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IGNORED

Gioielleria dalla Dacia


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Inviato

Oggi come oggi, se qualcuno dice la parola «Dacia», la prima immagine che affiora alla mente è quella di un’automobile da fuoristrada, un suv com’è uso dire adesso, oppure, nella migliore delle ipotesi, chi è un po’ più colto, vi associa il cognome “Maraini” e pensa alla scrittrice e poetessa, figlia di Fosco, il celebre alpinista, antropologo, orientalista e fotografo toscano. In realtà, la Dacia è la denominazione latina di quella regione europea che, in buona parte, coincide con l’attuale Romania e che, durante il lungo periodo della dominazione romana, è stata una sorta di straordinario “laboratorio” di etnie e civiltà diverse.

A questa storia singolare e – per certi versi – didattica, ossia utile per capire pure le difficili dinamiche del nostro tormentato mondo, è dedicata una grande esposizione (fino al 21 aprile 2024) collocata negli ampi spazi del Museo nazionale Romano -Terme di Diocleziano (non lontano dalla Stazione Termini) e intitolata, per l’appunto, Dacia. L’ultima frontiera della romanità. Curata da Ernest Oberlander, direttore del Museo nazionale di Storia della Romania, e da Stéphane Verger direttore del Museo nazionale Romano, la mostra rientra in un programma espositivo che ha già fatto tappa a Madrid (Museo archeologico nazionale, 2021) e a Bucarest (Museo nazionale di Storia della Romania, 2022), arricchendone però qui di gran lunga il numero degli oggetti esposti.

Con oltre mille pezzi provenienti da ben quarantasette musei diversi, il percorso espositivo ripercorre la storia di questa terra europea, a partire dalla campagna militare dell’imperatore Traiano che ebbe luogo dal 101 al 106 d.C. e che è immortalata sulla celeberrima colonna che porta il nome del sovrano romano. Non è infatti un caso che il visitatore inizi dalla riproduzione di quella parte del monumento che venne dedicato all’evento e che nel modello a scala naturale curato, a suo tempo, dalla perizia storica di uno studioso del rango di Ranuccio Bianchi Bandinelli, ci permette di osservare le tracce dei colori originali che dovevano rendere l’opera un caleidoscopio cromatico, tutto da gustare salendo le scale dell’adiacente biblioteca traiana oggi scomparsa.

Il risultato di questa azione politica e militare – non certo indolore – fu la nascita di una nuova cultura che ai confini dell’impero, riusciva ad armonizzare quella greca (la cui lingua era utilizzata a nord), con quella latina (il cui eloquio si parlava a sud) e la tradizione autoctona testimoniata dai primi reperti esposti in mostra. Si tratta delle iscrizioni di Alburnus Maior, l’attuale Roșia Montană, dove la città romana si sovrappose a villaggi di età addirittura preistorica. Si deve imputare alla ricchezza mineraria della Transilvania il motivo che vide così antichi insediamenti umani su quel territorio, come testimoniano opere straordinarie come il rutilante Elmo di Cotofenesti, della metà del V secolo a. C.

Tutto sbalzato in oro è, per questo, da considerarsi come un copricapo principesco geto-dacico a uso rituale che appartenne forse a un re-sacerdote, come mostrano gli occhi apotropaici che lo caratterizzano. Non è allora un caso che sia stato scelto come manifesto della mostra e che l’oro sia il punto di forza dell’esposizione. Lo dimostra, per esempio, quel magnifico tesoro emerso grazie agli scavi di Petroasele, nella regione della Grande Valacchia, noto con il nome di “Ripostiglio di Petroasa” alla scienza archeologica. Dei 22 pezzi che lo componevano, scoperti nel 1837, una decina furono trafugati, ma dei rimanenti, ben quattro sono in mostra. Fra questi, una patera in oro lavorata a sbalzo che ha al centro una statuetta femminile a tutto tondo con in mano un calice, seduta su uno scranno circolare.

Ci sono poi due bellissime spille a forma di uccello che si dovevano appuntare sulle spalle. Sono pezzi del V secolo d.C., ossia mille anni dopo quelli precedentemente citati, a dimostrazione di una continuità nell’artigianato orafo che è il leit-motiv di questa civiltà composita. Infatti, come scrisse Malcolm Todd (Early Germans, Willey, Hobokon 1996, pagine 130) doveva trattarsi di oggetti votivi emersi da un tumulo sepolcrale di un guerriero e le divinità cesellate sul piatto della patera appartenevano al panteon della cultura germanica. Buona parte della mostra, infatti, è dedicata anche ai secoli successivi alla dominazione romana e alla presenza di Germani e Celti dell’Europa centrale. Fra i reperti esposti, infine, non si può non citare il virtuosistico marmo del serpente Glykon dalle ampie spire, con la testa di pecora e le orecchie umane che dovrebbe essere un’ipostasi del dio Asclepio (II sec. d.C.), a cui sacrificarono uomini vessati da malanni e pandemie.

