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IGNORED

VITTORIO EMANUELE III


viganò

Risposte migliori

Buongiorno a tutti.

L'abbinamento tra la disciplina storica e quella numismatica è quasi automatico ed essenziale.

Fatta questa premessa, la figura del nostro penultimo Sovrano appare davvero protagonista di entrambe: Egli infatti si colloca senza dubbio tra le figure più rilevanti della nostra Storia e, al contempo, è ancora oggi ricordato come un Numismatico di primissima grandezza.

E' noto a tutti che sono stati scritti migliaia di libri sulla Sua vita e la sua azione di Sovrano ma, proprio per questo motivo, spesso la storiografia è scaduta nell'agiografia o nella becera denigrazione.

Ritengo sia interessante per tutti e coerente con gli scopi del Forum - sine ira et studio - capire meglio chi fu Vittorio Emanuele III e, pertanto, inizio proponendo tre libri di recente pubblicazione ma molto documentati e ben scritti:

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MOLA 2.webp

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Spero che la discussione abbia un buon seguito, specialmente a vantaggio degli Utenti più giovani...

Un saluto cordiale e a presto.

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Buonasera,

ravvivo la discussione con altra pubblicazione, che reputo molto interessante

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Questo libro è stato pubblicato nel 1931, in pieno Ventennio, ma del Duce e dei suoi simboli non vi è traccia o menzione. Oltre alla qualità dell'Autore e della famiglia Solaro del Borgo, credo che questo elemento possa aiutare qualche riflessione.

Da notare in copertina come il profilo del Sovrano riprenda in modo quasi identico il dritto del 20 lire 1928.

Un saluto cordiale e a presto.

 

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Il 30/8/2023 alle 09:28, viganò dice:

storiografia è scaduta nell'agiografia o nella becera denigrazione.

Forse perché ci ha messo anche del suo :rolleyes:... e lo dico io con rammarico da monarchico convinto.

Se volessimo elencare le sue pecche in ambito politico e di strategia militare ne avremmo parecchie.

Questo non significa che una persona inadatta (e sono generoso con la definizione) al trono poi non possa essere invece un valente numismatico. Pure Luigi XVI era un provetto orologiaio, ma nessuno per questo lo considera un monarca eccellente....

Dovremmo quindi separare l'ambito numismatico da quello di uomo di stato, solo così si potrà trattare in modo sereno e corretto di numismatica.

 

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Buonasera.

Ho creato la discussione a beneficio di tutti e, in particolare, degli Utenti più giovani che magari hanno voglia di leggere, studiare e capire qualcosa di diverso dalla "solita minestra".

Se scindessimo la Numismatica dalla Storia saremmo come un Medico che sa tutto sul cuore ma non ha la minima idea di come funziona, ad esempio, il polmone; io da un soggetto simile non mi farei curare... 

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Non credo che le posizioni di @viganò e @ARES III siano in contraddizione.

L'elemento storico è ovviamente essenziale per la numismatica, quindi studio e conoscenza sono la base imprescindibile per chiunque voglia accostarsi seriamente alla disciplina. E' questo il motivo per cui sono tanto insofferente quando ci dilunghiamo a speculare su MS65 e MS66, fattori a mio parere del tutto irrilevanti per la vera numismatica. 

Il fatto che poi il giudizio sul Vittorio Emanuele numismatico sia sostanzialmente diverso da quello sul Vittorio Emanuele politico penso sia inevitabile. Anche perché per avere una figura di politico all'altezza di quella che è la levatura numismatica di Vittorio Emanuele credo dovremmo andare a scomodare Alessandro Magno :D

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26 minuti fa, viganò dice:

Se scindessimo la Numismatica dalla Storia saremmo come un Medico che sa tutto sul cuore ma non ha la minima idea di come funziona, ad esempio, il polmone; io da un soggetto simile non mi farei curare... 

Perfetto, allora analizziamo la storia e i fatti anche quelli che mostrano l'incapacità assoluta come Capo di stato, ma poi non ci si lamenti e non si dica che è la solita "minestra" sminuendo l'oggettività dei fatti.

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I fatti più salienti:

I guerra  mondiale

La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso e smanioso di conquistare Trento e Trieste, contro il pensiero: della maggioranza della popolazione italiana; dei cattolici; di buona parte degli industriali, banchieri finanzieri; e pure di una parte dei militari. Per non parlare del tradimento del patto della Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria (che avevano addirittura promesso concessione territoriali per la neutralità) con il quale l'Italia e gli Italiani vennero da quel momento in poi considerati dei traditori seriali, quindi un gran bel  danno all'immagine!

