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"Roma" risorge dal passato


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ROMA, 02 FEB - L'elmo, la lancia, il profilo fiero: dagli scavi della metro C di Roma, alla stazione di Porta Metronia, torna alla luce dopo centinaia di anni un raffinatissimo reperto dell'antica Roma, una personificazione della Città Eterna. Un tema iconografico già noto, ma è il primo e unico caso finora al mondo in cui ci è arrivato eseguito su un vetro dorato. "Già un vetro dorato è un reperto molto raro - spiega all'ANSA la funzionaria archeologa della Soprintendenza speciale di Roma Simona Morretta - ma questo non ha confronto allo stato attuale degli studi. Non si era mai trovato un vetro dorato con la personificazione della città di Roma".

Si tratta, prosegue l'esperta, di un reperto di "straordinaria finezza esecutiva". Originariamente era il fondo di una coppa, "un oggetto particolare che spesso veniva utilizzato come dono". In sostanza, come avviene del resto anche ai giorni nostri con alcuni particolari bicchieri o boccali, il bevitore, mentre consumava il contenuto della coppa, poteva guardare in trasparenza l'immagine sul fondo: "Noi non sappiamo - sottolinea Morretta - se venisse usato realmente per contenere qualcosa o come soprammobile, ma certamente mettere una immagine sul fondo rispecchia quell'idea". Il manufatto ha vissuto diverse 'vite' prima di arrivare fino a noi: "Era un oggetto prezioso - spiega ancora - e quando si è rotto o scheggiato non l'hanno voluto buttare. Ma dato che una coppa di vetro non si poteva riparare, ne è stato 'ritagliato' il fondo, e può darsi che sia stato esposto su un mobile o appeso a una parete". Il reperto non appartiene alla caserma trovata negli scavi. La struttura militare fu abbandonata alla metà del III secolo, e in seguito 'rasata', i muri tagliati, le macerie buttate all'interno e tutto ricoperto di terra. Il vetro dorato è emerso proprio da questi strati di interro, ed è posteriore: "Da questo primo studio - aggiunge l'archeologa - ci sembra un manufatto degli inizi del IV secolo". Ora vivrà un'altra vita, "quella che gli daremo noi, rendendola di fruizione pubblica: avrà una teca dedicata nella stazione-museo della metro di Porta Metronia".

Da https://www.msn.com/it-it/lifestyle/notizie/dagli-scavi-metro-c-emerge-roma-donna-simbolo-della-città/ar-AA171QFW?ocid=msedgntp&cvid=88900d898c424555aa1c401d74cd84c1

 

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VETRO DORATO ROMANO

 
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La decorazione a vetro dorato è la tecnica molto antica di un'immagine o un motivo in foglia d'oro, vale a dire un foglio d'oro sottilissimo (l'oro è l'elemento più malleabile che esiste), con purezza di 22 carati (22 su 24), che viene fuso tra due strati di vetro trasparente.

La procedura prevedeva che il vetro, incolore o colorato, venisse soffiato in una sfera, da cui si ritagliava una lastrina piatta di 7/12 cm di diametro, detta foglia. Una di queste veniva poi fissata sul vetro con della gomma arabica (una gomma naturale estratta fin dai tempi antichi da due tipi di acacia subsahariana), e veniva poi grattata secondo un disegno già predisposto ricavandone una decorazione o un'immagine precisa.

Il contenitore in vetro a cui si applicava la decorazione doveva avere una parte piatta di dimensioni simili al disco decorato, e veniva a questo sovrapposto, in modo che si fondessero insieme. Il contenitore era poi riscaldato un'ultima volta per completare la fusione facendone un corpo unico.
 
Ma la storia della doratura inizia nell’antico Egitto (già nota alla metà del IV millennio) dove l’oro veniva utilizzato per decorare sculture e sarcofagi imperiali, ma si usava pure decorare il vetro, per poi essere esportata in Grecia, dove erano le corna dei bovini ad essere dorate assieme ad elementi architettonici, mobilio e armi e vetro, e poi a Roma dove venne applicata agli altri diversi materiali, tra cui il marmo delle sculture, ma anche lì non mancò la doratura del vetro..
 
