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Riapre la Domus Tiberiana dopo 50 anni


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Riapre la Domus Tiberiana: dopo 50 anni torna visitabile il primo palazzo degli imperatori romani

Riapre la Domus Tiberiana: dopo 50 anni torna visitabile il primo palazzo degli imperatori romani

Costruito nell’età di Nerone, ebbe vita lunghissima, arrivando fino all’epoca rinascimentale. L’illuminazione serale consentirà di vedere le arcate della struttura anche da lontano

 
 

Entrare nel primo palazzo imperiale sul colle Palatino. Un’emozione che valeva l’attesa durata cinquanta anni. Da oggi sarà possibile percorrere il medesimo tragitto, seguito per secoli dagli imperatori e dalla corte, e accedere alla Domus Tiberiana, dove stucchi, affreschi e sculture ci lasciano immaginare lo splendore della prima residenza dei sovrani di Roma.

 

La Domus, che si innalza con la sua mole prodigiosa sul Foro Romano, è tornata visitabile contestualmente all’annuncio di importanti scoperte. La sua denominazione rimanda a Tiberio (14-37 d.C.), ma gli archeologi, in base ai ritrovamenti e agli studi effettuati negli ultimi anni, propendono per una datazione del complesso, nella sua prima fase costruttiva, all’età di Nerone (54-68 d.C.).

«Imago Imperii» è il titolo, potentemente suggestivo, scelto per l’allestimento museale permanente (curato da Alfonsina Russo, Maria Grazia Filetici, Martina Almonte e Fulvio Coletti), che guida il visitatore attraverso tredici ambienti del complesso, trasformati in altrettante sale espositive. Proprio qui, dove gli imperatori vissero ed esercitarono il loro dominio sulla città, preziosi reperti dipanano sotto i nostri occhi la lunghissima vita del palazzo: dal I secolo d.C. fino all’epoca rinascimentale, quando il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, inglobò la residenza nei propri Horti di delizie.

 

Ci troviamo nelle sostruzioni (strutture di sostegno) del fronte nord del palazzo, in quelli che erano gli ambienti di servizio della Domus, chiusa negli anni Settanta a causa dei rischi legati al dissesto statico e geologico.  Complessi lavori di restauro e di consolidamento ne hanno permesso ora la riapertura, ricreando l’originaria connessione fra Palatino e Foro Romano.

«Grazie a questo intervento – ha detto Alfonsina Russo – è stata ripristinata la circolarità dei percorsi tra il Foro Romano e il Palatino, attraverso la rampa di Domiziano a ovest, e il clivo palatino a est, che porta al palazzo attraversando i giardini degli Horti Farnesiani».

Le sale espositive risalgono all’età adrianea, difatti il palazzo ha conosciuto varie fasi: la prima monumentalizzazione delle strutture si deve a Nerone, subito dopo l’incendio di Roma del 64 d.C. Poi furono soprattutto Domiziano e Adriano ad ampliare la struttura palaziale, che raggiunse l’estensione di 4 ettari. Gli ambienti di epoca adrianea ospitano, fra le belle strutture in opus mixtum con pavimenti mosaicati, frammenti della vita di tutti i giorni: monete, lucerne, anfore vinarie, oltre a straordinarie creazioni artistiche, come le sculture in terracotta, dal morbido modellato, di un artista di età cesariana, o la grande tigre scolpita nell’alabastro fiorito. Non sono meno preziosi gli stucchi che rivestono il sottarco del cosiddetto ponte di Caligola o gli affreschi, di un adiacente ambiente, con raffinati motivi dionisiaci.

 

Le vetrate delle sale affacciano sul Foro, il colpo d’occhio sulla Casa delle Vestali e, da lì, fino all’Arco di Settimio Severo, è degno di un imperatore. Calate le ombre, una volta chiusi gli accessi del Foro Romano e del Palatino, lo spettacolo non si esaurisce. L’illuminazione serale, grazie alla sponsorizzazione tecnica di Acea, consentirà, da stasera, di vedere le arcate della Domus Tiberiana stagliarsi possenti nella notte romana.

https://roma.repubblica.it/cronaca/2023/09/20/news/domus_tiberiana_riapre-415208599/

Piantine

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Reperti provenienti dalla domus

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Particolari della Domus

 

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Domus Tiberiana

domus tiberiana

La Domus Tiberiana, ovvero il Palazzo dell’Imperatore Tiberio, fu il primo ad essere costruito sul Palatino, molto probabilmente sulla casa natale dell’imperatore stesso, unendo alcune dimore di età tardo-repubblicana. L’edificio fu successivamente ampliato da Caligola verso il Foro Romano, completato da Nerone ed infine restaurato da Domiziano. Degli ambienti disposti attorno ad un grande peristilio oggi non resta più nulla di visibile, mentre ben conservato è invece il gruppo di 18 ambienti costituiti da stanze rettangolari coperte a volta e costruite interamente in laterizio: risalgono all’epoca di Nerone, probabilmente ricostruite dopo l’incendio del 64.

criptoportico della domus tiberiana 1 Criptoportico

Il lato orientale della Domus Tiberiana è caratterizzato da un criptoportico (nella foto 1), lungo circa 130 metri, anch’esso attribuito all’età neroniana: il corridoio, con finestrelle a bocca di lupo disposte su un lato della volta, conserva ancora resti degli intonaci parietali a motivi geometrici, stucchi della volta con amorini tra motivi vegetali e pavimenti a mosaico. Probabilmente però la parte più caratteristica della Domus Tiberiana, ed anche la più ampia dell’intero complesso ancora visibile, è costituita dal lato settentrionale, quella rivolta verso il Foro Romano (nella foto 2).

facciata della domus tiberiana 2 Facciata della Domus Tiberiana verso il Foro Romano

Questi ambienti, estesi su una superficie di circa m 150 x 120, si svolgono in salita lungo la via identificata come “Clivus Victoriae” e vi si possono distinguere due fasi: alla prima, risalente al periodo di Domiziano e costituita da una serie di ambienti chiusi in facciata da un loggiato su mensole di travertino e delimitato da transenne di marmo, si appoggiarono le successive strutture databili all’età adrianea, che scavalcano la via con grandi arcate. Graffiti incisi sull’intonaco di questi ambienti, con liste di conti e nomi di monete, fanno ipotizzare che essi furono anche utilizzati dal fisco imperiale, forse per la diffusione delle nuove monete; nella fase più tarda gli ambienti vennero adoperati come magazzini. L’edificio, in seguito sede preferita degli imperatori Antonini, ospitò anche una biblioteca e l’archivio imperiale, che bruciarono durante il regno dell’imperatore Comodo (176-192 d.C). Nell’VIII secolo d.C. la Domus Tiberiana venne utilizzata anche come residenza da Papa Giovanni VII. Dalla fine del secolo X seguì le sorti del resto del Palatino, con l’abbandono prima e le spoliazioni poi, avvenute principalmente verso la metà del Cinquecento, con il riuso dei materiali per la costruzione di chiese, palazzi o torri, finché nel XVI secolo quello che rimaneva del Palazzo imperiale venne sepolto sotto gli Orti Farnesiani. Nel 1542 infatti il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, acquistò le rovine della “domus“, le riempì di terra ed incaricò il Vignola di disegnargli un giardino: nacquero così i famosi “Horti Palatini Farnesiorum“.

orti farnesiani 3 Uccelliere gemelle degli Orti Farnesiani

L’architetto allestì il giardino su tre terrazze, concepite in funzione di comodi viali per il passeggio e collegate tra loro da un articolato movimento di rampe e scalinate, fino a giungere alle caratteristiche “Uccelliere gemelle” (nella foto 3), unite al centro dalla loggia. Un viale principale divideva la vasta area verde in riquadri, variati nel disegno e nelle misure e cinti intorno da muri di bosso: il risultato fu uno dei primi orti botanici in Europa, nel quale i giardinieri introdussero piante nuove per l’Italia e l’Europa, tra cui l’Acacia farnesiana. Gli Orti divennero anche meta delle riunioni arcadiche prima che i “pastori” scegliessero il Bosco Parrasio come luogo delle riunioni poetiche. Il declino dei giardini iniziò con i nuovi proprietari, i Borbone, che vollero trasportare a Napoli statue e marmi a causa del rinnovato interesse artistico e storico per le opere classiche, smantellando le strutture rinascimentali.

