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Salve.

Apro questa discussione per la curiosità destata dall’ultima frase di questa lettura in una rubrica della Settimana Enigmistica “Leggendo qua e là…”

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Il re di spade è una delle 56 carte dei quattro semi tradizionali di 14 carte ciascuno composto dai valori dall’asso al dieci e da quattro figure (Re, Regina, Cavaliere e Fante), le cosiddette 56 carte numerali e di corte.

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Re di spade, il cui ruolo è assegnato ad Alessandro Magno, personaggio che apparteneva alla serie medievale degli Uomini illustri, uno dei Nove Prodi. Eroe divinizzato, nuovo sole, colui che aveva raggiunto da vivo il cielo su un carro trasportato da grifoni, all’epoca aveva riscosso un notevole successo, soprattutto nell’ambiente delle corti.

apollonia

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57 minuti fa, apollonia dice:

Salve.

Apro questa discussione per la curiosità destata dall’ultima frase di questa lettura in una rubrica della Settimana Enigmistica “Leggendo qua e là…”

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Il re di spade è una delle 56 carte dei quattro semi tradizionali di 14 carte ciascuno composto dai valori dall’asso al dieci e da quattro figure (Re, Regina, Cavaliere e Fante), le cosiddette 56 carte numerali e di corte.

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Re di spade, il cui ruolo è assegnato ad Alessandro Magno, personaggio che apparteneva alla serie medievale degli Uomini illustri, uno dei Nove Prodi. Eroe divinizzato, nuovo sole, colui che aveva raggiunto da vivo il cielo su un carro trasportato da grifoni, all’epoca aveva riscosso un notevole successo, soprattutto nell’ambiente delle corti.

apollonia

 

Notizia assai interessante, non avevo idea che potesse essersi conservato un mazzo di carte del Quattrocento.


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Altre carte del mazzo dedicate a personaggi famosi legati alla storia di Alessandro Magno sono il R. [Rex] Filippo, il padre di Alessandro, nella omonima carta di denari, e la madre Olimpiade (OLINPIA), temuta signora dei serpenti, qui presente come Regina di spade.

 

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Re di denari                                                       Regina di spade

 

Fa parte del gruppo anche il Cavallo di spade (AMONE), dedicato a Zeus Ammone, il mitico padre di Alessandro secondo l’oracolo dell’oasi di Siwah.

 

apollonia


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Le carte di corte si basano su una storia d'amore medievale che disegnava paralleli tra personaggi della guerra di Troia con altrettanti della vita di Alessandro Magno.

Così troviamo Elena come Regina di denari.

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Regina di denari

apollonia


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Carta interessante il Cavallo di coppe NATANABO, “mago ed intendente” che, insieme ad Aristotele, era insegnante di Alessandro Magno: carta che spiega il rapporto di Alessandro con l’alchimia.

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Nel Secretum secretorum, uno scambio epistolare tra Aristotele e il discepolo Alessandro su astrologia, dietetica, alchimia e altri argomenti finalizzati alla gestione del potere, si apprende che il grande filosofo avrebbe introdotto l’allievo ai misteri del sapere alchemico, e questa notizia potrebbe gettare qualche luce sul legame tra la figura del condottiero e l’iconografia più oscura del mazzo, quella che ricorre nelle carte del seme di denari.

Al rapporto con l’alchimia si può ricondurre anche l’iconografia antica del sovrano, celebrato come nuovo sole, antico simbolo alchemico dell’oro, il più perfetto dei metalli che la terra produce e quindi materia privilegiata per ricavare il lapis philosophorum.

apollonia

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L’iconografia dei 22 Trionfi (Arcani Maggiori) dei tarocchi Sola Busca è assolutamente eccezionale, diversa dalle figure canoniche in quanto, oltre al Matto raffigurato secondo un’iconografia tendenzialmente comune al tempo, i restanti Trionfi presentano famosi personaggi dell’antichità romana e biblica (oltre ad altri di non facile identificazione), assecondando un gusto retrò come si può evincere dai cicli trecenteschi riguardanti gli ‘Uomini famosi’, quali exempla da imitare.