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SPECCHIO CON IMMAGINE DEL DEFUNTO

 
PERIODO ELLENISTICO
 
Il vetro dorato nasce per quel che sappiamo nel periodo ellenistico (334 a.c. - 31 a.c.), per estendersi poi alla vetreria romana del tardo Impero (284 - 476), quando i medaglioni decorati in oro di coppe e altri contenitori furono spesso rimossi dal vaso originale e inseriti nelle mura della catacombe di Roma come segni funerari distintivi delle piccole tombe là collocate. In questo modo sono stati reperiti circa 500 pezzi di vetri dorati utilizzati a scopo funerario, mentre sono molto più rari i contenitori integri.

Le coppe sono vasi da mensa frequenti anche nei corredi funerari. Il bellissimo esemplare realizzato in vetro a mosaico, definito in epoca moderna "millefiori", è un prodotto di lusso, destinato ad una clientela ricca e sicuramente aristocratica, appartenente ad un tipo di tradizione ellenistica che si diffonde in Occidente e in Italia a partire dall'epoca augustea.

La tecnica usata per realizzare questi preziosi recipienti prevedeva in primo luogo la preparazione di cilindretti di vetro di grosso diametro, ognuno di colore diverso, che venivano saldati insieme fino a ricavarne uno solo a più colori. 
 
Il bastoncino veniva poi sezionato in rondelle che, disposte su un piano entro un anello più grande che fungeva da bordo, venivano riscaldate fino a formare un unico disco. Una volta raffreddato, il disco veniva sospeso mediante dei sostegni su una forma a coppa capovolta e nuovamente scaldato. Appena si ammorbidiva, i sostegni erano tolti ed il disco si adagiava sulla forma. L'orlo e la parete interna del vaso venivano infine levigati, completando la realizzazione della coppa.
 
Nel periodo ellenistico vennero usati vasi in genere più grandi di quelli romani o coppe decorate nell'intera fascia laterale in vetro dorato, come quella conservata nel British Museum larga 19.3 cm e alta 11.4 cm, proveniente da una tomba a Canosa di Puglia (270 - 160 a.C.), decorata all'interno con motivi di loto e acanto.

La maggior parte di questi esemplari a coppa sono attribuiti a botteghe di Alessandria d'Egitto, di solito considerata il centro d'origine del vetro di lusso ellenistico. Altri frammenti sono stati trovati negli scavi di una fabbrica di vetro a Rodi.
 
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MADRE CON FIGLIO
 
PERIODO ROMANO

Ben presto la tecnica del vetro romano si estese conquistando la manifattura e il commercio romani. Molti vetri dorati mostrano così immagini religiose, da quella pagana, a quella cristiana e giudaica. Altri medaglioni riportano i ritratti dei loro possessori, e i più fini sono «tra i più vividi ritratti che si siano conservati dalla prima epoca cristiana. Ci fissano con un'intensità straordinariamente severa e melanconica». E' lo sguardo malinconico di chi è stato orbato dalla vita o di chi è stato orbata dalla morte nei suoi affetti più profondi, come questa madre con figlio.
 
Dal I secolo questa tecnica si estese e fu anche utilizzata per i mosaici dorati, utilizzati per decorazioni parietali, specialmente negli emblemata o nei ninfei, usando ugualmente due strati sovrapposti e fusi con cui si realizzavano non solo le le tessere dorate, ma pure perline di vetro e altri preziosi oggetti da toeletta. 
 
Il vetro dorato sostituì in parte l'oro, in quanto ad esempio se in una collana d'oro se ne smarrivano delle sferette d'oro, venivano sostituite da quelle in vetro dorato. Ma la manifattura del vetro dorato era una tecnica raffinata e complessa per cui richiedeva manodopera specializzata dotata di grande abilità. Ciò la rendeva meno costosa dell'oro ma comunque abbastanza costosa.
 
Si possono distinguere i vetri semplicemente graffiti da quelli “pittorici”, cosiddetti per la presenza di alcuni colori sovrapposti alla foglia d’oro per sottolineare i particolari delle vesti o dei volti. Generalmente sono rese in rosso le fasce di porpora sugli orli delle tuniche, e in bianco, o con foglia d’argento, i drappeggi delle vesti, di cui si vuole sottolineare il candore. 
 
L’azzurro era spesso usato per le onde marine, mentre le imbarcazioni erano dipinte in verde. L’espressività dei volti, che si ritrova spesso sui vetri dorati, è affidata soprattutto agli occhi, realizzati con il nero, che ricordano i ritratti su tavoletta della necropoli greco-egizia del Fayum8
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VASO MILLEFIORI
 
IL VETRO STAMPATO

Si ritiene che i contenitori più grandi di vetro ellenistico non siano stati soffiati ma piuttosto stampati, in quanto l'intero contenitore è doppio, anche se non è facile occultare le giunture degli stampi. Venivano infatti usati stampi di metà vaso per quelli più grandi.
 
