri delle nostre Zecche in carica al momento. E che godano di tale immunità e libertà le persone deputate al servizio della nostra Zecca di Napoli, idonee e utili, come erano solite godere in virtù delle lettere dei predetti signori, il nostro bisavolo, avo e padre.

    L'autore interpreta il passo, non si capisce perchè, come una conferma che Napoli avesse privilegi di zecca nel 1227, forzando la traduzione del testo. Giovanna afferma semplicemente che Federico II era imperatore dei romani fino alla scomunica del 1227 (Giovanna intende che con la scomunica Federico decadeva dal titolo imperiale). Non si capisce come l'autore sia riuscito ad associare tale data ad una attività della zecca di Napoli.
    Cominciano or le dolenti note! il testo citato non ha nulla a che vedere con una presunta attività della zecca di Napoli dopo il 1220 e l'interpretazione in tal senso appare come una forzatura. 
     
  • Sede di zecca nel Palazzo di Pietro delle Vigne e alla Pietra del Pesce (1220-1249 e 1280).
    Paragrafo a tratti surreale. Un documento di epoca Angioina (1305) afferma che la moneta era coniata in maniera consuetudinaria nel palazzo di Pier delle Vigne. L'autore interpreta il passo come se la moneta fosse coniata in tal luogo dal tempo di Pier Delle Vigne. Che è un pò come dire che se la zecca di Roma si sposta a Palazzo de' Medici a Firenze, all'ora l'euro si coniava a Firenze dal 1400.  
    L'interpretazione corretta e più logica è che il palazzo di Pier Delle Vigne era sede della zecca da parecchi anni, probabilmente dal 1278.  
     
  • Altro paragrafo surreale, il paragrafo 6 in cui le fonti vengono stravolte per dimostrare la tesi dell'autore. 
    L'autore cita Riccardo di San Germano: "Imperator cum fortunato crucesignatorum exercitu venit Capuam mense Septembris et ab ista parte Capue Sarracenorum cuneos ordinavit, seque Neapolym contulit eris et gentis a civibus auxilium petiturus".
    Che si traduce con:
    L'Imperatore, con il vittorioso esercito dei crociati, giunse a Capua nel mese di settembre e, da quella parte della città, schierò le schiere dei Saraceni. Quindi si diresse a Napoli per chiedere aiuto in denaro e in uomini ai cittadini."
    Secondo l'autore Federico non era in cerca di denari, ma di metallo (eris) da battere. A parte il fatto che, anche interpretando così il testo, nulla implica che tale metallo andasse poi coniato a Napoli, il problema fondamentale è che la nostra fonte, Riccardo di San Germano, quando scrive esplicitamente delle emissioni monetarie Sveve dal 1221 in poi, cita solo e semplicemente Brindisi e Messina. Non si capisce quindi perchè in questo testo, e solo in questo avrebbe dovuto citare Napoli come zecca (cosa che peraltro non fa, se non forzando la traduzione del testo). 
    Altri autori, come Garufi, hanno già in passato tradotto diversamente dall'autore lo stesso testo. 
  • Ricordi di Loise de Rosa. Fonte interessante, essenzialmente Loise trascrive i ricordi del padre, mastro di casa di molti regnanti napoletani, vissuto a metà del '300. 
    La fonte ci dice esplicitamente che nel 1229 furono coniate monete a Napoli, in una situazione d’emergenza e col precipuo fine di saldare il riscatto a beneficio del sultano e, s’intende, delle forze alleate di Federico, tornesi.
    La fonte è univoca, ancorché isolata. Tuttavia qualche dubbio sulla veridicità di questo avvenimento viene dal fatto che durante la sesta crociata non si combatté nessuna battaglia (fu un accordo diplomatico), per cui non si capisce quale riscatto andasse pagato. 
    Comunque la lettura dell'intero testo rende la fonte estremamente poco affidabile: essa afferma che il sultano rinuncio al riscatto in quanto divenuto cristiano. Le monete tornate indietro (tornes indereto) diedero il nome alla moneta Tornese. 
    Personalmente non darei eccessivo peso a questa fonte. 

