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Così Arthur Sambon nella Rivista Italiana di Numismatica (1889):

LUCANIA AUSTRALIS.

SYBARIS.


Didramma.

D/ — Bove retrospiciente, a rilievo. Ha in testa una corona di globetti, ed alla estremità della coda si scorge il fiocco bipartito, anch’esso adorno di globetti. All’esergo MV; al di sopra del bue altro MV. Meandro d’intorno formato di due circoli concentrici, tra cui un ornato a volute e globetti. All’esergo, ornato a globetti.

R/ — Il medesimo bove del dritto in incavo. Meandro a linee dritte ed incavate all’ingiro; all’esergo una linea incavata e perfettamente liscia.

Arg. Mod. (Scala di Mionnet) 8. Peso gr. 7,55 (f. d. c.)

Il trovare due volte impresso, su di un medesimo lato della moneta, il nome della città, è cosa del tutto nuova, e vieppiù accresce l’importanza del fatto altra simile ripetizione su di un diobolo Metapontino, dell’istessa epoca del Sibarita.

E perchè non s’abbia a credere che, sobbalzando le due monete sul conio, abbiano ricevuto così, di [p. 140 modifica]sghembo, una seconda impressione, dirò che freschissime di conio, non offrono alcuno spostamento di tipo che valga a provare questo caso. Quanto alla metapontina in ispecie, la stessa disposizione delle leggende sgombra ogni dubbio. Imperocché se l’una di esse fosse stata riprodotta sulla moneta, per ispostamento del tondino, sarebbe apparsa colla sommità delle lettere rivolta all’orlo della moneta; ovvero, girando addirittura il tondino, in senso inverso a quello che si osserva difatti.

 

 

Sul toro diademato, peculiare di alcuni conii sibariti, ho avuto già modo di soffermarmi in una precedente discussione (https://www.lamoneta.it/topic/201898-sibari-e-il-toro-diademato/#comment-2230203).

 Ciò che invece appare interessante è il risalto conferito da Arthur Sambon alla fine del XIX secolo alla ripetizione dell’etnico (MV) sullo stesso lato della moneta, rispettivamente in esergo e nel campo in alto.

Si tratta di un fenomeno singolare e per quanto le motivazioni addotte dallo studioso siano opinabili, indiscutibile appare il merito di aver focalizzato l’attenzione su questa “duplicazione epigrafica” alla quale negli studi successivi non è stato rivolto opportuno interesse. Finanche il più recente corpus della monetazione sibarita sembra sorvolare sulla questione, che invece proprio per la sua eccezionalità meriterebbe una trattazione più esaustiva.

Mentre, infatti, è alquanto comune la ripetizione della legenda civica su entrambi i lati della moneta, altrettanto non può dirsi per la presenza di due etnici identici sulla stessa faccia. Certo è che non dovette trattarsi di un mero errore dell’incisore.

Spagnoli 2013, classe H

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Paris, BN, Delpierre 361 (= Spagnoli 276.a)

image.pngimage.png

 

 NAC, 27, 2004, 44 (ex Leu 42, 1987, 54 coll. A.D.M.)

 (= Spagnoli 275.a)

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Kunker 143, 2008, 49 (ex Peus 395, 2008, 32 ex Lockett, SNG 458 ex Glendining 1955, 33 ex AC 5, 1923, 525 = Spagnoli 265.a)

L’esemplare viene citato nel catalogo della Spagnoli come proveniente dall’asta M. u. M. 143 (2008), 49

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La Spagnoli ritiene probabile che questo esemplare risulti battuto dallo stesso conio di incudine di un pezzo del Museo di Den Haag (n. 23 = Spagnoli 2013, 266.a), posto pertanto in immediata successione al pezzo di Kunker (143, 2008, 49 ex SNG Lockett 458) nella sequenza. Per quanto le due monete essi siano molto simili sul piano stilistico il conio risulta tuttavia diverso come osserva F. Barritta (2013, p. 63 e nota 361).

image.png

image.png

 

La Spagnoli osserva che il D/178, che lega le coppie 275-276, potrebbe forse documentare il reimpiego di un conio della fase B (cfr. coppia 167), o la ripresa dello schema iconografico caratteristico di questa fase produttiva (p. 165).

A ben vedere tuttavia il conio cui fa riferimento la studiosa (D 111) è del tutto diverso da quello che batte le coppie 275-6 (D 178) come si ricava dall’esemplare di seguito illustrato, corrispondente al n. 167.b del catalogo della Spagnoli.

Ira & Larry Goldberg Coins & Collectibles 72, 2013, 4007 (ex coll. Hunter)

Spagnoli 167.b

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Peraltro dalla stessa coppia di coni di questo esemplare risulterebbe battuto uno statere proveniente dal ripostiglio di Curinga, il cui conio di martello sembrerebbe tuttavia differente.

Spagnoli 2004, Curinga 75 (= Spagnoli 2013, 167.e)

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La questione è molto complessa in quanto non risultano documentati casi di esemplari incusi di altre zecche con duplicazione al D/ dello stesso etnico. A giudizio della Spagnoli l’ultimo tratto della monetazione sibarita (fase C), databile all’età di Telys (514-510 a.C.) e all’interno della quale si colloca l’esemplare in oggetto, sarebbe caratterizzato da forme epigrafiche meno rigide (MV oltre all’usuale VM) che, seppur in casi rari, risultano anche in abbinamento su un medesimo esemplare (D/ e R/):

NAC 25, 2003, 32 (coll. A.D.M.)

Obolo (0,45 g)

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Si aggiungono casi di progressivi aggiornamenti epigrafici dei coni e/o dal riutilizzo di incudini già impiegate in precedenza. Si tratta di osservazioni interessanti che tuttavia lasciano aperta la questione.

Perché l’incisore avrebbe ripetuto al D/ lo stesso etnico (MV) anziché, ad esempio, provvedere alla sostituzione di una forma più “arcaica” (ad es. VM) adeguandola a grafie più recenti (ad es. MV)?

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