Notevoli le raffinate coppe di fine III-II secolo a.c., realizzate in vetro dorato con motivi vegetali a foglia d'oro, di probabile produzione alessandrina, o derivati da quella, che si rifanno ai prototipi in oro o in argento dell'epoca. La gente più colta e raffinata preferiva comunque stupire gli ospiti non tanto per la quantità degli ori e argenti che poteva mostrare nella sua tavola, quanto per la bellezza dei decori e la raffinatezza delle tecniche usate.
 
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COPPA IN VETRO A BANDE DORATE
 
TECNICA A BANDA DORATA
 
Quella del vetro a banda dorata è una tecnica ellenistica e pure romana simile al vetro dorato: strisce di foglia d'oro venivano disposte tra due strati di vetro trasparente, e usate per un effetto di marmorizzazione nel vetro d'onice. Questa raffinatissima tecnica venne per lo più applicata a piccoli unguentari.
 
 
 
I PIGMENTI COLORATI
 
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VETRO SIRIANO III O IV SECOLO
Alcuni dei medaglioni più pregiati, dal bordo liscio, contengono altri pigmenti oltre all'oro e sfruttano il vetro come supporto per ritratti in miniatura, realizzati per essere visti nelle scollature delle matrone, o incastonati in elementi di gioielleria, ma pure a scopo funebre, usando spesso del vetro blu come base.
 
 
 
LE TESSERE DI MOSAICO

Oltre ai medaglioni con immagini figurative, la tecnica dei due strati sovrapposti e fusi fu utilizzata anche per le tessere dorate dei mosaici, oltre che per le perline di vetro e altri oggetti simili. Le tessere erano realizzate in blocchi e poi tagliate in cubetti, che sono relativamente larghi nel caso degli sfondi in oro. Gli sfondi in oro erano poi disposti su di un supporto rosso o giallo-ocra, che ne esaltava l'effetto dorato con una tonalità più calda.
 
 
 
LA COPPA PER BERE
 
La tipologia di contenitore più frequente tra i reperti romani tardo-imperiali è la coppa per bere o la vaschetta, che si ritiene fossero originariamente doni di famiglia per matrimoni, anniversari, celebrazioni dell'anno nuovo, e altre festività religiose, forse anche doni per la nascita di un figlio o il battesimo cristiano, che però all'epoca si faceva da adulti con immersione totale del soggetto..
 
Solitamente le coppe per bere romane erano molto ampie e basse, sebbene alcuni esemplari fossero alti e con le pareti dritte o che si allargano verso l'altro, ma sono una minoranza. Insomma esistevano già allora le forme a coppa di champagne o a forma di flute.
 
 
 
LE PERLINE DI VETRO
 
Le perline di vetro dorato romane erano realizzate con un bastoncino interno a cui era applicata la foglia d'oro; un tubo più largo scorreva attorno al primo e le perline venivano poi aggraffate (tenute dalle griffes). Di facile trasporto e molto attraenti, le perline di vetro dorato romane sono state ritrovate anche al di fuori dall'Impero, dalle rovine di Wari-Bateshwar a Bangladesh, a siti in Cina, Corea, Thailandia e Malesia, evidentemente frutto di lontani commerci con l'Impero Romano.
 
La pasta vitrea con doratura spesso sostituì dei gioielli con perline in oro tanto è vero che in alcune collane vennero alternate con palline d'oro e d'argento. Non era considerato un falso perchè già la pasta vitrea era cara, ma quella dorata era ancora più costosa e attraente per il suo aspetto lucente.
 
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COPPA DI LITURGO
 
LA COPPA DI LICURGO

La coppa di Licurgo è un recipiente di vetro alto 16 cm, finemente molato e intagliato raffigurante un celebre episodio mitologico, sopra cui il museo adopera un riflettore mobile, capace di far splendere la luce sopra e poi di lato. Perché ogni volta che si compirà quel movimento di luce, il re di Tracia, imprigionato assieme ai suoi divini persecutori, cambierà colore dal rosso al verde, in modo stupefacente.
 