La descrizione degli Arcani Maggiori è tratta da http://www.letarot.it/page.aspx?id=807 e si apre con il Trionfo 0 – Il Matto per proseguire con i Trionfi in numero progressivo da 1 a XXII.

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Trionfo 0 - Il Matto. Offriamo di seguito una nostra interpretazione iconologica: il numero arabo 0, riportato nella carta in forma di un cerchio vuoto, suggerisce probabilmente il vuoto di cervello del Folle. Le lettere 'MA' e 'TO' che identificano il personaggio appaiono nella parte superiore della carta su l’uno e l'altro lato. Sulla spalla sinistra del nostro è presente un corvo nero: i due si guardano come se si specchiassero uno nell’altro. L’uccello rappresenta l'uomo irresoluto e peccatore, reso nero dalle sue colpe. Il Ripa così scrive infatti alla voce Infortunio riguardante un simile personaggio tenente "nella sinistra [mano] un Corvo" così come appare sulla spalla sinistra del Mato: “L’infortunio, come si raccoglie d’Aristotele, è un evento contrario al bene, & d’ogni contento: & il Corvo non per esser uccello di male augurio, ma per essere celebrato per tale da' Poeti, ci può servire per segno dell’infortunio: si come spesse volte, un tristo avvenimento è presagio di qualche maggior male soprastante, & si deve credere, che vengano gl'infelici successi, & le ruine per Divina permissione, come gli Auguri antichi credevano, che i loro augurij fussero inditio della volontà di Giove. Quindi siamo ammoniti a rivolgerci dal torto sentiero dell'attioni cattive, al sicuro della virtù, con la quale si placa l'ira di Dio, & cessano gli infortunij” (3). Riguardo l’Irresolutione lo stesso autore afferma: “Donna […] con un panno nero avvolto alla testa […] Le si dà i Corvi per ciascuna mano in atto di cantare, il qual canto è sempre Cras, Cras [in latino: ‘domani, domani’], così gli huomini irresoluti differiscono di giorno in giorno, quanto debbono con ogni diligenza operare, come dice Martiale. Il panno nero [come il corvo] avvolto alla testa, mostra l’oscurità e la confusione dell’intelletto, per la varietà de pensieri, i quali lo rendono irresoluto 4.

 Si deve considerare che la Chiesa del tempo considerò il matto come l’Insipiens citato nel Salmo 52 dove troviamo scritto: “Dixit insipiens in corde suo: non est Deus” (Il Folle [insipiens] ha detto in cuor suo: non c’è Dio) 5. La cornamusa, che il matto sta suonando, è uno strumento pastorale creduto essere utilizzato nell’antichità dai sileni, esseri dalla natura selvaggia e lasciva e per questo motivo considerato uno strumento diabolico come tutta la famiglia degli strumenti a fiato.

 Tale simbolismo diabolico collegato agli strumenti a fiato - piffero e cornamusa, contrapposti ai celestiali strumenti a corda - connota il carattere negativo della carta. Potremmo pensare qui anche a un’associazione con la parola ‘folle’ in latino, che significava ‘sacco’ o ‘soffietto’: quindi ‘folle’ come un sacco d'aria, vuoto, senza contenuto. Il fatto che il Matto venga raffigurato in questa carta con connotazioni negative dal punto di vista Cristiano, suggerisce un’interpretazione dell’intero mazzo maggiormente legata a tale ambito 6.

