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Per capire l'archeologia: Che cos’è l’archeologia preventiva? Uno sguardo d’insieme


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Fonte: https://www.archaeoreporter.com/2023/03/08/che-cose-larcheologia-preventiva/
“In Italia, dove scavi scavi…qualcosa trovi”.

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In effetti, il nostro Paese è ad altissimo potenziale archeologico: ovunque si scavi è possibile imbattersi nelle tracce materiali dei popoli che hanno vissuto il territorio prima di noi, dagli Etruschi ai Romani, dalla Preistoria al Medioevo e oltre.

Le antiche navi romane di Pisa, l’anfiteatro di Volterra, l’elefante preistorico di Grosseto, sono centinaia da nord a sud le “piccole” e “grandi” scoperte avvenute in occasione di lavori di scavo non-archeologico finalizzato alla realizzazione di opere varie, che hanno rivoluzionato le nostre conoscenze storiche e arricchito, con nuovi musei e parchi archeologici, l’offerta culturale e turistica delle città e dei territori in cui sono avvenute.

La sfida dei nostri tempi, dunque, è quella di proteggere il patrimonio archeologico ancora “da scoprire” senza interferire (troppo) con lo sviluppo infrastrutturale del Paese: per questo, negli ultimi 20 anni, si è sviluppata con norme e procedure sempre più efficaci l’archeologia preventiva.

Quando si applica?

In sostanza, l’archeologia preventiva si occupa di garantire la tutela del patrimonio archeologico in occasione di interventi per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico disciplinati dal Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016).

In pratica, se l’Ente x intende realizzare una nuova scuola, un campo sportivo, un ospedale, uno svincolo stradale, una cassa d’espansione o qualsiasi altra opera pubblica o di interesse pubblico regolata dal Codice dei contatti, in fase di elaborazione preliminare del progetto, deve effettuare la verifica preventiva dell’interesse archeologico, per valutare il potenziale archeologico delle aree scelte per l’intervento e l’entità del “rischio” di ritrovamento archeologico.

La verifica preventiva dell’interesse archeologico (VPIA) è quindi una procedura autonoma che si inserisce nella fase di “fattibilità” del progetto, proprio perché se l’esito fosse che l’area individuata ha un alto rischio archeologico, sarebbe possibile intervenire “preventivamente” per tutelare l’integrità fisica del bene ancora da scoprire. Bisogna aggiungere che l’affermazione di questa prassi operativa rappresenta l’evoluzione di un approccio metodologico iniziato nel campo dell’emergenza, cioè con azioni di tutela (scavi d’emergenza) successive a rinvenimenti archeologici imprevisti durante la fase di esecuzione dei lavori, che è oggi approdato nell’ambito della prevenzione, con studi e indagini diagnostiche realizzate in fase progettuale. Questo approccio, quindi, intende garantire anche la tutela dell’infrastruttura da realizzare, perché è finalizzato ad escludere, o comunque a limitare il più possibile, l’eventualità di effettuare scoperte fortuite in corso d’opera, che rallenterebbero inevitabilmente i lavori aumentandone i costi.

Qual è la base giuridica?

La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione sono garantite dall’art. 9 della Costituzione. Tuttavia, l’esigenza di una legge sull’archeologia preventiva non è solo italiana: dal 1992, infatti, un accordo tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, noto come Convenzione de La Valletta, ha gettato le basi comuni delle legislazioni europee per la protezione del patrimonio archeologico. In Italia, il tema è presente sia nella normativa preposta alla tutela dei beni culturali e ambientali sia in quella che garantisce il corretto utilizzo dei fondi pubblici. È presente nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004, art. 28, c. 4), attraverso la facoltà del Soprintendente di richiedere l’esecuzione di “saggi archeologici preventivi”, quindi in fase progettuale, in caso di lavori pubblici in aree di interesse archeologico; e dal 2005 è disciplinata, con successive formulazioni, dalla Legge 109/2005, dal Codice degli appalti del 2006 (D.Lgs. 163 artt. 95 e 96) e dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) attualmente vigente.

Per garantire “speditezza, efficienza ed efficacia” alla procedura di tutela in occasione del boom di lavori pubblici conseguente ai finanziamenti del PNRR (che ha addirittura reso necessaria la costituzione di una Soprintendenza speciale per il PNRR), nel febbraio 2022, sono state delineate le nuove Linee guida per la procedura di verifica dell’interesse archeologico e individuazione di procedimenti semplificati, a cui oggi si fa riferimento (http://www.ic_archeo.beniculturali.it/it/275/archeologia-preventiva).