In definitiva, si tratta della più grande e prestigiosa esposizione di reperti archeologici organizzata dalla Romania all’estero negli ultimi decenni che ripercorre lo sviluppo storico e culturale di questa regione europea, tra il Danubio e il Mar Nero, dall’VIII secolo a.C. all’VIII d.C., che, oltre alla posizione strategica, vantava la presenza di ricche miniere d’oro, come una sorta di California del mondo antico. Non stupisce, allora, che un’iniziativa così importante, sia stata il frutto di accordi fra l’ambasciata della Romania in Italia, il Museo nazionale di Storia della Romania e il Museo nazionale Romano, con il concorso del ministero romeno della Cultura, quello del ministero degli Affari Esteri, del ministero della Difesa Nazionale rumeno, l’Istituto culturale Romeno e l’Accademia di Romania, insieme al ministero della Cultura italiano e alla Direzione generale Musei.

La mostra è posta sotto l’alto patronato del presidente della Romania e del presidente della Repubblica Italiana, dal momento che l’esposizione nasce sotto il segno di un doppio anniversario per i rapporti bilaterali romeno-italiani giacché sono trascorsi infatti 15 anni dalla firma del Partenariato strategico consolidato tra la Romania e l’Italia e 150 anni dalla costituzione della prima agenzia diplomatica della Romania in Italia. A queste date va aggiunta quella del secolo trascorso dalla fondazione a Bucarest dell’Istituto italiano di cultura, a opera del grande linguista abruzzese Ramiro Ortiz, inaugurato il 7 aprile 1924.

https://www.bing.com/ck/a?!&&p=579bd49f69f6b2c6JmltdHM9MTcwMjg1NzYwMCZpZ3VpZD0xZTk5MDAzMi1hNTdiLTYyZjUtMjZmYS0xMjU0YTQ0YzYzNTkmaW5zaWQ9NTIwNQ&ptn=3&ver=2&hsh=3&fclid=1e990032-a57b-62f5-26fa-1254a44c6359&psq=a+roma+le+miniere+e+ori+della+dacia&u=a1aHR0cHM6Ly93d3cubXNuLmNvbS9pdC1pdC9ub3RpemllL290aGVyL2Etcm9tYS1sZS1taW5pZXJlLWUtbC1hcnRlLWRlbGxhLWRhY2lhLWRlaS1yb21hbmkvYXItQUExbEZVV1I&ntb=1

Per chi volesse approfondire l' argomento , il libro in foto 

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Inviato

Ciao @ARES III , in piu' , rispetto al tuo primo "avviso" della mostra , ho esposto il magnifico libro : "Ori antichi dalla Romania , prima e dopo Traiano" nel quale vengono esposte e descritte storicamente tutte le localita' dell' antica Dacia dalle quali i Romani estrassero l' oro e successivamente nei secoli dopo i Romani , tutti i gioielli illustrati , in oro e argento , che in Romania vennero scoperti .

In tal modo chi non potesse vedere di persona la mostra , potra' farlo comprando il libro nel quale c'e' anche un capitolo dedicato alla monetazione in oro e argento del re Koson .

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  • Grazie 1

Inviato

Ove non fosse in mostra, unisco in tema di elmi, il particolare elmo del IV sec. a.C. con uccello come cimiero, rinvenuto a Ciumesti in Romania .

001 elmo di Ciumesti.jpg

  • Grazie 1

Inviato (modificato)
11 ore fa, Cremuzio dice:

Oggi come oggi, se qualcuno dice la parola «Dacia», la prima immagine che affiora alla mente è quella di un’automobile da fuoristrada, un suv com’è uso dire adesso, oppure, nella migliore delle ipotesi, chi è un po’ più colto, vi associa il cognome “Maraini” e pensa alla scrittrice e poetessa, figlia di Fosco, il celebre alpinista, antropologo, orientalista e fotografo toscano. In realtà, la Dacia è la denominazione latina di quella regione europea che, in buona parte, coincide con l’attuale Romania e che, durante il lungo periodo della dominazione romana, è stata una sorta di straordinario “laboratorio” di etnie e civiltà diverse.

A questa storia singolare e – per certi versi – didattica, ossia utile per capire pure le difficili dinamiche del nostro tormentato mondo, è dedicata una grande esposizione (fino al 21 aprile 2024) collocata negli ampi spazi del Museo nazionale Romano -Terme di Diocleziano (non lontano dalla Stazione Termini) e intitolata, per l’appunto, Dacia. L’ultima frontiera della romanità. Curata da Ernest Oberlander, direttore del Museo nazionale di Storia della Romania, e da Stéphane Verger direttore del Museo nazionale Romano, la mostra rientra in un programma espositivo che ha già fatto tappa a Madrid (Museo archeologico nazionale, 2021) e a Bucarest (Museo nazionale di Storia della Romania, 2022), arricchendone però qui di gran lunga il numero degli oggetti esposti.