https://www.romasegreta.it/campitelli/palatino/domus-tiberiana.html

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MONOGRÁFICO: Materiales, transporte y producción. Pósters del Workshop Internacional de Arqueología de la Construcción V, (Universidad de Oxford, 11-12 Abril 2015 /
MONOGRAPH: Materials, transport and production. Posters of the 5th International Workshop on the Archaeology of Roman Construction, (University of Oxford, April 11-12, 2015)

Il Progetto Domus Tiberiana (Roma). Gli approvvigionamenti di laterizi per i cantieri adrianei lungo la Nova Via

The Domus Tiberiana Project (Rome). The supply of bricks for the Hadrianic construction works along the Nova Via

 

Mirella Serlorenziab, Fulvio Colettib, Lino Trainib e Stefano Camporealec

aDirettore Museo della Crypta Balbi
bSoprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma
cUniversità degli Studi di Trento. Dipartimento di Lettere e Filosofia
e-mail: [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]

 

RIASSUNTO
Il progetto Domus Tiberiana, iniziato nel 2013 e coordinato dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma, ha come scopo il nuovo e complessivo studio del primo palazzo imperiale sul Palatino. Diversi aspetti vengono considerati, integrando fra loro i risultati delle ricerche precedenti e delle nuove indagini, archiviati nel GIS SITAR della Soprintendenza: studio della stratigrafia muraria, delle tecniche edilizie, delle decorazioni, dei reperti archeologici e dei restauri architettonici. In questo articolo sono esposti i primi risultati dell’indagine condotta sulle tecniche e i materiali da costruzione dell’isolato adrianeo nel tratto occidentale della Nova Via, costruito insieme all’ampliamento dell’angolo NordOvest della Domus. In particolare, l’analisi metrologica dei laterizi ha chiarito come gli approvvigionamenti di bipedali, sesquipedali, bessali, tegole fratte e laterizi di reimpiego venissero redistribuiti all’interno dell’edificio. La ripartizione delle tecniche edilizie nelle diverse porzioni murarie obbediva, infatti, a una razionale logica economica e strutturale.
PAROLE CHIAVE: Roma; Palatino; Palazzi imperiali; Progetti adrianei; Cantieri; Tecniche edilizie; Laterizi; Metrologia.

ABSTRACT
The Domus Tiberiana Project started in 2013 and is coordinated by the Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma. It aims at a new and comprehensive study of the first imperial palace on the Palatine. Several aspects are considered, integrating the results of preceding research into new analyses archived inside the GIS SITAR of the Soprintendenza: the study of wall stratigraphy, building techniques, decoration systems, archaeological finds, and architectural restorations. This paper shows the first results of the survey of building techniques and materials used in the Hadrianic block along the western section of the Nova Via, built at the same time as the enlargement of the north-western corner of the Domus Tiberiana. In particular, metrological analysis of bricks has proved how the different supplies of bipedales, sesquipedales, bessales, broken roof tiles and reused bricks were arranged inside the building. In fact it seems that the distribution of building techniques in the different portions of the construction was planned according to an economic and structural rationale.
KEYWORDS: Rome; Palatine; Imperial palaces; Hadrianic projects; Building works; Construction techniques; Bricks; Metrology.

Recibido: 09/06/2016; Aceptado: 20/07/2016.

Cómo citar este artículo / Citation: Serlorenzi, M., Coletti, F., Traini, L., & Camporeale, S. 2016: “Il Progetto Domus Tiberiana (Roma). Gli approvvigionamenti di laterizi per i cantieri adrianei lungo la Nova Via”, Arqueología de la Arquitectura, 13: e045. doi: http://dx.doi.org/10.3989/arq.arqt.2016.163

Copyright: © 2016 CSIC. This is an open-access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution (CC-by) Spain 3.0 License.

 

CONTENIDOS

 
RESUMEN
ABSTRACT
IL PROGETTO “DOMUS TIBERIANA”. GLI APPROVVIGIONAMENTI DI LATERIZI PER I CANTIERI ADRIANEI LUNGO LA NOVA VIA
STUDI PRECEDENTI E PRINCIPALI FASI EDILIZIE DELLA DOMUS TIBERIANA
GLI EDIFICI DI ETÀ IMPERIALE LUNGO LA NOVA VIA
IL CANTIERE DELL’ISOLATO ADRIANEO SULLA NOVA VIA
GESTIONE DEL CANTIERE E DEGLI APPROVVIGIONAMENTI DEI LATERIZI: PRIMI RISULTATI
BIBLIOGRAFIA
 

IL PROGETTO “DOMUS TIBERIANA”. GLI APPROVVIGIONAMENTI DI LATERIZI PER I CANTIERI ADRIANEI LUNGO LA NOVA VIATop

La Domus Tiberiana sul Palatino è stata riconosciuta dalla storiografia moderna come il primo grande palazzo dei Cesari Augusti: un sontuoso complesso residenziale, costituito da giardini porticati, edifici termali, sale di rappresentanza e ampli settori di servizio (Fig. 1). Il complesso si estende su un’area di ca. 4 ha, 195 metri in senso Nord-Sud per 212 metri in senso Est-Ovest, occupante un ampio comparto quadrangolare di oltre un quarto dell’intero colle Palatino. L’area è compresa tra le pendici settentrionali prospettanti il Foro lungo la Nova Via e quelle meridionali prospicienti l’area sacra dei templi di Cibele, Vittoria e Apollo, e tra le pendici occidentali verso la valle del Velabro e il cd. Clivo Palatino.

Fig. 1. Planimetria generale della Domus Tiberiana.

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La porzione dei palazzi che si estendeva al piano nobile della Domus è in gran parte ancora sconosciuta, in quanto nascosta sotto le terre del giardino cinquecentesco degli Horti Farnesiani. Si conoscono invece in maniera più circostanziata le sostruzioni del palazzo verso le sue pendici Nord, Ovest e Sud caratterizzate da potenti sostruzioni voltate, fra le quali spiccano quelle dell’angolo NordOvest, che sovrastano l’area del Foro Romano per più di 30 metri di altezza.

Benché la documentazione prodotta nel corso del tempo dalle precedenti ricerche e studi sia ormai ricca, manca ancora uno studio organico e complessivo del monumento che ne sintetizzi, per grandi fasi, lo sviluppo dalle origini ai giorni nostri, integrando fra loro lo studio delle architetture con le ipotesi ricostruttive, l’edizione e ricontestualizzazione dei tanti materiali mobili dispersi nei magazzini con quella degli apparati decorativi parietali e pavimentali conservati in situ. A questo scopo nel 2013 la Soprintendenza per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma (SS-Col) ha avviato un nuovo progetto di studio e di indagini finalizzato alla ricostruzione della storia globale della Domus Tiberiana dalle più antiche tracce di occupazione del colle all’età contemporanea attraverso le fasi repubblicane, la dimora imperiale, i suoi riutilizzi e la realizzazione degli Horti Farnesiani per procedere, in definitiva, ad una migliore comprensione del palazzo nelle sue caratteristiche topografiche, costruttive e funzionali. Di pari passo, la SS-Col sta compiendo importanti interventi di restauro che hanno già permesso di riaprire al pubblico alcuni settori del Palatino finora chiusi e progettare nuovi percorsi di visita (per una prima illustrazione del progetto v. Filetici, Serlorenzi, Palombella e Traini 2015).

Costante è stato, fin dalle fasi iniziali del progetto, il confronto con le conoscenze pregresse, tanto da procedere prioritariamente alla raccolta e alla sistematizzazione dei dati, editi ed inediti, relativi agli scavi archeologici, agli interventi di restauro e alle indagini geognostiche condotti nel cantiere della Domus Tiberiana. Tale lavoro è stato realizzato all’interno del Sistema Informativo Territoriale Archeologico di Roma (SITAR), il webGIS della SS-Col già avviato da diversi anni (v. da ultimo Serlorenzi e Leoni 2015). In questa ottica, la sfida è anche quella di rappresentare e analizzare un monumento dalla grande complessità architettonica, per cui si sta procedendo alla realizzazione di un prototipo di GIS 3D che agevolerà, ad esempio, lo studio integrato delle stratigrafie murarie, delle percorrenze interne dell’edificio e delle relazioni del monumento con il contesto topografico e urbanistico in cui esso si colloca.

