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Disclaimer: io ve la giro come l'ho trovata. C'è una tradizione secolare e corpi che non sono stati analizzati quindi siamo nel mondo delle belle teorie. Inoltre, basta fare una ricerca, questa teoria non è assolutamente nuova.

 
Già da diversi anni circola un'ipotesi che mi ha sempre emozionato: il corpo di Alessandro il grande, colui che dominò il mondo conosciuto poco meno che trentenne, si trova nella Basilica di San Marco.
In concomitanza con la festa del santo, direi che è l'ora di vederci chiaro. Per farlo dobbiamo tornare indietro nel tempo e nello spazio, a Babilonia, nel 323 a.C.
Alessandro muore al centro del suo impero e quasi subito i suoi vecchi amici e generali se ne contendono le spoglie: chi avrà il corpo di Alessandro avrà un potente mezzo di potere. Dopo alterne vicende la salma viene portata in Egitto, dove il macedone riposerà per diversi secoli, nella città che porta il suo nome.
Ad Alessandria la sua tomba, che nel frattempo è diventato un imponente complesso architettonico, è visitata da Cesare, Ottaviano, Settimio Severo e Caracalla.
Dopo l'ultimo imperatore citato, non abbiamo più notizie, fino all'omelia di San Crisostomo (400 d.C.): "Dov'è, dimmi, la tomba (sema) di Alessandro? Mostramela, e dimmi in che giorno morì!"
Come è possibile che la memoria del più grande uomo dell'antichità fosse stata cancellata? C'è da dire che nei decenni precedenti i cristiani avevano dato luogo a diversi episodi di distruzione dei templi antichi. La tomba di Alessandro avrebbe potuto benissimo essere tra i monumenti distrutti.
Ma...la teoria sviluppata dallo storico inglese Andrew Chugg va in un'altra direzione. La salma di Alessandro sarebbe stata custodita grazie ad una "sovrapposizione religiosa": i cristiani avevano l'abitudine di sovrapporre i propri santi con gli idoli antichi. E Alessandro potrebbe essere stato "salvato" da San Marco, santo caro ad Alessandria. Bisogna notare una cosa molto interessante: San Marco morì sotto Nerone; il suo corpo, scomparso per secoli, ricomparì proprio quando le notizie della tomba di Alessandro vennero meno.
Arriviamo al IX secolo d.C.
Due mercanti veneziani sbarcano ad Alessandria alla ricerca del corpo del santo. Riescono nel loro intento, riportando un corpo in Italia che, dopo qualche secolo, prende il suo posto nell'odierna basilica.
Non abbiamo descrizioni accurate della salma del santo, ma qualcuno pensa che potrebbe essere mummificato, proprio come Alessandro.
Non è finita: nella cripta della tomba di San Marco è stato scoperto un blocco calcareo con motivi macedoni e legati strettamente ad Alessandro Magno. Il blocco è risalente all'età ellenistica.
Nonostante questa teoria abbia diversi "luoghi d'ombra" (non si sa se la chiesa di San Marco e la tomba di Alessandro coincidessero ad Alessandria), basterebbe una cosa per fare chiarezza: un esame del corpo.
Un qualcosa che la Chiesa dovrebbe assolutamente fare, per amore della verità, per l'umanità intera e della storia che essa porta in grembo da secoli.
 
Nessuna descrizione della foto disponibile.
Il blocco in S. Marco con la stella argeade, simbolo della famiglia reale macedone.
Potrebbe essere un contenuto grafico raffigurante altoparlante e progetto
disegno di CHUGG


Sotto il post un'utente commenta in quanto ha trattato di questo argomento per la sua tesi:
"Ho dedicato una certa parte della mia tesi a questo argomento! È molto interessante ad esempio scoprire che il sarcofago del santo è stato aperto solo una volta e che pare contenga i resti di due cadaveri. Di certo non c'è San Marco, Alessandro... chissà!"
"le reliquie di San Marco sono scomparse (probabilmente smarrite o dimenticate) per poi ricomparire miracolosamente nell'XI secolo durante una funzione, pare apparendo come un miracolo fuoriuscendo da una colonna 😅😅😅. Molti studiosi pensano che servissero delle reliquie che sostituissero quelle "perse". Ad ogni modo, la ricognizione sui reperti ossei c'è stata, si tratta di varie parti di scheletro appartenenti a due individui. I poveri sventurati sepolti lì chissà chi sono! Quanto ad Alessandro, il suo corpo sarà stato perso e/o distrutto durante la follia iconoclasta dell'Alessandria tardoantica... i cristiani hanno colpe indicibili!"
"è impossibile anche che ci sia [IL CORPO DI S. MARCO nota mia] visto che è dato storicamente accertato che le reliquie portate da Alessandria scomparvero! Lo dicono proprio i documenti amministrativi della basilica!"
 
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Secondo un intrigante teoria esaltata dalla storica Marian Vermeulen, la tomba di Alessandro Magno potrebbe essere nascosta a Venezia.

Nel giugno del 323 a.C. Alessandro III di Macedonia, meglio conosciuto come Alessandro Magno, si ammalò gravemente. Aveva conquistato gran parte dell’antico mondo mediterraneo, dalla Persia all’Asia, e non aveva intenzione di fermarsi. In quella lontana primavera aveva attraversato le paludi di Babilonia e poco dopo stava combattendo una forte febbre. 

Nonostante la malattia, ha continuato a pianificare la sua prossima campagna che avrebbe dovuto portarlo alla conquista della penisola arabica. Tuttavia, le sue condizioni erano peggiorate. Alessandro Magno stava progressivamente perdendo conoscenza e la capacità di parlare. Dopo dodici giorni di malattia perse la sua ultima battaglia, era l’11 giugno del 323 a.C., e non si svegliò mai più. Aveva solo trentadue anni.

Il mistero sulla non-morte

I migliori generali di Alessandro il Grande erano stati i suoi amici più cari sin dall’infanzia trascorsa insieme alla corte macedone. Dieci anni di costante campagna militare avevano rafforzato il loro cameratismo e, dopo la sua morte, erano disperati per la perdita del loro re. Alessandro però sarebbe potuto essere stato ancora vivo, in coma, quando i suoi compagni più fedeli lo reputarono morto. Gli storici antichi, infatti, riportano che il suo corpo rimase perfetto e incontaminato per oltre una settimana nel caldo giugno babilonese. La spiegazione più probabile è che soffrisse di una forma di malaria che spesso finisce in coma.

Indipendentemente da ciò, il destino di Alexander era segnato e la morte arrivò presto a coglierlo. I suoi fedeli amici commissionarono un sarcofago d’oro per contenerne il corpo, oltre ad un enorme carro funerario decorato per riportare infine la bara in Macedonia. Il corteo, però, non completò mai il suo viaggio. Lungo il trasporto, uno dei successori di Alessandro, Tolomeo, sequestrò il corpo e lo seppellì a Menfi, in Egitto . Più tardi, suo figlio trasferì Alessandro Magno in una sontuosa tomba nella città di Alessandria.

La tomba di Alessandria

Il corpo di Alessandro Magno rimase per secoli nella sua magnifica tomba, fatto ben documentato da fonti antiche. Cleopatra fece arrabbiare gli abitanti di Alessandria prendendo l’oro dalla tomba del re macedone per finanziare le sue guerre contro Ottaviano Augusto. Registrate nel dettaglio sono anche le molteplici visite alla tomba di Alessandro da parte di diversi imperatori romani. Giulio Cesare , Augusto, Caligola , Settimio Severo e Caracalla . Eppure nel 400 d.C. Giovanni Crisostomo visitò Alessandria per vedere la famosa tomba, ma non la trovò.