Con oltre mille pezzi provenienti da ben quarantasette musei diversi, il percorso espositivo ripercorre la storia di questa terra europea, a partire dalla campagna militare dell’imperatore Traiano che ebbe luogo dal 101 al 106 d.C. e che è immortalata sulla celeberrima colonna che porta il nome del sovrano romano. Non è infatti un caso che il visitatore inizi dalla riproduzione di quella parte del monumento che venne dedicato all’evento e che nel modello a scala naturale curato, a suo tempo, dalla perizia storica di uno studioso del rango di Ranuccio Bianchi Bandinelli, ci permette di osservare le tracce dei colori originali che dovevano rendere l’opera un caleidoscopio cromatico, tutto da gustare salendo le scale dell’adiacente biblioteca traiana oggi scomparsa.

Il risultato di questa azione politica e militare – non certo indolore – fu la nascita di una nuova cultura che ai confini dell’impero, riusciva ad armonizzare quella greca (la cui lingua era utilizzata a nord), con quella latina (il cui eloquio si parlava a sud) e la tradizione autoctona testimoniata dai primi reperti esposti in mostra. Si tratta delle iscrizioni di Alburnus Maior, l’attuale Roșia Montană, dove la città romana si sovrappose a villaggi di età addirittura preistorica. Si deve imputare alla ricchezza mineraria della Transilvania il motivo che vide così antichi insediamenti umani su quel territorio, come testimoniano opere straordinarie come il rutilante Elmo di Cotofenesti, della metà del V secolo a. C.

Tutto sbalzato in oro è, per questo, da considerarsi come un copricapo principesco geto-dacico a uso rituale che appartenne forse a un re-sacerdote, come mostrano gli occhi apotropaici che lo caratterizzano. Non è allora un caso che sia stato scelto come manifesto della mostra e che l’oro sia il punto di forza dell’esposizione. Lo dimostra, per esempio, quel magnifico tesoro emerso grazie agli scavi di Petroasele, nella regione della Grande Valacchia, noto con il nome di “Ripostiglio di Petroasa” alla scienza archeologica. Dei 22 pezzi che lo componevano, scoperti nel 1837, una decina furono trafugati, ma dei rimanenti, ben quattro sono in mostra. Fra questi, una patera in oro lavorata a sbalzo che ha al centro una statuetta femminile a tutto tondo con in mano un calice, seduta su uno scranno circolare.

Ci sono poi due bellissime spille a forma di uccello che si dovevano appuntare sulle spalle. Sono pezzi del V secolo d.C., ossia mille anni dopo quelli precedentemente citati, a dimostrazione di una continuità nell’artigianato orafo che è il leit-motiv di questa civiltà composita. Infatti, come scrisse Malcolm Todd (Early Germans, Willey, Hobokon 1996, pagine 130) doveva trattarsi di oggetti votivi emersi da un tumulo sepolcrale di un guerriero e le divinità cesellate sul piatto della patera appartenevano al panteon della cultura germanica. Buona parte della mostra, infatti, è dedicata anche ai secoli successivi alla dominazione romana e alla presenza di Germani e Celti dell’Europa centrale. Fra i reperti esposti, infine, non si può non citare il virtuosistico marmo del serpente Glykon dalle ampie spire, con la testa di pecora e le orecchie umane che dovrebbe essere un’ipostasi del dio Asclepio (II sec. d.C.), a cui sacrificarono uomini vessati da malanni e pandemie.

In definitiva, si tratta della più grande e prestigiosa esposizione di reperti archeologici organizzata dalla Romania all’estero negli ultimi decenni che ripercorre lo sviluppo storico e culturale di questa regione europea, tra il Danubio e il Mar Nero, dall’VIII secolo a.C. all’VIII d.C., che, oltre alla posizione strategica, vantava la presenza di ricche miniere d’oro, come una sorta di California del mondo antico. Non stupisce, allora, che un’iniziativa così importante, sia stata il frutto di accordi fra l’ambasciata della Romania in Italia, il Museo nazionale di Storia della Romania e il Museo nazionale Romano, con il concorso del ministero romeno della Cultura, quello del ministero degli Affari Esteri, del ministero della Difesa Nazionale rumeno, l’Istituto culturale Romeno e l’Accademia di Romania, insieme al ministero della Cultura italiano e alla Direzione generale Musei.

