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IGNORED

Curiosità nella lingua italiana: aforismi, battute, aneddoti, ecc.


apollonia

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Il 22/12/2023 alle 10:35, apollonia dice:

Del tutto straniera è la w (doppia vu o vu doppia).

Per me, ad essere doppia è la "vi".

Spoiler alert: sono serio.

Ma i toscani  vanno al vuccì a fare i loro bisogni?

A Torino si guarda la tivì?

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Il 22/12/2023 alle 07:14, littleEvil dice:

lo dicevo già sopra - senza fare copia-incolla di articoli - ma i latini, con le loro X, non vivevano nello stesso territorio dove oggi si parla l'italiano?

Cosa ne pensate?

Tutte le lettere in questione (con parziale eccezione moderna della W) appartengono all'area linguistica europea / UE, quindi per me non possono essere definite "straniere" 😇

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4 ore fa, ART dice:

Tutte le lettere in questione (con parziale eccezione moderna della W) appartengono all'area linguistica europea / UE, quindi per me non possono essere definite "straniere" 😇

 

Nella risposta alla domanda su denominazione e genere delle lettere straniere (J, K, W, X, Y), l’Accademia della Crusca ha premesso che nella maggior parte delle grammatiche recenti, alla descrizione del nostro alfabeto che comprende 21 lettere, viene aggiunta una breve trattazione relativa alle 5 lettere non comprese nel repertorio dell'italiano, ma che possono trovarsi in scritture del passato o, con maggiore frequenza, in parole straniere… (v. https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/denominazione-e-genere-delle-lettere-straniere-j-k-w-x-y/84 ).

Io penso che l’Accademia abbia inteso l’aggettivo “straniere” nel senso che queste lettere compaiono più frequentemente in parole straniere, anche se si possono trovare in scritture del passato.

apollonia

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La risposta dell’Accademia prosegue riguardo al nome con cui si designano tali lettere, che è in realtà stabilito non solo all'interno delle grammatiche, ma trova ulteriori conferme dal Dizionario di Ortografia e Pronuncia (curato da Migliorini, Tagliavini e Fiorelli, ERI studio, 1969). 

Sulla denominazione di queste lettere W si dirà "doppio/a vu", Y "ipsilon o i greco/a": le oscillazioni quindi esistono, sono contemplate negli strumenti normativi a nostra disposizione per cui non ci resta che prenderne atto e scegliere quale forma usare. Dagli esempi appena proposti risulta evidente anche un'altra oscillazione, quella che riguarda il genere: le singole lettere saranno considerate al femminile se appunto si sottintende la parola "lettera", maschili se il termine sottinteso è "segno" o "suono" (su questo si può vedere la risposta sul genere delle lettere e dei numeri Sul genere delle lettere dell'alfabeto e dei numeri).

Il fatto poi che nell'uso corrente si dica "vu vu vu" per WWW o "vu vu effe" per WWF, corrisponde al modo di pronunciare tutte le sigle entrate nell'italiano e che contengono W: da WC, a BMW, TWA, WTO per citare le più diffuse. Volendo azzardare una spiegazione a questo fenomeno, si può considerare il fatto che la lettera italiana più vicina alla W è appunto la V e, visto che le sigle non sono sempre di origine anglofona, ma possono ad esempio corrispondere a parole tedesche (come BMW in cui la W sta per Werke) dove la W si pronuncia come la nostra V, si è semplificata e unificata la pronuncia al fonema appartenente all'italiano. Questo tipo di operazione può produrre alcune ambiguità nei casi in cui si citi una sigla sconosciuta al nostro interlocutore per cui sarà necessario specificare se quella "vu" corrisponda nella grafia a W o effettivamente a V.

Per approfondimenti:

  • Dardano M.  e Trifone P., La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1997, p. 607 e pp. 616-17.
  •  De Anna L. G., Un grafema trasgressivo. L'uso metaforico del kappa, in Atti del IV Congresso degli Italianisti Scandinavi, Copenhagen 8-10 giugno 1995.
  • Migliorini B., Tagliavini C., Fiorelli P. , Dizionario di Ortografia e Pronuncia, ERI Studio, 1969.
  • Serianni L., Grammatica italiana, UTET, 1989, p. 36.