Nell’attuale impossibilità di aprire nuovi saggi di scavo, le ricerche si sono incentrate su una dettagliata lettura stratigrafica degli elevati, delle tecniche murarie e dei materiali costruttivi impiegati nelle fabbriche del palazzo, realizzata applicando differenti metodologie (nuovo rilievo con laser scanner, fotogrammetria, stratigrafia, analisi quantitative, ricostruzioni 3D). Il lavoro ha preso avvio dai settori periferici del palazzo lungo il Clivo Palatino e la Nova Via, per i quali fino ad oggi era meno progredita la riflessione archeologica. Si tratta, in ultima istanza, di un approccio inedito alla Domus Tiberiana, complementare rispetto agli studi tradizionali: nell’ottica dell’archeologia della costruzione viene preso in considerazione l’intero processo costruttivo dell’edificio, dando enfasi tanto alla tecnologia utilizzata, quanto all’organizzazione economica e logistica del cantiere.

L’obiettivo finale è quello di produrre una più aggiornata suddivisione per fasi del monumento che permetta anche nuove e dettagliate ipotesi ricostruttive. La ricerca è ancora in fieri e vengono qui presentati i primi risultati ottenuti relativamente all’isolato adrianeo sulla Nova Via. Prima di esporre tali risultati sarà utile ripercorrere a grandi linee le fasi di sviluppo del complesso, per fornire l’inquadramento storico-archeologico della ricerca. A sua volta, l’analisi che è stata condotta sulla porzione finora indagata più nel dettaglio costituirà la testimonianza delle possibilità insite nelle metodologie adottate e le positive ricadute in termini di conoscenza dei monumenti antichi.

STUDI PRECEDENTI E PRINCIPALI FASI EDILIZIE DELLA DOMUS TIBERIANA Top

Tra il 1862 e il 1870, per volere di Napoleone III, Pietro Rosa cominciò una serie di indagini sistematiche nella Domus Tiberiana, in particolare sul fronte settentrionale verso il Foro, nel versante orientale lungo il cosiddetto Clivo Palatino e nel lato meridionale verso il santuario della Magna Mater (Tomei 1999). Gli scavi furono proseguiti da Rodolfo Lanciani lungo la Nova Via (1882-1884) e da Giacomo Boni, che nel 1900 iniziò la demolizione della chiesa di S. Maria Liberatrice, riportando in luce la sottostante S. Maria Antiqua, a sua volta inserita all’interno di una porzione del palazzo imperiale.

Da allora sono diversi gli autori che si sono dedicati all’analisi e alla descrizione del complesso, ma il primo a ipotizzare funzioni e datazioni dei diversi settori della Domus Tiberiana, realizzando le prime planimetrie per livelli, fu Clemens Krause, che tra il 1980 e il 1987 diresse rilievi e saggi di scavo pubblicati in una fondamentale monografia (Krause 1994). In seguito gli scavi e gli studi proseguirono a cura della Soprintendenza Archeologica di Roma che si trovò a fronteggiare le gravi condizioni statiche e le problematiche conservative dell’edificio (Tomei e Filetici 2011). Più recentemente, come abbiamo già accennato, queste operazioni sono state riprese dalla SS-Col nel nuovo progetto “Domus Tiberiana” (Filetici, Serlorenzi, Palombella e Traini 2015).

A partire dagli studi di Krause, le origini del palazzo detto di Tiberio vengono fatte risalire all’epoca neroniana[1], fondato sulle ceneri delle case aristocratiche distrutte durante l’incendio del luglio 64 d.C.[2] Se le scoscese pendici settentrionali del colle furono rivestite e occupate con diverse fasi dalle articolate terrazze sostruttive del palazzo, erette per cinque livelli, la parte alta del Palatino (il Cermalus), limite meridionale del complesso verso l’area santuariale della Magna Mater, fu edificata mediante un solo livello terrazzato in quota con il quinto del lato opposto. Questo livello costituiva la basis dell’intero complesso residenziale che si trovava al sesto livello, corrispondente alla terrazza degli Horti Farnesiani. Il quinto livello era inoltre occupato dal criptoportico neroniano, vera e propria percorrenza interna che, mediante una maglia di corridoi ortogonali, garantiva la comunicazione fra i vari bracci dello stesso criptoportico e con la parte centrale.

Gli scavi effettuati da Krause sul lato settentrionale della Domus Tiberiana gli hanno permesso di ipotizzare come il grande complesso residenziale neroniano (Periodi I e II) fosse unitario e perfettamente inserito nell’ambito della ristrutturazione urbanistica posteriore all’incendio del 64 d.C. (oltre alla monografia già menzionata, v. Krause 1985; Krause 1994; Krause 1998; Krause 2001; Krause 2002). D’altra parte, com’è stato dimostrato anche da altri studi precedenti (ad esempio Royo 1999), le residenze imperiali del Palatino precedenti alla Domus Tiberiana dovevano essere costituite da una serie di edifici residenziali, autonomi ma tra loro confinanti e collegati [3]. Confiscate alla nobiltà fin dall’epoca di Augusto alla nobiltà e acquisite dai principes del casato giulio-claudio, le residenze vennero presumibilmente occupate dagli esponenti della stessa famiglia imperiale. In tale prospettiva potrebbero essere così identificate la domus Gai (edificata sulle strutture della casa natale di Tiberio) e le residenze tardorepubblicane attribuite a Cicerone e Clodio (Krause 1998: 265-266; Krause 2001: 29-34; Coarelli 2012: 308-313), nonché le domus terrazzate dell’isolato tardorepubblicano nel settore sud-occidentale del palazzo (da ultimo Tomei e Filetici 2011: 138-146). La I fase del palazzo neroniano, pertanto, si porrebbe in continuità con la scansione urbanistica in isolati regolari del periodo precedente, costituito da case separate da strade ortogonali. Il palazzo sarebbe stato impostato su questo preesistente tessuto rispettando gli isolati e le viabilità ricalcate dalle successive percorrenze costituite dai criptoportici.

Ai Flavi si deve attribuire un’importante fase di ristrutturazione dell’intero impianto (Periodi III e IV del Krause) che, sebbene non abbia modificato il generale assetto planimetrico, riguardò una ridefinizione degli spazi e delle loro destinazioni d’uso. In linea con la propaganda antineroniana avviata dalla dinastia dei Flavi, nel contesto della progressiva dismissione della residenza privata di Nerone, il palazzo palatino venne trasformato da sede di rappresentanza degli officia a residenza privata, ma con la peculiarità dell’attribuzione al delfino dell’imperatore (Krause 2009: 264). Alla fase vespasianea, infatti, sono assegnabili le importanti ristrutturazioni del lato settentrionale del basamento: la grande scalinata di accesso in collegamento con la viabilità Est-Ovest (clivus Victoriae) venne smantellata e il suo spazio interno, opportunamente parcellizzato, fu trasformato in un balneum di servizio dotato di nuove infrastrutture con servizi sanitari e latrine, una delle quali fu decorata con scene gladiatorie (Tomei e Conti 1991). Inoltre, nella parte centrale al livello superiore, la grande area porticata venne trasformata in un’aula rettangolare absidata di rappresentanza, per dimensioni assimilabile alla cosiddetta Aula Regia della Domus Augustana; infine nel settore NordEst la costruzione ex novo di un grandioso impianto termale definisce il carattere di queste ristrutturazioni.

Al regno di Domiziano, in concomitanza con l’edificazione degli altri grandiosi palazzi nell’area centrale e nel settore sud orientale del colle, la Domus Flavia e la Domus Augustana, vanno correlate altre importanti e sostanziali modifiche, che confermano la tendenza avviata nel periodo precedente, nell’ambito della quale la Domus Tiberiana si conferma come residenza secondaria (Krause 2009: 266-267). Durante quest’epoca si continuò a modificare l’assetto delle terrazze di sostruzione e degli avancorpi sul lato orientale modificandone, rispetto al progetto neroniano, gli usi e gli ambiti di fruizione. Infatti, l’area porticata lungo il clivo Palatino subì importanti ristrutturazioni, mediante la trasformazione in tabernae degli spazi più interni, mentre il settore meridionale del criptoportico, tra il lato settentrionale della casa di Livia a quello del santuario di Cibele, fu profondamente modificato, suddividendone lo spazio in 18 vani, destinati ad attività commerciali e produttive, forse connesse alla lavorazione o al lavaggio dei tessuti (Coletti 2015). Nell’area NordOvest, invece, il palazzo fu collegato al Foro mediante la costruzione della cosiddetta “rampa domizianea”, articolata in sette segmenti, che superava i diversi livelli dal vestibolo del palazzo, successivamente trasformato in Oratorio dei XL Martiri (Fortini 2015: 26). La rampa confluiva al quarto livello nel punto di congiunzione fra i due rami del clivus Victoriae – quello lungo la valle del Velabro e quello sul fronte settentrionale – e le Scalae Graecae.