apollonia


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Trionfo 1 - Panfilo. Si tratta di M. Bebio Panfilo, pretore nel 192 a.C. I pretori erano magistrati che detenevano un potere decisionale. Insieme a Q. Cecilio Metello e T. Sempronio venne inviato in Grecia dove riuscì a dirimere i contrasti tra i Tessali e i Macedoni. Inoltre, ridusse gli Apuani Liguri ovvero gli abitanti della Liguria che abitavano nei monti Apuani, sotto il dominio romano senza spargimento di una sola goccia di sangue. In tal senso, la corona trionfale che cinge la testa del personaggio acquista un valore significativo, quale premio per la sua vittoria. Inoltre fu il primo a ricevere gli onori trionfali senza aver condotto una guerra. Primo come il Bagatto, numero 1 nella sequenza dei Trionfi.

apollonia


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Trionfo II - Postumio. Il personaggio raffigurato è Lucio Postumio Albino che nel 216 fu nominato pretore e inviato nella Gallia Cisalpina, l’attuale pianura padana, per domare gli abitanti di quelle terre. Le legioni romane da lui comandate vennero però sconfitte nel bosco Litana dai Galli Boi, alleati di Annibale. La sua testa fu scavata all’interno e, una volta decorata d’oro, venne usata dai Galli come tazza sacrificale. Secondo la descrizione di Livio “I Boj portarono la testa del Capitano in un loro Tempio, il quale era appresso di loro in somma reverenza. Di poi, avendolo purgato dentro, l’adornarono d’oro, com’è loro usanza, in modo che fosse un vaso sacro col quale nelle feste solenni celebrassero il sacrificio, e lo stesso servisse all’uso del sacerdote e dei presidenti del Tempio”. Nella carta è stato raffigurato il suo teschio colorato d’oro.

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Trionfo III - Lenpio. Nella millenaria storia romana non esiste alcun personaggio di nome Lenpio. Esiste tuttavia un Lenio che potrebbe ragionevolmente essere il nostro, da interpretare come Lenio il pio, cioè Lenpio, come lo chiama l’autore con un gioco di parole. Si tratterebbe quindi di M. Lenio Strabone. In epoca romana, il soprannome Strabone era assegnato a coloro che avevano un difetto visivo, da cui il termine ‘strabismo’. Nato a Brindisi, cavaliere romano, egli fu il primo a introdurre l’uso delle uccelliere in cui erano tenute diverse specie di uccelli. Se analizziamo gli elementi che figurano nella carta, potremmo pensare che il piatto poggiato a terra sia quello in cui Clodio Esopo pose una serie di uccelli canterini; la pannocchia che il personaggio serra nella mano al cibo per uccelli e il gesto di chiudere l’occhio allo strabismo di questo personaggio.

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Trionfo IV - Mario. La carta non lascia ambiguità di sorta, anche se i Mario sono numerosi nell’antica Roma. Si tratta di Gaio Mario, eletto sette volte al Consolato, avversario di Silla, colui che menò davanti al carro trionfante il re Giugurta incatenato e che disfece l’esercito dei Teutoni e dei Cimbri. Nella carta il personaggio cinge uno scudo che tiene sollevato come se si preparasse alla battaglia. È seduto su un tronco, pronto a partire come ci mostra lo sguardo attento e per niente rilassato, e con la mano destra stringe un’asta su cui sventola una bandiera rossa, simbolo della riscossa contro Silla. L’elmo alato che gli orna la testa esprime il segno dell’ulteriore imminente vittoria. Siamo pertanto in presenza di una figura dal carattere pressoché imperiale, così come l’Imperatore risulta il numero IV nei Trionfi tradizionali.

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Trionfo V - Catulo. Il personaggio ritratto, in virtù della ferita alla coscia attestata da Orosio (tranfixo femore aegerrime, cioè “trafitto al femore con la più grande pena”), allude al console Gaio Lutazio Catulo che nel 241 a.C. pose fine alla prima guerra punica sconfiggendo i Cartaginesi presso le isole Egadi. La vittoria gli fruttò l’onore del trionfo. Lutazio fu affiancato dal pretore Quinto Valerio Falto, il quale pretese anche per sé, ma senza motivo per la giustizia romana, l’onore trionfale. Nella carta appare quindi una trutina, la bilancia utilizzata dai Romani per amministrare la Giustizia. La canna su cui è appoggiato un copricapo, che esprimeva l’emancipazione dalla servitù, si pone come simbolo dell’affrancamento del personaggio dalla schiavitù della sua condizione sociale e morale. Infatti, egli fu il primo della plebea gens Lutatia a ricoprire la carica di console, pur non appartenendo alla nobiltà romana.

