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La Grotta del Romito: un tesoro dell’arte e della cultura paleolitica in Calabria
 
 
Il Bos Primigenius Il Bos Primigenius

La Grotta del Romito è un sito archeologico di grande importanza per lo studio del Paleolitico superiore in Italia e in Europa.

Si trova nel comune di Papasidero, in provincia di Cosenza, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino. La grotta deve il suo nome al fatto che era usata come rifugio da un eremita nel XVIII secolo.

La grotta fu scoperta nel 1961 e fu oggetto di scavi da parte dell’archeologo Paolo Graziosi e dei suoi collaboratori fino al 1968. Dal 2000 le ricerche sono riprese sotto la direzione dell’archeologo Fabio Martini, dell’Università di Firenze.

La grotta presenta una stratigrafia di circa 7-8 metri di spessore, che documenta la presenza umana dal 23.000 al 10.000 anni fa. Gli strati più antichi risalgono all’Epigravettiano antico e medio, mentre quelli più recenti all’Epigravettiano finale e al Mesolitico.

All’esterno della grotta si trovano alcune incisioni rupestri, tra le quali spicca il graffito di un bovide (Bos primigenius), datato a circa 12.000 anni fa. Si tratta di una delle più antiche testimonianze dell’arte preistorica in Italia e una delle più importanti a livello europeo. Il graffito rappresenta un toro selvatico con le corna rivolte all’indietro e il corpo stilizzato. Il toro era probabilmente un animale sacro per le popolazioni paleolitiche, simbolo di vita e fertilità.

Papasidero grotta del romito Grotta del Romito ( foto grottaromito.it)

La grotta del Romito è oggi visitabile grazie all’intervento dell’Università di Firenze in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Calabria, il Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria ed il comune di Papasidero.

Sul posto sono stati realizzati interventi per garantire l’accesso alla grotta (passerelle, impianti di illuminazione) e la fruizione integrata del sito archeologico (visite guidate, brochure, materiali didattici per bambini).

https://www.calabriadirettanews.com/2023/05/10/la-grotta-del-romito-un-tesoro-dellarte-e-della-cultura-paleolitica-in-calabria/

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La Grotta e il Riparo del Romito, in comune di Papasidero (Cosenza), costituiscono uno dei più importanti giacimenti dell’Italia meridionale risalenti al tardo Pleistocene. La loro rilevanza nell’ambito delle documentazioni preistoriche è legata all’imponenza della stratigrafia, all’importanza delle evidenze archeologiche e alle potenzialità di informazioni per la ricostruzione dell’ambiente e delle attività delle comunità di Homo sapiens che abitarono il sito alla fine del Paleolitico, nel Mesolitico e nel Neolitico.

La grotta e il riparo appaiono oggi come due ambienti quasi distinti, a causa di una chiusura artificiale con un muro risalente all’epoca in cui la caverna fu utilizzata come romitorio. Al momento della frequentazione paleolitica i due ambienti costituivano un unico ampio spazio di abitazione.

La grotta è localizzata all’interno di uno stretto canyon che offriva protezione e riparo. Nei pressi scorre l’attuale fiume Lao, attivo durante la presenza paleolitica e utilizzato come via di comunicazione e anche per risorse alimentari e litiche.

https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/il-sito/la-grotta-e-il-riparo

 

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L'attuale stretto ingresso della grotta che porta all'ambiente interno

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LE RICERCHE DI PAOLO GRAZIOSI (1961-1968)

Sia la grotta sia il riparo sono stati oggetti di sistematiche ricerche e di scavi da parte di Paolo Graziosi, paletnologo e antropologo dell’Università di Firenze, negli anni ’960.

All’interno della grotta, Graziosi mise in luce un potente deposito archeologico di circa 7 metri di spessore, che documentava una presenza umana nei periodi più recenti del Paleolitico e nel Neolitico. A questa fase di indagini nella grotta si deve, tra l’altro, la segnalazione di due inumazioni singole.

Contiguo all’ambiente attualmente chiuso della grotta si apre il riparo, un ampio spazio all’aperto protetto dall’aggetto della parete rocciosa. Gli scavi che P. Graziosi vi ha condotto parallelamente a quelli nella grotta hanno messo in luce una sequenza stratigrafica che in parte coincide con quella all’interno della caverna, limitatamente agli ultimi millenni del Paleolitico (10-11 mila anni orsono).

Qui è localizzato il grande masso inciso con l’imponente figura di toro, nei pressi del masso Graziosi rinvenne due sepoltureciascuna con due inumati. Nell’area esterna del riparo è localizzato l’altro grande massocon incisioni di tipo lineare.

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LE RICERCHE IN CORSO

A partire dall’anno 2000 è stato dato un nuovo impulso alla ricerca con scavi, che la locale Soprintendenza archeologica ha affidato all’Università di Firenze (direzione Fabio Martini), e con ricerche e studi che coinvolgono specialisti italiani e stranieri.

I risultati più significativi riguardano l’ampliamento del periodo di presenza umana in grotta grazie alla scoperta di livelli del Mesolitico (10-8.000 anni fa circa), tre nuove sepolture singole paleolitiche in grotta, studi sul DNA antico degli inumati, la ricostruzione climatica ed ambientale, dei regimi economici e della paleodieta, gli studi sulla mobilità dei gruppi umani, la documentazione sulle produzioni litiche.

