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Inviato

Aggiungo solo che Carlo Filangieri  nacque a Cava dei Tirreni (mia città natale) da una famiglia nobilissima. Il padre Gaetano fu un noto giurista del regno e la mamma Carolina Frendel di origine ungherese fu educatrice della principessa Luisa Maria di Borbone secondogenita del re Ferdinando IV. Molti cavesi abitano in via Filangieri a Cava ma non tutti sanno chi era il principe di Satriano. 

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Era il 25 luglio 1844 quando all’alba, furono fucilati insieme ad altri sette compagni, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, figli del barone Francesco, alto ufficiale della marina austriaca, e di Anna Marsich, donna e madre che tanto si prodigò per la salvezza dei suoi amati figli.
Attilio era nato nel 1810, mentre Emilio era arrivato 9 anni dopo. Avviati alla carriera militare e formati nell’accademia della Imperiale Regia Marina a Venezia, furono da sempre insofferenti al regime austriaco.
Collegati alla Giovane Italia e a Giuseppe Mazzini, i fratelli rivoluzionari, esuli e lontani dal proprio paese, ordirono due progetti di cospirazione: il primo prevedeva l’invasione degli Stati Romani, l’altro le Calabrie.
Scartato il primo perchè troppo dispendioso, optarono per il secondo, perché dall’Italia erano giunte notizie che sulle montagne di Cosenza, gli insorti si mantenessero ancora numerosi ed armati, e nel resto del Mezzogiorno serpeggiasse un certo fermento. In realtà i moti di Cosenza erano stati immediatamente soffocati e repressi e tutto era tornato sotto controllo.
I rivoltosi, accecati dal giovanile fervore rivoluzionario, decisero di partire comunque per la Calabria. Saliti in 21 a bordo della nave da pesca e trasporto San Spiridione, comandato dal capitano Caputi, salparono dall’isola greca di Corfù e verso la metà di giugno sbarcarono a Crotone, alla foce del fiume Neto.
Da qui, notte tempo, si diressero verso la Sila, ma ben presto si accorsero che un loro compagno, Pietro Boccheciampe, si era dileguato con l’obiettivo di denunciare la spedizione alle autorità borboniche e, quindi, di tradirli.
Nei giorni successivi, la spedizione fu colpita da diverse azioni repressive, al punto che diversi compagni dei Bandiera persero la vita, mentre altri rimasero feriti. A San Giovanni in Fiore, dodici di essi furono catturati e condotti davanti al corpo di guardia. Il 23 giugno, su cavalli e muli, furono trasferiti a Cosenza, davanti all’intendenza e portati nelle carceri nel maestoso Palazzo Arnone.Il processo fu rapido, l’imputazione principale: cospirazione e attentato all’ordine pubblico. Ad essa si aggiunsero anche le accuse di sbarco furtivo a mano armata nel regno con Bandiera Tricolore, resistenza e attacco alla forza pubblica. Nonché, detenzione e asportazione di carte rivoltose e settarie.Il 16 luglio iniziò il processo, alla fine del quale il Commissario del re li dichiarò colpevoli di lesa maestà e richiese per tutti la pena capitale.
Tre di loro ottennero la grazia e tra di essi c’era anche il pittore e scultore Giuseppe Pacchioni, che ritrasse i fratelli Bandiera poco prima di morire. Il 25 luglio del 1844 di buon mattino, si spalancarono le porte delle carceri.giunto il momento dell’esecuzione della sentenza. Il triste corteo si dispose su due file, per raggiungere il Vallone di Rovito. Ad un tratto si alzò un coro di voci, erano i martiri che intonarono, modificando qualche verso, il coro dell’opera “Donna Caritea” del Mercadante: ”Chi per la patria muore vissuto è assai; la fronda dell’allor non langue mai. Piuttosto che languir sotto i Tiranni, è meglio di morir sul fior degli anni”. Arrivati nel vallone di Rovito, nei pressi dell’acquedotto romano, i giovani patrioti si schierarono davanti al plotone d’esecuzione e, dopo aver urlato “Viva L’Italia “, caddero sotto il fuoco dei Borboni.
Le salme vennero portate nella vicina chiesa degli Agostiniani. Si racconta che l’abate De Rose collocò all’interno delle bare, una bottiglia contenente un foglio di carta, con tutte le generalità di ciascuno. Ciò rese possibile il riconoscimento, quando fecero l’esumazione.
Successivamente, le salme furono trasferite nel duomo di Cosenza e dopo l’unità d’Italia, traslate nei paesi d’origine. I resti di Attilio ed Emilio, il 16 giugno del 1867 furono trasportati a Venezia, accolti dalla madre affranta e disperata e tumulati nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.