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Trionfo VI - Sesto. La giovinezza del personaggio ci ha permesso di associarlo ragionevolmente a Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, triumviro insieme a Cesare e Crasso. Nel momento in cui Pompeo perse la battaglia di Farsalo nel ‘48 e fuggì per salvarsi la vita, Cornelia e Sesto lo incontrarono nell’isola di Mitilene e insieme fuggirono in Egitto, dove Pompeo, su sollecitazione di Cesare, fu ucciso sotto gli occhi del figlio da Tolomeo XIII, fratello di Cleopatra. Da quel momento inizierà l’avventura di Sesto contro il dispotismo cesariano che lo porterà alla morte non ancora quarantenne. Nella carta il giovane regge uno scudo appoggiato sul terreno mentre osserva una fiaccola che stringe nella mano sinistra. È la fiaccola della vita che presto si spegnerà e che il giovane tuttavia guarda senza rimpianti, con un’espressione di serena calma.

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Trionfo VII - Deotauro. La carta non dà luogo a equivoci: si tratta di Deiotaro, tetrarca della Galazia, in Asia minore, fedele alleato della Repubblica romana. Accusato ingiustamente dal nipote, il quale voleva prenderne il posto, di aver tramato l’uccisione di Cesare, venne difeso da Cicerone nell’orazione Pro rege Dejotaro, nel 44 a.C. Queste le parole con cui Cicerone esalta le virtù del re galata davanti a Cesare e al Senato: “Deh, chi mai v’è più di lui considerato? Più cauto? E più avveduto? Sebbene in questo luogo reputo che non tanto difender si debba Dejotaro per l’accorgimento e per la grandezza, quanto per la lealtà e la timorata coscienza…Chi mai non conosce la probità di Dejotaro, l’integrità, la gravità, la virtù e la sua leal fede?”

apollonia


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19 minuti fa, apollonia dice:

Pompeo, su sollecitazione di Cesare, fu ucciso sotto gli occhi del figlio da Tolomeo XIII, fratello di Cleopatra

Scusa se mi permetto di interrompere questa bellissima narrazione: ma se non ricordo male (o forse sbaglio) Cesare non fu disgustato da questo episodio ? In fondo Pompei gli era genero!

Magari sto solo confondendo qualche altro episodio storico.


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56 minuti fa, ARES III dice:

Scusa se mi permetto di interrompere questa bellissima narrazione: ma se non ricordo male (o forse sbaglio) Cesare non fu disgustato da questo episodio ? In fondo Pompei gli era genero!

Magari sto solo confondendo qualche altro episodio storico.

 

La tua domanda mi trova impreparato. Può darsi che ci siano diverse interpretazioni di episodi nell'attribuzione di un Trionfo a un personaggio della storia romana.

apollonia


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10 minuti fa, apollonia dice:

La tua domanda mi trova impreparato. Può darsi che ci siano diverse interpretazioni di episodi nell'attribuzione di un Trionfo a un personaggio della storia romana.

apollonia

 

Non può essere vero: @apolloniaimprepatato ?

Questo sì che è un segno della fine del mondo.... prepariamoci al peggio!

Scherzo naturalmente, però sono anche sorpreso: immagino sempre che Apollonia abbia una risposta a tutto e quindi non avevo previsto ciò.

Certamente questa piccola  défaillance non fa venir meno la mia stima e amministrazione per la tua conoscenza.

 

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È vero che Giulio Cesare e Pompeo Magno (marito di Giulia, figlia di Cesare) furono amici e alleati, ma poi divenne storica la loro rivalità che si concluse con la battaglia di Farsalo del 48 a.C. e la sconfitta di Pompeo.