L’ultimo riferimento alla tomba di Alessandro Magno risaliva a dieci anni prima da Libanius, intorno al 390 d.C.. Il breve lasso di tempo in cui la tomba del condottiero scomparve dai documenti scritti fu un periodo di grandi rivoluzioni nel mondo antico. Tra il 389 e il 391 d.C., l’imperatore Teodosio emanò i “Decreti Teodosiani”. Questi documenti stabilirono il cristianesimo come l’unica religione proibendo i culti pagani. Ne seguì la distruzione di numerosi templi e luoghi sacri politeisti. Alessandro, adorato come un dio sin dalla sua morte, sarebbe stato un obiettivo primario di questa distruzione iconoclasta. Può darsi dunque che la tomba del re di Macedonia sia stata vittima di queste purghe. Tuttavia, l’apparizione improvvisa e alquanto inspiegabile di un altro famoso cadavere nella città di Alessandria suggerisce un’alternativa allettante…

La tomba di San Marco

Alla fine del IV secolo d.C., le fonti antiche iniziarono a fare riferimento ad una tomba di San Marco ad Alessandria. La prima menzione viene da San Girolamo nel 392 d.C., appena due anni dopo l’ultima notizia della tomba di Alessandro Magno. Secondo la tradizione cristiana, l’apostolo Marco fu martirizzato dai pagani nel 68 d.C. proprio nella città di Alessandria. Doroteo, Eutichio e il Chronicon Paschale affermano che gli assassini di Marco ne bruciarono poi il corpo in sfregio ai cristiani. Nessuna menzione di un corpo sacro del santo esisteva quindi negli oltre trecento anni precedenti.

Un testo chiamato “gli Atti di San Marco” spiega però che una tempesta miracolosa spense le fiamme sul cadavere dell’apostolo e i cristiani riuscirono a strapparlo dalla pira. Tuttavia, la prima datazione di questo documento, lo colloca alla fine del IV secolo d.C., dunque centinaia di anni dopo la morte di Marco e nel mezzo del periodo nel quale scomparve Alessandro Magno. L’autore Andrew Chugg, a questo punto, ipotizza che il presunto corpo di San Marco sia in realtà quello dell’antico re macedone, ribattezzato Marco per salvare il conquistatore dalla distruzione dei cristiani.

L’avvento dell’Islam

Alla fine del VII secolo d.C. le forze arabe avevano conquistato gran parte del Nord Africa, inclusa Alessandria. Crescevano le tensioni tra musulmani e cristiani in tutta la regione. Nell’828 d.C., due capitani di mercantili veneziani fecero allora un patto con le autorità cristiane di Alessandria per portare in salvo il presunto corpo di San Marco. Rimossero il cadavere dalla sua tomba, lo deposero in un carro coperto di carne di maiale, così da prevenire qualsiasi ispezione ravvicinata del contenuto, e lo portarono di nascosto a bordo della loro nave, diretta a Venezia.

Inizialmente i resti vennero ospitati in una piccola chiesetta ma, nel 1063, i funzionari veneziani commissionarono la magnifica Basilica di San Marco. L’8 ottobre 1094 la salma fu deposta nella cripta sotto la famosa chiesa nell’omonima piazza. Lì rimase per quasi ottocento anni, fino a quando le frequenti inondazioni iniziarono a minacciare l’incolumità del cadavere. Nel 1811 la Chiesa rimosse quindi le spoglie trasferendole nuovamente nell’altare maggiore al piano nobile.

 La mummia di Alessandro

Diverse informazioni suggeriscono che il corpo di San Marco potrebbe essere stato mummificato, ma non ci sono documentazioni in cui gli antichi cristiani avrebbero eseguito pratiche di mummificazione pagane. Pertanto, la mummificazione potrebbe indicare un diverso occupante della tomba dell’apostolo. A tal proposito, ne La Cronique des Veniciens del 1275, Martino da Canale raccontava che: “se tutte le spezie del mondo fossero state raccolte ad Alessandria, non avrebbero potuto profumare così la città”. Proprio come l’aroma delle spezie proveniente dalla tomba contesa. Profumi e metodi coerenti con la mummificazione. Inoltre, i documenti indicano che a quel tempo involucri di lino sigillavano il cadavere.

I mosaici della Basilica veneziana raffigurano il corpo del santo come un cadavere intatto piuttosto che uno scheletro. Questa potrebbe essere semplicemente una licenza artistica, certo, ma forse riflette che un corpo mummificato inizialmente arrivò a Venezia. Ulteriori indizi provengono dal trasferimento delle spoglie nell’attuale collocazione presso l’altare maggiore. Leonardo Conte Manin ha documentato l’evento e le sue osservazioni non contengono prove che alludono ad uno scheletro incendiato, come dovrebbe essere quello di Marco. La sua affermazione che lo scheletro appiccicato al tessuto in alcune aree è coerente con lo stato previsto di una precedente mummia, ora decomposta.

La scultura macedone

A fornirci le domande più intriganti e senza risposta sull’origine del corpo nella tomba di San Marco, è anche un grosso pezzo di calcare scolpito. Una porzione spezzata di un originale più grande, è stato trovato a pochi metri dal sito della tomba originale di Marco nella cripta della Basilica. Il blocco calcareo, ora esposto al Chiostro di Sant’Apollonia a Venezia, raffigura un rilievo di scudo, schinieri, spada e lancia. Questi armamenti sono perfettamente coerenti con gli stili macedoni, un fatto affermato anche in uno studio di Eugenio Polito nel 1998, diversi anni prima che Andrew Chugg iniziasse la sua famosa ricerca.

Polito descrive “Un frammento non attribuito relativo ad un monumento funerario con motivi analoghi è oggi conservato a Venezia, ma sicuramente deriva dal mondo ellenistico. Esso presenta uno scudo macedone con al centro un motivo a stella, una coppia di schinieri e una lunga lancia e sul lato più piccolo i resti di una spada. Il ceppo doveva appartenere ad un grande monumento che si può collocare genericamente tra il III e l’inizio del II secolo a.C.”.

Il “motivo a stella” ha una sorprendente somiglianza con la stella di Macedonia. Era un simbolo strettamente associato alla famiglia di Alessandro Magno e visibile su molte tombe correlate. La spada scolpita nel blocco è indiscussa come una kopsis di stile greco. Se si analizza l’estensione della lancia dall’angolo della sua discesa fino alla sua conclusione logica alla base del blocco di pietra, le sue dimensioni corrispondono alla caratteristica sarissa macedone. Furono appunto queste le armi, sviluppate da suo padre, che aiutarono Alessandro Magno a conquistare il mondo. Tuttavia, le tattiche militari romane le resero obsolete, rendendo improbabili le successive incisioni romane di una tale lancia. Perché questa scultura, con chiari collegamenti macedoni, è dunque situata nella cripta della Basilica di San Marco vicino al luogo di sepoltura originale del corpo?

Un indagine ancora aperta

Inoltre, Andrew Chugg ha effettuato misurazioni basate su un’estrapolazione delle dimensioni della pietra originale. Lo storico ha affermato che la lastra è perfetta per essere una copertura esterna del sarcofago di Nectanebo II, ora in mostra al British Museum. Questo sarcofago è stato a lungo associato ad Alessandro Magno. Chugg afferma che è il probabile primo luogo di riposo del corpo del condottiero a Menfi. Quasi completato il sarcofago, colui che doveva esserne l’occupante designato era fuggito dall’Egitto. La magnifica tomba non era dunque occupata quando Tolomeo arrivò con il corpo di Alessandro e, avendo bisogno di un luogo di riposo temporaneo, la riadattò al re macedone.

Sia le fonti antiche che le più moderne tecniche scientifiche offrono molteplici percorsi per indagare e identificare il corpo che si presume sia quello di San Marco. Potrebbero essere impiegate più tecniche di datazione al carbonio, test del DNA e analisi dello smalto dei denti. Comprensibilmente questi potrebbero essere meno attraenti in quanto richiederebbero la rimozione invasiva del campione dal corpo. Tuttavia, molto potrebbe essere appreso semplicemente dall’esame fisico dei resti. Sempre che il Vaticano dia la possibilità di indagare su questa affascinante storia custodita a Venezia.