- conseguenze della guerra:

a) le forze armate andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze. Si parla di 650.000 soldati morti (200.000 in più rispetto a quelli della II guerra mondiale) e di 450.000 mutilati

b) dopo la vittoria al tavolo della pace l'Italia fu completamente snobbata ed umiliata; il cosiddetto "trionfo mutilato" vanificò tre anni di sacrifici e dimostrò l’assoluta carenza di carisma di un re che non fece nulla per imporre la volontà di un paese che ha sacrificato i suoi cittadini!

c) crisi economica, povertà, disoccupazione

d) bande armate che scorrazzano per il Paese

e) fascismo

Ventennio

- il re invece di fermare ed arrestare i manifestanti della marcia su Roma, affidò il governo al suo comandante;

- il re firmò tutte le leggi liberticide e razziali

- permise l'alleanza con la Germania nazista (adesso non gli faceva più schifo come nel 1915 ?)

- non si oppose all'entrata in guerra dell'Italia (II guerra mondiale)

- durantele guerra scappò ( a differenza di molti altri monarchi: Danimarca, Lussemburgo, Olanda, Belgio....)

 

Quindi cosa dire: se questa è la solita minestra antimonarchica (fatta però da un monarchico) , vorrei sapere cosa ha fatto di buono come capo di stato sua altezza (ma tanto tanto non lo era) ... 

 

 

Modificato da ARES III
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Buonasera.

Come previsto, la "solita minestra" è stata servita: adesso mi riservo di rispondere pezzo per pezzo.

Durante l'estate è stato imbastito in una qualche località turistica (che non ricordo) una sorta di "processo", durante il quale diversi Personaggi storici sono idealmente comparsi sul banco degli imputati e, dopo le schermaglie tra accusa e difesa, sono stati giudicati da un altrettanto ideale Tribunale.

Il divertissement mi ha molto incuriosito e ho pensato a quale onore e privilegio sarebbe stato quello di scardinare una a una tutte le accuse rivolte a Sua Maestà.

Bene, ecco l'occasione...☺️

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PRIMO CAPITOLO: l'ascesa al Trono e la c.d. Epoca giolittiana

Dopo l'assassinio di Umberto I a Monza il 29 luglio 1900, larga parte della classe dirigente si aspetta dal nuovo Sovrano provvedimenti liberticidi e una politica che potremmo definire "reazionaria" verso le richieste di tutela e rappresentatività che giungevano dalle classi sociali fino a quel momento sostanzialmente ai margini della vita politica.

Vittorio Emanuele III, dopo aver commutato la pena di morte in ergastolo per l'omicida del Padre, non fa nulla di tutto ciò. Anzi, chiama al governo del Paese Giovanni Giolitti il quale, con il benestare del Sovrano e con abili manovre parlamentari, da impulso alla prima rivoluzione industriale italiana durante il periodo che va, grossomodo, dai primi anni del secolo al 1914. In quel periodo l'economia subisce un forte sviluppo, l'industria cresce enormemente e con essa la possibilità di un lavoro diverso dalla dura campagna e nasce una prima legislazione giuslavoristica per la tutela degli operai.

Nel frattempo, nei primissimi anni di regno, Vittorio Emanuele III firma il Decreto che autorizza la pubblicazione della Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini: un acceso repubblicano entra dunque nel Pantheon del Regno d'Italia, a riprova che la Monarchia unisce, la Repubblica divide. Il Sovrano visita altresì le principali capitali estere, iniziando a tessere gli opportuni rapporti diplomatici volti a risolvere quell'isolamento internazionale che aveva costretto i governanti di fine '800 a sottoscrivere la Triplice Alleanza anche con il nostro nemico storico, l'Austria. Lungimiranza e senso delle Istituzioni evidentemente non erano concetti astratti. 

In buona sostanza, l'Italia del 1914 aveva poco o nulla da invidiare alle altre Potenze benché il nostro sviluppo fosse cominciato con notevole ritardo rispetto a Francia, Inghilterra, Germania e via dicendo. 

