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Alessandro Magno rifiuta di bere l'acqua offertagli dai suoi soldati

Alessandro Magno incontrò alcuni Macedoni che trasportavano in otri, a dorso di mulo, l’acqua che avevano attinto a un fiume. Vedendo Alessandro provato dalla sete del mezzogiorno, riempirono velocemente un elmo e glielo porsero. Egli prese l'elmo nelle sue mani ma, guardando attorno a lui, vide che la sua cavalleria dirigeva lo sguardo bramoso sulla bevanda. Allora la rese senza aver bevuto e, ringraziando, disse a chi l'aveva offerta: «Se bevo solo io, questi uomini perderanno coraggio». Il sole implacabile, il deserto, il corpo stanco, le labbra aride e soprattutto gli sguardi di tanti uomini su quell'elmo colmo di acqua: è da qui che nasce la forza esemplare del gesto di Alessandro Magno, narrato dallo storico greco Plutarco nella celebre Vita di Alessandro, composta agli inizi del II sec. d. C.

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http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/74936/Anonimo veneziano sec. XVIII%2C Alessandro Magno rifiuta di bere l'acqua offertagli dai suoi soldati

 

Due sono gli spunti che possiamo raccogliere da questo notissimo episodio. Innanzitutto la fermezza del famoso sovrano che supera la tentazione dell'insindacabilità del potere e dei privilegi e si pone al livello degli altri, delle persone comuni che però condividono le stesse esigenze umane. È il risultato di un rigore non solo personale, quasi ascetico, ma anche del rispetto delle necessità comuni, è il frutto di una sensibilità e nobiltà d'animo che vince ogni egoismo. C'è, però, un altro profilo nell'atto di Alessandro ed è quello della testimonianza. Se ti preoccupi solo dei tuoi vantaggi, non potrai mai essere un educatore di altri. È per questo che la gente spesso non ha fiducia nelle classi dirigenti in tutti gli ambiti della vita sociale, perché non vede in essi che la corsa all'esito personale, all'interesse privato, al privilegio. È anche per questo che tanti genitori ed educatori non incidono nell'animo dei giovani: quella che manca è la testimonianza, lezione più efficace di ogni discorso.

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-elmo-di-alessandro

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L’assassinio di Filippo il Macedone.
Il potente re di Macedonia fu ucciso da una delle sue guardie nel 336 a.C. Ma chi fu il mandante del delitto?

Il Caso.
Non poteva mancare al matrimonio della figlia Cleopatra con Alessandro d’Epiro. Per questo Filippo il Macedone dovette tornare a Ege, prima di lanciarsi nella campagna militare contro i Persiani.
Ma ne avrebbe fatto volentieri a meno. Con qualche ragione, in quella mattina di ottobre del 336 a.C., non si sentiva affatto tranquillo. L’atmosfera in città non gli piaceva, diffidava di tutti, perfino del suo stesso figlio Alessandro (il futuro “Magno”), sempre più arrogante e che ostentava in ogni occasione il suo diritto a succedergli. Ma non era il caso che il po­polo intuisse il suo momento di difficoltà, perché lui era il re Filippo II, il più grande conquistatore e politico dell’epoca e quel matrimonio lo dimostrava.
Indifeso. La cerimonia doveva essere un’occasione unica, un evento eccezio­nale per mettersi in mostra davanti ai po­tenti di Grecia. Tutti dovevano ammirarlo, vestito di bianco e amato dagli dèi al pun­to da non aver bisogno delle guardie del corpo. Mentre la folla lo aspettava, infatti, fece cenno ai soldati di rimanere indietro. Ma commise un grandissimo errore: quel­ lo fu il suo ultimo gesto.
Proprio una delle sue guardie, Pausania, un uomo che lo conosceva molto bene, nascosto tra gli ospiti sguainò una corta spada e gli si avventò contro. Poi lo colpì e lo lasciò agonizzante a terra. In seguito il regicida tentò di fuggire per raggiungere il cavallo che aveva lasciato poco lontano. Ma la fuga fu breve, l’assassino inciampò e cadde: così, le guardie Leonnato, Per­dicca e Attalo di Stinfea lo raggiunsero e lo uccisero sul posto. Con sé, nella tomba, Pausania si portò anche il più grande dei segreti: chi aveva armato la sua mano e perché?