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Un saluto a tutti e buona domenica. 

Raffaele. 

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Inviato

Buonasera a tutti, 

8 Settembre 1849 Papa Pio IX approfittando della sua permanenza nel Regno Delle Due Sicilie, sperimento' il suo primo viaggio in treno sulla linea  Nocera-Napoli. 

Successivamente il 23 Settembre dello stesso anno visitò le officine ferroviarie di Pietrarsa. 

Saluti

Alberto 

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I Borbone a Mongiana.

Ferdinando IV di Borbone, nella seconda metà del 1700, decise di avviare la realizzazione di un complesso siderurgico che avrebbe dato maggiore impulso all’economia calabrese e a quella del Regno di Napoli.
Con questo intento, nel 1768, la Regia corte inviò nelle Calabrie l’architetto Mario Gioffredo, detto anche il Vitruvio napoletano, con il compito di trovare un luogo adatto a costruire un nuovo polo siderurgico da affiancare alle Regie Ferriere di Stilo, oramai datate e bisognose di restauri. Il luogo venne individuato in località “Cima”, ricco di acque e boschi, tra i fiumi Ninfo e Allaro.
L’acqua dei fiumi avrebbe garantito la forza motrice, mentre i boschi, composti prevalentemente di faggi e abeti, avrebbero assicurato la legna necessaria per la fornitura del carbone occorrente per la messa in funzione dei forni per la fusione del materiale ferroso.
Il governo borbonico, per avere anche una ricca riserva di boschi da destinare a uso della nuova fonderia, decise di comprare una vasta estensione di terreno detta “Stagliata Micone” dal principe di Roccella e duca di Bruzzano, già feudatario di Fabrizia.
In quest’area l’architetto Mario Gioffredo progettò le Regie Ferriere, la Fabbrica d’Armi e predispose opere idrauliche e di livellamento dei corsi dei due fiumi per poter creare le cadute d’acqua necessarie al funzionamento dei meccanismi: le “trombe idroeoliche” che dovevano alimentare d’aria i processi di fusione, i magli, le ruote idrauliche, ecc..
Intorno al complesso siderurgico si svilupperà un primo nucleo urbano, residenza per operai, artigiani e guarnigioni militari, dal quale prese vita Mongiana.
I Borbone si dimostrarono particolarmente attenti allo sviluppo del polo siderurgico calabrese. Prima Carlo III, e in seguito Ferdinando IV, per assicurare la manodopera necessaria, accordarono franchigie alle autorità baronali e diritti d’asilo. Fu inoltre concessa l’esenzione del servizio militare, con l’assegnazione a tutti i “filiati” di appezzamenti di terreno e 40 ducati per la costruzione della baracca dove abitare.
Con Carlo III, al fine di approfondire gli studi riguardanti miniere e metallurgia, fu istituita la cattedra di scienze metallurgiche all’Accademia di Napoli e fu bandito, nel 1789, un concorso al fine di selezionare studiosi per una spedizione scientifica da inviare prima a Vienna, poi in Francia e in Inghilterra per studiare i sistemi di fusione e di scavo delle miniere in atto nei vari distretti industriali europei. Al loro rientro a Napoli nel 1799 alcuni di questi studiosi (Melograni, Faicchio, Savaresi e Tondi) furono inviati a Mongiana per migliorare i sistemi di lavoro.
Dopo il decennio francese (1806-1815) il congresso di Vienna sancì la restaurazione Borbonica riconoscendo a Ferdinando IV il Regno di Napoli e quello di Sicilia, così Ferdinando IV re di Napoli divenne Ferdinando I Re delle Due Sicilie.
Anche Ferdinando I si dimostrò interessato allo sviluppo del polo siderurgico calabrese e, sul finire del 1820, fece stipulare un contratto con i proprietari di imbarcazioni per il trasporto di proiettili prodotti a Mongiana dal deposito di Pizzo a Gaeta.