Segue non appena possibile.☺️

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7 minuti fa, viganò dice:

 

7 minuti fa, viganò dice:

Vittorio Emanuele III, dopo aver commutato la pena di morte in ergastolo per l'omicida del Padre

E chissenefrega ! Un atto di clemenza per un reicida fatta dal figlio ? Mi sembra proprio che si inizia col piede sbagliato!

7 minuti fa, viganò dice:

Giovanni Giolitti 

Noto socialista, vero ? Ma va, rappresentava l'imprenditoria e la grande borghesia!

 

7 minuti fa, viganò dice:

impulso alla prima rivoluzione industriale italiana durante il periodo che va, grossomodo, dai primi anni del secolo al 1914.

Forse la prima rivoluzione industriale è stata fatta dal conte Cavour anni prima....

8 minuti fa, viganò dice:

possibilità di un lavoro diverso dalla dura campagna

Quindi le 12/14 ore nelle fabbriche erano una passeggiata, con il continuo pericolo di subire menomazioni causate dalle macchine che di certo non avevano protezioni! Quanti bambini persero le loro manine per aggiustare i macchinari !

Qui stiamo scendendo nello scandaloso! Va bene difendere l'indifendibile, ma essere spudoratamente sfacciati sulla pelle dei poveretti no, quello no! Più rispetto!

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13 minuti fa, viganò dice:

Giuseppe Mazzini: un acceso repubblicano entra dunque nel Pantheon del Regno d'Italia

E per forza è stato costretto a furor di popolo e degli intellettuali massoni e carbonari...

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15 minuti fa, viganò dice:

Il Sovrano visita altresì le principali capitali estere, iniziando a tessere gli opportuni rapporti diplomatici volti a risolvere quell'isolamento internazionale che aveva costretto i governanti di fine '800 a sottoscrivere la Triplice Alleanza anche con il nostro nemico storico, l'Austria. Lungimiranza e senso delle Istituzioni evidentemente non erano concetti astratti. 

Ma stiamo scherzando ? La morte e la mutilazione di più o meno di 1 milione di abitanti la consideriamo lungimiranza ? Ma va ! Non ti si può leggere.

 

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Adesso, viganò dice:

Chi vuole legge, chi non vuole legge altro...

Semplice.

Buonanotte.

 

Non è colpa mia se ciò che hai scritto a favore / per difendere un capo di stato indegno non sono utili alla sua riabilitazione (anzi hai aggravato la situazione, forse era meglio non dire certe cose).

E ripeto, sono un monarchico e nobile, ma prima di tutto sono una persona obiettiva e non anteporrò mai la verità alle mie idee!

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Supporter

Vittorio Emanuele III è una figura storica complessa, che certamente ha commesso errori molto importanti durante il suo lungo regno. 

Ciononostante, dobbiamo anche considerare il contesto in cui ha regnato. Durante la prima metà del Novecento ci sono stati degli stravolgimenti geopolitici che non si erano mai visti prima nella storia dell’umanità, soprattutto concentrati in così pochi anni: 2 guerre mondiali, la caduta di imperi, l’ascesa di nuove potenze, la rivoluzione bolscevica, il fascismo, il nazismo, la crisi del ‘29, i genocidi, ecc. 

Con ciò non voglio assolutamente giustificare l’operato del Re ma ritengo che non fosse affatto semplice reggere all’urto di simili eventi e saper sempre scegliere la strada più giusta. 

Una delle domande che più spesso viene fatta è, ad esempio, perché non abbia fermato sul nascere il fascismo.
Posto che non avremmo mai la controprova di cosa sarebbe accaduto ma non sono così certo che se la Marcia su Roma fosse stata repressa e Mussolini arrestato, allora la situazione si sarebbe definitivamente risolta.
Magari sì o magari sarebbe potuto accadere come in Germania, dove Hitler aveva tentato il Putsch di Monaco fallendo e finendo così in carcere. 
Peccato che circa dieci anni dopo il partito nazionalsocialista riuscì ad ottenere il 33% dei voti alle elezioni e sappiamo tutti come andò a finire… 

Ad ogni modo, comunque la si pensi, cerchiamo di mantenere un dialogo civile e sereno. La discussione può essere molto interessante e dar luogo ad un confronto costruttivo, purché vi sia sempre il dovuto rispetto reciproco.