Nel 1958, Lord Victor Rothschild avrebbe deciso di vendere la coppa al British Museum per la notevole cifra di 20.000 sterline, dove si trova tutt’ora. Il prezioso reperto, proveniente da Roma o da Alessandria d’Egitto (la cosa è dibattuta), è nella categoria delle coppe diatrete, un tipo di suppellettile di gran lusso collocato tra la metà del III e l’inizio del IV secolo. Questi recipienti creati da uno o due blocchi di vetro saldati assieme, presentavano nella maggior parte dei casi uno strato esterno formato da una vera e propria “gabbia” geometrica. 
 
La coppa di Licurgo è l’unico oggetto della sua categoria con un soggetto figurativo ad essere giunto intatto fino a noi, probabilmente all’interno di collezioni private. Essa ha una particolare qualità cangiante, derivante dall’infinitesimale quantità di argento e d’oro contenuto all’interno del vetro con cui era stata fabbricata.
 
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Esso consta di 330 parti per milione del primo e 40 del secondo, dissolte all’interno del vetro fuso in soluzione colloidale, capace di assumere per probabilità quantistica la forma di particelle non più grandi di singoli atomi isolati nel flusso, rinominato in funzione di ciò vetro dicroico (cioè bicolore). Granuli capaci quindi d’indurre, una volta completato il processo di solidificazione, un fenomeno di diffrazione della luce noto come "risonanza plasmonica di superficie", che produce ai nostri occhi una variazione cromatica dal verde al rosso.

La sua realizzazione resta misteriosa, benché si sospetti pure che la coppa possa essere stata creata per caso, magari per residui della lavorazione dell’argento con piccole tracce aurifere, a loro volta accidentali. Secondo altri, invece, la parte interna dell’oggetto sarebbe stata creata da una seconda officina specializzata rispetto a quella che si era occupata del bassorilievo intagliato, capace di creare l’impasto di vetro e metalli lavorando su ampie quantità, riuscendo quindi a diluire su multipli oggetti, oggi andati per lo più perduti, le infinitesimali quantità coinvolte.
 
Definita nel 1857 come “barbarica e debosciata” dallo storico dell’arte tedesco Gustav Friedrich Waagen (già combattente volontario contro Napoleone, nonchè accanito conservatore e rigido critico verso qualsiasi forma di libertà), la coppa costituisce un'importante documento sul gusto estetico connesso alla pratica dei baccanali ed a colui che volle distruggerla ad ogni costo, cioè Licurgo.
 
 
 
LICURGO
 
Licurgo (IX - VIII secolo a.c.), re di Tracia e secondo alcune interpretazioni della leggenda il principale creatore dell’ordine sociale di Sparta, sarebbe stato un grande oppositore del culto di Dioniso, dio dell’estasi, dell’ebrezza e delle piante. Arrivando persino a vietare e il consumo di vino, perseguitando attivamente le Menadi o Baccanti, sacerdotesse possedute dallo spirito del Dio.

Così il sovrano, nudo, aggredisce sessualmente o uccide Ambrosia, madre adottiva di Dioniso in forma umana, per ricevere la giusta punizione, un colpo della verga divina, seguìto dall’assalto di un fauno lanciatore di macigni, una pantera ruggente e i serpeggianti tentacoli di un rampicante, in cui verrà poi trasformato.
 
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CONIUGI CON ISCRIZIONE "BEVI, CHE TU POSSA VIVERE" IV SECOLO
 
 
SEGNACOLI DI TOMBE
 
Si sono rinvenuti circa 500 frammenti di contenitore in vetro dorato la cui decorazione fu ritagliata e utilizzata per identificare i morti nelle catacombe, ma le numerose iscrizioni che invitano a bere ha fatto capire che i frammenti provenivano da coppe o bicchieri. 
 
Un mosaico dalle rovine della città romana di Dougga (Thugga) mostra due schiavi che versano vino dalle anfore in coppe basse rette da schiavi che servono a un banchetto. Le due anfore hanno le iscrizioni «ΠΙΕ» e «ΣΗϹΗϹ», che in lingua greca «pie zeses» significano: «bevi, che tu possa vivere», così frequente sul bicchieri romani, ed è stato suggerito che il mosaico mostri la forma completa di una coppa da cui si ritagliavano i medaglioni.
 
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I DEFUNTI GEMELLI
Evidentemente alla morte del proprietario, il medaglione di vetro dorato della coppa veniva ritagliata e usata come segnacolo per il loculo del proprietario. O più probabilmente se la coppa si era rotta durante l'uso, il suo spesso fondo decorato era conservato per questa funzione. 
 