Al periodo adrianeo deve essere fatta risalire l’attività costruttiva che modificò il settore nord-occidentale, mediante la costruzione del poderoso avancorpo, tuttora apprezzabile dalla valle del Foro, che si estende al di sopra del clivo della Vittoria, trasformato in via coperta (Krause 1985: 97), fino alla Nova Via.

Il periodo successivo, presumibilmente risalente all’epoca severiana, si caratterizza soprattutto per i consolidamenti strutturali apportati in diverse porzioni della Domus, come i sistemi di contrafforti aggiunti alle murature del clivo della Vittoria, con l’obiettivo di sostenere e rinforzare le volte che coprivano il percorso, o gli archi di contrasto che attraversano la porzione occidentale della Nova Via realizzati in appoggio ai fabbricati sul lato meridionale della strada e alla Casa delle Vestali.

Sebbene la maggior parte dei monumenti del Palatino dagli inizi del V secolo fosse oramai abbandonata e dalla seconda metà parzialmente crollata, anche in conseguenza del rovinoso terremoto che colpi l’Urbs nel 443 d.C., l’intero complesso della Domus Tiberiana continuò ad essere fruito e occasionalmente ristrutturato. Le frequentazioni si spingono fino al VII secolo avanzato quando la Domus fu prescelta come sede del vescovo di Roma Giovanni VII (650-707 d.C.), figlio del funzionario bizantino addetto alla custodia del palazzo (da ultimo, si veda Carboni 2016). Restauri pertinenti a questa fase sono rintracciabili nelle pavimentazioni dei vani interni del settore settentrionale e nella ricomposizione del lastricato in basoli del clivus Victoriae, finalizzata alla rimessa in funzione della sottostante cloaca, la cui cronologia è dettata dai materiali ceramici isolati dalla stratigrafia e da un bipedale bollato di epoca teodoriciana in opera nella cappuccina della cloaca.

GLI EDIFICI DI ETÀ IMPERIALE LUNGO LA NOVA VIATop

Descrizione topografica degli edifici

L’aspetto attuale della Nova Via è il frutto di una serie di interventi costruttivi succedutisi nel tempo a partire dalla rettificazione dell’asse stradale tradizionalmente attribuita alla programmazione urbanistica neroniana successiva all’incendio del 64 d.C. [4]

Gli edifici di età imperiale sul lato meridionale della strada (Fig. 2), corrispondenti al limite Nord della Domus Tiberiana, sono contraddistinti da specifiche caratteristiche costruttive e planimetriche e sono intervallati da tre rampe di scale che permettevano il collegamento con gli assi stradali disposti parallelamente alla Nova Via a diverse quote lungo la pendice settentrionale del Palatino [5].

Fig. 2. Fronte della Domus Tiberiana lungo la Nova Via, con indicazione degli edifici riconosciuti, delle rampe per ascendere al colle, dei fabbricati adrianei e dell’edificio analizzato più nel dettaglio.

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Il più orientale di questi edifici, all’incrocio tra Nova Via e il cosiddetto Clivo Palatino, è costituito da una serie di quattro ambienti tra loro adiacenti aperti a Ovest verso il Clivo, uno dei quali occupato da un corpo scala per l’accesso al primo piano. Sul retro l’edificio è delimitato da una rampa accessibile dalla Nova Via e parallela all’andamento del Clivo Palatino. Sulla base dei dati di scavo, gli elevati conservati risalgono ad età severiana e risultano costruiti su precedenti fondazioni di età domizianea, a loro volta perpendicolari a quelle del portico neroniano che fiancheggia il Clivo (Tomei, Santangeli Valenzani, Volpe, Capodiferro, Piranomonte e Morganti 1986).

Ad Ovest della rampa di scale già citata si trova un secondo edificio, il cui limite occidentale è costituito da una seconda gradinata. Databile almeno ad età domizianea per la presenza di due bolli laterizi (Tomei, Santangeli Valenzani, Volpe, Capodiferro, Piranomonte e Morganti 1986: 420), esso è costituito al piano terra da tre grandi ambienti aperti sulla Nova Via ad una quota molto più alta di quella del suo basolato e al livello superiore da uno o più vani di difficile lettura per la presenza di una fitta vegetazione. La seconda rampa scavalca una fondazione in opera cementizia di età repubblicana, il cui orientamento obliquo è stato utilizzato per ricostruire l’andamento della Nova Via prima della normalizzazione neroniana (Santangeli Valenzani e Volpe 1989-1990).

Proseguendo lungo la strada si incontra una serie di sette ambienti disposti su due piani, la cui originaria continuità è stata interrotta dall’inserimento in età rinascimentale dello scalone di accesso alle Uccelliere Farnesiane. L’edificio, forse databile già all’età flavia, è caratterizzato ai piedi dell’intera facciata da grossi blocchi di travertino, probabilmente pertinenti al progetto neroniano. L’aspetto attuale è dovuto ad un pesante rifacimento di età severiana che lo rialzò di un piano, quando furono addossati alla facciata i contrafforti a scarpa destinati a sorreggere dei ballatoi aperti sul secondo piano. Furono allora mutate le percorrenze interne; in particolare, gli ambienti al primo piano, inizialmente raggiungibili ciascuno tramite botole da quelli immediatamente sottostanti, furono serviti dalla terza scala, che costituisce il limite Est dell’edificio. Questa scala, cui si accede oltrepassato un arco che scavalca la Nova Via, serviva anche i piani rialzati dell’edificio adiacente ad Ovest, a conferma di un’identità di progetto costruttivo di età severiana. L’edificio fu realizzato in uno spazio che fino ad allora sembra essere stato inedificato. Non si riconoscono infatti strutture precedenti, anche se, come già notato (Hurst e Cirone 2003 : 57-60), il muro di fondo si dispone sull’allineamento di un terrazzamento di età tardo repubblicana o augustea. Al piano terra si aprono cinque ambienti con accessi indipendenti sulla Nova Via; al piano superiore è comunque possibile ricostruire una corrispondente serie di cinque ambienti serviti sul retro da uno stretto corridoio, illuminato da bocche di lupo; queste finestre furono chiuse in un secondo momento, quando fu aggiunto il secondo piano.

L’isolato che occupa lo spazio rimanente della strada fino all’angolo con le cosiddette Scalae Graecae è databile ad età adrianea. Si compone di due edifici, il primo dei quali (per la cui descrizione vedi infra) si estende nella porzione della Nova Via attraversata dai cinque archi di contrasto in appoggio al muro posteriore della Casa delle Vestali. Nel secondo edificio, al piano terra, si aprono otto ambienti con accesso diretto dalla Nova Via e solo gli ultimi quattro sono tra loro in comunicazione mediante porte aperte nei muri divisori, non allineate tra di loro. I due ambienti più occidentali hanno pianta irregolare in quanto l’orientamento delle murature si adatta a quello preesistente delle Scalae Graecae (per questa porzione vedi anche Hurst 2006). Infine, da notare come anche in entrambi gli edifici il muro di fondo degli ambienti corrisponda, al piano terra come al primo, al terrazzamento tardo repubblicano o augusteo, nascosto da fodere murarie.

Il progetto adrianeo

La realizzazione dei due edifici all’estremità occidentale della Nova Via si inserisce in un più ampio intervento costruttivo che in età adrianea investì tutto l’angolo nord-occidentale della Domus Tiberiana dove venne realizzato un nuovo sistema sostruttivo per ampliare il palazzo imperiale, avanzandone la facciata verso il Foro. Questo ampliamento del basamento della Domus partì dal suo precedente limite domizianeo e raggiunse il fronte della Nova Via, scavalcando il Clivus Victoriae con archi alti fino a 17 metri: in questo progetto, i due edifici sulla Nova Via funzionavano da basamento e contrafforte alla nuova facciata, alta complessivamente 28 metri (Monaco 2011: 55-56).

L’attribuzione di questo intervento all’età adrianea è stata proposta per la prima volta da Richter (Richter 1901: 151), al quale si sono uniformati tutti gli studiosi che si sono dedicati alla questione, a partire dalla Van Deman, che per prima ha proposto un’analisi e messa in fase delle strutture all’angolo NordOvest della Domus (Van Deman 1924). Tale cronologia si basa sui numerosi bolli laterizi di questa epoca individuati in opera e, così come l’assenza di bolli antecedenti è addotta a prova di una stasi edilizia tra i regni di Domiziano e quello di Adriano, la distribuzione di quelli adrianei in tutto il settore e su tutti i livelli dimostrerebbe l’esistenza di un progetto unitario di ampliamento (Monaco 1976-1977).