Andrea Bonazza

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Alessandro Magno a Venezia – Il potere e lo splendore della Serenissima

Alessandro Magno, il Re dei Macedoni

Non aveva un fisico statuario, aveva gli occhi di colore differente e si tingeva di biondo i capelli. Il suo corpo emanava un profumo gradevole, che secondo alcune fonti conservò a lungo anche dopo la morte. Ebbe come figure di riferimento quelle di Achille, di Zeus e di Eracle, dei quali si considerava un diretto discendente. Portava sempre appresso una versione dell’Iliade ricevuta dal suo precettore Aristotele, che conservava come il suo “Viatico per la virtù guerriera”.

Fu la regina Olimpiade a trasmettergli l’idea di essere un mito. Convinta lei stessa che il figlio Alessandro non fosse altro che un essere metà umano e metà divino. Il desiderio di Alessandro era quello di onorare chi donò grande gloria ai Greci, tanto che prima della spedizione asiatica si recò a Ilio per rendere omaggio alla tomba di Achille.  Il tentativo di emulare l’eroe di Troia affascinò sicuramente l’esercito macedone.

Si rivelò un sovrano illuminato e garantì ad ogni popolo conquistato di mantenere la propria lingua, la religione ed i costumi. Soli dieci anni furono sufficienti per trasmettere ai posteri il concetto di autorità carismatica e per influenzare fortemente la ritrattistica dei conquistatori dell’età posteriore. Morì trentenne nel 323 a.C. nella città di Babilonia e venne riposto in un mausoleo ad Alessandria d’Egitto.  Ma dove sia stato veramente sepolto è ancor oggi oggetto di contrari pareri.

Gli Eneti della Paflagonia

Più di un millennio prima di Cristo combatterono con Paride, Ettore ed Enea per i troiani. I loro nemici erano i greci di Achille e di Ulisse. Caduta Troia, buona parte degli Eneti emigrarono dove termina l’Adriatico ed una minoranza rimase nella natia Paflagonia. Antenore, consigliere del re di Troia fondò Padova. Ospicella fondò Monselice. Il principe meone Mestle fondò Mestre, Clodio Chioggia, Aquilio Aquleia, Jano Conegliano. Altri migrarono fino in Bretagna ed altri ancora si sparsero per il continente europeo. La Paflagonia fu conquistata da Alessandro Magno nel 334 a.C., ma continuò ad essere governata da principi del luogo.

Il volo di Alessandro a Venezia

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Il Volo Di Alessandro Magno Sulla Basilica Di San Marco

Il “Romanzo di Alessandro” narra di come il conquistatore, giunto ai confini del mondo, tentò di esplorare le regioni del cielo avvalendosi di “ingenium”, un mitico congegno volante. Dopo aver conquistato tutta la terra, visitato la profondità dei mari, giunge a confini del mondo alla ricerca dell’unico tesoro che gli mancava: l’immortalità. Sulla facciata rivolta a nord della Basilica di San Marco, un bassorilievo di fattura bizantina rappresenta il volo di Alessandro. Due animali fantastici con il corpo di leone, la testa e le ali di grifone trainano in volo un carro, inseguendo due lepri infilzate come esca su due lance tese dallo stesso Alessandro.

La Pala d’Oro

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La Pala d’oro della Basilica di San Marco

Ai lati della pala d’oro, conservata sull’altare maggiore della Basilica di San Marco, sono disposti in posizione verticale i fatti salienti della vita dell’Evangelista, del martirio e del trasferimento del suo corpo a Venezia. Sul lato inferiore sono incastonate 5 placche tonde raffiguranti il volo di Alessandro che in altri inserti è raffigurato in scene di caccia. Le rappresentazioni del re macedone sono incastonate tra quelle dell’imperatore Costantino e della madre Elena le quali reliquie sono a Venezia.

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Alessandro Magno sulla pala d’oro della Basilica di San Marco

Nel 976 il Doge Pietro Orseolo ordinò questa pala a Costantinopoli. Ulteriori placchette furono commissionate tra il 1102 e il 1118 da Ordelaffo Falier. Nel 1209 Pietro Zano la fece rinnovare dal procuratore della Chiesa.

La quadriga dell’imperatore

Il pezzo più pregiato giunto da Costantinopoli, la quadriga dell’Ippodromo, venne collocato nel punto centrale della facciata della basilica di San Marco, volto a seguire il corso del sole.

Basilica e quadriga indicano il percorso che portò il potere imperiale da Costantinopoli a Venezia. Sottostante i quattro cavalli, una serie di rilievi raffigurano Eracle con i Santi Demetrio e San Giorgio protettori dell’esercito bizantino e poi di Venezia.

Nel 1797 caduta la Repubblica, i cavalli vennero trasferiti per mano di Napoleone a Parigi come ornamento dell’arco di Trionfo (ora ci sono delle copie). Dopo il Congresso di Vienna si procedette al recupero delle centinaia di opere trafugate durante le campagne napoleoniche (operazione mai del tutto portata a termine) e il 13 dicembre 1815 i cavalli bronzei tornarono di nuovo sulla Basilica di San Marco, ma senza i loro favolosi occhi di rubino, dati per scomparsi in Francia.

Il Volo di Alessandro sulla Basilica di San Marco

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Alessandro Magno sulla Basilica di San Marco

Il Volo di Alessandro approdò sulla facciata settentrionale della basilica marciana ed il suo significato doveva essere ben chiaro a tutti. Con la conquista di Costantinopoli, Venezia ereditò l’istituzione bizantina ed il doge assunse il titolo di “Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae“, ‘Signore di un quarto e mezzo dell’intero Impero Romano’. Il potere che un tempo fu di Alessandro Magno, venne sigillato sulla facciata della Basilica di San Marco, sede del potere spirituale.

Il valore dei simboli

I simboli hanno in comune l’obiettivo di diffondere messaggi in un linguaggio il più possibile universale. L’iconografia cristiana, si impossessò dei simboli pagani per diffondere i propri valori. Il Re Macedone appare sul lato settentrionale della Basilica, in una fascia di bassorilievi allegorici che scorre anche per la facciata principale. Ma quel significato e l’originale senso di quella collocazione nei secoli andò del tutto smarrito. La Chiesa diede un valore negativo al Volo di Alessandro, quello della superbia luciferina. Ma la Basilica di San Marco non era della Chiesa, era del Doge. Ed Alessandro lo ritroviamo anche sul Palazzo Ducale.

Alessandro a Palazzo Ducale

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Alessandro Magno raffigurato in un capitello del Palazzo Ducale

Alessandro è presente sulla facciata sud del Palazzo Ducale tra le figure che decorano il colonnato. Nel capitello l’iscrizione ‘ALEXANDER MACEDONIAE REX’, lo identifica come il ‘Re Macedone. L’originale del capitello con il Re del Mondo è conservato nel Museo dell’Opera, mentre nel portico della facciata meridionale è esposta una copia ottocentesca.

La Stella di Alessandro a Sant’Apollonia

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Pietra tombale riportante la stella ad otto punte, emblema di Filippo II di Macedonia padre di Alessandro Magno

Un pesante blocco di pietra fu rinvenuto nel 1962 durante i lavori di manutenzione dell’abside della Basilica di San Marco. Era posizionato molto vicino alla cripta del Santo Evangelista ed è databile alla prima costruzione della chiesa palatina dedicata a San Marco. La pietra è ora conservata nel Chiostro di Sant’Apollonia, sede del Museo diocesano d’Arte Sacra di Venezia. Trattasi di un elemento di decorazione esterna di un monumento commemorativo, onorario o funerario riportante la stella ad otto punte, emblema di Filippo II di Macedonia padre di Alessandro Magno.