La mostra è posta sotto l’alto patronato del presidente della Romania e del presidente della Repubblica Italiana, dal momento che l’esposizione nasce sotto il segno di un doppio anniversario per i rapporti bilaterali romeno-italiani giacché sono trascorsi infatti 15 anni dalla firma del Partenariato strategico consolidato tra la Romania e l’Italia e 150 anni dalla costituzione della prima agenzia diplomatica della Romania in Italia. A queste date va aggiunta quella del secolo trascorso dalla fondazione a Bucarest dell’Istituto italiano di cultura, a opera del grande linguista abruzzese Ramiro Ortiz, inaugurato il 7 aprile 1924.

https://www.bing.com/ck/a?!&&p=579bd49f69f6b2c6JmltdHM9MTcwMjg1NzYwMCZpZ3VpZD0xZTk5MDAzMi1hNTdiLTYyZjUtMjZmYS0xMjU0YTQ0YzYzNTkmaW5zaWQ9NTIwNQ&ptn=3&ver=2&hsh=3&fclid=1e990032-a57b-62f5-26fa-1254a44c6359&psq=a+roma+le+miniere+e+ori+della+dacia&u=a1aHR0cHM6Ly93d3cubXNuLmNvbS9pdC1pdC9ub3RpemllL290aGVyL2Etcm9tYS1sZS1taW5pZXJlLWUtbC1hcnRlLWRlbGxhLWRhY2lhLWRlaS1yb21hbmkvYXItQUExbEZVV1I&ntb=1

Per chi volesse approfondire l' argomento , il libro in foto 

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Ah.. si.. mi sembra di avere qualcosa ..😁

 

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Modificato da Adelchi66
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Inviato
2 minuti fa, Adelchi66 dice:

Ah.. si.. mi sembra di avere qualcosa ..😁

 

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Se e quando puoi, potresti postare qualche foto ? Te ne saremmo tutti grati. 


Inviato (modificato)

Da : I Daci . Electa.

Palazzo Strozzi.

Firenze.   1997.

 

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Ori antichi della Romania è un ottimo catalogo ,ce ne fossero..

Ma per quanto riguarda i Daci nello specifico,il testo di riferimento in Italia e il catalogo della mostra del '97.

Modificato da Adelchi66
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Inviato
8 minuti fa, Adelchi66 dice:

Da : I Daci . Electa.

Palazzo Strozzi.

Firenze.   1997.

 

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Ori antichi della Romania è un ottimo catalogo ,ce ne fossero..

Ma per quanto riguarda i Daci nello specifico,il testo di riferimento in Italia e il catalogo della mostra del '97.

 

Grazie mille.


Inviato

Tanto per avere una minima idea delle centinaia di foto contenute nel libro Ori dalla Romania......, su cosa contenga .

Le foto non entrano tutte nella stessa pagina , seguono

DSCN4692.JPG

DSCN4693.JPG

DSCN4694.JPG

DSCN4695.JPG

DSCN4696.JPG

DSCN4697.JPG

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  • 1 mese dopo...
Inviato
Il 20/12/2023 alle 07:26, Cremuzio dice:

Tanto per avere una minima idea delle centinaia di foto contenute nel libro Ori dalla Romania......, su cosa contenga .

Le foto non entrano tutte nella stessa pagina , seguono

DSCN4692.JPG

DSCN4693.JPG

DSCN4694.JPG

DSCN4695.JPG

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Nel libro ci sono foto e riferimenti di monete in argento tipo "koson" ? Se si, potresti gentilmente allegare delle foto ? Grazie.


Inviato
8 ore fa, ARES III dice:

Nel libro ci sono foto e riferimenti di monete in argento tipo "koson" ? Se si, potresti gentilmente allegare delle foto ? Grazie.

Ciao @ARES III , servito 😊 . Pero' non essendo conoscitore di queste monete , non credo che rientrino anche queste monete d' argento nei Koson , in quanto nel libro sono definite : "Tetradrammi postumi del tipo di Filippo II" , per questo non le avevo pubblicate .

Comunque sono queste in foto .

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Inviato
2 ore fa, Cremuzio dice:

Ciao @ARES III , servito 😊 . Pero' non essendo conoscitore di queste monete , non credo che rientrino anche queste monete d' argento nei Koson , in quanto nel libro sono definite : "Tetradrammi postumi del tipo di Filippo II" , per questo non le avevo pubblicate .

Comunque sono queste in foto .

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Grazie ma non sono queste. Ti allego le due tipologie , forse sono presenti nel testo.

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Inviato
54 minuti fa, ARES III dice:

Grazie ma non sono queste. Ti allego le due tipologie , forse sono presenti nel testo.

Infatti immaginavo che non fossero quelle in argento . No quelle che hai messo in foto non sono presenti nel libro , ci sono solo i Koson in oro e quelle in argento che ti ho postato prima .

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