A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

apollonia

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3 ore fa, apollonia dice:

Nella risposta alla domanda su denominazione e genere delle lettere straniere (J, K, W, X, Y), l’Accademia della Crusca ha premesso che nella maggior parte delle grammatiche recenti, alla descrizione del nostro alfabeto che comprende 21 lettere, viene aggiunta una breve trattazione relativa alle 5 lettere non comprese nel repertorio dell'italiano, ma che possono trovarsi in scritture del passato o, con maggiore frequenza, in parole straniere… (v. https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/denominazione-e-genere-delle-lettere-straniere-j-k-w-x-y/84 ).

Io penso che l’Accademia abbia inteso l’aggettivo “straniere” nel senso che queste lettere compaiono più frequentemente in parole straniere, anche se si possono trovare in scritture del passato.

apollonia

Assolutamente razionale, apollonia, ma per me - fatto personale - la cosa funziona diversamente. Per me si definisce "straniero" tutto ciò che non è / non fa parte dell'UE e la sua storia (intendendo in questo caso l'insieme dei suoi stati membri). Stravagante, lo so, ma questo è il mio sentire.

Modificato da ART
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8 ore fa, ART dice:

Assolutamente razionale, apollonia, ma per me - fatto personale - la cosa funziona diversamente. Per me si definisce "straniero" tutto ciò che non è / non fa parte dell'UE e la sua storia (intendendo in questo caso l'insieme dei suoi stati membri). Stravagante, lo so, ma questo è il mio sentire.

 

Ciao @ART e buone feste.

Nella discussione penso sia necessario distinguere tra una parola adottata da una lingua straniera che entra nel lessico della nostra lingua (prestito o forestierismo) e le lettere da cui è formata la parola.

È indubbio che nelle cinque consonanti “straniere” c’è del nostro, latino o greco che sia, e persino nella W stando al Vocabolario Treccani II Ed. 2017 che riporta quanto segue: w, W /v/, /w/ (vu doppio o doppio vu; meno com. vu doppia o doppia vu) s. m. o f. – Ventiduesima lettera dell’alfabeto lat.; sconosciuta all’alfabeto latino classico, vi fu aggiunta durante il medioevo nell’uso dei popoli germanici; nelle pochissime parole italiane che la contengono, la lettera w è pronunciata di regola come /v/ e, nella maggior parte delle parole di origine ingl., come /w/.

Riguardo agli usi della lettera come abbrev. o simbolo, il Treccani riporta che nella forma maiuscola puntata, è grafia abbreviata di nomi propri personali che cominciano con questa lettera (Walter, Wanda, ecc.); senza il punto ha invece usi molteplici: è, anche in Italia, abbrev. geografica dell’ingl. west “ovest”; in chimica, è simbolo del tungsteno o wolframio; in metrologia, è simbolo del watt; ecc. Nell’suo comune, il segno della W maiuscola è simbolo dell’interiez. viva, evviva, come grido di acclamazione e di esultanza (mentre lo stesso simbolo capovolto è simbolo di abbasso).

Anche le altre quattro consonanti del gruppo hanno sempre avuto usi analoghi nella nostra lingua, e quindi mi chiedo come mai non siano state inserite d’ufficio nell’alfabeto italiano assieme alle 21 “consorelle” invece di tenerle in disparte.

apollonia

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Il 19/12/2023 alle 17:04, Fra11 dice:

...Però, se si ammettessero nei conteggio, più che le lettere scritte, quelle pronunciate, combinazioni comprese, superiamo i 30. Quali intendo? Le C (varianti + H o + I), G (come C e con N), la stessa H diventa plurivalente con le combinazioni appena elencate, S e Z (nelle due  versioni dolce per entrambe, sorda per S o sonora per Z). .. Per le vocali, per fortuna, ci sono gli accenti a impostare e pronunce, ma sono usati praticamente solo se presente aperta nella vocale finale ... Probabilmente c'è altro da aggiungere. ..