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RICOSTRUZIONE AMBIENTALE

Per comprendere meglio quali erano le condizioni di vita dei gruppi umani preistorici è fondamentale conoscere il contesto ambientale nel quale queste popolazioni hanno vissuto.

Informazioni utili alla ricostruzione del clima e dell’ambiente circostante il sito durante i periodi di occupazione da parte dell’uomo provengono dagli studi interdisciplinari sulle faune (mammiferi e micromammiferi), sui resti vegetali (carboni e pollini fossili) e sui sedimenti.

Le recenti ricerche hanno permesso di ricostruire l’evoluzione dell’ambiente circostante la grotta nel periodo compreso tra 24.000 e 9.000 anni dal presente.

Prima di 24.000 anni fa la grotta non era abitabile in quanto all’interno scorreva un torrente che ha lasciato depositi sabbiosi (strati N-M).

Durante il massimo picco dell’ultima glaciazione datato tra 20-24.000 anni orsono, che portò a condizioni di aridità, il torrente si prosciuga e l’uomo del Gravettiano fa il suo ingresso nella grotta (strato I).

Segue un periodo con saltuarie riattivazioni del corso d’acqua (strato H), dopo le quali, tra 19-17.000 anni fa, la presenza umana diventa stabile (strati G-F).

In questi millenni l’ambiente circostante ha una scarsa copertura boschiva.

Il miglioramento climatico che segue la fine dell’ultima glaciazione e le conseguenti fasi più temperate permisero la progressiva diffusione della copertura vegetale. È il momento della cultura detta Epigravettiano, che coincide con la massima antropizzazione del sito (strati E-B: 16-10.000 anni fa). Sull’abitabilità della grotta non hanno influito alcuni episodi secondari: una grossa frana (terremoto?) e un breve momento di raffreddamento climatico con temporanea riduzione boschiva (circa 13.000 anni fa).

I boschi attorno alla grotta sono di tipo misto a querce, con Roverella, Orniello, Carpino orientale, Carpino nero, Tiglio. Forse sui pendii più asciutti si estendevano prati aperti con essenze adatte ad aree aride e assolate e su calcari. Sono stati recuperati nello strato C semi di Vitis silvestris, la cui presenza è attestata anche in altri siti del  Paleolitico  superiore.

 

https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/il-sito/ricostruzione-ambientale

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RICOSTRUZIONE ECONOMICA

 

Lo studio di Archeozoologia delle molte migliaia di ossa animali, accumulate come resti di caccia da parte dei frequentatori della grotta, permette di ricostruire le strategie economiche. Appartengono a mammiferi di media e grossa taglia, la principale risorsa alimentare integrata con vegetali (determinati con gli studi di Palinologia) e molluschi (determinati con gli studi di Malacologia).

I cacciatori paleolitici di Grotta del Romito cacciavano prevalentemente erbivori, soprattutto lo stambecco, che viveva sui rilievi più alti senza copertura boschiva, ma anche camosci e inoltre caprioli, cervi e cinghiali usuali abitatori dei boschi circostanti la grotta.

 

Le variazioni quantitative tra queste specie nei vari periodi del Paleolitico recente sono in relazione alle trasformazioni climatiche e ambientali, più stambecco e camoscio nelle fasi fredde, più specie di bosco nei momenti più temperati.

Il cavallo selvatico e l’uro (Bos primigenius) venivano cacciati più saltuariamente, spingendosi con le battute di caccia oltre le zone collinari e montane sino alle pianure costiere prive di copertura arborea.

Gli animali sono stati uccisi in età adulta, al fine di ricavare la massima quantità di carne e anche per preservare gli individui più giovani garantendo la continuità della specie.

La presenza di faune così variate tra i resti di pasto indica una strategia di caccia diversificata in rapporto agli ambienti naturali e anche la capacità di utilizzare tutte le risorse animali disponibili, comprese quelle lontane dalla grotta. Ciò indica una tendenza alla mobilità, attestata anche dalla pratica di percorrere decine di chilometri per procurarsi le rocce più adatte alla scheggiatura. Tutti questi elementi dimostrano un alto livello di sapienza ambientale di quelle comunità.

 

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RICOSTRUZIONE STORICO-CULTURALE

La fase del Gravettiano si svolse in gran parte durante un picco glaciale (secondo Pleniglaciale würmiano) soprattutto nei millenni in cui è documentata la presenza umana nella Grotta del Romito (24-20.000 anni fa). Il deterioramente climatico causò in Italia alcuni fenomeni importanti, l’abbassamento del livello del mare per oltre m 100 rispetto al livello attuale e la glacializzazione dei rilievi montuosi. Le creste appenniniche, per quanto riguarda la Calabria, divennero un ostacolo difficilmente superabile che limitò la mobilità dei gruppi umani e causò fenomeni di isolamento culturale con limitato scambio di conoscenze. Ne sono prova le fisionomie delle produzioni litiche che mostrano invenzioni tecniche e prodotti geograficamente limitate. L’area della Calabria settentrionale risulta culturalmente molto simile a quella del Cilento.