Alessandro Magno e Marco l’Evangelista

Le reliquie di San Marco vennero trafugate da Bono da Malamocco e Rustico da Torcello nell’828 da Alessandria d’Egitto. Il doge Partecipazio dispose venisse eretta a Venezia una chiesa, degna dimora delle ossa del Santo. Con lo scorrere degli anni l’edifico di culto diverrà quella che è ora la Basilica di San Marco. Quando nel 1811 si decise di ispezionare le reliquie dell’Evangelista, prima di riporle dalla cripta a sotto l’altare maggiore, furono trovati due corpi, uno intatto e dell’altro solo alcune ossa.

Ma torniamo indietro di qualche centinaia di anni …

In un mausoleo distrutto dal tempo, ad Alessandria d’Egitto veniva venerato ed omaggiato il corpo mummificato di Alessandro Magno. Più di tre secoli dopo, sempre nella stessa città, l’Evangelista Marco subì il martirio e trainato vivo da cavalli venne decapitato. Per non dargli degna sepoltura il corpo fu messo al rogo, ma un improvviso temporale spense le fiamme. I resti vennero deposti in una chiesetta costruita poco lontano da dove un tempo sembra ci fosse il mausoleo di Alessandro.

In un tempo dove vigeva l’usanza di sostituire i culti pagani con quelli cristiani, comparve il corpo di San Marco e sparì quello di Alessandro. Nel 619 il persiano Khusraw II conquistò Alessandria che apparteneva all’Impero d’Oriente, ma dopo un decennio la recuperò il bizantino Eraclio. Nel 642 “Amr ibn al-’Āṣ” vi entrò nuovamente come conquistatore dell’Egitto.

Tra l’811 e l’827 vi si insediarono avventurieri e pirati musulmani provenienti dalla Spagna. A seguito di questi saccheggi e distruzioni di reliquie cristiane, i due veneziani si recarono ad Alessandria per recuperare i resti dell’Evangelista. Quando il corpo venne riesumato, si raccontò che nella chiesa si diffuse un soave profumo di fiori. Bono e Rustico portarono San Marco lontano dalla distruzione, ma dalla tomba prelevarono due corpi e nell’urna vuota deposero i resti di Santa Claudia affinché venissero ingannate le guardie.

Il profumo di San Marco

Una volta tornato a Venezia (Pax tibi Marce Evangelista meus, hic requiescet corpus tuum), il corpo dell’Evangelista venne ospitato al piano superiore del palazzo del doge in attesa di trovare una chiesa degna di chi evangelizzò questa regione, ovvero la futura Basilica di San Marco. Nell’832 fu completata la prima chiesa e consacrata con la proclamazione di San Marco come patrono e protettore della Serenissima.  Ma questa prima struttura venne distrutta da un incendio nel 976.

A partire dal 1063, sotto il dogado di Domenico Contarin iniziarono i lavori di ricostruzione. Vennero presi a modello due edifici di Costantinopoli: la chiesa dei Dodici Apostoli e Santa Sofia. Nel frattempo le reliquie del Santo, nascoste per evitare ulteriori trafugamenti, vennero perse. Era tutto pronto per la consacrazione, ma nessuno più ricordava il luogo segreto dove i predecessori occultarono le spoglie. Dopo un anno di digiuni, processioni e preghiere, il 25 giugno del 1094, durante una messa celebrata dal vescovo, uscì un braccio del Santo Evangelista da un pilastro della basilica. Un profumo soavissimo riempì tutta la chiesa.

Il Volo di Alessandro in altre città

Il “Volo di Alessandro Magno” è un’immagine che ritroviamo in chiese medievali, sia in forma scultorea che musiva. Lo ritroviamo sul Duomo di Fidenza (PR), a Santa Maria della Strada a Matrice (CB). In varie località della Puglia, come Otranto, Taranto, Bitonto, Corato, Trani e all’estero.

Il Volo di Alessandro sul Duomo di Fidenza

Il Volo di Alessandro sul Duomo di Fidenza

 

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ALESSANDRO MAGNO A VENEZIA?  (di Emanuela Cardarelli)

Nei suoi due libri The Lost Tomb of Alexander the Great e The Quest for the Tomb of Alexander the Great Andrew Michael Chugg avanza un’ipotesi molto affascinante, anche se per molti versi incredibile: e cioè che i resti di san Marco conservati a Venezia, nella Basilica, siano in realtà i resti di Alessandro Magno.

Chugg parte dal presupposto che, dopo la sua morte avvenuta il 10 giugno 323 a. C. a Babilonia, il corpo mummificato di Alessandro Magno sia stato trasportato ad Alessandria d’Egitto da Tolomeo. Morendo, Alessandro non aveva lasciato eredi (il figlio di Rossane non era ancora nato) e non aveva dato disposizioni su chi doveva governare il suo vasto impero, per cui i suoi generali se lo divisero e Tolomeo scelse l’Egitto. Qui eresse per Alessandro una tomba colossale, la cui ubicazione e i cui resti non sono ancora stati individuati (anche se il prof Chugg ritiene di aver capito dove siano).

San Marco invece visse e morì nel I secolo d. C. e fondò la Chiesa di Alessandria. Secondo la tradizione, il suo corpo fu mummificato e conservato nella città egiziana, nella Chiesa di San Marco Evangelista, mentre altri sostengono che in realtà egli fu cremato.

Secondo alcune fonti, il corpo di Alessandro era visibile ancora nel 391 d. C., poco prima che il paganesimo fosse dichiarato fuorilegge, ma poi non se ne seppe più niente, e le reliquie di san Marco comparvero proprio alla fine del IV secolo. E’ dunque possibile che qualcuno dei patriarchi della chiesa di Alessandria vide l’opportunità di preservare il corpo del fondatore della città dai cristiani più fanatici, fornendo al tempo stesso la cristianità di una potente reliquia che incoraggiasse la devozione. Fu così che comparve il corpo di san Marco e sparì quello di Alessandro. E non sarebbe questa la prima volta che delle reliquie vengono create ad arte per favorire gli scopi di qualche istituzione o governo.

Poi nell’828 due mercanti veneziani, Buono di Malamocco e Rustico di Torcello arrivarono ad Alessandria e visitarono la Chiesa di San Marco. In quel periodo il clero alessandrino era preoccupato per la salvezza delle loro reliquie più sacre, soprattutto il corpo dell’Evangelista, a causa dei governatori islamici della città. Così i mercanti persuasero (o forse corruppero) i guardiani della chiesa a fargli portare via il corpo. I resti del santo (ovvero i resti di Alessandro Magno, secondo Chugg) furono messi in una grossa cesta, ma le spezie che lo ricoprivano erano così profumate che avrebbero potuto destare i sospetti delle autorità portuali, così i due veneziani misero nella cesta dei pezzi di maiale: quando gli ispettori del porto le videro pare siano fuggiti urlando “Kanzir! Kanzir!” (maiale).

Finora, l’unica ispezione sul corpo del santo è stata eseguita nel 1811, ma si è trattato di un’ispezione molto superficiale, tenendo conto anche degli scarsi mezzi di allora. Una nuova ispezione potrebbe finalmente far luce sulla vera appartenenza dei resti conservati ora nella Basilica. Secondo Chugg, anche una semplice TAC potrebbe bastare, in quanto Alessandro riportò diverse ferite (ad esempio una al petto ed una ad una coscia), per cui la presenza/assenza di queste ferite sulle ossa potrebbe fornire dati decisivi. Nel caso in cui le ossa fossero in uno stato tale da non permettere una TAC, si potrebbe passare ad analisi più approfondite, tipo l’analisi del DNA o il Carbonio-14.