Mi cito perchè, su quanto ho scritto, mi sorge la domandona su come mai nel tempo la pronuncia delle lettere non sia stata assoluta come per alcune lettere (facendo esempio per l'italiano) .. perchè si sia ricorso a combinazioni di lettere per ottenere delle pronunce, in alcuni casi, ad oggi neppure così logiche, almeno apparentemente...

Esempio valido per C e G:
ca ce ci co cu 
cha che chi cho chu
cia cie cii cio ciu

le regole ci insegnano che le pronunce si differenziano sebbene la logica sequenziale delle lettere non si rispecchi con una o l'altra vocale ...
perchè queste complicazioni?
per logica, e approfitterei della Q per alcune combinazioni e ne farei una scrittura con pronuncia univoca, senza mescolarle:
qa qe qi qo qu per gli equivalenti di ca (Es: non scrivo più casa, ma qasa)
ca ce ci co cu, per gli equivalenti di ce (ES: non scrivo più ciò, ma co)
cia cie cii cio ciu per gli equivalenti che integrano nella pronuncia la i (Es:  come farmacia)
Perché devo usare la Q solo se c'è  segue la U e un'altra vocale?
Ma chi l'ha deciso???
A suo tempo ci saranno stati anche validi motivi, ma ad oggi si potrebbe semplificare .. anche perchè di scempi ortografici ci sono comunque, forse a causa di queste regole poco intuitive..

Come citato, anche le versioni differenti di Z e S da pronunciare, a parer mio meriterebbero caratteri ben distinti, piuttosto che regole da imparare a memoria.

Anche la combinazione GN, sebbene non so quante parole con "gn" esistono senza che vengano pronunciate insieme piuttosto che distinte...

Mi rendo conto che è una questione storica ed internazionale su molte (tutte?.. già, ne esiste qualcuna che si salva?) le combinazioni tra pronunciato e scritto.. mi sembra uno spreco di risorse intellettive e mnemoniche, soprattutto per chi deve imparare lingue straniere, come la nostra.. 
Personalmente ho avuto la tendenza "all'asinite" sulle materie che richiedevano memoria, contrariamente a quelle che proponevano regole più lineari e logiche, per questo mi rimane 'sto cruccio in testa che, invecchiando, noto che mi si sta ritorcendo cominciando a dimenticare, le cose meno semplici.. arriverò anche all'ortografia pronunciata e scritta!


Chi ha qualche delucidazione?

 

Altro che dialetti.. l'italiano è già uno slang di suo ...

Modificato da Fra11
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Il 25/12/2023 alle 19:43, littleEvil dice:

Per me, ad essere doppia è la "vi".

Spoiler alert: sono serio.

Ma i toscani  vanno al vuccì a fare i loro bisogni?

A Torino si guarda la tivì?

 

Salve.

Dato che sono stato chiamato in causa da chi vuol discutere seriamente la questione sulla lettera w, la replica è dovuta. L’intestazione “apollonia dice…” dà l’idea che la denominazione “doppia vu o vu doppia” sia mia, quando in effetti è quella accettata da tutti gli studiosi della lingua italiana, come risulta dalla Redazione Consulenza Linguistica dell’Accademia della Crusca (v. post # 179) e dai dizionari e dalle enciclopedie (v. post # 181 per il Vocabolario Treccani II Ed. 2017).

Quindi il nome della ventitreesima lettera dell’alfabeto italiano può essere, dato il genere femminile o maschile del sostantivo, “vu doppia o doppio” oppure “doppia o doppio vu”. Inoltre “vu” è anche la sua pronuncia in alcuni lemmi e sigle: per es. in WWW (vu vu vu) per World Wide Web, in WWF (vu vu effe) per World Wide Fund for Nature, in TWA (ti vu a) per Trans World Airlines, in DKW (di kappa vu) per Dampf-Kraft-Wagen, in wc (vucì, ma anche vicì) per water-closet.

apollonia

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Per me rimane V= vi.