Una progressiva deglaciazione e un miglioramento climatico ha inizio circa 20.000 anni fa e prosegue sino a circa 10.000 anni orsono (Tardoglaciale). Sebbene le situazioni permettessero in teoria una ripresa delle comunicazioni e degli scambi anche su lunghe distanze, ha avvio un processo di progressiva regionalizzazione. Si creano in Italia, così come nel resto d’Europa, diverse province culturali, con fisionomie originali nell’ambito dello strumentario in pietra, dell’arte e in parte anche del rito funerario.

Questo relativo isolamento in micro o macroaree indica che i gruppi scelsero di vivere in territori più o meno ristretti, grazie alla loro capacità di utilizzare tutte le risorse di quei territori. È la prova di una grande sapienza ambientale.

Tutto ciò all’interno di un panorama culturale con molti caratteri comuni che gli archeologi identificano con la provincia dell’Epigravettiano, che si estende dalla Provenza ai Balcani.

Lo stesso fenomeno di verifica anche nel Mesolitico, la fase che indica l’adattamento di gruppi umani, con modi di vita ancora “paleolitici”, al nuovo stadio climatico a clima temperato postglaciale (Olocene) nel quale ancora oggi viviamo. In questa fase hanno inizio le prime forme di navigazione nel Mediterraneo, da parte di alcuni gruppi mesolitici che hanno lasciato traccia anche nella Grotta della Madonna a Praia a Mare e nel vicino Cilento a Grotta della Serratura. A questi pionieri navigatori si devono alcuni approdi in Sardegna e Corsica.

 

https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/il-sito/ricostruzione-storico-culturale


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LE INUMAZIONI

Paolo Graziosi nelle sue ricerche tra il 1961-1968 mise in luce sei inumati: una sepoltura con due defunti (Romito 1-2) nel deposito del riparo (1963), due sepolture singole (Romito 3 e 4) all’interno della grotta (1964), un'altra sepoltura doppia (Romito 5-6) anch'essa nel riparo (1965).

Tra i risultati più importanti delle nuove ricerche (dall’anno 2000 ad oggi) figura la scoperta di tre nuove inumazioni singole. Sono Romito 7, Romito 8 e Romito 9.

Gli scheletri degli individui da Romito 1 a Romito 8, tutti in buono stato di conservazione, sono relativi a individui adulti o subadulti, sia femmine (Romito 1, 4 e 5), sia maschi (Romito 3, 6, 7, 8). Romito 2 è probabilmente un maschio. Tutte queste inumazioni risalgono all’Epigravettiano finale, tra 10.800 e 12.200 anni orsono. Romito 9 è più antico e risale a circa 14.000 anni fa.

 

Le inumazioni del Romito si possono suddividere in due gruppi sulla base della collocazione nella grotta e nel riparo, delle modalità di deposizione e anche per le caratteristiche anatomiche.

Il primo gruppo, più antico, comprende individui di costituzione robusta, deposti nelle fosse funerarie con la testa a sud. Sono le quattro sepolture singole rinvenute all’interno della grotta, collocate una accanto all’altra e bene allineate

Il secondo gruppo, di poco più recente, ha individui di costituzione più gracile ed è costituito dalle due sepolture bisome del riparo.

Le sepolture da Romito 1-2 a Romito 8 rientrano nel modello sobrio di conservazione dei cadaveri in fossa, che caratterizza la fine del Paleolitico e che sarà tramandato anche nel Mesolitico.

Romito 9, la più antica, si collega ancora alla ricca tradizione funeraria del Paleolitico superiore medio (Gravettiano) che prevede un ricco corredo funerario.

Tra gli inumati sono presenti, non solo giovani individui forti e sani, nel pieno del loro vigore fisico, ma anche persone con una grave malformazione congenita (Romito 2, affetto da nanismo) o sopravvissute a pesanti traumi fisici (Romito 8). La cura da parte del gruppo, quindi, rivolta a persone con handicap fisici diviene un carattere sociale che la documentazione archeologica può mettere in evidenza.

Resti di uro (Bos primigenius) sono associati, secondo i dati di Graziosi, agli inumati Romito 1-2 (corno) e 3 (due punte di zagaglia decorate). Ciò potrebbe indicare una valenza totemica di questo grande mammifero la cui immagine campeggia nell’incisione sul grande masso all’ingresso della grotta, assumendo un significato simbolico nel quale tutta la comunità del Romito si è riconosciuta per molti secoli.

 

Pianta di Grotta del Romito e del riparo. Sono indicate le aree di scavo, i due massi incisi e le sepolture

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/le-sepolture/le-inumazioni

ROMITO 1-2

La sepoltura bisoma (due inumati nella stessa fossa) era localizzata circa due metri dal masso con l’incisione del Bos primigenius e contenuta nel deposito archeologico dell'Epigravettiano finale.

Graziosi nei suoi appunti di scavo descrive una fossa ovale (profondità cm 30, lunghezza cm 140, larghezza cm 50) al cui interno erano stati deposti due individui, una donna adulta e un probabile maschio di 15-20 anni, supini, accostati, la testa di Romito 2 appoggiata sulla spalla di Romito 1 che lo cinge col braccio sinistro.

