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Diritti di coniazione


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Buongiorno a tutti,

avrei una curiosità sui diritti di coniazioni per monete del 1800 italiano. In particolare, mentre mi è perfettamente chiaro come poteva funzionare il Signoraggio nel medioevo (un privato portava una certa quantità di materiale prezioso in zecca per monetizzarlo, la zecca tratteneva una parte del materiale e coniava monete con il restante), vorrei sapere come avveniva formalmente questo processo per le zecche degli stati pre-unitari, immaginando che le zecche si procurassero oro e argento direttamente.

In altre parole, in che forma/modalità (diretta o indiretta) venivano effettivamente ottenuti dalle zecche i diritti di coniazione? E, inoltre, quale era il processo attraverso il quale le monete coniate venivano immesse in circolazione?

Grazie! Saluti

 

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Il 4/2/2023 alle 09:43, QuintoSertorio dice:

Buongiorno a tutti,

avrei una curiosità sui diritti di coniazioni per monete del 1800 italiano. In particolare, mentre mi è perfettamente chiaro come poteva funzionare il Signoraggio nel medioevo (un privato portava una certa quantità di materiale prezioso in zecca per monetizzarlo, la zecca tratteneva una parte del materiale e coniava monete con il restante), vorrei sapere come avveniva formalmente questo processo per le zecche degli stati pre-unitari, immaginando che le zecche si procurassero oro e argento direttamente.

In altre parole, in che forma/modalità (diretta o indiretta) venivano effettivamente ottenuti dalle zecche i diritti di coniazione? E, inoltre, quale era il processo attraverso il quale le monete coniate venivano immesse in circolazione?

Grazie! Saluti

 

 

Le procedure di emissione e coniazione nel corso dell'ottocento non erano molto diverse da quelle tipiche dei secoli precedenti, direi che la differenza più sostanziale sta nello sviluppo di una sempre maggiore razionalizzazione dei sistemi monetari, con sforzi sempre più accentuati nei vari stati preunitari e poi anche nell'Italia unitaria di centralizzare, standardizzare e normativizzare tutte le procedure, cioè si producono leggi monetarie che mirano a regolare in maniera dettagliata tutta la materia inerente le monete (esempio classico la legge del Regno delle Due Sicilie del 1818), si creano sistemi monetari con un preciso e determinato standard, monometallico o bimetallico, si precisa quali tipologie monetarie siano a corso legale all'interno dei confini di uno stato con il loro valore relativo in moneta locale, si accentrano tutte le attività di zecca in sedi uniche o comunque molto più ridotte con un'amministrazione diretta da parte di organi e funzionari statali abbandonando il sistema degli appalti che era prevalente in passato, non che nei secoli precedenti tutto ciò non esistesse, ma nel corso dell'ottocento si assiste anche nei fatti e non solo sulla carta ad una effettiva e maggiore razionalizzazione di tutto il sistema inerente la moneta, con rilevanti innovazioni anche tecnologiche nei processi di produzione.

L'iniziativa nelle procedure di emissione della moneta è duplice, può essere avviata dai privati come dallo stato, ma bisogna distinguere sempre in base ai sistemi monetari vigenti, su base monometallica o bimetallica con eventuali limitazioni alla libera coniazione in un metallo o nell'altro, generalmente la coniazione delle monete di rame/bronzo, di carattere fiduciario, è riservata ovunque allo stato, mentre per i metalli preziosi, oro e argento, è consentita la libera coniazione da parte dei privati, nel Regno delle Due Sicilie era l'argento il metallo standard che permetteva in misura illimita l'estinzione di ogni tipo di obbligazione, sia di natura pubblica, quindi fiscale, che privata, l'oro aveva carattere sussidiario, emesso solo su iniziativa privata e non rapportato ad un valore fisso nei confronti dell'argento, ma lasciato libero di fluttuare secondo il prezzo di mercato del momento, quando dei privati desideravano portare oro in zecca per riceverne monete auree, ricevevano delle monete d'oro sostanzialmente puro (996 millesimi) con la sola trattenuta delle spese di coniazione, la zecca generalmente una volta ricevuto e contabilizzato il metallo consegnava al privato una ricevuta da presentare al Banco delle Due Sicile che provvedeva alla consegna dell'ammontare di monete corrispondenti al metallo portato in zecca, l'emissione di monete d'argento invece poteva avvenire sia per iniziativa privata che pubblica, lo stato coniava per effettuare i suoi pagamenti e onorare i suoi debiti, in primis il debito pubblico, in seguito ai pagamenti statali vari flussi di moneta entravano in circolazione, anche grazie al tramite del Banco delle Due Sicilie che faceva da intermediario tra le attività finanziarie dello stato, la zecca e i privati...