Che cos’è la VPIA?

In concreto, la verifica preventiva dell’interesse archeologico è un’analisi (non selettiva) del territorio, volta a registrare tutte le testimonianze archeologiche note di ogni epoca (dalla Preistoria al Medioevo) attestate in un raggio sufficientemente ampio rispetto all’area scelta per l’intervento. In questo senso l’archeologia preventiva utilizza i metodi dell’archeologia globale che, con approccio interdisciplinare, unisce ricerche di carattere bibliografico, storico, iconografico e cartografico, alla lettura delle fotografie aeree e alle ricognizioni di superficie, ad indagini non invasive, dal remote sensing (telerilevamento) alle prospezioni geofisiche, apportando significativi sviluppi anche nel campo della diagnostica predittiva e dei sistemi informatici applicati all’archeologia.

Le emergenze archeologiche censite vengono quindi inserite in un GIS appositamente predisposto dal Ministero della Cultura (scaricabile dal sito dell’Istituto centrale dell’archeologia – ICA), che genera la carta del potenziale archeologico e la carta del rischio archeologico: il potenziale rappresenta la probabilità che nell’area prescelta si conservi una stratificazione archeologica; il rischio ne determina il grado “alto, medio, basso” oppure “nullo”.

Chi può redigere la VPIA?

La relazione di VPIA deve essere redatta da un archeologo in possesso dei requisiti previsti dal regolamento n. 60/2009, ovvero laurea più titolo di specializzazione o dottorato di ricerca in archeologia, corrispondenti alla cosiddetta I fascia degli elenchi professionali del Ministero della Cultura. A tal proposito, dato che gli elenchi non costituiscono un albo professionale, la mancata iscrizione (in presenza dei requisiti) non ne preclude la redazione.

Chi commissiona la VPIA?

Poiché lo scopo della VPIA è quello di fornire alle stazioni appaltanti (e alle soprintendenze) gli strumenti per valutare l’entità del rischio archeologico, il committente è l’ente che realizzerà l’opera: la stazione appaltante, che dovrà farsi carico anche dei costi di redazione.

Se il rischio è alto?

Nel caso in cui l’esito della VPIA sia un rischio archeologico medio o alto, scatta da parte della soprintendenza l’attivazione della procedura di verifica preventiva: saggi e scavi (sempre a carico dell’ente appaltante con archeologo professionista) nelle aree archeologicamente più sensibili dei luoghi individuati, volti a comprendere l’effettivo impatto dell’opera sui depositi archeologici conservati nel sottosuolo. I contesti archeologici individuati, dovranno essere indagati e documentati, in modo da poter essere rimossi per lasciar spazio alle opere da realizzare. Solo in caso di totale incompatibilità tra ritrovamenti e opere in progetto sarà necessario modificare il progetto iniziale in modo da portarne a termine la realizzazione e al contempo proteggere i ritrovamenti archeologici.

Se il rischio è basso?

Nel caso in cui i dati raccolti nella VPIA diano esito “negativo”, la procedura di verifica non parte, ma il soprintendente può comunque richiedere “l’assistenza archeologica in corso d’opera”, durante la quale l’archeologo sorveglia gli scavi e i movimenti terra previsti dal progetto ed è pronto a intervenire in caso di rinvenimenti fortuiti.

L’archeologia preventiva, dunque, racchiude una serie di procedure volte alla tutela del patrimonio archeologico da attivare in caso di lavori pubblici o di interesse pubblico regolati dal Codice dei contratti, che comprendono azioni prodromiche come la valutazione preventiva dell’interesse archeologico, indagini non invasive (prospezioni geofisiche) e indagini “dirette” (saggi e scavi in estensione), e l’assistenza durante i lavori di scavo necessari alla realizzazione dell’opera.

L’obiettivo di queste procedure non è affatto quello di scoraggiare ed ostacolare lo sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, ma piuttosto quello di creare le basi di un sistema di tutela sociale attiva e condivisa, in cui tutte le parti coinvolte, progettisti, committenti, enti territoriali, professionisti e soprattutto i cittadini che beneficeranno dell’opera comprendano che “non c’è vero sviluppo senza etica” e di conseguenza agiscano.

Modificato da Vel Saties

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