Tratto da Focus Storia 120.
Scopri Focus Storia e gli speciali in edicola: http://www.focus.it/mondo-focus/focus-storia-e-speciali
#losapevi?

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Alessandro curato dal medico Filippo

Alessandro Magno era arrivato a Tarso dove venne conquistato dal fascino del fiume Cidno. In quel luogo, carico di polvere e di sudore, aveva deposto le armi e si era immerso nell’acqua più che gelida del fiume per il proprio ristoro. Improvvisamente la rigidità si impadronì dei suoi muscoli, la voce si fermò, e non solo non si vide nessuna speranza di medicinale adatto, ma nemmeno il calo del pericolo. Vi era solo uno fra i medici del re di nome Filippo, che assicurava un medicinale per la salvezza di Alessandro. Ma una lettera di Parmenione che era stata inviata il giorno prima dalla Cappadocia sfiduciava il medico. Infatti Parmenione, senza conoscere la malattia di Alessandro, aveva sospettato dell’onestà di Filippo, poiché - così scriveva il comandante ad Alessandro - era stato corrotto dal re dei Persiani Dario con un’enorme quantità di denaro. Nonostante ciò, Alessandro ritenne meglio aver fiducia nell’onestà del medico e prese la medicina, dando al tempo stesso la lettera a Filippo e guardandolo negli occhi. Quando vide il medico sereno, rise soddisfatto. Dopo pochi giorni Alessandro riacquistò la buona salute.

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http://www.pierotrincia.it/IT/2761/Alessandro-Magno-curato-da-Filippo---Benoit-Audran.html

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Altra illustrazione dell'episodio di Alessandro con il suo medico Filippo

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La storia di Clito il nero, da salvatore di Alessandro Magno a sua vittima

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Quanto accadde a Clito il nero sconvolse l’animo di Alessandro Magno, che gli era sempre stato grato per averlo salvato da morte certa in battaglia, e che lo ricambiò, senza volere, assassinandolo.  Nel medesimo istante in cui si accorse della gravità del gesto compiuto, tentò il suicidio, utilizzando la stessa lancia con cui aveva ferito il compagno. Fu fermato dagli eteri, i suoi soldati più valorosi.

Partiamo dal principio. Clito era un veterano di Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno. Aveva combattuto molte battaglie al suo fianco e quando gli successe il figlio, nel 336 a.C. lo sostenne e fu un generale su cui si poteva fare affidamento, per capacità e lealtà. Era anche il fratello di Lanice, la nutrice di Alessandro che lui amava profondamente, considerandola una madre, visto che la sua, Olimpiade, anche se molto bella, era tutt’altro che dolce, ossessionata dal suo amore per i serpenti e dal figlio, per cui aveva previsto, attraverso oracoli della cultura epirota, un destino che lo avrebbe fatto annoverare tra le divinità.

Alessandro mise Clito il Nero a capo degli “àghema”, le sue guardie del corpo, incaricate di proteggerlo in guerra.

Se non fosse stato per Clito Alessandro, secondo il racconto dello storico Arriano, sarebbe morto nel 334 a.C. nella battaglia del Granico, quando il condottiero si lanciò avventatamente contro i persiani, alla testa di 13 squadroni di cavalleria. Mentre si stava scontrando in un corpo a corpo con un soldato nemico, sopraggiunse un altro uomo, che lo riconobbe per l’elmo che lo distingueva dagli altri e lo stava per pugnalare alle spalle. Ma lì c’era anche Clito, che lo uccise prima che il soldato potesse scagliarsi contro il suo re.