C’è tuttavia un altro elemento che potrebbe stabilire una connessione tra il corpo nella Basilica e Alessandro Magno. All’interno della Basilica è stato ritrovato un grosso blocco di pietra che si trovava precedentemente accanto alla tomba di san Marco, nella cripta. Sul blocco è scolpito quello che ha tutta l’apparenza di essere uno scudo macedone, poiché reca il tipico motivo del cosiddetto “sole macedone” con otto raggi, che era il simbolo della famiglia di Filippo II, il padre di Alessandro. Lo scudo ha dimensioni molto prossime a quelle che dovevano avere gli scudi utilizzati  nella falange macedone.

Sotto lo scudo è visibile una coppia di schinieri, mentre sul lato sinistro del blocco vi sono delle incisioni che rappresentano una fascia appesa ad un chiodo ed una spada appesa alla fascia. La spada sembrerebbe essere del tipo che i greci chiamavano “kopis”. Un motivo straordinariamente simile a quello del blocco della Basilica (cioè il sole macedone, gli schinieri e la spada appesa alla fascia), è disegnato sul murale di una tomba risalente al II secolo a. C. ritrovata ad Edessa, vicino Pella, la città natale di Alessandro. Inoltre, il motivo della spada appesa alla fascia si ritrova in numerose tombe del periodo ellenistico.

Da alcune analisi svolte sul blocco, risulterebbe che esso è costituito da pietra di Aurisina, un tipo di pietra estratta a nord-ovest di Trieste. Tuttavia, Chugg ha individuato due località egiziane (una nel Sinai, l’altra ad Abu Roash, non lontano dal Cairo) da cui si estrae una pietra molto simile a quella di Aurisina. E’ dunque necessario compiere nuove analisi sul blocco, in modo da poter stabilire con certezza la sua provenienza.

Se la roccia di cui è composto risultasse provenire dall’Egitto,ciò significherebbe che i due mercanti veneziani l’hanno trovata nella Chiesa di San Marco Evangelista ad Alessandria e l’hanno portata via insieme ai resti del santo, ritenendo forse che essa fosse in qualche modo connessa con il suo culto. Tuttavia, se anche dovesse risultare che il blocco è costituito da pietra di Aurisina, si potrebbe ipotizzare che i due mercanti abbiano fatto riprodurre su un blocco di pietra locale un disegno che avevano visto all’interno della chiesa.

Com’era prevedibile, le ipotesi di Chugg sono state accolte dal mondo accademico e non, con un certo scetticismo, se non con ilarità (si è parlato di “fanta- archeologia”), soprattutto perché le prove da lui addotte sono piuttosto circostanziali, cioè non vi è nulla di certo e decisivo (inoltre Chugg non è uno storico). E’ per questo che egli chiede che vengano eseguite delle nuove analisi sui resti conservati nella Basilica. Nel caso in cui le ossa fossero davvero di san Marco, queste analisi permetterebbero anche di poter finalmente catalogare i resti in modo scientifico, in modo da poter conservare i dati per i posteri (anche nel caso in cui i resti dovessero disgraziatamente andare perduti).

Se invece si scoprisse che quelli in realtà sono i resti di Alessandro Magno, si consentirebbe finalmente alla verità di trionfare, mettendo fine ad un inganno durato quasi 1200 anni e  restituendo all’umanità il corpo di uno dei più grandi condottieri della storia.

Puoi visitare anche:

Bibliografia

  • -> Andrew Michael Chugg, The Lost Tomb of Alexander the Great (2004);
  • -> Andrew Michael Chugg, The Quest for the Tomb of Alexander the Great (2007)

Alcune antiche testimonianze

"Fu Tolomeo Filadelfo che [c. 280 aC] fece scendere da Menfi [ad Alessandria] il cadavere di Alessandro". Pausania, II secolo d.C

"Tolomeo Filopatore costruì [nel 215 a.C.] nel mezzo della città di Alessandria un edificio commemorativo, che ora è chiamato Sema, e vi depose tutti i suoi antenati insieme a sua madre, e anche Alessandro il Macedone".
Zanobi, II secolo d.C

"In questo periodo [30 a.C.] Ottaviano fece uscire dal suo santuario interno il sarcofago e il corpo di Alessandro Magno e, dopo averlo contemplato, mostrò il suo rispetto ponendovi sopra una corona d'oro e cospargendolo di fiori; ed essendo poi chiesto se desiderava vedere anche la tomba dei Tolomei, rispose: "Il mio desiderio era vedere un re, non cadaveri".
Svetonio, II secolo d.C

"Ottaviano poi vide il corpo di Alessandro, e lo toccò persino in modo tale che, così si dice, gli fu rotto un pezzo del naso. Eppure non andò a vedere i cadaveri dei Tolomei, nonostante il vivo desiderio di gli alessandrini per mostrarglieli, ribattendo: "Volevo vedere un re non persone morte".
Dione Cassio, III secolo d.C

"[Ad Alessandria] Tolomeo preparò un recinto sacro degno della gloria di Alessandro per dimensioni e costruzione; seppellindolo in questo e onorandolo con sacrifici come quelli pagati ai semidei e con magnifici giochi".
Diodoro, testimone oculare c. 50 a.C

"Anche il Soma, come viene chiamato, fa parte del distretto reale. Questo era il recinto murato, che conteneva i luoghi di sepoltura dei re e quello di Alessandro".
Strabone, testimone oculare c. 25 a.C

"Caligola spesso [c. 40 dC] indossava l'abito di un generale trionfante, anche prima della sua campagna, e talvolta la corazza di Alessandro Magno, che aveva preso dal suo sarcofago".
Svetonio, II secolo d.C

[AD 200]: "Severus indagava su tutto, comprese le cose che erano nascoste con molta cura; poiché era il tipo di persona che non lasciava nulla, né umano né divino, non indagato. Di conseguenza, portò via praticamente da tutti i santuari tutti i libri che poteva trovare contenente alcuna conoscenza segreta, e sigillò la tomba di Alessandro; questo era in modo che nessuno in futuro potesse vedere il suo corpo o leggere ciò che è stato menzionato nei suddetti libri ".
Dione Cassio, III secolo d.C

"Appena Caracalla entrò in città [nel 215 d.C.] con tutto il suo esercito salì al tempio, dove fece un gran numero di sacrifici e depose quantità di incenso sugli altari. Quindi andò alla tomba di Alessandro dove si tolse e depose sulla tomba il mantello di porpora che indossava e gli anelli di pietre preziose e le sue cinture e qualsiasi altra cosa di valore che portava".
Erodiano, III secolo d.C

"Dopo aver ispezionato il corpo di Alessandro il Macedone, Caracalla ordinò che fosse lui stesso chiamato 'Grande' e 'Alessandro', perché fu condotto dalle menzogne dei suoi adulatori al punto in cui, adottando la feroce fronte e il collo inclinato verso la spalla sinistra che aveva notato nel volto di Alessandro, si persuase che i suoi lineamenti fossero veramente molto simili."
Anonimo, IV secolo d.C

"Dopo un viaggio durato tre giorni arrivammo ad Alessandria. Entrai dalla Porta del Sole, come viene chiamata, e fui subito colpito dalla splendida bellezza della città, che riempì i miei occhi di gioia. Dalla Porta del Sole alla Luna Porta - queste sono le divinità protettrici delle entrate - conduceva un doppio ordine diritte di colonne, circa nel mezzo delle quali si trova la parte aperta della città, e in essa tante strade che camminando in esse ti sembrerebbe di essere all'estero mentre sei ancora a a casa. Andando alcuni stadi più avanti [1 stade = 165 m], giunsi al luogo chiamato da Alessandro, dove vidi una seconda città: la bellezza di questa era tagliata in quadrati, perché c'era una fila di colonne intersecate da un'altra come lungo ad angolo retto."
Achille Tazio, intorno al III secolo d.C

"Chi potrebbe essere amico di tali? Quando si comportano così per amore del denaro, terrebbero le mani lontane dalle offerte del tempio o dalle tombe? Se viaggiassero con un compagno che avesse una moneta d'oro, non lo ucciderebbero e rubatelo, se ne hanno la possibilità. E questo male, re, è universale, sia che tu menzioni Paltus o Alessandria dove è esposto il cadavere di Alessandro, sia Balaneae o la nostra stessa città di Antiochia. Possono differire per dimensioni, ma la stessa malattia li affligge tutti."
Libanio, c. 390 d.C

"Perché, dimmi, dov'è la tomba di Alessandro? Mostramela e dimmi il giorno in cui morì... la sua tomba nemmeno la sua gente lo sa."
Giovanni Crisostomo, c. 400 d.C

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Avevo letto qualcosa in merito qualche anno fa, ma @Vel Satieshai fatto bella ed esaustiva raccolta di informazioni, bravo.