Una diversa datazione è stata recentemente proposta da Daniela Bruno che, utilizzando i bolli laterizi come termine post quem, attribuisce tale progetto costruttivo a Lucio Vero (Bruno 2012: 253, tav. 79). Secondo questa ipotesi ricostruttiva, il basamento della Domus Tiberiana sarebbe stato ampliato verso Nord per realizzare, al livello superiore, un giardino a forma di ippodromo fiancheggiato da portici e chiuso da un muro ad emiciclo corrispondente alla facciata del palazzo sulla Nova Via. Questa ricostruzione contrasta con quella proposta in passato da Krause, secondo cui il nuovo sistema sostruttivo avrebbe ospitato sulla sua sommità un peristilio quadrato (Krause 1994: 29, 217 fig. 262). Incerto è anche l’aspetto assunto in questa fase dalla facciata del palazzo sul Foro e rimane ancora da chiarire se la fronte fosse scandita da uno o più gradoni corrispondenti ai diversi piani del sistema sostruttivo. Ad ogni modo, sempre Krause (ibidem) attribuisce allo stesso progetto anche la costruzione dell’isolato con i due edifici sulla Nova Via.

IL CANTIERE DELL’ISOLATO ADRIANEO SULLA NOVA VIATop

Descrizione planimetrica e architettonica

Come già accennato, l’isolato adrianeo costruito nel tratto occidentale della Nova Via è composto da due blocchi di due piani, suddivisi da un corpo scale e caratterizzati da una diversa organizzazione degli ambienti interni. Il progetto, realizzato insieme con l’ampliamento della Domus Tiberiana al livello superiore del palazzo, prevedeva dunque l’organizzazione di un complesso cantiere suddiviso su diversi livelli e in più lotti che, con il completamento dell’opera, furono raccordati fra loro.

La parcellizzazione del cantiere si riflette nella diversità delle tecniche edilizie e dei materiali da costruzione e può essere esemplificata tramite la descrizione del blocco di ambienti sulla Nova Via a est del corpo scale. Questo edificio si presta all’analisi proposta poiché è integralmente conservato al piano terra e al primo piano, mentre al secondo piano le murature sono conservate al massimo per ca. 2 metri di altezza (Fig. 3).

Fig. 3. Prospetti dell’edificio adrianeo con evidenziazione della prima fase costruttiva. A partire dall’alto: facciata; sezione prospettica con vista della parete di fondo degli ambienti.

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L’intera fabbrica fu realizzata in appoggio al precedente muro di terrazzamento tardo repubblicano o augusteo al quale abbiamo già accennato (Fig. 4). Questo muro presenta una fondazione in cavo armato ed elevato in opera reticolata di tufelli piuttosto irregolari di circa 11 cm di lato, visibile in corrispondenza del muro posteriore del corpo scale e nel vano adiacente a Est. Inoltre, la presenza di una seconda fondazione conservata all’interno di un ambiente ipogeo e posta a monte del muro di terrazzamento a una quota più elevata di 4,3 metri (corrispondente alla massima quota visibile), permette di ipotizzare che, per lo meno nella porzione in oggetto, il declivio del colle fosse già sistemato a gradoni e che, su tale conformazione, si sia impostato il progetto adrianeo.

Fig. 4. Planimetria ricostruttiva dell’edificio adrianeo con indicazione dei percorsi interni.

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Per la descrizione della planimetria degli ambienti si fa riferimento alla sistemazione dell’epoca adrianea senza prendere in considerazione le modifiche successive. Gli ambienti vengono identificati numerandoli a partire dal corpo scale posto a Est. Lo stesso corpo scale include le rampe di gradini intervallate da pianerottoli [6] e un locale di sottoscala.

Evidenziamo inoltre come in ciascuno dei piani a Ovest del corpo scale si trovino quattro ambienti. In tutti i casi gli ultimi tre vani sono collegati fra loro tramite una doppia percorrenza ricostruibile sulla base delle due serie di porte che si aprono nei divisori. Il primo vano, invece, comunica con quelli ad esso adiacenti tramite una sola porta. Inoltre, la planimetria dei piani varia a seconda della presenza di ulteriori ambienti sul retro dei quattro vani principali (v. infra), nonché della disposizione dei tramezzi interni che determinano diverse percorrenze.

La facciata dell’edificio era scandita da grandi finestroni rettangolari orizzontali suddivisi in aperture più piccole da pilastrini in laterizi. Queste aperture erano sottolineate da sottili cornici in laterizi, semplicemente tagliate in diagonale [7].

Al piano terra si trovavano tre porte di ingresso: una relativa al vano scale, sormontata da una piccola finestra quadrangolare, una che dava accesso al sottoscala, e una che immetteva nel terzo ambiente, affiancata da una finestra rettangolare verticale. All’interno, si trovava solamente la serie principale dei quattro ambienti e, come abbiamo già indicato, fra la seconda e la quarta stanza, in ciascuno dei muri divisori si aprivano due porte, una di più grandi dimensioni e l’altra, più piccola, spostata verso il fondo (Fig. 5, sx). I primi due locali erano invece collegati da una sola porta, allineata con le altre aperture di più grandi dimensioni. Il secondo ambiente racchiudeva un vano delimitato da tramezzi costruiti in appoggio alle murature principali e spostato verso Est.

Fig. 5. Viste dell’edificio adrianeo. A sx, divisorio interno del primo piano con le due porte di passaggio (parzialmente tamponate da pilastri di epoca severiana) e tramezzo con paramento interno in opera incerta e stipite in laterizi. A dx, porta di ingresso del primo piano vista dal pianerottolo delle scale; sopra la ghiera della porta è visibile l’ammorsatura fra i laterizi giallo-arancioni della facciata e quelli di colore arancione scuro del divisorio.

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Al secondo piano si poteva accedere tramite il pianerottolo delle scale verso il primo ambiente. Procedendo in linea retta attraverso le porte di comunicazione interne era possibile raggiungere gli altri locali. Nel primo ambiente i tramezzi interni delimitano un vano in appoggio alla parete Ovest in modo da lasciare libero il passaggio verso una stanza posteriore. Nei successivi due ambienti, i tramezzi si appoggiano lateralmente ai muri divisori [8], mentre nel quarto ambiente non vi è traccia di suddivisioni interne.

A differenza del piano terra, sul lato posteriore del primo ambiente si trova la stanza ipogea, creata praticando una breccia nel precedente muro in reticolato. Il muro di fondo corrisponde alla fondazione di epoca precedente già descritta, mentre il muro laterale ovest fu costruito ex novo.

Al secondo piano i tramezzi interni si trovano negli ultimi due ambienti, mentre altre stanze furono aggiunte verso nord. Infatti, sul retro del primo ambiente si trova un primo vano che sovrasta il locale ipogeo al piano sottostante, e che confina con un ulteriore vano di dimensioni simili. Al secondo piano si trovava, inoltre, un ballatoio aggettante, non conservato, ma la cui presenza è indicata da due grandi mensole in travertino visibili sulla facciata.

A causa della vegetazione che invade la parte retrostante di queste ultime strutture, oltre che dei resti dell’Antiquario Palatino fatto costruire da Pietro Rosa e abbattuto nel 1882, l’eventuale presenza di altri ambienti non è attualmente visibile. Appare tuttavia chiaramente che la volumetria dell’edificio si adattò all’andamento topografico della pendice del colle, prevedendo l’aggiunta di più ordini di ambienti nella parte retrostante man mano che il livello della costruzione aumentava. Allo stato attuale delle ricerche non è chiaro se l’edificio fosse dotato di un terzo piano.

Per quanto concerne gli apparati decorativi, si evidenzia come al primo piano si conservino ampi resti di pavimenti a mosaico con motivi geometrici in bianco e nero, mentre la parete di fondo, corrispondente al prolungamento del terrazzamento augusteo, fu intonacata e dipinta ad affresco. Al piano terra, porzioni di affresco si trovano solamente sulle pareti e sulla volta del piccolo vano delimitato da tramezzi all’interno del secondo ambiente.

Tecniche e materiali da costruzione

L’edificio adrianeo fu costruito utilizzando differenti materiali e tecniche edilizie nei diversi elementi strutturali che lo compongono (per una precedente interpretazione delle fasi costruttive, v. Tomei e Filetici 2011: 84, tavv. XX-XXI). Relativamente agli elevati, si distinguono, da un punto di vista costruttivo, il muro perimetrale di facciata, i divisori interni fra gli ambienti, i tramezzi e i davanzali delle finestre.