Clito cadde in disgrazia quando, durante un banchetto, ubriaco, espresse il suo disappunto per la politica di espansione verso oriente e per il cerimoniale persiano che prevedeva la riverenza al re. Esaltò anche le gesta di Filippo II, definendolo superiore ad Alessandro. Gli storici concordano nel dire che il conquistatore avesse due difetti: l’impulsività legata agli scoppi d’ira e la tendenza a bere troppi alcolici. Il vino fu la condanna di entrambi. Clito parlò annebbiato dalla bevanda, e nonostante fosse stato portato lontano dai soldati per evitare il peggio, rientrò nel luogo dove si stava svolgendo il banchetto per continuare la sua arringa contro Alessandro, colpevole di averlo messo a capo di un territorio molto lontano, quasi a volerlo togliere di mezzo.  Alessandro, non ci vide più dalla rabbia, e uccise Clito trafiggendogli il petto con una lancia. Immediatamente, pentito e inorridito per la gravità del suo gesto, estrasse la lancia dal corpo del suo vecchio amico e tentò di uccidersi, fermato dalle sue guardie. Non mangiò per tre giorni, volendo lasciarsi morire. Fu convinto a sopravvivere dal filosofo Anassarco che gli spiegò che le azioni dei re non vanno giudicate, sono sempre giuste in quanto espressione della volontà degli dei.

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Ci tenevo a precisare che Alessandro non aveva scagliato la lancia contro Clito con l’intenzione di ucciderlo ma perchè era sicuro che lui l’avrebbe evitata. Solo che Clito non era riuscito a scansarsi con un gesto fulmineo come già in passato in quanto era tenuto in quell’attimo ancora da Tolomeo che voleva salvarlo dall’ira di Alessandro e trascinarlo fuori. Fu preso in pieno e trapassato da parte e parte. Come se ne rese conto, Alessandro corse verso Clito, gli sfilò fulmineo la lancia dal corpo, appoggiò l’asta contro il muro e si gettò sulla punta per trafiggersi allo stesso modo. Lo afferrarono appena in tempo Seleuco e Tolomeo, mentre lui si divincolava come un ossesso urlando in lacrime di lasciarlo fare perché non meritava di vivere. Leonnato si precipitò a dare man forte agli amici ma Alessandro, liberata una mano, aveva afferrato la sua spada e tentava di uccidersi. Lo disarmarono e lo portarono via a viva forza.

Per tre giorni e quattro notti, Alessandro pianse disperatamente invocando il nome dell’amico ucciso, rifiutò il cibo e l’acqua e si ridusse a una larva. Alla fine i compagni, preoccupati che perdesse il senno e poi la vita, chiesero ad Aristando di intervenire. Il veggente riuscì a richiamarlo alla vita, ma da allora lo spettro di Clito funestò la sua esistenza con il dolore e il rimorso per il resto dei suoi giorni e delle sue notti.

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Clito il Bianco

CLITO soprannominato il Bianco per distinguerlo da Clito il Nero, è stato un ammiraglio macedone che seguì l'esercito di Alessandro Magno in Asia. Nel 324 a. C. era stato rimandato in Macedonia insieme coi veterani ricondotti da Cratero. Posto da Antipatro e da Cratero a capo della flotta macedonica nella guerra contro le città greche dissidenti, vinse l'armata ateniese in due battaglie navali presso Abido e Amorgo (primavera-estate del 322). Ricompensato nella spartizione di Triparadiso (321 a. C.) con la satrapia della Lidia, ne fu cacciato, due anni più tardi, da Antigono e costretto a rifugiarsi in Macedonia presso Poliperconte. Quando, nell'estate del 318, Antigono si disponeva a passare in Europa per congiungere le sue forze con quelle di Cassandro, Poliperconte inviò Clito con tutta la flotta a sbarrargli il passo nella Propontide, ma nella battaglia che ne seguì, nel Bosforo Tracio, Clito fu sconfitto e ucciso.

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Poro è il re indiano il cui dominio si estendeva, al tempo dell'invasione di Alessandro, su quella parte del Panjab limitata dall'Idaspe e dall'Acesine.

Incontro di Alessandro Magno e il re Poro

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Poro si alleò con l'imperatore persiano Dario III quando dovette fronteggiare Alessandro Magno a Gaugamela nel 331 a. C., inviandogli un contingente di 1000 fanti e 15 elefanti comandati da due dei suoi figli. Successivamente, allorché il conquistatore macedone decise di invadere le province dell'India chiedendo a tutti i ragià indiani di fare atto di sottomissione, Poro gli fece pervenire una minacciosa risposta: «Mi preparo ad accogliervi, ma con le armi!».