Quest’ultimo presenta una grave patologia(nanismo). La statura dei due individui è stata determinata in circa cm 144 (Romito 1, la femmina) e cm 120 (Romito 2, il probabile maschio affetto da nanismo). Tra le gambe degli inumati era collocato un corno di Bos primigenius e un altro frammento più piccolo era sulla spalla destra della donna; sono stati considerati da Paolo Graziosi elementi di corredo funerario.

 

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/le-sepolture/romito-1-2

ROMITO 3-4

Sono due sepolture singole contigue all’interno della grotta, ciascuna in una fossa con gli scheletri ricoperti da grandi blocchi calcarei.

Romito 3, un maschio adulto, non era completo (mancavano al momento dello scavo, il cranio, parte delle costole e delle braccia) a causa di uno scavo di ignoti (non si può determinare quando) prima dell’arrivo di Graziosi nel 1961.

Lo scheletro di Romito 4, una giovane donna di 18-20 anni, è quasi completo.

Le due fosse, molto vicine tra loro, hanno dimensioni simili: cm 150 x 50 (Romito 3) e 145 x 50 (Romito 4) e al loro interno i due defunti erano distesi supini con le braccia lungo i fianchi. La loro statura si aggira tra 160-170 cm.

Un frammento dello scheletro di Romito 4 è stato datato a 11.340 ± 90 anni da oggi.

Le inumazioni Romito 3 e Romito 4 durante gli scavi Graziosi

https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/le-sepolture/romito-3

 

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Modificato da ARES III

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In post " Papas Isidoros " del 22-Agosto-2021, dicendo dell' interessante ed antico borgo di Papasidero, si era anche accennato alla vicina, spettacolare grotta del Romito, che hai @ARES III ora compiutamente illustrato .

 


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ROMITO 5-6

È la seconda sepoltura bisoma messa in luce nel riparo. I due scheletri, orientati Nord Ovest-Sud Est, in posizione supina e con le gambe piegate, furono deposti in un’unica fossa che, come scrive Graziosi, era circondata da pietre. Altre pietre più piccole si trovavano sul petto e sulle gambe dei due individui. Su pietre poggiava la testa di Romito 6.

Una parte dello scheletro di Romito 6 al momento della scoperta non era più in connessione anatomica, in quanto la sepoltura doppia è avvenuta in due tempi: dapprima è documentato il seppellimento di Romito 6, in seguito dopo la decomposizione delle sue parti molli è stato inumato Romito 5. Questo secondo evento ha causato lo spostamento di parte dello scheletro già presente nella fossa. La statura dei due inumati ha raggiunto circa cm 155.

I risultati delle analisi molecolari hanno portato alla conclusione che Romito 5 e 6, avendo il medesimo DNA, erano imparentati per via materna, cioè con la mamma o la nonna in comune.

Una datazione radiometrica recentemente ottenuta da un frammento dello scheletro di Romito 5 è risultata pari a 10.862 ± 70 anni da oggi.

La sepoltura bisoma Romito 5-6, ricostruita e musealizzata dopo lo scavo Preziosi

 

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/le-sepolture/romito-5-6

ROMITO 7

Scoperta nel settembre 2001, questa inumazione riguarda un giovane individuo di sesso maschile, morto all’età di circa 18-20 anni. Il corpo del defunto è stato deposto in una fossa, stretta e profonda, ed è stato poi ricoperto da una costruzione bene organizzata di grandi pietre, disposte ordinatamente in tre ordini sovrapposti.

Due pietre più grandi delle altre, abbastanza piatte, rinvenute leggermente oblique dal bacino verso la testa, creavano una sorta di camera di protezione del bacino stesso e del torace. Le mani erano incrociate sul pube. Non sono stati rilevati elementi di corredo, ad eccezione di una punta in selce deposta lungo il fianco destro. Un secondo oggetto litico era a contatto con le falangi delle mani ma resta dubbia la sua relazione con un’offerta rituale. Sul bacino è stata rinvenuta una certa quantità di ocra rossa, un pigmento spesso utilizzato nel Paleolitico superiore per ricoprire, in parte o totalmente, i corpi dei defunti.

L’inumazione di questo giovane risale a circa 12.200 anni da oggi.

Ai fini espositivi è stato realizzato un calco dello scheletro deposto sul fondo della fossa, conservato presso il locale Antiquarium.

 

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ROMITO 8

Questa inumazione, scoperta nel giugno 2002, ripete le procedure di seppellimento di Romito 7: il corpo è stato deposto in una fossa stretta e profonda e ricoperto da numerose pietre. Non è stato rilevato alcun elemento di corredo.

Gli studi hanno evidenziato che questo individuo aveva subito un trauma, del quale restano tracce evidenti sull’omero e sul cranio, che aveva probabilmente leso il plesso nervoso radiale causando la paralisi dell’arto superiore sinistro. La menomazione fisica impediva a Romito 8 molte delle più intense attività fisiche degli uomini paleolitici. Tuttavia, l’eccezionale usura delle superfici occlusali dei denti, usati come utensili per scopi non alimentari (lavorazione di legno tenero o di pellame o di altro materiale semiduro), indica che con la sua partecipazione ad altre attività contribuiva alla vita del gruppo nonostante la disabilità fisica.