Facciata

Il muro di facciata fu costruito in opera laterizia con mattoni di colore prevalentemente giallo-arancione, utilizzati anche nei pilastrini di suddivisione delle finestre. L’impasto è compatto, la malta è molto coesa con aggregati a granulometria fine e costituiti maggioritariamente da pozzolana rossa e nera. I letti di malta sono stati lisciati ed è visibile un bordino a rilievo al centro del giunto o nella sua metà inferiore. Il taglio dei laterizi è accurato, come si deduce dai limiti netti dei bordi e dalla sottigliezza dei giunti verticali.

Un diverso tipo di mattoni caratterizza l’opera laterizia utilizzata negli stipiti delle finestre. Il colore dei mattoni è arancione chiaro e la superficie è caratterizzata da un fenomeno di degrado per esfoliazione che indica probabilmente l’inferiore qualità tecnica del materiale rispetto al resto della facciata.

Il muro di facciata fu probabilmente completato lasciando dei bordi di attesa verticali con ammorsatura libera in corrispondenza degli stipiti che vennero riempiti in un secondo momento ricucendo la muratura corso per corso. Oltre che dalla qualità dei laterizi, il diverso valore strutturale delle porzioni murarie relative agli stipiti è sottolineato anche dal loro spessore più sottile rispetto al resto della facciata.

Divisori interni

Al piano terra e al primo piano i muri interni furono realizzati in opera mista con pannelli in reticolato di tufelli di 7-8 cm di lato, cinture e stipiti in laterizi. Fanno eccezione i due divisori fra gli ultimi tre ambienti, interamente di laterizi, probabilmente perché fra le due porte non vi era spazio sufficiente per inserire un pannello di reticolato. Quanto al corpo scale, il suo muro di spina e il perimetrale ovest – che funge anche da limite rispetto all’edificio posto nella parte terminale della Nova Via – sono realizzati in opera mista nella parte inferiore e in laterizi nell’elevato.

Tutte le strutture interne, comprese quelle in opera mista, sono costruite con laterizi differenti rispetto a quelli della facciata. Il colore è arancione scuro, l’impasto è particolarmente duro. La malta è simile a quella usata sul fronte dell’edificio e il trattamento dei giunti è lo stesso. Tuttavia i laterizi presentano una forma più eterogenea, con una maggiore quantità di spezzoni. Si riscontrano infatti numerosi mattoni con superfici curvilinee o a profilo trapezoidale, i bordi verticali sono spesso ritagliati in maniera irregolare e lo spessore dei giunti risulta più variabile. In numerosi casi, quando è visibile la frattura dell’aletta, è stato possibile stabilire che molti laterizi corrispondono a tegole fratte.

La parete di fondo degli ambienti al piano terra e al primo piano è stata intonacata o rifoderata in un’epoca successiva e la tecnica non è riconoscibile, benché il muro sia probabilmente corrispondente al prolungamento della fondazione e del muro in reticolato tardo repubblicano o augusteo. Al secondo piano la parete di fondo fu rialzata in epoca adrianea, contemporaneamente alla costruzione dell’isolato, e fu realizzata in laterizi uguali a quelli usati nei muri interni.

La differenza di materiali fra la facciata e i divisori interni è ben visibile soprattutto negli spigoli di contatto fra le murature in corrispondenza del pianerottolo delle scale al primo piano (Fig. 5, dx) e nel sottostante locale di sottoscala. In entrambi i casi appare evidente come le murature siano state ammorsate fra loro ricucendole filare per filare e inserendo spezzoni negli spazi di risulta.

Bipedali

Nella facciata sono visibili solamente pochi bipedali usati negli spigoli esterni dei muri divisori fra il corpo scale e gli ambienti adiacenti a Est e a Ovest (mancano invece nel muro di spina). Altri corsi di bipedali si trovano talora sulla cresta delle murature all’imposta delle volte. Questi laterizi sono invece usati sistematicamente nelle ghiere degli archi e delle piattabande che sormontano le aperture. Sono prevalentemente di colore giallo o giallo-arancione e su molti di essi si conservano tracce di pittura ocra, probabilmente usata per marcarli prima della posa in opera dal momento che la pittura non ricopre mai i giunti di malta (la stessa pratica è già stata osservata nelle Terme di Traiano: Rossi 2015).

Tramezzi interni

Nei tramezzi costruiti per delimitare le partizioni interne degli ambienti fu utilizzata una tecnica mista con il paramento esterno in laterizi e l’altro in opera incerta o reticolata irregolare di tufo. Nonostante la notevole differenza di tecnica rispetto al resto dell’edificio e benché siano in appoggio ai muri divisori fra gli ambienti, anche i tramezzi possono essere attribuiti alla fase di costruzione di epoca adrianea. Infatti furono impostati sopra il livello finale delle volte costituito da spezzoni di pietra e frammenti di laterizi disposti di piatto all’interno del cementizio. Successivamente ai tramezzi furono realizzate le pavimentazioni e le decorazioni parietali. Inoltre, come avremo modo di riaffermare nelle conclusioni, solo ipotizzando che i tramezzi fossero previsti fin dall’inizio è possibile dare congruenza al progetto costruttivo e alla ricostruzione dei percorsi interni dell’edificio.

Metrologia dei laterizi: metodologie adottate

Per comprendere più approfonditamente l’organizzazione del cantiere adrianeo in relazione all’approvvigionamento dei diversi materiali e alla loro distribuzione nelle porzioni dell’edificio, fin dal primo anno del progetto è stata prevista una campionatura delle misure dei laterizi.

L’analisi metrologica è stata condotta secondo due differenti metodi statistico-quantitativi (di seguito nominati metodo A e metodo B) applicati non tanto allo scopo di giungere a una mensiocronologia dei materiali, quanto per riuscire a caratterizzare in maniera più specifica le murature laterizie e risalire alla logica economica del cantiere. Più in particolare la misurazione per campionatura degli elementi laterizi può aiutare a ricostruire le quantità di materiali utilizzati e le modalità del taglio effettuate sui moduli originali (Fig. 6. In un caso come quello qui analizzato, nel quale in uno stesso cantiere giunsero diversi tipi di laterizi che sembrano corrispondere a differenti produzioni, il metodo prescelto ha iniziato a dare i primi risultati significativi.

Fig. 6. Taglio dei laterizi triangolari secondo J.-P. Adam (1984: 159) ed E. Bukowiecki (2010: 149).

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Il metodo A è stato elaborato da un’equipe coordinata da Maura Medri (Università di Roma Tre) che ha effettuato alcune campionature anche all’interno della Domus Tiberiana (Medri 2015). Uno dei campioni ha preso in esame i laterizi di colore arancione scuro nell’edificio adrianeo sulla Nova Via, in particolare nel muro del corpo scale (lato Ovest del primo pianerottolo). Per questo metodo è necessario reperire un’area di superficie muraria di 1 metro quadrato, mai conservata né nella facciata dell’edificio, né nei davanzali o nei tramezzi. Pertanto, allo stadio attuale della ricerca, il campione non è utile per confrontare fra loro le diverse tecniche, bensì per mettere a confronto i risultati delle due metodologie relativamente a uno stesso campione di paramento.

Ricordiamo brevemente che il metodo A è stato predisposto allo scopo di risalire al numero di laterizi utilizzati in un metro quadrato di muratura, all’interno del quale viene misurata anche la percentuale di superficie del paramento occupata dagli elementi rispetto alla malta (Fig. 7). Tramite diagrammi a linee viene rappresentata la ricorrenza delle misure della lunghezza e dello spessore, mentre in tabelle vengono riportate la loro misura media e la deviazione standard (Fig. 8).

Fig. 7. Metodo A: campione fotoraddrizzato della tecnica edilizia (1 metro quadrato) del corpo scale con vettorializzazione dei laterizi e tabella quantitativa (elaborazioni: Maura Medri).

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Fig. 8. Metodo A: diagrammi e tabelle relativi alle lunghezze e alle altezze dei laterizi del corpo scale (elaborazioni: Maura Medri).

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Il metodo B è stato applicato per ovviare al problema della conservazione o visibilità del paramento per una superficie inferiore al metro quadrato. In questo caso sono state rilevate le misure di 50 elementi, in aree il più possibile circoscritte, ma comunque privilegiando i laterizi più conservati o visibili [9]. A differenza del metodo precedente, la misurazione viene effettuata manualmente sul laterizio invece che sul rilievo vettorializzato del campione di muratura; nei diagrammi gli intervalli fra le misure sono espressi in centimentri o millimetri ma non in frazioni di millimetro.