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Lo scontro tra le forze di Poro e quelle di Alessandro avvenne nel 326 a.C., sulle rive dell'Idaspe: il re indiano disponeva di 50.000 uomini, 3000 cavalieri e ben 200 elefanti da guerra, Alessandro di 50.000 fanti e 4000 cavalieri.

Battaglia dell’Idaspe

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Poro oppose una forte resistenza all'esercito nemico, ma fu poi completamente sconfitto nella storica battaglia in cui lui stesso, dal suo elefante da guerra, combatté valorosamente, scagliando lance contro i nemici che si avvicinavano circondandolo. Alla fine anche lui fu ferito gravemente e dovette ritirarsi dal campo di battaglia.

A questo punto la battaglia finì e Alessandro, credendolo morto, ordinò ai suoi di spogliare il cadavere ma il ragià indiano fu difeso valorosamente dal suo elefante che impedì a chiunque di molestare il suo padrone e addirittura, con la proboscide, svelse la lancia conficcata nella sua spalla. Commosso da ciò, il condottiero ellenico andò a trovare l'avversario che, ferito, era stato preso in cura dai suoi. Alla domanda di come volesse essere trattato, Poro rispose orgogliosamente: "Come un re!". E Alessandro lo trattò da re: lo reinsediò nel suo palazzo, gli lasciò il regno e anzi lo nominò satrapo di tutti i territori indiani finora conquistati, pur sotto l'autorità del comandante militare macedone di Alessandria Nicea. In tal modo divenne, dunque, un suo vassallo. Dal canto suo, Poro donò all'antico avversario un contingente di 5000 uomini, per farlo proseguire nelle sue conquiste oltre il Gange, ma l'esercito del conquistatore rifiutò di andare avanti e pertanto lo costrinse a tornare indietro.

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Acquaforte di Audran Gérard (1640/ 1703): Alessandro Magno accoglie il re Poro ferito.

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http://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/3y010-01389/

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Pèritas, il cane di Alessandro Magno

Pèritas entra nella vita di Alessandro quando questi, ancora ragazzino, partecipò alla sua prima battuta di caccia con altri amici della sua età oltre a papà Filippo con i suoi generali e alcuni ospiti tra cui Alessandro d’Epiro, il re epirota fratello di mamma Olimpiade e quindi zio omonimo del macedone. All’indomani della caccia conclusasi con successo lo zio portò al nipote il cucciolo la cui madre era stata uccisa dal leone durante la caccia. Come Alessandro vide il cagnolino di un bel colore fulvo, con una macchia più chiara in mezzo alla fronte, di nome Pèritas, se lo appoggiò sulle ginocchia e cominciò ad accarezzarlo. Il cucciolo si mise a leccare una mano di Alessandro ed era nato così il sodalizio tra i due come sarà poi come quello fra Alessandro e il suo cavallo Bucefalo.

Pèritas seguiva il suo padrone dappertutto e quando Alessandro era in procinto di partire per l’Asia fu legato con una grossa catena perché non si muovesse da Pella. Ma non appena Alessandro ebbe lasciato la reggia, il molosso concentrò tutte le sue forze per staccare un anello della catena e come riuscì nell’impresa dopo molti giorni, si lanciò subito all’inseguimento del padrone fino a raggiungerlo nelle acque dell’Ellesponto e poi seguirlo nella campagna d’Asia.

Secondo le cronache di Plutarco e di Plinio il Vecchio, Pèritas salvò la vita del suo padrone in uno scontro con le truppe di Dario III in Persia, quando nella battaglia di Gaugamela Alessandro cadde da cavallo e stava per essere calpestato da un elefante da guerra persiano. Pèritas attaccò con grande coraggio l’elefante azzannandolo al labbro.

Pèritas morì in battaglia nel 326 a. C. in India e Alessandro non solo lo pianse facendogli ergere un monumento, ma fondò da quelle parti anche una città a suo nome, come fece per Bucefalo.

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Statua al British Museum raffigurante un Molosso d’Epiro, razza canina a cui sarebbe appartenuto Pèritas.