  • Grazie 1

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L'unica e' analizzare i resti della reliquia...anche se...e' mia personale opinione...in molti resteranno delusi...ho paura che il corpo di Alessandro (e non solo) sia svanito nel Tempo...restano i ritratti di Lisippo e nelle monete e la storia della sua epopea breve ma ineguagliabile...ma chissa'!Spero di sbagliarmi! Intanto Viva San Marco!


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Bella discussione. Chissà se avrà un seguito e se si potrà mai provare. Però molto interessante. Bravo!


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Interessante, grazie.


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Avevo finito ieri i "mi piace", quindi ho rimediato adesso.


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Da un vecchio ( 1969 ) libro, alcune note dedicate .

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  • 2 settimane dopo...
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Alessandro Magno che ascende al cielo sopra due grifoni, particolare di mosaico (XI secolo: Otranto, cattedrale di Santa Maria Annunziata). L’ascensione di Alessandro è un episodio leggendario che ebbe particolare fortuna nella tradizione letteraria del Romanzo di Alessandro.

apollonia


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Jean de Grise, miniatura con L’immersione subacquea di Alessandro, dal Romanzo di Alessandro (XIV secolo); Oxfords, Bodleian Library, Manoscritto Bodley 264, ff. 1r-271v.

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Ms Bodley 264 (f. 50r): l'immersione subacquea di Alessandro.

Il Manoscritto Bodley 264 è un codice miniato del XIV secolo che contiene, tra l’altro, l'edizione interpolata e più completa del Roman d’ Alexandre. L'opera rappresenta un fondamentale tassello nella tradizione letteraria medievale su Alessandro Magno ed è importante anche per le miniature, notevoli non solo come pregevolissime espressioni dell'arte medievale, ma anche come documentazioni delle credenze e dei valori fondamentali della cultura del tempo in cui l'opera fu prodotta.

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Della ricca decorazione musiva, con il dettaglio dell' ascesa di Alessandro, nella cattedrale di Otranto, si era detto il 29-09-2019 in " Gionata e Pantaleone " , post che continuo a non saper allegare .


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Vi e' un libro di Massimo Valerio Manfredi dal titolo 'La tomba di Alessandro' che ripercorre le vicissitudini del corpo di Alessandro e dei tentativi di ritrovarne la tomba...l'ho letto a seguito del post di @Vel Satiesed in parte ripercorre quello che ha ben riassunto...comunque una bella lettura veloce...la consiglio...


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Arte indiana, Alessandro è immerso nel mare in una campana di vetro galleggiante, da Khamsa di Amir Khusrau Dihlavi, manoscritto miniato, (1597-1598); New York, Metropolitan Museum of Art.

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Alessandro Magno e il mostro marino. La leggenda del primo subacqueo al mondo

Secondo il mito fu il grande conquistatore macedone il primo uomo che si immerse nel mare per esplorare gli abissi sconosciuti.

Se non vi siete mai chiesti chi fu il primo subacqueo al mondo, rimarrete sorpresi quando vi racconterò che fu nientepopodimeno che Alessandro Magno. Già, proprio lui, il grande conquistatore macedone che nel IV secolo Avanti Cristo guidò le sue invincibili falangi sino alla valle dell’Indo travolgendo un colosso secolare come l’impero persiano della dinastia Achemenide.

Certo, si tratta poco di più che di una leggenda costruita dalla straordinaria macchina di propaganda dal geniale stratega greco che nelle sue campagne si faceva accompagnare da un autentico battaglione di storici e di scrittori. Oggi lo chiameremo “ufficio stampa”. Fatto sta che tra i racconti fatti circolare dagli scribacchini per esaltare la grandezza del nostro Magno, assieme alla faccenda della sua discendenza da parte materna dal pelìde Achille (quello omerico dal tallone difettoso), c’è la storia di una sua immersione negli abissi del mare.

Proprio così. Dopo aver conquistato tutto quello che c’era da conquistare sulla terraferma, il prode generale macedone decise di andare a vedere cosa ci fosse negli abissi del mare, casomai trovasse qualcosa da invadere anche là. Fatto sta che si fece chiudere in una grande palla di vetro e ordinò ai suoi soldati di calarla appesa a una cima negli abissi del mar Egeo.

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La discesa di Alessandro nella sfera di vetro in una miniatura persiana.

 

La leggenda fu ripresa dagli storici medioevali per i quali Alessandro Magno era una vera e propria fonte di ispirazione, perché incarnava l’ideale dell’uomo che osava spingersi oltre i limiti che la natura ha imposto ai comuni morali. Secondo i resoconti degli scrittori medioevali, che certo non trascurarono di metterci del loro per rendere più appetibile la vicenda, il conquistatore rimase nel suo Skape Andros, come fu nomato il suo prototipo di sottomarino, dalle 10 di mattina alle 10 di sera.

Un intervallo di tempo assolutamente impossibile, osserviamo col senno di oggi, per consentire al macedone di non soffocare, a meno che la sfera non fosse talmente grande da contenere un campo da basket! Ma le leggende non si misurano col metro della fisica e dietro questa fantasiosa immersione si nasconde una autentica curiosità che Alessandro nutrì per gli allora misteriosi abissi marini, unita ad un profondo interesse per i mezzi e gli strumenti atti ad esplorarli.

Interesse che, con tutta probabilità, gli fu trasmesso dal suo tutore, il filosofo Aristotele, che tra un ragionamento sull’etica e una disquisizione sulla metafisica, si occupò anche di mettere a punto applicazioni pratiche per l’immersione come botti calafatate dotate di canne collegate alla superficie per permettere il ricambio d’aria a chi ci era stato infilato dentro.

Lezioni che il giovane Alessandro doveva aver seguito con molta attenzione – certamente più degli insegnamenti di ontologia! – perché, sempre secondo i racconti diffusi dal suo “ufficio stampa”, durante l’assedio a Tyre, l’odierna Tiro, Alessandro riuscì a portare le sue navi dentro il porto grazie all’impiego di una speciale squadra di subacquei che rimosse le catene e gli altri ostacoli che gli assediati avevano posto a difesa della città. Questi soldati, che i romani presero ad esempio per fondare lo speciale corpo degli “urinatores”, riuscivano ad immergersi per lunghi periodi respirando da speciali sacche realizzate con stomaci animali e gonfiate d’aria. 

Ma come finì l’avventura di Alessandro nella sfera di vetro che potremmo definire come la prima esplorazione, sia pure mitologica, dell’uomo nelle profondità marine? Non benissimo per il prode generale. La leggenda narra infatti che, arrivato sul fondo del mare, lo Skape Andros fu avvicinato da un enorme mostro marino, talmente orribile che le parole non bastano a descriverlo, che rimase a lungo a gironzolare attorno alla sfera cercando di decidere se farne un solo boccone o no. Una volta riportato in superficie, Alessandro non volle più ritentare l’esperienza, si fece passare il desiderio di invadere anche gli abissi del mare e decise di andare a conquistare Persepolis dove, male che andasse, non avrebbe incontrato altri mostri marini.