 

  • Paragrafo 9.
    Essenzialmente una fonte contraria all'imperatore narra un episodio di confisca dei beni ecclesiastici per finanziare l'esercito imperiale. Pietro delle Vigne suggerisce di requisire gli oggetti preziosi delle chiese per coniare moneta e sostenere la guerra, promettendo una futura restituzione che però non avverrà mai. Il testo evidenzia la spregiudicatezza della politica imperiale nei confronti del potere ecclesiastico, ma non dice nulla su eventuali zecche di emissioni.
    L'autore al contrario vi vede un riferimento alla zecca di Napoli.... Mah. 
     
  • Paragrafo 11. Anche qui documenti interessanti, dove non viene mai citata la zecca di Napoli. Per risolvere la questione l'autore scrive: "la sicla per antonomasia era quella di Napoli, vale a dire una sicla che non necessitava di genitivo (in quanto sicla di tutti), a differenza Brundisii et Messanae". Ovviamente l'interpretazione di tale paragrafo è da rigettare completamente. Come già riportato non vi è ALCUNA fonte che attesti l'esistenza di una zecca a Napoli dopo il 1220, per cui dire che la zecca per eccellenza fosse Napoli non ha al momento fondamento, anzi.
    Il testo ci dice che avvenne una sostituzione degli zecchieri perchè i vecchi avevano fornito ai mercanti info sul vero valore delle monete. poichè le uniche monete che avevano valore fiduciario e avevano un valore che poteva confondere i mercanti erano i denari, presumibilmente si parla di denari. Ma Riccardo di San Germano ci dice che i denaro erano coniati a Brindisi e Messina. Per cui l'interpretazione dell'autore è da rigettare.
  • Paragrafo 12. Anche qui il testo non dimostra alcunchè. Si parla di una concessione fatta ad un mercante Fiorentino da parte di Federico II per battere moneta su modelli Pisani e di utilizzare una miniera nella zona di Grossetto. Siamo nel 1243 e Federico II risiedeva proprio a Grosseto. Non si capisce perchè tale mercante avesse mai dovuto coniare moneta a Napoli. L'autore tuttavia desume questo. Interpretazione da rigettare al mittente.
  • Nell'ultimo paragrafo, il 13, l'autore ipotizza che il Delle Vigne abbia diretto la zecca durante qualche fase federiciana, in attesa che il documento giusto venga fuori. E aggiungerei anche di qualche fonte reale che parla della zecca di Napoli post 1220.

Conclusioni: Napoli aveva diritto a battere moneta dal 1190 al 1220. E' possibile la coniazione di ulteriori tipologie monetarie anche successivamente, in special modo di oro, in occasioni straordinarie ed in presenza del sovrano, ma tale coniazione non è ancora dimostrata e non avevano verosimilmente carattere continuativo. 
L'ipotesi che Napoli fosse un'importante zecca del regno dopo il 1220 rimane pertanto un'ipotesi, per giunta remota, non supportata dalle fonti se non dai ricordi di Loise De Rose, che però scrive un secolo dopo parlando di una zecca a Napoli insieme ad eventi palesemente mai accaduti. 

 

 
 

Modificato da azaad
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Inviato
31 minuti fa, azaad dice:

Uno dei problemi fondamentali della numismatica è la presenza di numerose pubblicazioni che mancano di un referaggio serio. 

Questo fa sì che si costruiscono gradualmente castelli di carte su castelli di carte che portano poi a concludere che: la zecca principale del periodo svevo era Napoli  :bash:

Il problema fondamentale del lavoro che si mettono assieme informazioni innovative ed interessanti con altre che spesso poggiano su una forzatura estrema delle fonti. 

 

Reputo opportuno quindi referare quest'articolo così da far riflettere il lettore quando si trova a leggere determinate conclusioni.

  • Il testo comincia col dimostrare un privilegio concesso ai cittadini di Napoli, permettendo loro sia l’accesso alla cavalleria che il diritto di coniare moneta d’argento in città. L'atto è autenticato con il sigillo reale e redatto a Palermo nel 1190, durante il primo anno di regno di Tancredi di Sicilia, che regnò dal 1190 al 1194. 