Con l’ascesa al trono di Ferdinando II, nel 1825, si avviò per il Regno delle Due Sicilie un processo evolutivo del tessuto produttivo locale che stimolò governi stranieri e società private a investire nel Regno delle Due Sicilie.
In questo contesto si registrò un sensibile aumento della richiesta di prodotti da molte parti del Regno che consentirono i lavori di ampliamento delle Ferriere di Mongiana. Nel 1831 venne completata la nuova fonderia di Stilo e nel 1833 fu inaugurata la “Ferdinandea” alla presenza di Ferdinando II.
È questo un periodo florido per le attività degli stabilimenti di Mongiana che, con l’incremento della produzione, innescarono notevoli effetti diretti e indotti all’economia del Regno e alle popolazioni locali.
Il governo Borbonico si prodigò a realizzate importanti opere d’ingegneria e venne migliorato e completato l’asse viario Napoli-Reggio che rimase l’unico collegamento tra Calabria, Sicilia e Centro Italia fino alla realizzazione dell’autostrada del Sole nella seconda metà del 1900.
Il collegamento viario tra Mongiana e Pizzo nel 1837 e l’inaugurazione nel 1839 del primo tronco ferroviario italiano Napoli-Portici furono realizzazioni infrastrutturali che diedero alle Ferriere di Mongiana impulso alla produzione di diversi tipi di manufatti di cui aveva bisogno l’economia dell’epoca, sia a livello militare sia civile.
In questo clima, e grazie anche a nuovi stanziamenti destinati all’ammodernamento delle miniere e degli stabilimenti, si riuscì a migliorare la qualità del prodotto registrando anche un notevole incremento della produzione.
Proprio in questi anni, per volontà del governo Borbonico, l’ingegnere Domenico Fortunato Savino ebbe incarico di restaurare gli immobili del polo siderurgico calabrese e di elaborare nuove progettazioni tra cui la Fabbrica d’Armi, gli alloggi militari, la Fonderia, le nuove Officine e le opere infrastrutturali a corredo del complesso siderurgico quali la viabilità, i canali di scolo, i ponti, la Chiesa e il Cimitero.
Nel 1852 Ferdinando II fece un viaggio attraversando le Calabrie e il 10 ottobre fece visita alla nuova Fabbrica d’Armi. In questa occasione il Re, al fine di modernizzare il polo siderurgico di Mongiana, diede disposizione affinché si costruissero nuovi e più moderni altoforni.
A Mongiana, nel 1851 e nel 1855 si “innalzarono” due altoforni di tipo inglese denominati: ”San Francesco” e “San Ferdinando”. Nello stesso periodo la Fabbrica d’Armi di Mongiana cominciò a produrre fucili completi etichettati come modello “Mongiana”.
Da ricordare che nel 1860 il Regno delle Due Sicilie per capacità industriale era seconda solo all’Inghilterra e alla Francia e possedeva il doppio della moneta metallica di tutte le altre regioni del nuovo Regno d’Italia. Dallo stesso anno, però, la produzione industriale del Regno fu quasi del tutto paralizzata a vantaggio dell’industria del Nord Italia.

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Un saluto Raffaele. 

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Inviato

Buongiorno a tutti,
oggi  posto una delle mie piastre da 120 Grana millesimo 1836 apparentemente sembra essere il modello Base come direbbe Sergio @motoreavapore
Ne posto anche un ritaglio per un dettaglio che mi farebbe pensare ad una correzione sul conio ( correggetemi se ho sbagliato il termine).

Mentre la maneggiavo pensavo a chi  l'avesse tenuta in mano, cosa ci avesse acquistato ai suoi tempi. Poi mi sono chiesto chissà  nell '  ottobre del 1836 cosa accadeva nel Regno Delle Due Sicilie.
Il Web è di grande aiuto nell' immediato.
In pochi passaggi ho recuperato qualche notizia, purtroppo non piacevole.


Infatti proprio ad Ottobre del 1836 Napoli  era interessata da una seconda ondata di Colera che già dall' anno prima imperversava per tutta la nostra Penisola.