Rifugiatosi a Lesbo, Pompeo cercò poi aiuto in Egitto, regno del quale egli aveva sempre difeso l’indipendenza; ma presso la costa egiziana fu assassinato dai messi del re Tolomeo XIII che voleva conquistarsi l’amicizia di Cesare.

apollonia

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Trionfo VIII - Nerone. La carta ci rinvia immediatamente all’imperatore romano Nerone passato alla storia come un tiranno crudele e dissoluto, colui che nel 64 d.C. incendiò Roma dando la colpa ai cristiani, oltre a tante altre nefandezze. Una credenza errata, come oggi affermano gli storici più autorevoli. Nella carta, Nerone appare impegnato personalmente nel dilaniare un bambino prima di bruciarlo. Sul suo braccio è appoggiato un bastone da cui pendono delle sfere che richiamano uno di quei giochi infantili romani chiamati ‘tintinnabula’, sonagliere che i bambini costruivano infilando in una cordicella noci o nocciole che poi legavano a un supporto di legno. L’iconografia sembrerebbe confermare una simile associazione in quanto tali giocattoli di semplice fattura, insieme ad altri piccoli oggetti, venivano deposti nelle tombe dei bambini per accompagnarli nell’aldilà.

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Trionfo IX - Falco. Nella storia romana troviamo soltanto un Falco ed è Quinto Sosio Falcone (Quintus Sosius Falco), console nel 193 d.C., nel tempo in cui al crudele Commodo era succeduto, in qualità di imperatore, il saggio e prudente Pertinace. Un uomo del genere non poteva durare a lungo in una società ormai logorata dalla corruzione e dal vizio. Alcuni congiurati scelsero allora il nostro console Falcone quale suo successore. Fatto sta che quando la perfida trama venne scoperta, la maggior parte dei congiurati fu messa a morte, ma Falcone, la cui colpevolezza non fu provata e la cui innocenza era sostenuta da molti, si ritirò nella sua proprietà per morire anni dopo di morte naturale. Nella carta, un uomo incoronato e in ginocchio, dalla lunga barba grigia, sostiene nella destra un’asta, simbolo del potere, mentre lo scudo e l’elmo sono poggiati a terra, a significare il suo atteggiamento non violento.

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Trionfo X - Venturio. Non essendoci alcun Venturio nella storia romana, il personaggio dovrebbe riferirsi a qualcuno dei diversi Veturio che vi compaiono, un Veturio toccato dalla ‘ventura’, da cui, appunto, con un gioco di parole, Venturio. Il personaggio è quindi ragionevolmente Tito Veturio Calvino, due volte console, nel 334 e 321 a.C., al quale è associata la famosa sconfitta romana da parte dei Sanniti presso le Forche Caudine, proprio durante il suo secondo consolato. I calzari alati indossati dal personaggio non sono una garanzia sufficiente di vittoria, proprio perché simbolo del Fato che decide il destino umano. La Fortuna aleggia nell’aria, come la mano dello stesso personaggio, a indicare che la totale padronanza della vita è pari a una pura illusione.

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Trionfo XI - Tulio. I due personaggi più prestigiosi della gens Tullia, una delle più antiche di Roma, sono il capostipite Servio Tullio, sesto re di Roma nel periodo regio, e M. Tullio Cicerone (106-43 a.C.) nel periodo repubblicano. A nostro avviso è quest’ultimo a essere raffigurato nella carta. Egli incarnò i valori di quell’epoca, un “padre della patria”, pieno d’animo sublime, degno d’eterna memoria, “un grande ingegno che amò veramente la patria”, a detta dello stesso Ottaviano divenuto Augusto, quando si dolse vergognosamente di aver contribuito, in qualità di triumviro, alla sua uccisione. A differenza dell’Eremita che si appoggia a un bastone, egli tiene in mano una torcia sulla cui sommità brilla una fiamma, quella delle sue opere, destinate a risplendere per sempre.