In altre parole, Napoli ha la facoltà di coniare monete quantomeno dal 1190. Nulla da obiettare.

  • Un ulteriore documento dimostra la probabile esistenza di uno zecchiere a Napoli in data 1200. Il documento è però citato in lavoro del 18° secolo. Dell'originale non si ha traccia, come lo stesso autore ci conferma, con molta onestà. E fin qui, nulla da obiettare.   
     
  • Abolizione dei privilegi di Tancredi - 1220. Il precedente privilegio viene abolito in seguito alle assise di Capua del dicembre del 1220. Verosimilmente Federico II, riordinò le zecche chiudendo tutte le zecche del Regno eccetto Brindisi e Messina, come acclarato anche da altre fonti, come da San Germano, che in seguito parlerà solo ed esclusivamente di queste due zecche. Plauso all'autore! Fin qui articolo interessantissimo. 
     

     
  • viene poi citato un provvedimento di Giovanna I in cui si afferma che agli zecchieri di Napoli (siamo nel periodo Angioino) si estendono gli stessi privilegi delle zecche di Brindisi e Messina, confermando le immunità.
    Inserisco il testo tradotto di pertinenza: 
     

    Giovanna, per grazia di Dio Regina di Gerusalemme e di Sicilia, del ducato di Puglia e del principato di Capua, Contessa di Provenza e Forcalquier nonché del Piemonte, al Maestro della Giustizia o al suo vice, ai Regenti della Corte Vicaria del Regno di Sicilia, ai Giustizieri, Capitani, Segreti, Maestri Portolani e ai loro luogotenenti, vicari, magistrati, giurati, camerari, baiuli, giudici, periti estimatori, tassatori, esattori, nonché agli altri ufficiali e persone costituite nelle terre e nei luoghi del detto Regno, presenti e futuri, che ispezioneranno queste lettere, ai nostri fedeli, grazia e benevolenza.

    È noto alla nostra Corte, per i pertinenti privilegi concessi dai signori nostri bisavolo, avo e padre, Duchi e Re di illustre e venerata memoria, l’immunità, il privilegio e la libertà già da tempo concessi agli ufficiali della Zecca di Brindisi e Messina, così come risulta dal privilegio esibito in pubblico documento che conferma la medesima immunità concessa a detti ufficiali della Zecca dall’imperatore Federico, un tempo sovrano dei Romani, prima della sua deposizione ed scomunica, il cui contenuto è espressamente dichiarato nella loro serie, ovvero:

    Affinché tutte le persone idonee e utili ai servizi delle nostre Zecche siano immuni ed esenti da tutte le tasse, imposte e servizi, e affinché non siano tenute a rispondere di alcuna causa, sia civile che penale, davanti a qualsiasi giudice o ufficiale della nostra Corte, se non davanti ai maestri delle nostre Zecche in carica al momento. E che godano di tale immunità e libertà le persone deputate al servizio della nostra Zecca di Napoli, idonee e utili, come erano solite godere in virtù delle lettere dei predetti signori, il nostro bisavolo, avo e padre.

    L'autore interpreta il passo, non si capisce perchè, come una conferma che Napoli avesse privilegi di zecca nel 1227, forzando la traduzione del testo. Giovanna afferma semplicemente che Federico II era imperatore dei romani fino alla scomunica del 1227 (Giovanna intende che con la scomunica Federico decadeva dal titolo imperiale). Non si capisce come l'autore sia riuscito ad associare tale data ad una attività della zecca di Napoli.
    Cominciano or le dolenti note! il testo citato non ha nulla a che vedere con una presunta attività della zecca di Napoli dopo il 1220 e l'interpretazione in tal senso appare come una forzatura. 
     