Non c'è nessunaltro di Torino?

Ed anche Wikipedia - per quanto possa essere una referenza - riporta entrambe le varianti (e l'articolo non lo ho appena modificato io, giuro)

Modificato da littleEvil
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Non sono di Torino, ma, tornando alle prime lezioni di italiano in prima elementare (a Brescia allora) insegnavano VI.
In fondo tutte le altre consonanti espresse con 2 lettere finiscono con I (eccetto la Q).

Nel contempo, se non ricordo male, si usava di Vi e VU DOPPIA .. perchè?

Forse, erroneamente la W potrebbe venire da leggere VU (senza indicare doppia) giusto per renderla leggibile ricordando i caratteri romani in cui V è anche U ...

Sempre ipotesi le mie fondate su puri sentori personali, istinto ignorante... 😅

Modificato da Fra11
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6 minuti fa, apollonia dice:

..mi fa riflettere e ricordare un po' meglio su quanto ho appena scritto:
reminiscenze da elettricista, ma valide ancora oggi dove le lettere U V W vengono usate per identificare i terminali dei motori trifase (per dirla spiccia!) .. sarà per errore, abitudine, o semplicemente perchè più pratico, ma anche in questo caso, come per WWW, quando si menzionano le suddette sigle si distinguono rapidamente con U, VI, VU ..

 

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https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/la-lettera-v-si-chiama-vu-o-vi/41

La lettera v si chiama 'vu' o 'vi'?

R. Rurali, G. Rellini Lerz, C. Boldi e altri ci chiedono quale sia il nome della lettera v, cioè se si debba dire 'vu' o 'vi'.

Risposta

La lettera v si chiama 'vu' o 'vi'?

A tale proposito riportiamo quello che ha scritto Luca Serianni nella sua Grammatica italiana (UTET Libreria, 1989, p. 37).

«I nomi delle varie lettere sono oggi stabilizzati tranne per v, che come segno distinto da u ha autonomia più recente; si osservi, ad ogni modo, che "vu", oltre ad essere altrettanto (se non più) radicata, è la dizione coincidente con l'uso toscano, come notava già Romanelli (Lingua e dialetti, Livorno, Giusti, 1910): «meridionale (e anche boreale) è la pronunzia vi, o ve della spirante v, che in Toscana si chiama vu».

Fino al secolo scorso i nomi di b, c, d, g, p, t, e v uscivano in e, tranne che in Toscana (Cfr. Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno, 1980, I 34; be, ce, de, ecc.: un riflesso dei due modi di pronuncia si ha in abbecedario e in abbiccì)». 

Redazione Linguistica 

Accademia della Crusca

 

apollonia

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Leggendo qua e là…

“Se fossi immortale – disse lo scrittore francese Jean Richepin – inventerei la morte solo per avere il piacere di vivere!”.

apollonia

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Quanto costavano le mele ai tempi di Adamo ed Eva?

Dare una risposta spiritosa.

apollonia

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L'ira di Dio. Che poi, la storia di Adamo ed Eva, fu un melo-dramma... (ora mi eclisso)

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9 ore fa, stefanoforum dice:

L'ira di Dio. Che poi, la storia di Adamo ed Eva, fu un melo-dramma... (ora mi eclisso)

 

Bravo!

apollonia

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Una domanda sui segni grafici nella prima lettura del rebus

3.arcadino.JPG.1c2d12c41ac2ef9fd0a3ab77375ff874.JPG

In A – nell’Arca – PIN è re = inanellar capinere

Qual è il nome dei segni grafici che delimitano la parola – nell’Arca – ?

Qual è la loro funzione?

apollonia

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La domanda sulla punteggiatura è interessante per verificare la conoscenza dei segni grafici. Nella frase

In A – nell’Arca – PIN è re

qual è il nome dei segni che delimitano la parola – nell’Arca –  e qual è la loro funzione?

 

Mi devo cospargere il capo di cenere per l’errore commesso anni fa d’aver usato il nome sbagliato per questi segni proprio nell’esposizione di qualche rebus.