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9 ore fa, lorluke dice:

confronto costruttivo

Se vengono offerte tesi su cui si può discutere certamente, ma parlare in modo quasi bucolico del lavoro in fabbrica a cavallo fra Ottocento e Novecento non solo è antistorico ma si derive pure la sofferenza di quelle migliaia di persone che a causa di quel lavoro "meno duro" hanno perso gli arti (e anche la vita), e tra l'altro tra queste persone c'erano proprio i fanciulli che a causa della loro fisicità minuta erano proprio addetti alla "manutenzione" (cioè quando si bloccava qualcosa dovevano infilarci le mani o dovevano ungere continuamente i meccanismi). E vogliamo parlare delle ore di lavoro, degli ambienti pieni di fumi e altre sostanze cancerogene oppure degli ambienti dove dormivano questi operai che avevano lasciato le campagne per il sogno di una vita migliore ? Quindi di quale lavoro meno duro stiamo parlando ? Non mi sembra che nelle campagne, dove comunque i minori erano impiegati, che il tasso di menomazioni fosse più alto rispetto alle fabbriche oppure le altre questioni ?

Vorrei suggerire a colui che ha aperto tale discussione di essere più obiettivo e utilizzare fatti storici (non come l'errore sulla prima industrializzazione anteponendo il sovrano all'opera del Cavour).

 

 

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Lo sfruttamento minorile durante la rivoluzione industriale

bambini-riv-2.jpg

 

 

Con l’avvento della rivoluzione industriale iniziò a dilagare la piaga dello sfruttamento della manodopera infantile

E’ importante ricordare che c’erano poche regole per i lavoratori durante la Rivoluzione Industriale e i ricchi proprietari potevano agire come volevano. Infatti, la prima legge importante creata per porre limiti al lavoro minorile fu una serie di Atti di fabbrica approvati dal parlamento britannico nel corso del 1800, questi limitavano il numero di ore di lavoro dei bambini e stabilivano norme sui luoghi di lavoro. Nel 1833 divenne illegale il lavoro dei bambini di età inferiore ai 9 anni e a quelli di età inferiore ai 13 anni non era permesso lavorare più di 9 ore al giorno.

I lavoratori venivano pagati con salari bassi che a malapena permettevano loro di permettersi il costo della vita, di conseguenza molte di queste famiglie avevano bisogno di un reddito extra tramite i loro figli che venivano impiegati in lavori molto pesanti e duri per la loro giovane età. I figli di contadini facevano lavori rurali spesso differenziati per i due sessi: pastore, contadino e piccolo artigiano per i maschi, sarta, filatrice e lavandaia per le femmine. In epoca ottocentesca, con l’avvento dell’industrializzazione ed il conseguente inurbamento, i bambini venivano impiegati nei lavori di fabbrica o nelle varie botteghe in città soprattutto perché erano più piccoli e potevano adattarsi a spazi ristretti.

Gli orari di lavoro andavano dalle 9 alle 12 ore di fila, pressoché senza pause, a volte fino alle 18 ore. I bambini subivano abusi fisici con punizioni corporali da parte dei loro capi essendo ritenuti merce di proprietà esclusiva del datore di lavoro e considerati generalmente più obbedienti degli adulti in termini di completamento del lavoro e accettazione della punizione. Le condizioni di vita nelle città erano misere e caratterizzate da sovraffollamento, scarsa igiene, diffusione di malattie e inquinamento cosicché infortuni e malanni, incrementati inoltre da una scarsa e inadatta alimentazione, portavano a un bivio nella vita di piccoli lavoratori: crescere con un fisico debilitato a vita o morire in età precoce. Influiva in maniera drastica la non affluenza a scuola, in quanto i piccoli erano occupati nel lavoro ed educati con una disciplina rigida e cruenta da parte dei loro padroni o dei familiari stessi.

A causa dei frequenti abusi subiti, durante il XIX secolo in Europa sorgevano molti orfanotrofi dove vivevano i piccoli vittime di condizioni di grave disagio psichico e fisico.

Si sceglievano soprattutto i figli dei ceti più poveri, che vivevano grazie all’assistenza dello Stato e delle istituzioni caritatevoli: i proprietari delle fabbriche prendevano infatti degli accordi con amministratori di parrocchie e orfanotrofi, i quali in reciproco accordo reclutavano i giovani lavoranti tra le famiglie più misere o tra gli orfani che ospitavano.

In Italia, i bambini venivano pagati 50 cent al giorno per una media di lavoro di 12 ore. Nel Settentrione i bambini cominciavano a essere impiegati nelle primissime fabbriche sviluppatasi durante la seconda Rivoluzione industriale, mentre al Meridione si svolgevano ancora prevalentemente attività agricole.