Ovviamente le specifiche procedure potevano essere diverse in base ai sistemi monetari vigenti e alle relative norme emanate nei diversi stati, ma più o meno il meccanismo era quello descritto sopra, è da considerare anche la variabile della cartamoneta, più o meno presente e influente nei diversi ordinamenti, nel Regno delle Due Sicilie non circolava vera e propria cartamoneta, cioè titoli al portatore e non nominativi, ma fedi di credito, titoli appunto nominativi ma che potevano essere girati a terzi estendendo la loro efficacia e diffusione nella circolazione...

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4 minuti fa, talpa dice:

l'emissione di monete d'argento invece poteva avvenire sia per iniziativa privata che pubblica

Tutto chiaro, grazie! Ho solo un dubbio su questo punto citato. Consideriamo, esempio di mio interesse attuale, lo stato pontificio di metà ottocento: se un privato portava una certa quantità di argento in zecca e chiedeva di monetizzarlo, le sue monete risultanti gli costavano una piccola parte dell'argento consegnato. Ovvero, i 20 baiocchi che aveva in tasca uscendo dalla zecca gli erano costati leggermente più di 20 baiocchi (ovvero dell'argento in esso contenuto). In questo caso i diritti di coniazioni mi sono chiari. Se invece lo stato decideva di sua iniziativa (pubblica) di coniare 20 baiocchi, come faceva ad esigere i diritti di coniazioni dalla persona a cui quei 20 baiocchi poi andavano a finire?

Spero di essere riuscito a spiegare il mio dubbio,

Saluti!

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24 minuti fa, QuintoSertorio dice:

Tutto chiaro, grazie! Ho solo un dubbio su questo punto citato. Consideriamo, esempio di mio interesse attuale, lo stato pontificio di metà ottocento: se un privato portava una certa quantità di argento in zecca e chiedeva di monetizzarlo, le sue monete risultanti gli costavano una piccola parte dell'argento consegnato. Ovvero, i 20 baiocchi che aveva in tasca uscendo dalla zecca gli erano costati leggermente più di 20 baiocchi (ovvero dell'argento in esso contenuto). In questo caso i diritti di coniazioni mi sono chiari. Se invece lo stato decideva di sua iniziativa (pubblica) di coniare 20 baiocchi, come faceva ad esigere i diritti di coniazioni dalla persona a cui quei 20 baiocchi poi andavano a finire?

Spero di essere riuscito a spiegare il mio dubbio,

Saluti!

 

Beh, nel caso di iniziativa pubblica dell'emissione non esistevano diritti di coniazione, che si esigevano unicamente su iniziativa privata e in base alla differenza tra valore intrinseco del metallo contenuto nelle monete e valore legale delle stesse, la libera coniazione era un servizio che lo stato concedeva ai privati e in quanto tale soggetto a delle spese, ma non sempre, dipendeva come detto sopra anche dal tipo di metallo coniato e dal sistema monetario vigente, nel Regno delle Due Sicile e in Inghilterra ad esempio l'oro portato in zecca era quasi interamente corrisposto in monete detratte le sole spese di coniazione ed eventuale raffinazione del metallo, non c'erano altre spese...

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Domande quelle di @QuintoSertorio estremamente corrette. Riporto per il periodo Napoleonico quanto segue relativamente ai Privati. Se ne deduce che la cosiddetta moneta reale aveva un valore lievemente inferiore a quello legale: 

Val.legale = Val.reale + diritto.coniazione + spesa.raff./partizione

(n. 21) Decreto che determina la fabbricazione di una nuova moneta per il Regno d’Italia - 21 marzo 1806

......

TITOLO V

Disposizioni d’ordine.

32. La zecca non esigerà da coloro che le porteranno materie d’oro o d’argento per essere convertite nelle monete portate dal presente Decreto, che la spesa di fabbricazione. Questa spesa è fissata a nove lire per ogni libbra d’oro (kilogramma), e a tre lire per ogni libbra d’argento[1].  

33. Se le materie sono di titolo inferiore al titolo monetario, la zecca esigerà altresì la spesa di raffinazione e partizione. Questa spesa sarà calcolata sulla porzione delle materie medesime, che raffinata basti a innalzarne la totalità al titolo monetario, e verrà precista a norma della Tariffa da pubblicarsi.


[1] Dunque circa il 3‰ per l’oro e 15‰  per l’argento del valore monetato.

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Almeno per la zecca di Bologna nell'Ottocento, il concetto di monetare i metalli preziosi portati in zecca va inteso in senso lato.