 

Da https://www.dailynautica.com/rubriche/alessandro-magno-e-il-mostro-marino-la-leggenda-del-primo-subacqueo-al-mondo/

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ALESSANDRO MAGNO OLTRE I CONFINI DEL MARE: UNA CANZONE DI VECCHIONI E UN’ANTICA LEGGENDA SUL PRIMO SOMMOZZATORE

Articolo di Arianna Baria in https://www.ilsuperuovo.it/alessandro-magno-oltre-i-confini-del-mare-una-canzone-di-vecchioni-e-unantica-leggenda-sul-primo-sommozzatore/

Fin dove si è spinto uno dei più celebri conquistatori e strateghi dell’antichità? Quali limiti ha travalicato? Ce lo raccontano la storia, una canzone di Vecchioni e un’antica leggenda.

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Discesa di Alessandro sul fondo del mare, arazzo fiammingo realizzato per Carlo il Temerario duca di Borgogna (part.), 1475 circa, Genova, Palazzo Doria

Cosa succede se un giovane uomo dall’incontrollabile desiderio di potere e competizione, con una visione politica di incredibile lungimiranza, si trova di fronte al mare? Cosa succede se una personalità tale, forgiata dall’ambizione della madre Olimpiade per diventare simile ad un dio, viene posta di fronte a un elemento così vasto e incontrollabile?

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Si noti il corso del fiume Indo e il Gange

 

La spedizione in India di Alessandro Magno

Siamo nel IV secolo a. C., più precisamente nell’estate del 327: dopo la conquista dell’impero persiano, Alessandro organizza quella che sarà l’ultima grande spedizione militare, affiancato dai generali macedoni, verso i territori dell’India alla guida di un esercito di 100.000 guerrieri persiani. Il sovrano macedone vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emerse, fino “ai confini del mondo“. Alessandro intendeva creare uno stato forte e uniforme: malgrado le differenze dei popoli, delle lingue e delle culture, mirava alla diffusione delle istituzioni, della lingua e della cultura ellenica. Quando Alessandro partì di nuovo alla volta dell’Asia, sembrava aver mirato razionalmente a ricostruire l’intera struttura del confine naturale e storico dell’impero persiano, ossia del fiume Indo: sognava dunque la ricostruzione e il consolidamento di un confine fluviale ed estremo, da non valicare per nuove avventure. Superato il Paropamiso, catena montuosa dell’odierno Afghanistan, nell’estate del 327, Alessandro attraversò l’Indo, dopo aver assoggettato gli abitanti della valle del fiume Kabul, nella primavera del 326. Giunse poi nella regione di Tassila, nell’odierno Pakistan, e strinse un’alleanza con il re Taxila, aiutandolo a sconfiggere il vicino re Poro, invadendo la regione indiana di Punjbab. Successivamente fondò due città, Nicaea (odierna Mong) e Bucefala (oggi Jehlum), quest’ultima in onore del suo cavallo Bucefalo, morto durante la battaglia. Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l’armata macedone giunta sul fiume Ifasi (oggi Beas) nell’estate del 325, stanca dell’idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani, si rifiutò di seguirlo oltre verso est. Infatti superare l’Ifasi in direzione del Gange sarebbe stato l’atto che avrebbe rotto lo schema della “politica dell’Indo”. Il malumore dell’esercito, stanco delle giungle monsoniche e stremato dalle febbri malariche, e l’esito negativo dei diabatèria (sacrifici per la traversata) determinarono un’inversione della rotta di marcia: sulla riva dell’Ifasi furono eretti dodici altari, alti come torri di città, simbolo sacrale e monumentale di un confine fluviale consolidato. Alla sua foce, sull’Oceano Indiano, fece costruire un porto sicuro che avrebbe dovuto svolgere la funzione di emporio verso l’estremo Oriente. L’esercito iniziò dunque la marcia di rientro, segnata da altrettante tappe e perdite, fino a giungere nel 324 nella città persiana di Susa. 

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Discesa sottomarina di Alessandro, miniatura da un manoscritto francese del Roman d’Alexandre, XIV secolo, Oxford, Bodleian Library, ms. 264, c. 50r

(segue)


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Alessandro e il mare: un brano di Roberto Vecchioni

Ed è proprio nell’India del IV secolo a.C., ai “confini del mondo”, che Vecchioni, inserisce la vicenda del suo Alessandro. Il cantautore, che ha insegnato greco e latino al liceo per trent’anni per poi passare alla carriera universitaria, rende protagonisti delle sue canzoni i personaggi dell’antichità, facendo rivivere il mito e la storia attraverso la musica: nel brano Alessandro e il mare, pubblicato nell’album Milady del 1989, compare proprio Alessandro Magno, re di Macedonia nonché faraone d’Egitto. Al tramonto i “soldati ubriachi di futuro” guardano il loro giovane condottiero solo, di fronte al mare, come un’ombra in controluce e non osano rivolgergli la parola, non osano turbare la sua quiete, sperando che stia meditando sul da farsi: andare a casa, come sperano i soldati, o spingersi oltre?  Il mattino seguente il sole sta sorgendo e le truppe, impazienti e stanche, domandano: «Dove si va, passato il Gange, Generale, parla, dicci solo dove». Probabilmente Alessandro “bello come la mattina il sole”, non gli rispose: forse era ancora assorto nei suoi pensieri e stava sognando ad occhi aperti. Ricordava il passato, tornava il bambino spensierato, che ancora aveva tutta la vita davanti a sé, che correva nei viali di quell’immenso giardino di Pella, quando giocava sereno e beato. Guardando il mare gli si apre un varco. Ricorda la fontana coi pesci, dai riflessi d’argento, che poteva soltanto guardare ma mai buttarcisi dentro, forse per timore che la mamma Olimpiade lo avesse sgridato. Ma ora ha il mare davanti a sé: una fontana finalmente da toccare senza remore. Vecchioni immagina una morte alternativa per il grande condottiero, lì in India e non a Babilonia, senza fare tantomeno menzione dell’Alessandro sospettoso di congiure che si abbandona agli eccessi alcolici: in un’atmosfera quasi onirica, folle e fiero, entra in mare a cavallo, e si abbandona ad esso, a quello stesso mare che aveva sempre tentato di soggiogare, seguito con fiducia dai suoi soldati, contenti di dover annegare con lui e di seguirlo in quel varco che apriva lieti ricordi. Alessandro cerca la conquista definitiva o forse solo la purezza dell’infanzia perduta? Forse decide di ritornare all’idea del bambino che era, attraverso l’acqua, elemento germinale della vita, purificandosi per tornare a una dimensione originaria, essenziale, come se tutta la sua vita lo avesse portato a quel determinato momento, come se tutte le sue grandi imprese fossero confluite in quel piccolo semplice gesto, come se avesse ancora un ultimo briciolo di quella curiosità che lo aveva sempre condotto oltre i confini. E «mentre si voltava indietro non aveva niente da vedere; e mentre si guardava avanti niente da voler sapere»: era arrivato lì e non serviva sapere altro. Con quel suo ultimo atto del voltarsi, che separa il mondo della vita da quello della morte, prende la decisione di attraversare il varco tra qui e l’altrove, di trasumanar, come direbbe Dante, di elevarsi oltre i limiti della natura umana per attingere la natura divina, diventando spirito, diventando anima.

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Discesa sottomarina di Alessandro, Manoscritto Bodley, 264, XIV secolo, Oxford, Bodleian Library, ms. 264, c. 50r

(segue)


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La leggendaria discesa di Alessandro nelle profondità marine

Nei secoli successivi alla sua morte sono nate, attorno alla figura di Alessandro Magno, delle affascinanti quanto inverosimili leggende, a confine tra storia e mito, come spesso accade nell’antica cultura greca. Questi racconti confluirono inizialmente nel Romanzo di Alessandro, testo apocrifo costituitosi ad Alessandria d’Egitto, nella prima metà del II secolo a.C., che anno dopo anno, si arricchì di storie, finché la sua forma definitiva fu erroneamente attribuita, per darle un tono di autorevolezza, a Callistene, segretario e storico di Alessandro, nonché nipote di Aristotele, a cui il sovrano diede l’incarico di descrivere la sua vita in toni favolosi e leggendari. La raccolta fu tradotta in latino, in siriaco, in arabo e in persiano: ovviamente ogni traduzione tolse, aggiunse e modificò qualcosa, rielaborando forma e contenuto alla cultura del pubblico a cui era destinata.  Anche Curzio Rufo, storico romano d’età imperiale, scrisse delle storie sul re di Macedonia, le Historiae Alexandri Magni Macedonis, mettendo in risalto il carattere ambizioso del sovrano e soprattutto la volontà di superamento dei limiti umani: il cielo, il mare e la morte.