Si pensa che i medaglioni fungessero anche da sigillo della tomba, in quanto erano premuti all'interno della malta o dello stucco con cui si copriva la parete del loculus. Con l'avvento del cristianesimo, quando si diffondono le figure dei santi, sembra che i medaglioni fingessero anche come protezione contro il malocchio, visti i simboli cristiani apotropaici che vi vennero aggiunti.

Molti medaglioni di vetro dorato recano ritratti di coppie sposate, tra cui probabilmente il defunto, mentre altri vetri dorati rappresentano figure religiose, come santi, o simboli religiosi. Questa pratica era seguita da cristiani, ebrei (sono noti almeno 13 esempi chiaramente ebraici) e pagani.

Molte tessere di mosaico dorate furono utilizzate a Roma in ambito domestico a partire dal I secolo, usate poi per tutta l'epoca antica e medievale. Intorno al 400, si iniziò a utilizzare l'oro come sfondo per i mosaici religiosi cristiani, caratteristica costante dell'arte bizantina.

Gli esemplari tardoromani decorati sono in genere ascritti a Roma e dintorni, specialmente nei ritratti di coloro che vi vivevano, ma anche nei dintorni di Colonia e Augusta Treverorum, la moderna Treviri, che fu il centro di produzione di altri prodotti di vetro di lusso come le coppe diaretre.
 
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MEDAGILONE DI GENNADIO

 
MEDAGLIONI ALESSANDRINI  

Anche Alessandria d'Egitto fu un notevole centro di produzione, e in base all'analisi linguistica delle iscrizioni sembra che gli stessi artisti e artigiani, si siano trasferiti da Alessandria a Roma e in Germania. Un numero ridotto di ritagli di basi di contenitori è stato ritrovato in Italia settentrionale, in Ungheria e in Croazia.

Il medaglione di Gennadio è un esempio di ritratto alessandrino su vetro blu, che utilizza una tecnica più elaborata degli esemplari romani, tra cui l'uso di dipingere sull'oro per creare delle ombreggiature, e con l'iscrizione che contiene delle caratteristiche del dialetto greco alessandrino. 
 
 
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GALLA PLACIDIA E FIGLI
 
Uno dei più famosi medaglioni-ritratto in stile alessandrino, con un'iscrizione in greco egiziano, fu montato durante l'alto medioevo sulla Croce di Desiderio a Brescia, in quanto ritenuto, secondo alcuni erroneamente raffigurare l'imperatrice e devota cristiana Galla Placidia e i suoi figli, mentre il nodo sulla veste della figura centrale suggerisce una devota di Iside. 
 
Alcuni lo ritengono una raffigurazione di una famiglia alessandrina, inizio III secolo - metà V secolo, prima che giungesse in Italia per adornare una croce cristiana del VII secolo. 
 
Ma il nodo sulla veste era anche una moda come tante, come del resto si osserva in questo segnacolo funebre qui in alto. Pertanto è probabile che raffigurasse davvero galla Placidia con figli. I piccoli dettagli che compaiono qui come in altri medaglioni possono essere stati realizzati solo tramite l'uso di lenti.
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COPPIA IN SIGNACOLO FUNEBRE
 
I medaglioni di tipologia «alessandrina» hanno una semplice linea sottile dorata che contorna il soggetto, mentre gli esempi romani hanno una varietà di cornici più spesse, e spesso utilizzano due bordi tondi, per suddividere gli esemplari tra differenti officine. Il livello del ritratto è rudimentale, con capigliature, vestiti e dettagli di stile stereotipato.
 
I primi studiosi di vetri dorati, a partire da Bosio 11, riferiscono che molti di questi materiali furono rinvenuti durante le esplorazioni, effettuate tra il XVII e il XVIII secolo, delle catacombe site intorno a Roma. Purtroppo, a parte rari casi, non viene mai esplicitato in quale cimitero sotterraneo sia stato ritrovato un determinato fondo oro.
 
La mancanza di dati certi non permette di analizzare puntualmente la distribuzione che questa classe di materiali doveva avere nella tarda antichità, sia all’interno della stessa Roma che nelle altre regioni dell’impero, poiché la realizzazione di vasi con fondo d’oro non era appannaggio esclusivo delle botteghe romane, ma trovava anche negli artigiani renani ottimi esecutori. 
 