  • Sede di zecca nel Palazzo di Pietro delle Vigne e alla Pietra del Pesce (1220-1249 e 1280).
    Paragrafo a tratti surreale. Un documento di epoca Angioina (1305) afferma che la moneta era coniata in maniera consuetudinaria nel palazzo di Pier delle Vigne. L'autore interpreta il passo come se la moneta fosse coniata in tal luogo dal tempo di Pier Delle Vigne. Che è un pò come dire che se la zecca di Roma si sposta a Palazzo de' Medici a Firenze, all'ora l'euro si coniava a Firenze dal 1400.  
    L'interpretazione corretta e più logica è che il palazzo di Pier Delle Vigne era sede della zecca da parecchi anni, probabilmente dal 1278.  
     
  • Altro paragrafo surreale, il paragrafo 6 in cui le fonti vengono stravolte per dimostrare la tesi dell'autore. 
    L'autore cita Riccardo di San Germano: "Imperator cum fortunato crucesignatorum exercitu venit Capuam mense Septembris et ab ista parte Capue Sarracenorum cuneos ordinavit, seque Neapolym contulit eris et gentis a civibus auxilium petiturus".
    Che si traduce con:
    L'Imperatore, con il vittorioso esercito dei crociati, giunse a Capua nel mese di settembre e, da quella parte della città, schierò le schiere dei Saraceni. Quindi si diresse a Napoli per chiedere aiuto in denaro e in uomini ai cittadini."
    Secondo l'autore Federico non era in cerca di denari, ma di metallo (eris) da battere. A parte il fatto che, anche interpretando così il testo, nulla implica che tale metallo andasse poi coniato a Napoli, il problema fondamentale è che la nostra fonte, Riccardo di San Germano, quando scrive esplicitamente delle emissioni monetarie Sveve dal 1221 in poi, cita solo e semplicemente Brindisi e Messina. Non si capisce quindi perchè in questo testo, e solo in questo avrebbe dovuto citare Napoli come zecca (cosa che peraltro non fa, se non forzando la traduzione del testo). 
    Altri autori, come Garufi, hanno già in passato tradotto diversamente dall'autore lo stesso testo. 
  • Ricordi di Loise de Rosa. Fonte interessante, essenzialmente Loise trascrive i ricordi del padre, mastro di casa di molti regnanti napoletani, vissuto a metà del '300. 
    La fonte ci dice esplicitamente che nel 1229 furono coniate monete a Napoli, in una situazione d’emergenza e col precipuo fine di saldare il riscatto a beneficio del sultano e, s’intende, delle forze alleate di Federico, tornesi.
    La fonte è univoca, ancorché isolata. Tuttavia qualche dubbio sulla veridicità di questo avvenimento viene dal fatto che durante la sesta crociata non si combatté nessuna battaglia (fu un accordo diplomatico), per cui non si capisce quale riscatto andasse pagato. 
    Comunque la lettura dell'intero testo rende la fonte estremamente poco affidabile: essa afferma che il sultano rinuncio al riscatto in quanto divenuto cristiano. Le monete tornate indietro (tornes indereto) diedero il nome alla moneta Tornese. 
    Personalmente non darei eccessivo peso a questa fonte. 

 

  • Paragrafo 9.
    Essenzialmente una fonte contraria all'imperatore narra un episodio di confisca dei beni ecclesiastici per finanziare l'esercito imperiale. Pietro delle Vigne suggerisce di requisire gli oggetti preziosi delle chiese per coniare moneta e sostenere la guerra, promettendo una futura restituzione che però non avverrà mai. Il testo evidenzia la spregiudicatezza della politica imperiale nei confronti del potere ecclesiastico, ma non dice nulla su eventuali zecche di emissioni.
    L'autore al contrario vi vede un riferimento alla zecca di Napoli.... Mah. 
     