Anche nel metodo B la deviazione standard è stata utile per comprendere quanto i dati si discostino rispetto alla media aritmetica e quindi per ottenere il range delle misure più ricorrenti. Grazie a questo secondo metodo possiamo confrontare il campione del corpo scale con un divisorio interno e con la tecnica della facciata (Fig. 9, 10, 11 e 12).

Fig. 9. Campioni di muratura (1 mq) del corpo scale, a sx, e della facciata, a dx (elaborazioni da rilievo con laser scanner). Nel campione della facciata, il contorno individua una porzione rifatta in epoca severiana.

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Fig. 10. Metodo B: diagramma e tabella relativi alle lunghezze e alle altezze dei laterizi del corpo scale.

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Fig. 11. Metodo B: diagramma e tabella relativi alle lunghezze e alle altezze dei laterizi di un divisorio interno.

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Fig. 12. Metodo B: diagramma e tabella relativi alle lunghezze e alle altezze dei laterizi della facciata.

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Metrologia dei laterizi: risultati preliminari

Possiamo avanzare qualche considerazione preliminare a partire dal confronto fra i dati ottenuti con i due metodi, in particolare riguardo al range delle misure, e infine trarre qualche conclusione sulle modalità di taglio dei laterizi utilizzati nella facciata e nei muri interni.

La variabilità delle misure corrisponde alla media aritmetica più o meno il valore della deviazione standard e, dall’elaborazione dei range delle misure dei campioni esaminati, risultano i seguenti valori:

Metodo A

  • Corpo scale: spessore 3,2-3,7 cm; lunghezza 19-24,7 cm

Metodo B

  • Corpo scale: spessore 3,1-3,7 cm; lunghezza 19,2-24,7 cm
  • Muro divisorio: spessore 3,2-3,8 cm; lunghezza 18,2-24,8 cm
  • Facciata: spessore 3,2-3,7 cm; lunghezza 22,2-28,2 cm

Si può osservare che le misure, sia le lunghezze sia le altezze, hanno valori uguali o molto simili. Ad ogni modo, al fine di ottenere un’ulteriore riprova della correttezza del metodo B, il campione di laterizi del corpo scale è stato aumentato a 100 elementi, ottenendo i seguenti valori:

  • Lunghezza media: 21,82 cm
  • Deviazione standard: 2,94
  • Range delle lunghezze: 18,9-24,8 cm
  • Altezza media: 3,44 cm
  • Deviazione standard: 0,26
  • Range delle altezze: 3,2-3,7 cm

Si nota che le altezze rimangono sempre costanti, mentre si è verificata una leggera correzione nel range delle lunghezze imputabile alla maggiore variabilità di questa misura che dipende, come vedremo, dal possibile utilizzo di diversi lotti di laterizi all’interno della muratura. Comunque, sebbene il campione di 50 laterizi si sia rivelato sufficientemente rappresentativo (come è dimostrato dalla sostanziale coincidenza dei dati ottenuti tramite i due metodi), d’altra parte, laddove le misure sono più variabili, la misurazione di 100 elementi ha fornito risultati più raffinati.

Possiamo ora mettere a confronto le lunghezze dei laterizi della facciata con quelli del corpo scale, fra le cui misure si osserva una significativa differenza. Inoltre, dall’insieme delle misure delle lunghezze possiamo ricavare un’idea di quali fossero i moduli originali ritagliati per ottenere i laterizi delle diverse tecniche.

Per ottenere la maggior parte dei laterizi giallo-arancioni della facciata, la cui lunghezza è superiore a quella degli elementi nei muri interni, sembra che siano stati utilizzati sesquipedali tagliati in 8 triangoli oppure bessali tagliati in 2 triangoli. Le misure presentano tuttavia una significativa variabilità che potrebbe dipendere dalla percentuale di scarto del mattone determinata al momento del taglio e dalla precisione degli strumenti utilizzati. Normalmente si ritiene che lo strumento utilizzato per il taglio dei laterizi fosse simile al nostro “malepeggio” (Bukowiecki 2010: 147); in epoca recente, tuttavia, è utilizzato anche un martello dotato di una testa quadrangolare e, sul lato opposto, di un tagliente orientato perpendicolarmente al manico (Encyclopédie des métiers 1991: 149-150, s.v. Le martelet de briqueteur; gli autori ringraziano Jean-Claude Bessac per la segnalazione).

Invece, per ottenere la maggior parte dei laterizi dei muri interni sembra che il modulo originario fosse il sesquipedale tagliato in 16 triangoli, un caso precedentemente ipotizzato dal solo Giuliani (Giuliani Cairoli 2006: 203, fig. 2) (Fig. 6). Tuttavia, nei divisori si trovano mescolati anche altri materiali, in particolare un gran numero di tegole fratte (visibili nel paramento e in cresta) e probabilmente i bessali. A questi ultimi potrebbero essere fatti risalire i tagli più piccoli, ma non è da escludere la presenza, in percentuale ancora da determinare, di laterizi di reimpiego rilavorati prima della posa in opera, come si potrebbe desumere dal frequente taglio irregolare dei bordi verticali [10].

Per il momento escludiamo che fossero usati ritagli di bipedali (ipotizzati nei lavori di Adam e Bukowiecki citati alla Fig. 6) poiché, negli elementi strutturali dove sono utilizzati, come le ghiere delle piattabande e degli archi, essi presentano uno spessore maggiore rispetto ai laterizi delle murature. Anche se successive campionature potranno precisare queste osservazioni, è possibile pertanto avanzare l’ipotesi che nel cantiere adrianeo il modulo originario maggioritariamente rappresentato sia il sesquipedale, mescolato al bessale e, nei muri interni, alle tegole fratte e forse anche a spezzoni di laterizi di reimpiego (risultati simili sono stati ottenuti dall’analisi dei laterizi effettuata sulle Terme di Traiano: Rossi 2015).

GESTIONE DEL CANTIERE E DEGLI APPROVVIGIONAMENTI DEI LATERIZI: PRIMI RISULTATITop

L’analisi dell’isolato adrianeo sulla Nova Via permette di trarre qualche prima conclusione sul suo progetto costruttivo e sulla gestione del cantiere, con particolare riferimento all’approvvigionamento dei laterizi per gli elevati.

In primo luogo, l’analisi stratigrafica e architettonica dell’edificio ha evidenziato come all’interno di uno stesso cantiere si impiegassero tecniche differenti a seconda del valore strutturale delle porzioni murarie. La contemporaneità delle strutture, tuttavia, emerge non solo dalle relazioni stratigrafiche, non sempre visibili a causa delle aggiunte successive, ma anche dalla congruità planimetrica dell’edificio e dalla ricostruzione dei percorsi interni. Il progetto adrianeo assume, cioè, il suo pieno significato solo ipotizzando, da un lato, che la sua concezione sia stata unitaria e, dall’altro, che la sua realizzazione, ossia il cantiere, abbia seguito una razionale logica economica di smistamento e utilizzo di diversi materiali e tecniche.

A questo proposito vale soprattutto l’esempio dei tramezzi che suddividono gli ambienti interni. La loro tecnica edilizia, con laterizi in uno dei paramenti e opera incerta o reticolata irregolare sull’altro, risulta approssimativa rispetto alle altre porzioni dell’edificio e, più in generale, incongrua se confrontata con l’alta qualità delle opere del periodo adrianeo. Inoltre, i tramezzi sono realizzati in appoggio ai divisori interni, benché, secondo la nostra interpretazione, la posteriorità della loro costruzione sia da mettere in relazione con una fase di cantiere. Infatti, solo presupponendo che fin dall’inizio il progetto abbia previsto i tramezzi, si possono ricostruire i percorsi tra gli ambienti, dando un senso alla doppia serie di porte nei muri divisori. Accedendo ai piani dell’edificio si potevano cioè attraversare gli ambienti tramite le aperture di maggiori dimensioni e da questi entrare nei vani delimitati dai tramezzi. Una seconda percorrenza tramite le porte più piccole, che chiameremmo di servizio, permetteva invece la circolazione diretta fra i vani secondari.