 

bambini-riv-1.jpg

 

https://lascuolafanotizia.it/2021/04/29/lo-sfruttamento-minorile-durante-la-rivoluzione-industriale/

Modificato da ARES III
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L'infanzia rubata dei bambini delle fabbriche

 

Foto in bianco e nero di una bambina tra due filatoi  Bambina in un cotonificio a Newberry, South Carolina, attorno al 1908. Lewis W. Hine

Durante l’industrializzazione dell’Ottocento i bambini lavoravano nelle fabbriche svizzere fino allo sfinimento. Uno sfruttamento poi vietato grazie all’intervento di un politico senza partito e all’introduzione di una delle leggi più severe al mondo.

 
 

«Cercasi lavoratori: due famiglie numerose di operai, ovvero con bambini in grado di lavorare, sono le benvenute in una filanda».

Con questo annuncio pubblicato sul giornale “Anzeiger von Uster” negli anni 1870, un industriale svizzero cercava dipendenti per la sua fabbrica. Era evidente che anche i figli delle famiglie operaie dovevano darsi da fare. In Svizzera, il lavoro minorile era una realtà quotidiana già prima dell’apparizione delle fabbriche. Ma con l’industrializzazione, è diventato una reale forma di sfruttamento.

Ancor prima della rivoluzione industriale, i contadini e i lavoranti a domicilio consideravano i figli come una forza lavoroLink esterno. La famiglia era sostanzialmente una comunità di lavoro e il fatto che le nuove generazioni dessero il loro contributo era una questione esistenziale. Non appena un bambino era abbastanza grande per lavorare, dava una mano nella fattoria o nell’officina. In generale, svolgeva soltanto quelle mansioni che corrispondevano alla sua forza, mentre gli adulti si occupavano dei lavori più pesanti.

 

Annuncio per cercare famiglie di lavoratori con bambini  Offerta d'impiego pubblicata sul giornale "Anzeiger von Uster" negli anni 1870. Gli industriali ricercavano esplicitamente dei bambini. Anzeiger von Uster

Il bambino, una forza lavoro

Poi è arrivata l’industrializzazione. Nel XIX secolo, il passaggio dalla fattoria alla fabbrica non ha minimamente scalfito l’immagine del bambino in quanto forza lavoro. Anzi, negli stabilimenti industriali sono iniziati i veri e propri sfruttamenti. A differenza dal lavoro in fattoria, in fabbrica non era importante se un compito venisse eseguito da un adulto o da un bambino. Non ci voleva in effetti molta forza per infilare i fili nelle macchine tessili.

Molti di questi piccoli operai lavoravano sulle macchine per tessere e per ricamare. Gli stabilimenti si concentravano prevalentemente nella Svizzera orientale e nel canton Zurigo. La zona lungo il fiume Aabach, tra i laghi di Pfäffikon e di Greifen, è diventata un centro dell’industria tessileLink esterno svizzera e di conseguenza anche un centro del lavoro minorile. Quasi un terzo degli operai di queste fabbriche aveva meno di 16 anni.

Alcune famiglie lavoravano per le grandi aziende tessili utilizzando i telai o le macchine da ricamo che avevano in casa. E anche per questo lavoro a domicilio erano impiegati i bambini.

 

Incisione in bianco e nero di una fabbrica tessile sul fiume Aabach  All'inizio del XIX secolo, l'industria tessile svizzera si sviluppò soprattutto lungo il fiume Aabach, tra il lago di Pfäffikon e quello di Greifen. Kunstdenkmäler des Kantons Zürich, Bd. 3

Lavoro dall’alba al tramonto

Il destino dei figli di una famiglia attiva nel settore tessile, in fabbrica o a casa, era presto segnato. I bambini non avevano modo di realizzare i loro desideri. Già dai primi anni di vita trascorrevano la maggior parte del tempo a fare lavori ripetitivi. Molti andavano a scuola soltanto di rado e non avevano nemmeno la possibilità di giocare.

Estratto di un tema scolastico di un bambino di 12 anni, che descrive il suo quotidiano in quanto figlio di una famiglia attiva nell’industria tessile negli anni 1880.