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Alcuni studiosi moderni ritengono che Pèritas fosse un cane lontano dall'archetipo molossoide: un cane indubbiamente tenace e coraggioso, ma di fattezze snelle, nervose, atte alla corsa e, quindi, davvero capace di stare al fianco del suo padrone quando questi combatteva in sella al comando della sua cavalleria.

Questa ipotesi è plausibile se si osserva che tra le statue e i rilievi del “Sarcofago di Alessandro” le numerose figure di cani, tutte impegnate in azioni di lotta e/o caccia, rassomigliano più a dei muscolosi levrieri che non a dei mastini.

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Particolare del “Sarcofago di Alessandro” raffigurante Alessandro Magno a cavallo accompagnato da un cane (Pèritas?) simile a un levriero.

 

Il "Mosaico della caccia al cervo" della reggia argeade di Pella raffigura poi un cane, ritenuto da alcuni studiosi proprio Pèritas, con fattezze affatto dissimili dallo scomparso canis laconicus, antica razza di cane da caccia molto apprezzata e utilizzata dagli antichi Greci.

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Alessandro Magno incontra il filosofo Diogene di Sinope

Nel 336 a. C. Alessandro era in visita a Corinto e tutti i maggiorenti della città si affrettarono a rendergli onori e congratulazioni. Andarono anche i filosofi della città, tutti tranne Diogene di Sinope che non gli diede la minima attenzione, continuando a godersi il suo tempo libero nel sobborgo di Craneion. Così fu Alessandro a recarsi di persona a rendergli visita per conoscere la persona di cui tanto gli aveva parlato Aristotele e lo trovò disteso al sole. Diogene, quando vide tanta gente venire verso di lui, sollevò un po' lo sguardo e fissò negli occhi Alessandro. E quando il monarca si rivolse a lui salutandolo e gli chiese se volesse qualcosa, egli rispose "Sì, stai un po' fuori dal mio sole".

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Si dice che Alessandro fu così colpito da questa frase e ammirò molto la superbia e la grandezza di un uomo che non aveva nulla ma solo disprezzo nei suoi confronti, da dire ai suoi seguaci, che ridevano e scherzavano sul filosofo mentre si allontanavano: "Davvero, se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene.”

 

Esistono versioni su versioni dell’aneddoto sull’incontro di Alessandro e Diogene che, a quanto riportano Plutarco e Diogene Laerzio, morirono lo stesso giorno, nel 323 a. C. Anche se questa coincidenza è sospetta poiché potrebbe essere oggetto di un'invenzione, l'aneddoto e l'incontro tra i due personaggi è stato oggetto di molte opere letterarie e artistiche nel corso dei secoli, dagli scritti di Diogene Laerzio alla ricostruzione drammatica dell'incontro fatta da Davis Pinsker nel 1930. La letteratura e le opere d'arte sul soggetto sono estremamente ampie.

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L’ingresso di Alessandro in Babilonia

Trionfante a bordo di un carro dorato trainato da elefanti, con lo scettro in mano e il capo cinto d'alloro, Alessandro Magno fa il suo ingresso nella città di Babilonia dopo aver ripetutamente sconfitto l'esercito persiano. Sulla sinistra, un gruppo di musicisti gli fa strada, mentre dietro di lui si affollano i suoi generali e i portatori che portano il ricco bottino di guerra. La celebrazione ebbe luogo nell'autunno del 331 a.C. e segnò la definitiva scomparsa dell'antico impero persiano, che fu assorbito nel vasto regno del conquistatore macedone.

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L'arazzo è il più grande e complesso della serie “La storia di Alessandro”. È certamente l'opera più riuscita, nonostante la necessaria semplificazione rispetto al modello su cui si basa la straordinaria composizione disegnata per Luigi XIV da Charles le Brun. Nel progettare questa rappresentazione della scena storica, il pittore di corte del Re Sole volle ovviamente sottolineare l'aspetto esotico dell'impresa di Alessandro, includendo gli elefanti che trainano il carro del conquistatore e alcune figure in abiti orientali nell'angolo in basso a sinistra, sotto la statua di una divinità femminile. Come gli altri pannelli della serie, anche il presente arazzo presenta un bordo decorato con vari trofei militari.