Non è che il commerciate portasse in zecca dell'oro pretendendo che quello stesso venisse monetato. Più spesso la zecca acquistava l'oro (cioè in lega con altri metalli) dopo averne valutato il titolo; se questo era inferiore al titolo da monetare, l'oro doveva essere "partito" e ciò comportava spese non indifferenti: di conseguenza il venditore riceveva (a parità di metallo, ma in bassa lega) un prezzo inferiore che per titoli elevati. Il venditore  veniva pagato in modo dilazionato (dopo aver eseguito un saggio sul titolo) in moneta "nuova di zecca", già coniata; a volte tuttavia, quando l'attività in zecca era scarsa, il pagamento era fatto effettivamente con le monete coniate (decurtate delle spese di cui al post precedente) sempre modo dilazionato. Analogo discorso per l'argento.

Spesso la zecca coniava i metalli demonetati. In tal caso gli ordini erano governativi e bisognava fare di necessità virtù, a costo di coniare in perdita. Così non raramente (come descritto a Bologna, zecca pontificia) le monete rifuse (per es. quelle delle nazioni limitrofe), acquistate al valore nominale (o anche più basso, se tosate o fortemente consunte), presentavano, quando saggiate, un titolo ed un peso inferiore a quello ufficiale; vi era poi da tener conto delle perdite di fusione (raffinazione). Lo Stato aveva la necessità di rifornire i mercati di moneta reale propria e queste demonetazioni erano necessarie a mantenere attiva la produzione. La zecca chiedeva al Governo Centrale di conguagliare le spese in perdita, ma ciò non sempre si verificava. Roma però (sempre parlando di Stato Pontificio) concedeva in quei casi di battere moneta plateale (di rame o di biglione) che rappresentava fonte di guadagno per la stessa zecca e permetteva di pareggiare le perdite o di guadagnare.

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Complesso e variegato il modo di immettere in circolazione quanto coniato. La moneta veniva depositata nelle casse pubbliche (Cassa della Depositoria Generale in Roma, e Cassa camerale di Bologna) oppure nelle casse dei Monopoli (molto interessanti le ricevitorie del lotto), che provvedevano poi, poco alla volta, a far circolare il numerario. Ovviamente anche il pagamento ai privati per i metalli forniti era una forma di immissione in circolazione ...

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7 minuti fa, Giov60 dice:

Spesso la zecca coniava i metalli demonetati.

Infatti il mio dubbio era scaturito proprio dalla lettura del chirografo della riforma monetaria di Gregorio XVI in cui si dice: 

Nella coniazione poi delle nuove monete non solo adopererete le paste di oro e di argento che esistono nelle nostre Zecche, e che vi saranno portate; ma all’opportunità farete fondere le monete di antica coniazione, specialmente le estere, e più che le altre quelle che sieno altrove fuori di corso, le quali andran colando nelle pubbliche casse

Poi però si parla anche di un determinato "diritto di coniazione":

1.º Che si diminuiscano i diritti di coniazione, che ora le nostre Zecche sottraggono dal valore del metallo fino per l’oro alla ragione di baj. 72. e 4/100 per ogni cento scudi di valore, e per l’argento in ragione di scudi 2. e 5/8 per ogni cento, riducendoli per l’argento al 2. per %, e per l’oro al mezzo per cento.

e non riuscivo a riconciliare quel "..che ora le nostre Zecche sottraggono..." con il fatto che si usassero "le paste [...] che esistono nelle nostre Zecche".

 

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Ecco uno specifico regolamento di attuazione del chirografo 10 gennaio 1835:

Ordine Circolare del Tesoriere Generale Antonio Tosti

Sulle monete d’oro pontificie di antica coniazione - 27 agosto 1836 [1]

A provvedere al comodo di quelli i quali in luoghi distanti si trovano possessori di monete fuori di corso; a togliere gl’inconvenienti, che per opera di speculatori in più luoghi sono invalsi nel cambio delle monete d’oro di non giusto peso; e per favorire il commercio, cui giova il corso, quanto più si possa, libero e franco del danaro, col quale quasi tutti i contratti eseguisconsi, si ordina e prescrive quanto siegue.

1°. Le monete pontificie di oro di antica coniazione, le quali sono portate in tariffa secondo il loro peso originario, non sono fuori di corso, e si riceveranno e daranno rispettivamente dalle Casse pubbliche, quando il calo sia dentro il limite di un grano; la quale tolleranza di antico uso non è stata tolta colla Tariffa dei 10 Gennaio 1835; mentre il notamento che leggesi sotto la tabella delle monete d’oro riguarda espressamente le monete estere, alle quali si è attribuito il peso già ridotto ed il corrispondente valore; ed è stata implicitamente confermata colla Notificazione dei 15 Gennaio 1835, in cui si dichiarò che le monete pontificie debbono aver corso nello stesso modo, che lo avevano in passato.