«Appena mi alzo al mattino devo scendere in cantina per lavorare sul telaio. Lavoro dalle 5 e 30 alle 7, poi posso gustarmi la colazione. Poi devo di nuovo lavorare fino al momento di andare a scuola. Al termine delle lezioni alle 11 vado velocemente a casa e devo di nuovo lavorare fino a mezzogiorno. Poi posso godermi il pranzo, prima di dover nuovamente lavorare fino alle 12 e 45. Torno poi a scuola per imparare qualcosa di utile. Alle 16, quando finisce la scuola, mi avvio sulla via di casa con i miei compagni. A casa devo di nuovo lavorare sul telaio fino a quando diventa buio e poi posso cenare. Dopo aver mangiato devo di nuovo lavorare fino alle 22. A volte, quando c’è molto lavoro, rimango nella cantina fino alle 23. In seguito auguro la buonanotte ai miei genitori e vado a letto. Succede così ogni giorno».

End of insertion

Alcuni bambini venivano impiegati per infilare i fili negli aghi da ricamo già dall’età di 6 anni. Si trattava di un lavoro che richiedeva tempo e dita sottili. Non sorprende dunque che venisse realizzato essenzialmente da donne e bambini.

Raggiunta l’età scolastica, era normale che un bambino lavorasse fino a sei ore al giorno: al mattino presto, prima di recarsi a scuola, a mezzogiorno e alla sera fino a tarda notte.

Bambini stanchi e apatici

Il lavoro eccessivo ha ovviamente avuto conseguenze negative sulla salute dei bambini. Gli ispettori constatavano regolarmente le schiene curve, gli occhi in cattivo stato e l’espressione stanca dei piccoli operai. Nel 1905, un sacerdote di Appenzello Esterno scriveva che i bambini apparivano stanchi, sonnolenti e fiacchi: «Sono senza energia, sia mentalmente che fisicamente. Quando sono seduti sono disattenti e sbadati, non mostrano alcun interesse e si guardano in giro con indifferenza».

Lo sfruttamento dei più piccoli era strutturato, ma non a causa della cattiveria o dell’ignoranza degli adulti. I genitori, che avevano dei salari bassi, contavano spesso sui redditi supplementari dei figli. Inoltre, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il ruolo di un bambino di una famiglia operaia, artigiana o contadina, era completamente diverso rispetto a quello di oggi: per i genitori, i figli erano innanzitutto di aiuto nel lavoro.

Ciò faceva ovviamente comodo agli imprenditori, che trovavano nei bambini una manodopera a buon mercato. Ed è proprio con questo argomento che numerosi cittadini liberali difendevano il lavoro minorile. Victor BöhmertLink esterno, un noto economista dell’epoca, affermava che per far fronte alla concorrenza dall’estero, le filande «dovevano ricorrere di preferenza al lavoro minorile e femminile».

Critiche al lavoro minorile

Verso la fine del XIX secolo, le voci critiche contro il lavoro minorile si sono fatte più insistenti e il fenomeno è stato riconosciuto come un problema. Anche Victor Böhmert ha descritto il lavoro minorile come «il lato oscuro più preoccupante del moderno lavoro in fabbrica».

Oggi, potrebbe sorprendere il fatto che le critiche fossero giunte dalla borghesia e non dalle famiglie stesse. Ma, come detto, queste temevano che non sarebbero riuscite a sopravvivere senza il reddito supplementare dei figli. Sebbene numerosi politici borghesi avessero riconosciuto il problema, hanno fatto ben poco per cambiare le cose. È invece stato un politico senza partito a imprimere una svolta decisiva.

 

Immagine storica di una bambina che lavora al filatoio in casa.  Una bambina di sette anni del canton Svitto durante il lavoro quotidiano al filatoio, attorno al 1900. Schweizerisches Sozialarchiv

Dieci anni per la legge sulle fabbriche

Nel 1867, Wilhelm JoosLink esterno, deputato indipendente alla Camera del popolo, ha effettuato il primo intervento parlamentare per l’introduzione di una legge federale sulle fabbriche. Il medico di Sciaffusa era noto per il suo impegno a favore dei più deboli. E questo in un’epoca in cui questi temi politici iniziavano a suscitare scalpore un po’ ovunque.

Nel momento in cui Joos ha presentato la sua proposta a livello nazionale, alcuni cantoni già disponevano di leggi specifiche sul lavoro in fabbrica, anche quello minorile. Queste erano però spesso troppo lassiste e le regolamentazioni variavano fortemente da una regione all’altra.