Il colera a Napoli nel 1836 raccontato in un frammento autobiografico di Francesco De Sanctis tratto da “La giovinezza”.

E ci voleva pure il colera! Questo ignoto e sinistro morbo, dopo di avere spaventato mezza Europa, piombò sopra Napoli come un flagello. Le immaginazioni furono colpite; la paura rendeva irresistibile l’epidemia. Si raccontavano molti casi di colera fulminante, con le circostanze piú strazianti. Si parlava di famiglie intere spente, di migliaia di morti al giorno, e coi piú minuti particolari si descrivevano i casi di contagio. Non c’erano allora giornali; il governo col suo mutismo accresceva il terrore e provocava le esagerazioni. Quel tintinnio di campanelli che accompagnava le comunioni, pareva la campana dei morti; i piú agiati fuggivano alle loro ville; la plebe squallida e sudicia faceva spavento; nessuno osava accostarsi; l’uno fuggiva l’altro. La vita pubblica fu sospesa; le scuole, le botteghe erano deserte.

Chi ha piacere e può aggiungere altro è ben accetto.

Saluti
Alberto

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Buongiorno a tutti e buona domenica, mi accingo ad andare a Tavola. 

Ma vi lascio un pezzetto di Storia del 19 Novembre 1833. Fonte Treccani.. 

RE Ferdinando II 

Il 19 novembre 1833 istituì in Napoli la Guardia di interna sicurezza, che arieggiava a una guardia civica. Tali provvedimenti e la mitezza con cui trattò gli autori di alcune congiure verificatesi nei primi anni del suo governo, non esclusi coloro che, come C. Rosaroll e F. Angelotti, avevano cospirato contro la sua vita, fecero ritenere che avrebbe sostituito all'assolutismo il regime liberale. Ma fu erronea presunzione: F., per le sue tendenze rigidamente assolutistiche, si rifiutò anzi di riconoscere i mutamenti introdotti dalla sorella Maria Cristina in Spagna, sostenendo invece i carlisti.

Peccato non ho una piastra del 1833.

Saluti 

Alberto 

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  • 9 mesi dopo...
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Buongiorno e Buona Domenica a tutti.

Dalla mia Collezione .

Piastra 120 Grana Ferdinando II  millesimo 1858.

Riporto un interessante evento Storico e motivo d'orgoglio per noi del Regno Delle Due Sicilie.

1858 primo tunnel ferroviario italiano a Nocera.

La galleria dell'Orco è un traforo ferroviario della ferrovia Cancello-Avellino situato nei pressi di Codola, tra i comuni di Nocera Inferiore e Castel San Giorgio. Inaugurato nel 1858, rappresenta il primo tunnel ferroviario realizzato nel Regno delle due Sicilie. Nell'accezione popolare il termine "orco" si riferirebbe ad Annibale, che sarebbe passato di lì per assediare e conquistare Nuceria nel corso della II guerra punica.

La galleria fu realizzata quando l'area era ancora sotto la giurisdizione del Regno delle due Sicilie, durante la reggenza di Ferdinando II.

Prende il nome dal cosiddetto Passo dell'Orco, situato lungo la "montagna spaccata". Il passo ha origini romane ed è funzionale al raggiungimento della città di Nuceria Alfaterna, attraverso una diramazione della via Popilia. La denominazione del passo è attribuita alla presenza del campanile dell'orco, un mausoleo di epoca romana (I secolo)presente lungo il tratto viario.

Il tunnel fu inaugurato il 31 maggio 1858, dopo circa venti mesi di lavori, alla presenza del vescovo di Nocera Angelo Giuseppe D'Auria, del ministro delle Finanze del Regno e di diverse autorità militari presenti a Nocera. Per l'occasione, la galleria fu rischiarata da cinquemila lumini e alcuni carri furono tirati a mano. L'evento fu in seguito immortalato in una serigrafia del Giornale del Regno delle due Sicilie.

Il traforo entrò in funzione il 17 febbraio 1861, dopo la caduta del Regno delle due Sicilie. Servì a collegare la strada ferrata che correva tra Capua e Mercato San Severino.

Saluti
Alberto

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