2°. Quelle monete pontificie di antica coniazione, le quali pesate in giusta bilancia si riconoscano calanti oltre la suddetta tolleranza di uso, non han più corso forzato: dovranno peraltro riceversi dalle Casse pubbliche colla sola e semplice diminuzione del valore, che s’indicherà appresso. Le Casse pubbliche non potranno ridarle in pagamento, e dovranno inviarle separate e distinte dalle altre monete correnti alla Cassa della Depositoria Generale in Roma, ed alla Cassa camerale di Bologna se si tratta delle quattro legazioni di Bologna, Forlì, Ravenna e Ferrara; nelle quali due Casse saranno ricevute colla medesima e sola diminuzione, con cui sonosi ricevute dalle Casse che le versano, notandole per partita distinta, e rilasciandone una fede separata e distinta anch’essa.

3°. Le due Casse di Roma e di Bologna le passeranno alle rispettive Zecche, ritirandone ricevuta, che faccia riconoscere la qualità e numero delle monete, e la quantità de’ grani calanti per ciascuna specie. Le Zecche poi le ridurranno in pasta, e daranno alla Cassa il valore corrispondente alla pasta ritrattane.

4°. Se vi fosse differenza in meno la Cassa sarà rimborsata col mezzo di mandato da trarsi dalla Computisteria generale della Rev. Cam. Apostolica sul fondo destinato alla rinnovazione delle monete.

5°. Ogni grano, che manchi nelle doppie e loro spezzati, si valuterà Baj. tre; ed ogni grano che manchi negli zecchini, e relativi spezzati, e moltiplicati, si valuterà Baj. tre e mezzo.

6°. Si dichiara, che tutto l’intero calo, che la moneta presenta, dev’essere valutato nel modo soprindicato, non escluso il primo grano, che nelle monete meno logore e consunte viene tollerato, come si è detto nei §§ 1, e 2.

7°. Gli Amministratori Camerali, i Cassieri, ed altri impiegati ed addetti alle Casse, che si arbitrassero a prendere per i cali delle indicate monete somme maggiori, saranno obbligati alla restituzione, non senza prendere misure di rigore a loro carico. Andranno altresì soggetti a punizione se dassero essi in pagamento le monete da portarsi in Zecca; come ancora se ricusassero di prendere , ed anche cambiare le monete calanti nel modo sopra indicato, quando ne sieno richiesti da coloro, i quali debbano eseguire de’ pagamenti, o vogliano concambiarle per avere moneta spendibile.

8°. Se si trattasse però di partite considerevoli relativamente alla forza della Cassa, di cui si tratti, e che si presentassero pel semplice concambio, potranno ricusarsi per non arrecare pregiudizio al corso de’ pagamenti, che la Cassa dee fare in buona moneta. In tal caso i possessori dovranno presentarle alle Casse principali, seppure non preferissero (ciò ch’è sempre a tutti permesso) di portarle alle Zecche per pasta, stando al vantaggio, o alla perdita maggiore che ne risulti.

9°. La esecuzione di queste misure si raccomanda, nelle provincie agli E.mi signori Cardinali Legati, ed ai Prelati Pro-Legati, e Delegati, indipendentemente da quelle, ch’eglino credessero opportuno di prendere, in ispecie per frenare le indebite percezioni dei cambia-moneta, e per gli altri inconvenienti, che accadesse di dover reprimere.

Roma li 27 Agosto 1836.

Il Tesoriere generale A. TOSTI

 

[1]  Roma, 27 agosto 1836 - circolare a stampa sulla tolleranza, ricevimento, valutazione e trasmissione alle zecche delle monete d’oro Pontificie di antica coniazione.

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Supporter

Cari e care,

 

Non ho ahimè in questi giorni il tempo di leggervi dedicandovi la giusta attenzione.

Il discorso è per me comunque molto interessante.

 

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  • 3 settimane dopo...
Supporter
Il 4/2/2023 alle 09:43, QuintoSertorio dice:

E, inoltre, quale era il processo attraverso il quale le monete coniate venivano immesse in circolazione?

 

Il 6/2/2023 alle 22:07, Giov60 dice:

Complesso e variegato il modo di immettere in circolazione quanto coniato.

Qui vedete un tagliando che notifica una spedizione di metallo prezioso (oro e argento) a testimonianza di come venissero movimentati gruppi di preziosi. Se ne legge il valore dichiarato in lire. Siamo nel 1850, nel Lombardo Veneto (da Morbegno a Milano), dovremmo dedurre che di lira austriaca si tratti.

La ricevuta non ci dice molto altro se non che la spedizione è indirizzata presumibilmente a un privato. Si sarà trattato di metallo già monetato o di metallo grezzo? Non lo sappiamo. Magari si trattava di candelieri a 800/1000, chissà... Mi piacerebbe imbattermi un giorno in una ricevuta di una spedizione indirizzata alla zecca.

 

 

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