Non è mai troppo tardi per imparare e ogni occasione è buona per ampliare le proprie conoscenze e riconoscere – e correggere – eventuali errori commessi.

apollonia

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Il 19/12/2023 alle 17:04, Fra11 dice:

Alle elementari, negli anni 70, ne insegnavano 21 (almeno questi sono quelli che ricordo nella mia scuola). Nel tempo, con l'uso di termini inglesi sempre più comuni, sono state comprese J, K, W, X, Y.

Con le scuole e lezioni di italiano non sono mai andato oltre.

Però, se si ammettessero nei conteggio, più che le lettere scritte, quelle pronunciate, combinazioni comprese, superiamo i 30. Quali intendo? Le C (varianti + H o + I), G (come C e con N), la stessa H diventa plurivalente con le combinazioni appena elencate, S e Z (nelle due  versioni dolce per entrambe, sorda per S o sonora per Z). .. Per le vocali, per fortuna, ci sono gli accenti a impostare e pronunce, ma sono usati praticamente solo se presente aperta nella vocale finale ... Probabilmente c'è altro da aggiungere. 

Questo è quanto ho appreso senza studi specifici. In quanto istruzione provengo da un altro mondo, ma questo è abbastanza palese 😅

 

Praticamente, per dirla in modo banale, hai reso manifesta quella particolare situazione in cui si ritrovò la scienza linguistica più di 100 anni fa, all'alba della formulazione dei concetti di fono, fonema, grafema e quant'altro. Non bastava il concetto di "alfabeto" per una formulazione scientifica dei fenomeni audio-linguistici, dal momento che l'alfabeto è "solo" una certa rappresentazione grafica di eventi sonori. 

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Il 26/12/2023 alle 16:37, Fra11 dice:

Mi cito perchè, su quanto ho scritto, mi sorge la domandona su come mai nel tempo la pronuncia delle lettere non sia stata assoluta come per alcune lettere (facendo esempio per l'italiano) .. perchè si sia ricorso a combinazioni di lettere per ottenere delle pronunce, in alcuni casi, ad oggi neppure così logiche, almeno apparentemente...

Esempio valido per C e G:
ca ce ci co cu 
cha che chi cho chu
cia cie cii cio ciu

le regole ci insegnano che le pronunce si differenziano sebbene la logica sequenziale delle lettere non si rispecchi con una o l'altra vocale ...
perchè queste complicazioni?
per logica, e approfitterei della Q per alcune combinazioni e ne farei una scrittura con pronuncia univoca, senza mescolarle:
qa qe qi qo qu per gli equivalenti di ca (Es: non scrivo più casa, ma qasa)
ca ce ci co cu, per gli equivalenti di ce (ES: non scrivo più ciò, ma co)
cia cie cii cio ciu per gli equivalenti che integrano nella pronuncia la i (Es:  come farmacia)
Perché devo usare la Q solo se c'è  segue la U e un'altra vocale?
Ma chi l'ha deciso???
A suo tempo ci saranno stati anche validi motivi, ma ad oggi si potrebbe semplificare .. anche perchè di scempi ortografici ci sono comunque, forse a causa di queste regole poco intuitive..

Come citato, anche le versioni differenti di Z e S da pronunciare, a parer mio meriterebbero caratteri ben distinti, piuttosto che regole da imparare a memoria.

Anche la combinazione GN, sebbene non so quante parole con "gn" esistono senza che vengano pronunciate insieme piuttosto che distinte...

Mi rendo conto che è una questione storica ed internazionale su molte (tutte?.. già, ne esiste qualcuna che si salva?) le combinazioni tra pronunciato e scritto.. mi sembra uno spreco di risorse intellettive e mnemoniche, soprattutto per chi deve imparare lingue straniere, come la nostra.. 
Personalmente ho avuto la tendenza "all'asinite" sulle materie che richiedevano memoria, contrariamente a quelle che proponevano regole più lineari e logiche, per questo mi rimane 'sto cruccio in testa che, invecchiando, noto che mi si sta ritorcendo cominciando a dimenticare, le cose meno semplici.. arriverò anche all'ortografia pronunciata e scritta!