A questa gerarchia dell’organizzazione planimetrica, che deve trovare un riscontro nella funzione dell’edificio, ancora non identificata [11], corrisponde in qualche modo quella del valore strutturale degli elevati e delle tecniche edilizie. Richiamiamo ancora una volta la differenza fra i divisori interni e la facciata. Nei divisori la lunghezza dei laterizi è inferiore e la natura dei materiali appare maggiormente eterogenea, essendo utilizzato un misto di ritagli di sesquipedali, bessali, tegole fratte e probabilmente altri spezzoni di reimpiego [12]. Nella facciata ipotizziamo che si trovino in prevalenza ritagli di laterizi “nuovi”, ossia sesquipedali, tagliati in triangoli più grandi rispetto ai divisori, e bessali.

Le maggiori dimensioni dei laterizi nella facciata implicano, da una parte, che le punte dei mattoni penetrassero più a fondo nel cementizio del nucleo e, dall’altra, che fosse necessaria una maggiore quantità di laterizi per completare una stessa porzione di muratura rispetto ai divisori interni. Inoltre, se la maggiore percentuale di laterizio usata nella facciata corrisponde anche alla migliore qualità statica della muratura, ciò deve aver comportato un più oneroso impegno economico. Tramite il metodo A si può affermare che, nei divisori interni, in 1 mq di muro il 67% della superficie è coperto da laterizi. Considerando la maggiore lunghezza dei laterizi della facciata possiamo calcolare che essi coprono circa il 74% della superficie muraria.

Nel proseguimento del progetto, queste quantificazioni potranno essere estese con ulteriori campionature delle tecniche, allo scopo di ricostruire i volumi complessivi di materiali usati nel progetto adrianeo, sia negli edifici lungo la Nova Via, sia nell’enorme mole dell’angolo NordOvest della Domus Tiberiana.

Ad ogni modo, l’analisi degli approvvigionamenti dei laterizi finora condotta conferma i dati a nostra disposizione sull’organizzazione dei lavori edili nella prima età imperiale, soprattutto nel II secolo. La parcellizzazione delle forniture osservata nell’edificio adrianeo sulla Nova Via sembrerebbe infatti riflettere l’affidamento della produzione e trasporto dei materiali ai proprietari delle diverse figlinae e ai redemptores coinvolti attraverso i contratti di appalto [13]. All’amministrazione imperiale era dovuta la concezione del progetto e il coordinamento dei lavori, ma la domanda delle enormi quantità di materiali era soddisfatta da più produttori di laterizi oppure tramite il reimpiego di materiali derivanti da eventuali demolizioni o, ancora, tramite quelli disponibili nei depositi di stoccaggio (Bukowiecki 2012). Rispetto a questo quadro generale di riferimento, che appare sempre più consolidato, l’esame dei grandi cantieri edili come quello della Domus Tiberiana può gettare nuova luce su molti aspetti di dettaglio concernenti non solo la produzione e lavorazione dei materiali, ma anche le relative quantità e le logiche di ripartizione delle tecniche all’interno di una stessa fabbrica.

NOTASTop

 
[1] Per una diversa ipotesi sulla cronologia del complesso che vede il progetto risalire realmente al periodo tiberiano sulla base del riferimento al toponimo Domus Tiberiana in una iscrizione sepolcrale e alla menzione del casato claudio sulla fistula acquaria plumbea rinvenuta negli scavi del criptoportico centrale, si veda Tomei e Filetici 2011: 12-15. Coarelli, grazie ad una rilettura delle fonti, ribadisce l’esistenza del complesso grosso modo già costituito nella forma definitiva e sviluppatosi intorno a quella che la tradizione ci ha tramandato essere la domus Gai fin dal periodo tiberiano o tutt’al più di Caligola (Coarelli 2012: 465-467). Una diversa interpretazione delle fonti inerenti il complesso è in Cecamore 2002: 193, in base alla quale l’autrice propone di identificare la Domus Tiberiana nell’impianto situato nell’area Sud-Ovest del Palatino.
[2] Resti di ampie domus riccamente affrescate, disposte sulle terrazze del fianco occidentale, sono state rinvenute sia negli scavi del Krause, sia del Pensabene sotto il lato meridionale del palazzo, che negli scavi più recenti ad opera della Soprintendenza: Krause 1985: 27-29; Krause 2002: 127-133; Pensabene 1995: 323-324 e il contributo di Fulvio Coletti a p. 335; Tomei e Filetici 2011: 138-149.
[3] La presenza di criptoportici e gallerie di collegamento tra i vari comparti residenziali, come ad esempio quelli che collegano le case di Livia ed Augusto con altre residenze dell’area centrale del Palatino, situate nei livelli sottostanti la Domus Flavia, costituisce l’indizio della volontà di unificare i vari impianti nell’ottica della costituzione di un nucleo policentrico nel quale risiedeva il potere centrale (Tomei 1998: 170-171).
[4] L’attribuzione a Nerone dell’intervento di riorganizzazione della viabilità dell’area (che avrebbe interessato, oltre alla Nova Via, anche la Sacra Via ed il cosiddetto Clivo Palatino) è stata proposta per la prima volta in Van Deman 1923 e 1925, concordemente seguita da chi dopo di lei si è interessato all’area (cfr. da ultimo Carandini, Bruno e Fraioli 2011) o alla questione specifica (un sunto del dibattito sulla Nova Via è in Santangeli Valenzani e Volpe 1996, con bibliografia precedente). Secondo Maria Antonietta Tomei l’intervento sulla Nova Via risalirebbe, invece, al principato di Augusto (Tomei 2011b: 62-65).
[5] Di questi percorsi, è noto unicamente quello del cosiddetto clivus Victoriae, ma un altro è ipotizzabile ad una quota intermedia tra lo stesso clivus Victoriae e la Nova Via.
[6] Si conservano le prime due rampe che conducevano al primo piano e parte della terza che raggiungeva il secondo livello.
[7] Si conservano parzialmente le cornici intorno alle aperture del secondo ambiente del piano terra.
[8] Nei tramezzi è prevista una porta di passaggio verso la porzione posteriore dei vani. Alla base degli stipiti di queste aperture sono collocati dei blocchi di pietra nei quali sono visibili gli incavi dei cardini.
[9] Campioni di 50 misure sono già stati utilizzati nell’analisi delle dimensioni dei laterizi in molti edifici di Roma e di Ostia che potranno pertanto essere confrontati con le campionature effettuate nella Domus Tiberiana (Bukowiecki 2010: 150; Bukowiecki, Dessales e Dubouloz 2008: 24-39). Precedentemente, sempre per Roma, erano già state proposte analisi basate su campioni di 50 misure (v. Van Deman 1924). In altri casi, riguardanti l’edilizia in laterizi medievale, si è ritenuto sufficiente un campione numericamente inferiore: 20 misure (Brogiolo e Cagnana 2012: 63) o circa 30 misure (Mannoni e Milanese 1988: 390).
[10] Lo stesso non si riscontra nei laterizi dove i tagli verticali sono molto più regolari e dove, pertanto, siamo portati a escludere l’utilizzo di materiali di reimpiego, almeno in quantità significative.
[11] Nel lavoro di Castrén e Lilius (1970: 86-254) gli ambienti domizianei affacciati sul cd. Clivus Victoriae, nei quali gli autori riconoscono graffiti relativi a numeri, segni monetari e nomi di monete, vengono identificati con gli uffici del fisco imperiale dove si trovavano i banchi dei cambiavalute. Graffiti simili, in corso di studio, sono presenti anche sugli intonaci del primo piano dell’edificio adrianeo sulla Nova Via.
Daniela Bruno (2012: 253) propone che le sostruzioni della Domus Tiberiana ospitassero o gli uffici del procurator a rationibus o, sulla scorta dei passi di Cassio Dione sull’incendio del 192 d.C. (73.24.2), una parte degli archivi di Stato ovvero le biblioteche di palazzo, stando a quanto riporta Galeno sempre a proposito dell’incendio (Methodus medendi 1.1). Per altre interpretazioni delle fonti riguardanti questi avvenimenti, v. Tucci, 2008 (in particolare pagine 141-145 e nota 29 con indicazione di altre fonti e bibliografia precedente sull’identificazione delle biblioteche); Tucci 2009; Tomei 2011b.
[12] V. Monaco 2011: 55-56 sulle demolizioni precedenti la realizzazione del progetto adrianeo sul fronte NordOvest della Domus Tiberiana che potrebbero aver fornito materiali da riutilizzare.
[13] Osservazioni fondate sull’esame dei bolli laterizi: v. ad esempio DeLaine 2002 sull’edilizia di Ostia nel II secolo, Bianchi 2015 sui cantieri edilizi traianei, con bibliografia precedente, Bukowiecki e Wulf-Rheidt 2015.

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