 

Romito 8 è quasi contemporaneo di Romito 7, di poco più antico, e risale anch’esso a circa 12.200 anni fa.

Anche di questo inumato è stato realizzato un calco che è esposto presso il locale Antiquarium.

 


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Veduta laterale della mandibola di Romito 8.
Primo molare sinistro con corona usurata (a), fistola di un ascesso periapicale (b)

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ROMITO 9

È la sepoltura più antica rinvenuta al Romito e risale a circa 14.000 anni fa (Epigravettianoantico-evoluto). Questa struttura funeraria, indagata alla fine del 2011, è relativa all’inumazione di un giovane maschio (11-12 anni di età), sepolto con un rituale che prevedeva una ricca ornamentazione: il cadavere infatti è stato deposto nella fossa coperto da una sorta di “sudario” ornato decorato con più di mille conchiglie forate. Circa un centinaio di canini atrofici di cervo forati sono stati rinvenuti nella fossa, di questi la maggior parte costituiva due bracciali che ornavano uno l’avanbraccio sinistro e l’altro il polso destro del giovane inumato. Il corpo era adagiato su un letto di ocra rossa e altra ocra lo ricopriva.

Pochi secoli dopo la sepoltura è stata disturbata e in parte manomessa da una violazione risalente a circa 15.000 anni fa, che tuttavia ha lasciato in posto una buona parte dello scheletro permettendo di capire le modalità del rituale funerario.

 


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DNA ANTICO E PALEODIETA

Gli inumati del Romito, che figura tra i siti paleolitici più ricchi di reperti fossili umani di tutta l’Europa meridionale, sono stati sottoposti alle analisi previste dall’archeologia biomolecolare. Nello specifico sono state condotte indagini sul DNA antico (aDNA), sulla determinazione del rapporto degli isotopi stabili del carbonio (δ13C), dell'azoto (δ15N) e dello zolfo (δ34S) presenti nel collagene delle ossa e sull’analisi ad alta risoluzione degli isotopi dello stronzio a partire dallo smalto dentale.

Tali studi consentono di ricostruire l’identità genetica, la provenienza geografica, il sesso, i rapporti di parentela e le abitudini delle popolazioni.

RICERCA GENETICA

Le analisi molecolari indicano che Romito 5 e 6, sepolti insieme nella medesima fossa, erano imparentati per via materna, cioè con la mamma o la nonna in comune. L’ipotesi di una inumazione coniugale non trova riscontro né archeologico né molecolare, ma se così fosse dovremmo ammettere un matrimonio tra consanguinei. Gli individui Romito 3 e 4, cronologicamente ravvicinati, non sembrano legati da rapporti di parentela. Per Romito 1 e 2 non è stato possibile estrarre DNA.

TIPO DI ALIMENTAZIONE

La maggior parte degli individui era solita consumare alimenti ricchi in proteine animali di origine terrestre, indipendentemente dalla loro età o sesso. Ciò indica l’adozione di una dieta stabile. Solo Romito 9, più antico rispetto agli altri di alcuni millenni, presenta un’alimentazione mista che comprende anche pesce di mare e/o d’acqua dolce.

INDICAZIONI SULLA MOBILITÀ

Il confronto tra i valori isotopici dei fossili degli inumati con quelli dei resti animali cacciati mostra risultati simili nel fatto che non è presente nel collagene delle ossa alcun segno di migrazioni di largo raggio o di provenienze da diverse aree geologiche. Ciò fa supporre che i gruppi umani del Romito fossero decisamente stanziali.

 


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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/le-sepolture/dna-antico-e-paleodieta

MASSO 1

Su un grande masso al limite tra l’area interna di grotta e quella esterna del riparo campeggia una grande incisione di uro (Bos primigenius), che Paolo Graziosi ha definito la più maestosa e felice espressione di arte verista paleolitica in area mediterranea. Lo stile è simile a quello bene attestato in area francese e spagnola (stile detto franco-cantabrico), che rispetta le proporzioni naturali, attento ai dettagli anatomici e, talora, alla prospettiva. L’animale è raffigurato immobile, come nella tradizione transalpina.

Più sommaria è l’incisione di un secondo bovide raffigurato più piccolo tra le zampe del toro.

Sullo stesso masso, più in basso, sono stati incisi alcuni segni lineari e anche il semplice profilo di una piccola testa di bovide, con un corno solo, incompleto. Si tratta di una raffigurazione ancora più modesta di quella del secondo bovide (stile mediterraneo).

È molto problematico indicare la cronologia di queste incisioni del Romito. Il masso su cui si trovano affonda in livelli dell’Epigravettiano finale risalenti a circa 11 mila anni fa, quindi sono precedenti a questa data. Sulla base di confronti stilistici e considerando il quadro complessivo dell’arte paleolitica italiana potremmo ipotizzare, almeno per le due figure principali di bovidi, una datazione tra 14-12.000 anni fa.