Chi ha qualche delucidazione?

 

Altro che dialetti.. l'italiano è già uno slang di suo ...

 


Non ci sono risposte facili, mi spiace. Se cerchi la logica nelle lingue umane - l'italiano è tra esse - rimarrai deluso. Se credi che le lingue siano il regno dell'assurdo, sbagli. Assumiamo il punto di vista storicista. Potremmo assumere altri punti di vista, però fermiamoci al fatto che le lingue nazionali (come l'italiano) sono eventi che, per lo più, si producono nel divenire storico. Ci risulta che la storia sia sempre stata logica? Ci risulta che la storia non sia stata che disordine illogico? Io non direi né uno né l'altro. Per le lingue vale più o meno la stessa cosa. Se da una parte c'è il buon @apollonia (e tanti altri soggetti) che si impegnano in ricostruzioni normative di grammatica prescrittiva, dall'altra parte ci sono forze destrutturanti. Considera inoltre che non tutti i soggetti impegnati nella grammatica normativa (apollonia, la Crusca e altri) sono sempre e necessariamente in accordo. Quindi la situazione si complica.
Riguardo alle illogicità che tu hai presentato, devo dire innanzitutto che mi trovo in accordo con te: semplifichiamo ! Però non è con i decreti che si semplificano le cose della lingua, benché ogni tanto lo si faccia. Valgano due esempi di comunità linguistiche entrambe molto vicine, almeno geograficamente , a noi. Sia il francese che il tedesco hanno infatti operato delle riforme ortografiche  a cavallo tra il secondo millennio e il millennio presente. Vogliamo tornare al latino classico, quando al segno "C" corrispondeva sempre, in quanto evoluzione del sistema consonantico indoeuropeo, una lettura occlusiva velare? Il grafema "C" in Caesar si leggeva come "k". Vogliamo semplificare? Va bene, facciamolo. Però l'esperanto, per quanto nobile, non ha goduto della stessa stima dell'italiano o del lettone o del russo.
Sono d'accordo anch'io sul fatto che sia  uno spreco di risorse intellettive e mnemoniche (io sono anche più o meno contro il congiuntivo), però mi consolo pensando che in inglese o in giapponese (solo per citare lingue a noi più o meno note), considerate diacronicamente, è forse anche peggio la corrispondenza tra segno, suono e significato.

Non conosco la storia dell'ortografia italiana nel suo complesso, quindi non so precisamente quali siano stati i suoi passaggi intermedi, tuttavia c'è tanta letteratura divulgativa al riguardo.

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1 ora fa, sdy82 dice:


Non ci sono risposte facili, mi spiace. Se cerchi la logica nelle lingue umane - l'italiano è tra esse - rimarrai deluso. Se credi che le lingue siano il regno dell'assurdo, sbagli. Assumiamo il punto di vista storicista. Potremmo assumere altri punti di vista, però fermiamoci al fatto che le lingue nazionali (come l'italiano) sono eventi che, per lo più, si producono nel divenire storico. Ci risulta che la storia sia sempre stata logica? Ci risulta che la storia non sia stata che disordine illogico? Io non direi né uno né l'altro. Per le lingue vale più o meno la stessa cosa. Se da una parte c'è il buon @apollonia (e tanti altri soggetti) che si impegnano in ricostruzioni normative di grammatica prescrittiva, dall'altra parte ci sono forze destrutturanti. Considera inoltre che non tutti i soggetti impegnati nella grammatica normativa (apollonia, la Crusca e altri) sono sempre e necessariamente in accordo. Quindi la situazione si complica.
Riguardo alle illogicità che tu hai presentato, devo dire innanzitutto che mi trovo in accordo con te: semplifichiamo ! Però non è con i decreti che si semplificano le cose della lingua, benché ogni tanto lo si faccia. Valgano due esempi di comunità linguistiche entrambe molto vicine, almeno geograficamente , a noi. Sia il francese che il tedesco hanno infatti operato delle riforme ortografiche  a cavallo tra il secondo millennio e il millennio presente. Vogliamo tornare al latino classico, quando al segno "C" corrispondeva sempre, in quanto evoluzione del sistema consonantico indoeuropeo, una lettura occlusiva velare? Il grafema "C" in Caesar si leggeva come "k". Vogliamo semplificare? Va bene, facciamolo. Però l'esperanto, per quanto nobile, non ha goduto della stessa stima dell'italiano o del lettone o del russo.
Sono d'accordo anch'io sul fatto che sia  uno spreco di risorse intellettive e mnemoniche (io sono anche più o meno contro il congiuntivo), però mi consolo pensando che in inglese o in giapponese (solo per citare lingue a noi più o meno note), considerate diacronicamente, è forse anche peggio la corrispondenza tra segno, suono e significato.