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Acquaforte 380 x 627 mm. L’incisione riproduce nello stesso verso il grande quadro del 1665 di Charles le Brun “Ingresso di Alessandro Magno in Babilonia” oggi conservato al museo del Louvre.

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Artist: Italian School-Lombardy

Title: Ingresso trionfale di un re (Alessandro Magno a Babilonia?)

Medium: pencil, pen and ink, watercolor and white lead on paper

Size: 52 x 103.5 cm. (20.5 x 40.7 in.)

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https://www.artnet.com/artists/italian-school-lombardy/ingresso-trionfale-di-un-re-alessandro-magno-aa-JMo65gFBnZqlztObNsizug2

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Morte di Alessandro Magno

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Alessandro è morto a Babilonia il 10 o 11 giugno 323 a. C. per cause imprecisate: forse avvelenato, forse per una recidiva della malaria che aveva contratto in precedenza, forse per una cirrosi epatica provocata dall’abuso di vino, forse per una pancreatite acuta. Più recentemente, uno studio neozalendese propende invece per una malattia neurologica nota come sindrome di Guillain-Barré.

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Ho già avuto modo di parlare sul Forum di questa tesi sulla morte di Alessandro Magno sostenuta dalla ricercatrice Katherine Hall in base alla considerazione che, da quanto riportano le cronache, il suo corpo non ha mostrato alcun segno di decomposizione per sei giorni dopo la morte e lui sarebbe rimasto con la piena capacità di intendere e volere fino a poco prima di morire nonostante la febbre seguita da dolore addominale e paralisi progressiva e simmetrica.

La Hall ritiene che questi elementi siano una diagnosi della sindrome contratta da un'infezione da Campylobacter pylori (comune all'epoca e motivo frequente della stessa malattia), che ha prodotto la paralisi senza portare a confusione o incoscienza, ma mantenendo l’attività cerebrale.

La sindrome prende il nome dai neurologi francesi Georges Guillain e Jean Alexandre Barré che la descrissero insieme al medico francese André Strohl nel 1916. È dovuta a una disfunzione del sistema immunitario che attacca erroneamente i nervi periferici e danneggia il loro isolamento mielinico. Questa rara disfunzione immunitaria (1 o 2 casi per 100.000 individui all'anno) descritta la prima volta nel 1859 da un medico francese ma probabilmente sempre presente nella storia umana è la causa più comune di paralisi acuta ed è generalmente contratta da un’infezione causata da batteri attraverso la bocca mangiando carne contaminata e poco cotta, soprattutto pollo, o bevendo acqua contaminata.

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Lo storico Svetonio scrive che Ottaviano Augusto si recò in Egitto a far visita al sepolcro di Alessandro nel 30 a.C. (subito dopo la vittoria di Azio e il suicidio di Cleopatra e di Marcantonio). Depose una corona laureata d'oro sul suo capo, e quindi il corpo era ancora in buono stato di conservazione.

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https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/alessandro-magno-immerso-nel-miele/133672.html#:~:text=Lo storico Svetonio scrive che,di conservazione e Stazio riporta

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Il funerale di Alessandro Magno

Autentica stampa antica di lastra di libro incisa in acciaio su carta di oltre 135 anni. È tratta dall'Atlante tedesco Bilder, considerato il più ampio lessico di immagini naturali e scientifiche del XIX secolo, pubblicato a Lipsia da Brockhaus nel 1874.

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Corteo funebre di Alessandro Magno "A Bauchant | 1940".