Il gruppo renano differisce da quello romano perché la doratura è applicata sulla superficie vitrea senza un secondo strato protettivo, con il risultato che la decorazione è pochissimo conservata. Questa affermazione non è valida in assoluto, poiché la decorazione a foglia d’oro senza superficie di copertura è stata impiegata anche per realizzare vasi al di fuori del territorio di Colonia1
 
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PIATTO DI ALESSANDRO
 

PIATTO DI ALESSANDRO
 
Il «piatto Alessandro con scena di caccia» al Cleveland Museum of Art è, se autentico, visto che alcuni l'hanno messo in dubbio, un esempio molto raro di contenitore completo decorato in vetro dorato, un oggetto di gran lusso. Si tratta di un piatto o di un vassoio poco profondo, 257 mm di diametro e 45 mm alto, decorato al suo centro da un medaglione piatto e circolare, grande i due terzi dell'intero diametro. 
 
Esso raffigura un cacciatore a cavallo armato di lancia, che insegue due cervi, mentre sotto il suo cavallo un cacciatore a piedi con un segugio al guinzaglio affronta un cinghiale: l'iscrizione latina «ALEXANDER HOMO FELIX PIE ZESES CVM TVIS» significa «Alessandro, uomo fortunato, bevi, che tu possa vivere con i tuoi». 
 
 
Si ritiene appartenesse ad un ignoto aristocratico, anziché Alessandro Magno o l'imperatore romano Alessandro Severo (che regnò tra il 232 e il 235): il piatto sarebbe stato prodotto poco dopo il suo regno ma anche durante il suo regno non sarebbe stato chiamato «uomo». 
 
La formula greca per il brindisi augurale, ZHCAIC significa «vivi!», «che tu possa vivere!», spesso utilizzata nei vetri dorati, e talvolta è l'unico elemento dell'iscrizione; è più frequente dell'equivalente termine latino, VIVAS, forse più raffinato. 
 
Due vetri dorati che includono la figura di Gesù hanno «ZESUS» invece di «ZESES», una sorta di gioco di parole tra il brindisi augurale e il nome della divinità cristiana, ma di dubbio gusto, visto la morte atroce anche se seguita da resurrezione. 
 
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I RITRATTI 
 
I ritratti sui vetri dorati presentano alcune caratteristiche comuni nell'incorniciatura e lo sfondo, ma sono fortemente differenziati nella resa dei personaggi rappresentati, attraverso la decisa individualità dei tratti del volto. Fu del resto caratteristica romana e non greca la ritrattistica eseguita con crudo realismo anche se trattavasi di imperatori o gnerali.
 
Questa marcata ricerca della singola fisionomia si accorda bene con l’ipotesi che questi medaglioni e fondi di coppe o piatti siano stati inseriti nelle lastre di chiusura dei loculi non come semplice ornamento, ma come segnacolo per indicare la tomba del defunto ai suoi cari. 
 
Anche la primaria funzione di dono nelle più importanti ricorrenze private può spiegare la necessità dell’artigiano di rendere il più possibile unici questi vetri dorati, pur seguendo i canoni prestabiliti dal dedicante e dalla moda del tempo.
 
 
LE DEDICHE
 
Un'altra frase popolare fra le dediche è «DIGNITAS AMICORVM», « (sei) l'onore dei tuoi amici». Un esemplare che reca l'iscrizione «DIGNITAS AMICORVM PIE ZESES VIVAS» mostra l'unione tra le due dediche. Le dediche conviviali vennero usate anche nelle ben più lussuose coppe diatrete.
 
Vedi anche: IL VETRO ROMANO
 
 
BIBLIO

- Trentinella, Rosemarie - Roman Gold-Band Glass - Heilbrunn Timeline of Art History - New York: The Metropolitan Museum of Art - 2003 -
- A Catalogue of the Late Antique Gold Glass in the British Museum - Londra - British Museum - Arts and Humanities Research Council -
- John Boardman (a cura di) - The Oxford History of Classical Art - Oxford University Press - 1993 -
- John Beckwith - Early Christian and Byzantine Art - Penguin History of Art - 1979 -
- Lucy Grig, Portraits - Pontiffs and the Christianization of Fourth-Century Rome - Papers of the British School at Rome - 2004 - Oxford University Press - 2006 -
- K. L. Lutraan - Late Roman Gold-Glass: Images and Inscriptions - McMaster University - 2006 -
- Susan I. Rotroff - Silver, Glass, and Clay Evidence for the Dating of Hellenistic Luxury Tableware - Hesperia: The Journal of the American School of Classical Studies at Athens - vol. 51 - 1982 -
 
 
 

 

 

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Inviato

Sono sempre fermo nella mia idea,che siamo noi ad essere 2000 e rotti anni indietro,non loro(artisticamente parlando).


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