  • Paragrafo 11. Anche qui documenti interessanti, dove non viene mai citata la zecca di Napoli. Per risolvere la questione l'autore scrive: "la sicla per antonomasia era quella di Napoli, vale a dire una sicla che non necessitava di genitivo (in quanto sicla di tutti), a differenza Brundisii et Messanae". Ovviamente l'interpretazione di tale paragrafo è da rigettare completamente. Come già riportato non vi è ALCUNA fonte che attesti l'esistenza di una zecca a Napoli dopo il 1220, per cui dire che la zecca per eccellenza fosse Napoli non ha al momento fondamento, anzi.
    Il testo ci dice che avvenne una sostituzione degli zecchieri perchè i vecchi avevano fornito ai mercanti info sul vero valore delle monete. poichè le uniche monete che avevano valore fiduciario e avevano un valore che poteva confondere i mercanti erano i denari, presumibilmente si parla di denari. Ma Riccardo di San Germano ci dice che i denaro erano coniati a Brindisi e Messina. Per cui l'interpretazione dell'autore è da rigettare.
  • Paragrafo 12. Anche qui il testo non dimostra alcunchè. Si parla di una concessione fatta ad un mercante Fiorentino da parte di Federico II per battere moneta su modelli Pisani e di utilizzare una miniera nella zona di Grossetto. Siamo nel 1243 e Federico II risiedeva proprio a Grosseto. Non si capisce perchè tale mercante avesse mai dovuto coniare moneta a Napoli. L'autore tuttavia desume questo. Interpretazione da rigettare al mittente.
  • Nell'ultimo paragrafo, il 13, l'autore ipotizza che il Delle Vigne abbia diretto la zecca durante qualche fase federiciana, in attesa che il documento giusto venga fuori. E aggiungerei anche di qualche fonte reale che parla della zecca di Napoli post 1220.

Conclusioni: Napoli aveva diritto a battere moneta dal 1190 al 1220. E' possibile la coniazione di ulteriori tipologie monetarie anche successivamente, in special modo di oro, in occasioni straordinarie ed in presenza del sovrano, ma tale coniazione non è ancora dimostrata e non avevano verosimilmente carattere continuativo. 
L'ipotesi che Napoli fosse un'importante zecca del regno dopo il 1220 rimane pertanto un'ipotesi, per giunta remota, non supportata dalle fonti se non dai ricordi di Loise De Rose, che però scrive un secolo dopo parlando di una zecca a Napoli insieme ad eventi palesemente mai accaduti. 

 

 
 

 

Ho letto velocemente, ma Il Tritemio, che dice lo stesso di Riccardo San Germano e Loise lo hai dimenticato? Tutti e tre da fonti diverse!!!!

Beh, non credo che Alfredo Maria Santoro, facente parte del direttivo della Rivista, non abbia letto.

Non stai sul pezzo azaad, poi c'è il secondo nucleo di fonti in arrivo, tanto per cambiare.

E purtroppo per te anche il terzo.

Io comunque non ho più tempo per intervenire, ho 37 pubblicazioni in sospeso.

Se preferite assegnare le monete di Federico II a Brindisi e Messina, anziché Napoli, Messina e Brindisi, fatelo tranquillamente.

Cari saluti e buona serata!!!

 

 

 


Inviato
20 ore fa, mero mixtoque imperio dice:

Ho letto velocemente, ma Il Tritemio, che dice lo stesso di Riccardo San Germano e Loise lo hai dimenticato? Tutti e tre da fonti diverse!!!!

 

A dire il vero no, sei tu che non hai letto con attenzione. Mi ripeto:

Paragrafo 9: Essenzialmente una fonte contraria all'imperatore narra un episodio di confisca dei beni ecclesiastici per finanziare l'esercito imperiale. Pietro delle Vigne suggerisce di requisire gli oggetti preziosi delle chiese per coniare moneta e sostenere la guerra, promettendo una futura restituzione che però non avverrà mai. Il testo evidenzia la spregiudicatezza della politica imperiale nei confronti del potere ecclesiastico, ma non dice nulla su eventuali zecche di emissioni.
L'autore al contrario vi vede un riferimento alla zecca di Napoli.... 


Inviato (modificato)
7 minuti fa, azaad dice:

A dire il vero no, sei tu che non hai letto con attenzione. Mi ripeto:

Paragrafo 9: Essenzialmente una fonte contraria all'imperatore narra un episodio di confisca dei beni ecclesiastici per finanziare l'esercito imperiale. Pietro delle Vigne suggerisce di requisire gli oggetti preziosi delle chiese per coniare moneta e sostenere la guerra, promettendo una futura restituzione che però non avverrà mai. Il testo evidenzia la spregiudicatezza della politica imperiale nei confronti del potere ecclesiastico, ma non dice nulla su eventuali zecche di emissioni.
L'autore al contrario vi vede un riferimento alla zecca di Napoli.... 