Non conosco la storia dell'ortografia italiana nel suo complesso, quindi non so precisamente quali siano stati i suoi passaggi intermedi, tuttavia c'è tanta letteratura divulgativa al riguardo.

Grazie perchè in assenza di riscontri facili, hai comunque espresso e delucidato aspetti che fanno riflettere ed arricchiscono le mie idee nel merito.
Per quanto riguarda "logica nelle lingue, delusioni, regno dell'assurdo", non pensavo di trasmettere questa idea, probabilmente mi sono espresso male, comunque non c'è da preoccuparsi per me, in fondo sto solo forumando. 
😉

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Salve.

Il mio interesse per il nome delle consonanti dell’alfabeto è dovuto al fatto che il loro uso nell’ambito del gioco del rebus prevede una lettura fonetica (B, C, D, N, ecc.) o una lettura alfabetica (B = bi, C = ci, D = di, N = enne, ecc.).

L’aula lingue scuola Zanichelli in rete  https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2009/09/10/lalfabeto-italiano/riporta questi nomi

alfabetoZanichelli.gif.f357453e9d0dfe51bb9a3cd1e037aa7f.gif

Altre tabelle riportano gli stessi nomi, mentre qui troviamo anche (vi) per la “V” https://cresciimparando.wordpress.com/lezione-1/

alfabeto-italiano.jpg.92c808ce6817dc901e64c46f6723ecea.jpg

Riguardo al nome della “V”, il Treccani – Enciclopedia dell’Italiano (https://www.treccani.it/enciclopedia/alfabeto_(Enciclopedia-dell'Italiano)/) riporta quanto segue:

Quanto a ‹q› e ‹v› i loro nomi, qu [kːu] e vu [vu], risentono della contiguità con la vocale ‹u›: nel primo caso per il nesso consonantico che si costituisce (quadro, qualità); nel secondo per trafila etimologica (in latino erano lettere indistinte sia sul piano fonetico sia su quello grafico e la indistinzione grafica si è protratta a lungo anche in italiano). Nel caso di vu, però, l’alternativa vi [vi] è frequente, per lo più in area settentrionale. Questa denominazione si fa sentire in alcune sigle che si sono lessicalizzate: se tiv(v)ù ha prevalso su tivì, i dvd vengono pronunciati sia [divuˈdi] sia [diviˈdi] e nel caso di Oviesse (sciolta, la sigla sta per «organizzazione vendite speciali»), la ‹v› è stata resa nella grafia non come vu ma come vi.

Per questo motivo il grafema V compare nei rebus come lettura fonetica:

Chilo-dagli-e-ciocchi.jpg.eb8ac3c1511a9d7fc2dc6975b2c3740c.jpg

Chilo d’agli S, ciocchi S, ciocco S, iri V, E la = Chi loda gli sciocchi sciocco si rivela.

apollonia

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14 ore fa, Fra11 dice:

in fondo sto solo forumando

...io fòrumo, tu fòrumi, egli ed ella fòruma... 😊🤓

 

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  • 3 settimane dopo...
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La locuzione ‘Tizio, Caio e Sempronio’ è utilizzata in lingua italiana per indicare tre persone generiche a cui riferirsi durante un discorso. E se compare un quarto individuo?

apollonia

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