 

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/arte/masso-1


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MASSO 2

Sul lato orientale del riparo, all’estremità opposta rispetto al masso 1, un’altra grande roccia, che pare segnare una sorta di limite all’area d’uso, appare fittamente ricoperta da numerosi segni lineari. Sono segmenti incisi più o meno profondamente, con diverso andamento (rettilinei, curvilinei), disposti in più direzioni senza alcuna organizzazione nella composizione, sia a gruppi sia sparsi.

Le incisioni lineari costituiscono un motivo ricorrente nell’arte rupestre europea, soprattutto del Paleolitico superiore finale. Se ne hanno diverse testimonianze anche in Italia (Sicilia, Puglia, Liguria) sia come incisioni a sé stanti sia come segni che ricoprono incisioni zoomorfe.

Il significato di questi segni è sconosciuto; la loro localizzazione sul corpo degli animali potrebbe far ipotizzare una simulazione delle ferite di caccia e quindi la raffigurazione dell’abbattimento dell’animale stesso.

Meno intuitiva è l’interpretazione dei segni lineari non associati a figure zoomorfe, anch’esse altrettanto diffuse in tutta Europa. Prescindendo dalla possibilità che possano avere di per sé stesse un significato (simbolico, di segnale o altro) che non possiamo ricostruire, non possiamo escludere l’ipotesi che tali incisioni lineari fossero associate a pitture che sono andate perdute e che potessero, quindi, avere un significato all’interno di un’immagine più complessa non più ricostruibile.

Il grande masso nel riparo esterno con le numerose linee incise

 

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LE ZAGAGLIE

La punta di zagaglia è un manufatto in osso dotato di un apice acuminato, destinato alla caccia. Nel corso delle ricerche Graziosi all’interno della grotta furono rinvenute due punte di zagaglia in osso decorate con incisioni di stile geometrico, che ancora oggi vengono citate come importanti testimonianze dell’arte mobiliare della fine del Paleolitico in Italia.

La prima fu scoperta nel 1961 nel terreno rimaneggiato relativo alle due sepolture singole, la seconda, venne rinvenuta nel 1967 in uno strato in posto corrispondente al livello delle due suddette inumazioni.

I due manufatti, che si possono quindi considerare con buona approssimazione contemporanei, si datano intorno a 11.000 anni circa dal presente, all’Epigravettiano finale.

 

Entrambi i reperti sono stati ottenuti da diafisi di metatarso di uro (Bos primigenius) e ciò trova una singolare coincidenza con la figura di uro incisa sul grande masso 1 e anche col fatto che tra i pochi resti di corredo delle sepolture del Romito figurino corna dello stesso animale. Ciò induce a pensare che questo bovide abbia rivestito un particolare significato, forse totemico.

Le zagaglie, ambedue frammentarie alla base, hanno dimensioni leggermente differenti, la lunghezza (residua) della prima è di cm 14,6 mentre la seconda misura cm 12,6 cm. Sono molto simili nella sagoma regolare, nella sezione ogivale-ellissoidale e nell’apice rastremato.

Le due zagaglie sono decorate su una faccia da motivi geometrici e lineari organizzati di cui non cogliamo la completa costruzione in quanto le due punte sono frammentarie. Entrambe hanno una figura geometrica principale (metopa nella zagaglia 1), segni lineari raggruppati, tacche a zig-zag e brevi trattini sul bordo. La porzione della punta destinata all’uso resta inornata. Si tratta di uno schema compositivo comune a diversi contesti dell’Epigravettiano finale della penisola italiana che rimandano ad analogie grafiche e compositive europee.

Per quanto riguarda le decorazioni lo studio delle incisioni col microscopio elettronico a scansione (SEM) ha permesso di individuare una buona regolarità dei tratti incisi su entrambe le zagaglie e una standardizzazione del gesto di incisione praticata con uno strumento litico.

La fabbricazione della punta è avvenuta mediante raschiatura con uno strumento in pietra, seguita da politura con materiale morbido (pelle?) oppure tramite manipolazione prolungata.

Non compaiono tracce di usura: ciò dimostra che i due oggetti non furono mai utilizzati per la caccia. Di conseguenza è lecito ipotizzare che essi fossero connessi non ad attività pratiche ma, come oggetti simbolici, al rito funerario. Quest’ipotesi pare avvalorata dalla presenza nelle incisioni lineari della zagaglia n.2 di tracce di ocra rossa.

 

Punte di zagaglia decorate con incisioni geometriche

 

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/arte/le-zagaglie

Modificato da ARES III

Inviato

Nel corso degli scavi all’interno della grotta sono venuti in luce alcuni impianti che hanno come carattere comune la costruzione di un piccolo spazio interrato (fossa o fossetta) o una depressione ove deporre manufatti o oggetti. Si tratta di una sorta di piccolo ripostiglio probabilmente con significato simbolico.

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Tre fossette, risalenti ad un periodo compreso tra 11.500 e 12.00 anni da oggi circa, contenevano ciascuna insieme ad altri materiali un piccolo blocco calcareo (13-16 cm di lunghezza) con una fessurazione naturale che dà la medesima suggestione (il segno vulvare).