 

Ah bene, ma così lo hai decontestualizzato dalle altre due fonti esplicitamente riferite a Napoli, nonché al medesimo momento.

Che fai? Separi l’unico contesto? 
Se ricostruisci in questo modo la storia, addio!😆

Modificato da mero mixtoque imperio

Inviato

Comunque, direi che il lavoro proposto è estremamente interessante per le fonti riportate, che danno ulteriore luce alle vicende che riguardano il meridione durante il periodo Svevo e personalmente ne consiglio la lettura.
 

Purtroppo le stesse fonti sono state quasi utilizzate nello stesso testo per giustificare la tesi di partenza dell'autore, forzandone la lettura con scarso rigore scientifico e trascurando volutamente le stesse fonti che l'autore riporta, quando non utili a dimostrare la tesi. 

E' ridicolo ad esempio che nello stesso articolo coesistano il documento totalmente esplicito che afferma la chiusura di tutte le zecche eccetto Messina e Brindisi nel 1220 seguite da documenti che nella fantasia (e per ora solo in questa) dell'autore vogliono dimostrare un uso continuativo della zecca di Napoli. 

In altre parole possiamo affermare che il lavoro di ricerca delle fonti contenuto nell'articolo è assolutamente encomiabile. La loro interpretazione invece assolutamente arbitraria e forzata allo scopo di dimostrare la tesi dell'autore. 

Ne consiglio comunque la lettura.

 
 


Inviato
4 minuti fa, azaad dice:

Comunque, direi che il lavoro proposto è estremamente interessante per le fonti riportate, che danno ulteriore luce alle vicende che riguardano il meridione durante il periodo Svevo e personalmente ne consiglio la lettura.
 

Purtroppo le stesse fonti sono state quasi utilizzate nello stesso testo per giustificare la tesi di partenza dell'autore, forzandone la lettura con scarso rigore scientifico e trascurando volutamente le stesse fonti che l'autore riporta, quando non utili a dimostrare la tesi. 

E' ridicolo ad esempio che nello stesso articolo coesistano il documento totalmente esplicito che afferma la chiusura di tutte le zecche eccetto Messina e Brindisi nel 1220 seguite da documenti che nella fantasia (e per ora solo in questa) dell'autore vogliono dimostrare un uso continuativo della zecca di Napoli. 

In altre parole possiamo affermare che il lavoro di ricerca delle fonti contenuto nell'articolo è assolutamente encomiabile. La loro interpretazione invece assolutamente arbitraria e forzata allo scopo di dimostrare la tesi dell'autore. 

Ne consiglio comunque la lettura.

 
 

 

Bene, in arrivo ulteriori documenti espliciti anche su anni diversi nel Secondo nucleo…


Inviato (modificato)
2 ore fa, mero mixtoque imperio dice:

Bene, in arrivo ulteriori documenti espliciti anche su anni diversi nel Secondo nucleo…

 

Leggerò con piacere.
  Buon lavoro e ancora complimenti per il lavoro di ricerca delle fonti. Sulla loro interpretazione, finora, non ho concordato con lei, ma spero di ricredermi con ulteriore documentazione.  

Modificato da azaad
  • Grazie 1

Inviato
Il 08/02/2025 alle 16:54, azaad dice:

In altre parole possiamo affermare che il lavoro di ricerca delle fonti contenuto nell'articolo è assolutamente encomiabile. La loro interpretazione invece assolutamente arbitraria e forzata allo scopo di dimostrare la tesi dell'autore. 

Non si potrebbe imbastire una (ri)lettura delle fonti - ivi comprese le nuove citate - con uno sguardo piu’ imparziale che non quello volto, finora,  allo spasmodico tentativo di  legittimare Napoli come zecca dopo il 1220? 


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