C’è voluto un po’ prima che l’idea di una legislazione a livello nazionale trovasse un terreno fertile. Più precisamente, si è dovuto attendere il 1877 per far sì che la Svizzera si dotasse della prima legge federale sulle fabbricheLink esterno, che di fatto ha proibito il lavoro minorile. La legge elvetica è stata una delle più severe al mondo. Per l’ex ministro socialista Hans-Peter Tschudi, ha rappresentato «una prestazione pionieristica su scala internazionale».

 

 

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Una donna "vende" il proprio figlio ad uno spazzacamino.
Da quel momento il piccolo (scheletrico) lavorerà come "schiavo" del suo nuovo padrone
infilandosi in comignoli e canne fumarie strettissime per pulirle e sistemarle, taglieggiato dall'uomo
che gli rinfaccerà di averlo tolto dalla strada e dalla miseria.

v_boys_sold_sweeps[1].jpg

 

Poi c'erano le fabbriche.
L'inferno senza via d'uscita a parte la morte.
Difficilmente oggi riusciremmo a immaginarci una fabbrica dell'epoca. I figli degli operai diventavano operai a loro volta, cominciando da piccolissimi perchè proprio col fisico snello e dinoccolato erano perfetti per infilarsi in mezzo agli ingranaggi e ai macchinari.
Uno dei compiti più spesso assolti dai bambini era quello di pulire i macchinari, ma poichè il fermo produzione era impossibile, e questo era uno dei motivi per cui le macchine erano subentrate agli uomini, la cosa era fatta mentre queste erano al lavoro, il che, lo capirete, contribuiva enormemente ad accrescere le tristemente lunghe statistiche delle morti sul lavoro, aggravate dalla giovane età della vittima. Non erano casi isolati.

I bambini erano sottili, agili e potevano infilarsi tra i macchinari, sistemare gli ingranaggi, avvitare, svitare e stringere viti, dadi e bulloni. Inoltre erano molto più economici perchè i datori di lavoro sostenevano che non riuscissero a fare lo stesso carico di lavoro di un uomo. In realtà i lavori erano diversificati, così come tra uomini e donne, perciò il tipo d'impiego era diverso ma né una donna né un bambino lavoravano poco e neanche meno di un uomo. Direi che sedici ore fossero troppe per tutte e tre queste categorie di, chiamiamoli, impiegati.
Senza contare che, per paura che non lavorassero il giusto, i bambini erano incatenati ai loro banchi di lavoro, ecco una citazione utile per rendere l'idea

Chained, belted, harnessed like dogs…black, saturated with wet, and more than half-naked, crawling upon their hands and knees, and dragging their heavy loads behind them

La pratica di incatenare i ragazzini era specialmente diffusa per quelli che erano nuovi del mestiere, sconvolti dalla novità o che erano già fuggiti in passato. Per chi scappava c'era la prigione.

Una violazione dell'orario era severamente punita e i ragazzini che rimanevano oltre la chiusura picchiati per ammonimento, si diceva. Quando si faceva tardi la mattina, oltre ad una punizione fisica, il tempo perso era decurtato dalla paga (settimanale o giornaliera, a seconda), ma questo atteggiamento estremamente fiscale (e brutale) era appositamente studiato perchè, mancanti di orologi e segnatempo, carissimi per le finanze dei salariati, era praticamente impossibile conoscere l'orario.

Dei piccoli lavoratori dall'aria provata e dal
volto emaciato

childworkers1[1].jpg

Altre foto

atthefactoryinvictoriantimes-1[1].jpg

080712_rfoster_mp_his_vict_children_textile.jpg

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Supporter

Va bene @ARES III, abbiamo capito.
Cerchiamo però di non arenarci sulla questione del lavoro in fabbrica a cavallo tra XIX e XX secolo.
Manteniamo il focus della discussione su Vittorio Emanuele III. 

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9 minuti fa, lorluke dice:

Manteniamo il focus della discussione su Vittorio Emanuele III. 

Sono pienamente d'accordo, ricordiamoci però che questo aspetto storico lo ha sollevato l'autore stesso della discussione, quindi per una questione di oggettività storica siamo stati costretti a parlarne. Credo comunque che non faccia mai male ricordare certe cose viste le situazioni di degrado, sfruttamento e violenza in cui versano purtroppo ancora molti (fin troppi, anche uno solo sarebbe intollerabile) minori in Italia e nel mondo. E poi ci meravigliamo a bocca aperta della realtà! Se si studiasse meglio la storia...

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