La ricorrenza di queste pietre con fessurazione naturale fa interpretare le tre fossette quali elementi simbolici, nel nostro caso concernenti il grande tema della fertilità femminile, un tema primario nel repertorio simbolico e figurativo di Homo sapiens nel Paleolitico, al pari del tema del mondo animale e della caccia.

Per una di queste fossette l’ipotesi simbolica potrebbe non essere l’unica chiave di lettura: vari indizi potrebbero indicare anche un piccolo deposito-ripostiglio di oggetti adatti a perforare e di manufatti perforati.

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Un’altra piccola fossa, risalente a circa 12.400 anni da oggi (Epigravettiano finale), conteneva un palco palmato e una calotta di Cervus elaphus. Ritroviamo in questo caso la medesima procedura riservata alle inumazioni dei defunti: una deposizione di resti in una piccola fossa, una copertura a pietrame, una pietra messa forse come segnacolo emergente dalla fossa. È evidente il richiamo al simbolismo del rito funerario praticato al Romito e in altri contesti italiani ed europei.

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Inviato

Nello strato F1 (circa 17.000 anni da oggi, Epigravettiano antico), è stata messa in luce una massicciata ben costruita e ordinata, realizzata con pietrame calcareo selezionato in base alle dimensioni, quasi esclusivamente piccole. L’area strutturata è stata mantenuta pulita e solo pochi oggetti, verosimilmente selezionati, erano collocati su di essa all’interno di una piccola cavità: resti di cervo (una calotta, una grande scapola e un frammento di femore), di stambecco (una piccola scapola), di bovide (una cavicchia ossea) e uno strumento (un bulino) realizzato su grande lama in selce. La calotta di cervo era collocata al di sopra di una serie di pietre formanti un circolo.

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I reperti di cervo deposti in una fossetta e sulla massicciata di F1 potrebbero indicare un significato simbolico da attribuire al cervo. Sono resti di individui maschi adulti e sono stati manipolati con lo scopo di risparmiare la calotta cranica e non con le tecniche usuali di macellazione. La manipolazione di ossa di cervo, in particolare dei calvari, è nota in alcune evidenze europee della fine del Paleolitico e del Mesolitico antico.

https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/attivita-simboliche/fossette

I manufatti in pietra, ovvero le industrie litiche, sono uno dei principali indicatori che permettono di caratterizzare, tra l’altro, le capacità tecniche dei gruppi umani e le varie attività di sussistenza.

Le industrie litiche di Grotta del Romito permettono una conoscenza molto approfondita delle produzioni del basso versante tirrenico, tra 24.000 a 9.000 anni da oggi.

LE MATERIE PRIME LITICHE

La caratterizzazione delle materie prime litiche utilizzate nelle industrie preistoriche, che avviene attraverso analisi petrografiche, aiuta a capire il rapporto Uomo-territorio per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse e la mobilità dei gruppi umani.

Per quanto riguarda il Romito, la valle del Fiume Lao offre abbondante materia prima silicea adatta alle operazioni di scheggiatura.

Sono state ipotizzate due aree principali di approvvigionamento, una nei pressi della grotta, anche lungo il fiume Lao, in cui venivano raccolte selci nere locali e una seconda più distante in cui erano reperibili diaspri rossi e verdi e selci grigie di buona qualità.

 


Inviato

Per procurarsi queste ultime era necessario valicare il crinale che separa la valle del Lao da quella del fiume Noce oppure discendere lungo la valle del Lao e poi percorrere la costa sino alla foce del Noce.

In sintesi, la raccolta della materia prima litica è avvenuta ad una distanza massima di 15-20 chilometri in linea d’aria dalla grotta, distanza che corrisponde a spedizioni che potevano essere coperte, fra andata e ritorno, in una giornata di cammino o poco più.

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Localizzazione di Grotta del Romito e indicazione delle tre direttrici (frecce rosse) percorse alla ricerca di materia prima litica. La linea tratteggiata indica il crinale con le principali vette montuose.

 

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LE INDUSTRIE LITICHE DEL GRAVETTIANO

Le industrie litiche gravettiane sono caratterizzate soprattutto dalla presenza di punte a dorso profondo (gravettes e microgravettes), strumenti funzionali alla caccia.

Le industrie litiche gravettiane di grotta del Romito (strati da M a G, da 24.000 a 19.300 anni da oggi) bene si inseriscono nella fisionomia locale del basso versante tirrenico mostrando strette attinenze con l’area del Cilento (Salerno).

Nella regione basso-tirrenica si assiste prima alla diffusione della facies a bulini di Noailles. Il bulino di Noailles è uno strumento specializzato adatto a incidere e tagliare che caratterizza questa cultura. Originario della Francia meridionale, viene adottato nel resto d’Europa e in Italia lungo tutto il versante tirrenico della penisola.

Alla fine del Gravettiano, in un momento di isolamento per la rigidità del clima glaciale, si diffonde in Calabria e in Campania una produzione (facies a dorsi troncati) estremamente locale che chiude il ciclo Gravettiano.