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Nel dipingere questo quadro André Bauchant sembra aver seguito molto da vicino la descrizione del carro funebre e del corteo di accompagnamento riportata nell'Histoire Ancienne di Charles Rollin, che, secondo Maximilien Gauthier (op. cit., p.43), era uno dei suoi libri preferiti. La traduzione inglese The Ancient History of Egyptians, Carthaginians, Assyrians, Babylonians, Medes and Persians, Grecians and Macedonians (Londra, 1830 circa), Vol.3, pp.530-1, riporta questo passaggio come segue:

Appena questi [i binari lungo i quali doveva passare la processione] furono spianati, partì da Babilonia quel magnifico carro la cui invenzione e il cui disegno suscitarono tanta ammirazione quanto le immense ricchezze che vi luccicavano intorno. Il corpo del carro poggiava su due assi che erano inseriti in quattro ruote, realizzate alla maniera persiana, le cui navate e raggi erano ricoperti d'oro e i felli rivestiti di ferro. Le estremità delle assi erano fatte d'oro e rappresentavano i musi dei leoni che mordono un dardo. Il carro aveva quattro travi di traino, o pertiche, a ciascuna delle quali erano imbrigliate quattro serie di muli, ognuna delle quali era composta da quattro di questi animali; così questo carro era trainato da sessantaquattro muli. Per l'occasione furono scelti i più forti e i più grandi. Erano adornati con corone d'oro e collari arricchiti con pietre preziose e campane d'oro.

Su questo carro fu eretto un padiglione d'oro intero, largo dodici piedi e lungo diciotto, sostenuto da colonne di ordine ionico, abbellite con foglie d'acanto. L'interno era ornato da un tripudio di gioielli, disposti a forma di conchiglia. La circonferenza era abbellita da una frangia di rete d'oro; i fili che componevano la trama avevano uno spessore di un pollice e a questi erano fissati grandi campane, il cui suono si sentiva a grande distanza.

Le decorazioni esterne erano disposte in quattro rilievi. Il primo rappresentava Alessandro seduto su un carro militare, con uno splendido scettro in mano, circondato da un lato da una truppa di macedoni in armi e dall'altro da un numero uguale di persiani armati alla loro maniera. Questi erano preceduti dagli equiguri del re.

Nella seconda si vedevano elefanti completamente bardati, con un gruppo di indiani seduti sulla parte anteriore del corpo e, sulla parte posteriore, un altro gruppo di macedoni, armati come in battaglia. La terza mostrava alla vista diversi squadroni di cavalli schierati in assetto militare. Il quarto rappresentava navi che si preparavano per una battaglia.

(segue)


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All'ingresso del padiglione c'erano leoni d'oro che sembravano fare la guardia al passaggio.

I quattro angoli erano ornati da statue d'oro che rappresentavano le Vittorie, con trofei d'armi in mano. Sotto il padiglione era collocato un trono d'oro di forma quadrata, ornato da teste di animali, il cui collo era circondato da cerchi d'oro larghi un metro e mezzo: a questi erano appese corone che scintillavano dei colori più vivaci, come quelle che venivano portate in processione durante la celebrazione di solennità sacre.

Ai piedi del trono fu posta la bara di Alessandro, fatta d'oro battuto e riempita per metà di spezie aromatiche e profumi, sia per emanare un odore gradevole, sia per la conservazione del cadavere. Una coltre di porpora lavorata con l'oro copriva la bara.

Tra questa e il trono erano disposte le braccia del monarca come le portava da vivo.

Anche l'esterno del padiglione era ricoperto di porpora fiorita d'oro. La parte superiore terminava con una corona molto grande dello stesso metallo, che sembrava essere una composizione di rami d'ulivo. I raggi del sole, che sfrecciavano su questo diadema, in concomitanza con il movimento del carro, facevano sì che esso emettesse una sorta di raggi come quelli di un fulmine...

Il carro era seguito dalle guardie reali, tutte in armi e magnificamente vestite.

La moltitudine di spettatori di questa solennità è difficilmente credibile; ma erano attirati sia dalla venerazione per la memoria di Alessandro, sia dalla magnificenza di questa pompa funebre, che non era mai stata eguagliata al mondo".

Robin Lane Fox afferma che la fonte di Rollin è Diodoro Siculo. Sono stati fatti diversi tentativi molto eruditi per ricostruire l'aspetto del carro funebre, ma l'immagine di Bauchant sembra essere stata prodotta in modo del tutto indipendente da questi.

 

Pubblicato in: Ronald Alley, Catalogue of the Tate Gallery's Collection of Modern Art other than Works by British Artists, Tate Gallery and Sotheby Parke-Bernet, Londra 1981, pp.34-5, riprodotto a p.34

 

apollonia


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