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Storie di Alessandro, Curzio Rufo

Un intrigante racconto di una di queste incredibili avventure in mondi lontani, riguarda la discesa di Alessandro negli abissi del mare, ossia la prima grande spedizione dell’uomo nel mondo sommerso. La leggenda narra che il conquistatore, intorno al 333 a.C., curioso di scoprire quali segreti celassero le profondità marine e desideroso di recuperare altre perle simili a quelle che aveva trovato dentro un granchio, fece costruire ai suoi artigiani una botte di vetro rinforzata con lastre in bronzo, con tanto di lampade per illuminare la zona circostante, per potersi calare sul fondale, dopo averla assicurata ad una barca da una catena che, in alcune versioni, l’infedele moglie Rossane lasciò cadere, senza riuscire nell’intento di uccidere il marito. Fece costruire dunque il primo sommergibile, tramandato dalle fonti con il nome di scafandro, dal greco skáphē, ‘barca, galleggiante’ e anḗr, andrós, ‘uomo’. E così fece, si immerse: secondo alcune fonti si fece accompagnare da Nearco, ammiraglio della flotta macedone, secondo altri aveva portato con sé un gatto, un cane e un gallo per conservare la nozione del tempo e per controllare il grado di impurità dell’aria. Jean Wauquelin, nelle sue Histoire du bon roy Alexandre, del 1438, ci racconta che Alessandro vide pesci che camminavano sul fondo come quadrupedi e che si nutrivano dei frutti degli alberi che si trovavano sul fondale marino: vide balene di incredibile grandezza e persino pesci di forma umana, una strana popolazione marina in cui gli uomini avevano barbe fluttuanti, camminavano e cacciavano i pesci per mangiarli come sulla terra si fa con gli animali, secondo la legge del “pesce più grande mangia quello più piccolo”.

Questa tappa del viaggio fantastico-fiabesco di Alessandro fino ai confini dell’universo, compare per la prima volta in una lettera indirizzata alla madre Olimpiade, all’interno di una versione di IV secolo del Romanzo, per raccontarle le avventure dei suoi viaggi: vi è anche la descrizione di un gigantesco mostro marino che inghiotte il sovrano e le navi che lo hanno calato sul fondo per poi depositare Alessandro, incolume, sulla spiaggia.

(segue)


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Questo aneddoto- non del tutto infondato, in quanto fonti storiche attestano che nel 332 a.C., durante l’assedio della città di Tiro, Alessandro si immerse con alcuni sommozzatori al fine di rimuovere gli ostacoli che impedivano l’accesso all’area portuale- mette in evidenza l’atteggiamento del giovane macedone: tenta di rendersi ancora una volta sovraumano, capace di superare i limiti dei mortali e i confini, dell’esistenza e del mondo. Il rapporto tra l’uomo e il mare nell’antichità è infatti basato sul timore dell’ignoto e dell’inesplorato e al tempo stesso sul desiderio che spinge l’uomo a voler conoscere, anche a costo di dover superare i propri limiti.

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Attrezzature subacquee antiche: già Aristotele nel IV a.C. descrive il suo utilizzo nella sua opera “Problemi” (in greco antico: Προβλήματα, Problémata)

 

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Miniatura tardo medievale raffigurante Alessandro Magno mentre viene calato in mare all’interno di una gabbia stagna.

 

Clicca qui per ascoltare Alessandro e il mare di Roberto Vecchioni: https://www.youtube.com/watch?v=Br-cnDJQcbI

apollonia


  • 1 mese dopo...
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La mostra a Napoli. Alessandro Magno e l'arte: sorgenti di cultura

 

Una rassegna all’Archeologico segue le espansioni del re macedone verso Oriente. Il ruolo positivo per la creazione di intrecci fra i popoli

Gli occhi grandi, il mento piccolo e le labbra leggermente contratte, l’atteggiamento fiero e pensoso, così Alessandro il Grande è raffigurato nel celebre mosaico della battaglia di Gaugamela, avvenuta nel 331 a.C., in cui la carica dei macedoni si abbatte su Dario III, re dei Persiani. L’opera, custodita nel Museo Archeologico di Napoli, proveniente da Pompei, dove era posta a pavimento nella Casa del Fauno, fu realizzata probabilmente da una locale bottega alessandrina tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C., ed è forse una copia musiva, fedele e ridotta, di un dipinto del grande Apelle. Nel mosaico Dario appare singolarmente in posizione sopraelevata, ritto sul suo carro, come se l’autore avesse voluto non già sottolineare l’aggressività del re macedone, ma il dramma dei Persiani, la loro indicibile paura di fronte alla irriducibile foga del conquistatore. Ma Alessandro è ricordato nella storia non solo per essere stato un grande condottiero, ma perché seppe avere riguardo per i popoli vinti, integrandone le culture, le religioni, i costumi. Sicché una ricognizione sulla sua figura diventa in qualche misura una lettura non solo della cultura greca che egli esportò fin nel cuore dell’Asia quanto degli intrecci anche profondi e originali, che quella cultura stabilì con i popoli di volta in volta assoggettati.

È quanto suggerisce una mostra ampiamente documentata e ricca di reperti, dipinti, sculture, documenti, oggetti preziosi e di decoro, provenienti da numerosi musei italiani e stranieri, da poco aperta a Napoli, presso il Mann ("Alessandro Magno e l'Oriente", fino al 28 agosto), e dislocata tra il grande Atrio e la sala della Meridiana, a cura di Filippo Carelli ed Eugenio Lo Sardo. Il distintivo dell’iniziativa appare infatti proprio la sottolineatura e l’approfondimento scientifico delle nuove istanze culturali sorte dalla intelligenza espansionistica del re macedone che, in poco meno di dieci anni e fino alla sua morte, avvenuta a Babilonia nel giugno del 323 a.C., raggiunse Persepolis, le piramidi egiziane, le montagne dell’Hindu Kush, le foreste equatoriali del Punjab, fino a penetrare nel cuore delle Indie, fondando villaggi e città (come le celebri Alessandrie, tra cui quella d’Egitto), immergendosi nel profondo delle culture locali, di cui sovente restò affascinato.

Non mancano invero, nella storia di Alessandro, luci ed ombre. Nei rapporti umani il re era irascibile, mutevole, impulsivo. È indubitabile tuttavia che le sue conquiste determinarono inediti e preziosi intrecci di culture. Centosettantasei sono le opere presenti in mostra, tra cui il busto-erma di Alessandro, del I sec d.C., proveniente dal Louvre e collocato in apertura del percorso espositivo. Sono poche in realtà le effigie veritiere del re. Forse l’unico ritratto certo è proprio quello del citato mosaico, di cui oggi si avvia un fondamentale e improcrastinabile restauro, che consentirà mediante una copertura trasparente di assistere alle varie fasi del lavoro. Nei giardini del museo, infine, sono state ricreate le suggestioni di alcuni paesaggi conosciuti dal macedone, attraverso la ricostruzione di piante, animali e profumi. A ribadire il taglio della mostra, che, al di là della evidente ricognizione scientifica, punta a un vivo, fondamentale coinvolgimento del pubblico.

 

https://www.avvenire.it/agora/pagine/alessandro-magno-sorgente-di-cultura

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