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Trionfo XII - Carbone. Si tratta di Gaio Papirio Carbone che da tribuno, nel 131 a.C., fece approvare la lex tabellaria d’ispirazione popolare, che estendeva il voto scritto (tabella) e quindi segreto ai comizi legislativi. Di questa legge e del suo proponente, Cicerone (De Leg. III,16) dirà: “La terza, sull’ordinare le leggi o vietarle, è di Carbone, cittadino sedizioso e malvagio”. Il nostro Carbone, inizialmente di parte democratica, al fine di ottenere il consolato, cambiò casacca passando dalla parte degli aristocratici, e nel 120, ormai console, difese in tribunale Lucio Opimio, l’assassino di Gaio Gracco, tradendo (ricordiamo che il Trionfo numero XII era inizialmente chiamato ‘Il Traditore’) il diritto e l’antica amicizia con quest’ultimo e il fratello Tiberio. L’anno successivo, una volta sconfitto, venne messo lui stesso sotto accusa da Licinio Crasso, e “dicesi che prendesse le cantarelle” (Cicerone. Ad familiares IX, 21), ossia che si avvelenasse. 

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Trionfo XIII - Catone. Marco Porcio Catone Uticense (95-46) fu un personaggio incorruttibile e imparziale. Per il suo rigore morale, l’Alighieri nella Divina Commedia lo porrà a guardia del Purgatorio, e non tra i suicidi infernali, come colui che “vita rifiuta” per la libertà, definendolo nel Convivio “anima nobilissima e la più perfetta immagine di Dio in terra”. Contrario all’autoritarismo cesariano preferì infatti il suicidio piuttosto che farsi arrestare e assistere alla fine dei valori repubblicani che aveva sempre difeso. Con l’avvento di Cesare, piuttosto che assistere allo svanire di un mondo per cui aveva vissuto e lottato, Catone si diede la morte, raggiungendo così il più alto grado di libertà nello sfuggire ai catenacci della servitù dittatoriale. Immediato è il rapporto quindi con il Trionfo della Morte.

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Trionfo XIV - Bocho. Bocco fu re della Mauritania nella guerra giugurtina del 108 a.C. Inizialmente indeciso se allearsi coi Romani o con Giugurta, scelse il genero sulla promessa di una parte del suo regno. Poi, durante il conflitto, si pentì di tale risoluzione, e incerto se confermare l’antica alleanza o schierarsi dalla parte dei probabili vincitori, si decise a consegnare Giugurta nelle mani dei Romani. Questo è il quadro ricorrente della figura di Bocco. Sembra il ritratto del traditore, ma non è così. Sallustio nella sua opera La Guerra di Giugurta del 42 a.C., lo descrive come un uomo saggio, grandemente moderato, triste nel dover prendere decisioni che, in un senso o nell’altro, lo avrebbero condannato a essere valutato come un uomo spregevole.

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Trionfo XV - Metelo. Il personaggio raffigurato è da individuarsi in Lucio Cecilio Metello, console nel 251 a.C., artefice della sconfitta di Asdrubale durante la prima guerra punica che assicurerà a Roma la supremazia in Sicilia. Eletto console per la seconda volta nel 247, quattro anni dopo fu nominato Pontefice Massimo e tenne questa magistratura per ventiquattro anni. Nella carta, Metello ha la testa coperta da un cappello alato, simbolo della direzione delle cose sacre. Il cappello, rosso e conico, dalla punta ripiegata in avanti, è uno degli attributi della religione di Mitra che venne introdotta a Roma nel II/I secolo a.C., insieme allo scettro sacrale e alla fiamma, qui rappresentata dall’urna accesa sovrastante la colonnina. Mitra, infatti, era una delle tante maschere del dio portatore di luce, del fuoco sacro dei Romani o del Lucifero della successiva tradizione cristiana.

apollonia

P.S. Anagramma di Meleto.


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