LE INDUSTRIE LITICHE DELL’EPIGRAVETTIANO

Dopo il Gravettiano, a partire da 20.000 anni fa ha origine una forte regionalizzazione delle produzioni litiche sia su scala europea sia su scala italiana a causa dell’isolamento dei territori per l’espansione dei ghiacci.

A Grotta del Romito la fase antica dell’Epigravetttiano è rappresentata dallo stato F (19-17.000 anni circa dal presente). Caratteristica di questa fase è soprattutto la presenza di strumenti a dorso specializzati, lame e punte, con una sorta di peduncolo basale (cran), funzionale alla immanicatura su un’asta, in modo da ottenere armi da lancio.

La fase successiva, corrispondente all’Epigravettiano evoluto (orizzonti E16-E10, da 16.000 a 14.500 anni da oggi), rappresenta una fase di passaggio tra l’antico e il finale con

elementi legati alle due fisionomie.

Le industrie dell’Epigravettiano finale (orizzonti E9-E1, strati D e C, da 14.500 a 10.000 anni circa dal presente) presentano caratteri comuni dell’Europa mediterranea: progressiva diminuzione delle dimensioni degli strumenti, strumenti specializzati a dorso, piccoli grattatoi corti e subcircolari. Tra 12-10.000 anni da oggi si sviluppano alcuni caratteri (incremento di strumenti microliti, presenza di punte a dorso bilaterale e di armature geometriche) che anticipano modelli di manufatti mesolitici.

Nello stadio E. finale la regionalizzazione in Italia si fa ancora più marcata. Grotta del Romito è inserita in una vasta provincia culturale che comprende nel basso versante tirrenico anche la Campania e il Lazio.

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Inviato

LE INDUSTRIE LITICHE DEL MESOLITICO

Le industrie mesolitiche, rinvenute sia nel riparo (strati 2-4) sia in grotta (orizzonti BB-A e B) e datate tra 10-9.000 anni circa dal presente, sono riferibili alla facies del Sauveterriano, uno degli aspetti culturali che si diffondono Europa nel Postglaciale durante la fase antica dell’Olocene.

In Italia, le industrie litiche di tipo sauveterriano, a differenza di quelle di altri aspetti mesolitici coevi (Epipaleolitico indifferenziato, Epiromanelliano), si diffondono su un areale molto vasto che si estende dalle Dolomiti al Salento, raggiungendo anche la Sicilia.

Le industrie litiche sauveterriane hanno caratteri che derivano dalle precedenti tradizioni tecnologiche delle comunità epigravettiane. In particolare, vanno ricordati alcune armature specializzate di forma geometrica da utilizzare nelle armi da lancio. Le loro dimensioni sono molto ridotte, comprese tra 10-20 mm.

Disegni di manufatti in selce del Mesolitico e fotografie di nuclei

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Ipotesi di ricostruzione di un'arma da lancio

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/produzioni/manufatti-in-pietra

manufatti a scopo funzionale (punte e punteruoli) venivano realizzati soprattutto sfruttando le ossa degli erbivori (bovidi e cervidi) o suidi (cinghiale). Robuste schegge di ossa lunghe o terminazioni dalla morfologia adeguata venivano lavorate, generalmente mediante raschiatura o abrasione, per ottenere un’estremità appuntita.

Questa punta poteva essere utilizzata come apice di un’arma da caccia perforante ma anche nelle attività quotidiane, ad esempio per forare materiali morbidi come pelli o tendini di animali.

Altri strumenti venivano ottenuti sfruttando i palchi di cervi e di caprioli che venivano utilizzati come percussore per scheggiare e lavorare la selce.

Sono stati rinvenuti anche manufatti in osso (tra cui zagaglie e punte) decorati con segni incisi mediante uno strumento in pietra; alcuni di essi, non utilizzati nelle attività quotidiane, potevano avere un significato simbolico o rituale

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/produzioni/manufatti-in-osso-e-corno


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Frequente è l’impiego di denti canini atrofici di cervo che erano ricercati per confezionare pendagli, bracciali, cuffiette per raccogliere la capigliatura, decorazioni degli indumenti.

Anche le conchiglie marine (gasteropodi, bivalvi e scafopodi) venivano lavorate e utilizzate come oggetti di ornamento.

Questi manufatti documentano i frequenti contatti con il litorale tirrenico per la ricerca di alcune specie, come Columbella rustica e Cyclope neritea.

Tra i vari oggetti rinvenuti si segnala il pendente ricavato da una valva di Glycymeris, sulla cui superficie è visibile un abbozzo di foro riconducibile all’azione manuale di perforazione con strumento litico.

Eccezionale è il ritrovamento di oltre mille conchiglie forate utilizzate, insieme a decine di canini atrofici di cervo, per abbellire la sepoltura del giovane Romito 9, conferendogli così un prestigio particolare.

L’uso di resti animali (denti, falangi) e di molluschi marini per la produzione di oggetti ornamentali è ampiamente documentato nel Paleolitico superiore in tutta Europa.

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https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/produzioni/ornamenti

 

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Grazie ancora @ARES III per quanto hai pubblicato e per la Tua cortesia : eppure sono fiducioso che, un giorno, imparerò ad allegare i post .

A te una buona giornata 


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