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NAC 132, 30.5.2022, 154

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Description

Greek Coins

Calabria, Tarentum. Nomos circa 510-450, AR 7.98 g. TARAΣ retrograde Oecist seated on dolphin r., l. arm extended; below, pecten. Rev. The same type l. incuse. Vlasto 68 (this coin). Fischer-Bossert 16d (this coin). Gorini 3, enlarged p. 202-203 (this coin). Kent-Hirmer pl. 102, 294 (this coin). Historia Numorum Italy 826.

Ex NAC sale 13, 1998, formerly exhibited at the Antikenmuseum Basel, 72. From the Curinga hoard (IGCH 1881). From the Vlasto and Athos and Dina Moretti collections.

 

Dopo vari passaggi tornava in asta alcuni mesi fa un nomos arcaico di Taranto a rovescio incuso che nel catalogo della collezione Vlasto risulta provenire dal ripostiglio scoperto fortuitamente nel 1916 a Curinga (CZ), in contrada Serrone, nei pressi della stazione ferroviaria, da parte di alcuni operai che stavano eseguendo lavori di bonifica dei terreni nell’area tra i fiumi Angitola e Turrina.

Le travagliate vicende relative al recupero di questo ripostiglio, smembrato subito dopo la scoperta tra operai e gente del posto e recuperato anche grazie all’impegno di Paolo Orsi – alla cui esemplare attività e impegno profuso nella ricerca e tutela archeologia Roberto Spadea ha dedicato significative pagine: https://www.academia.edu/40524199/ROBERTO_SPADEA -  e alla Prefettura di Catanzaro, possono leggersi sia nei contributi dell’Orsi (P. Orsi, Tesoro di monete greche arcaiche rinvenute nel territorio di Curinga (Catanzaro), “Notizie degli Scavi”, 1916, pp. 186-7; Id., Tesoretto di stateri arcaici greci da Curinga (Catanzaro), “Atti e Memorie dell'Istituto Italiano di Numismatica”, 3, 1917, pp. 31-46) che nelle più recenti edizioni del ripostiglio, l’una a firma di G. Perri (Nuovi dati per una riedizione del ripostiglio di Curinga, “RIN”, CIV, 2003, 57 ss.), l’altra di E. Spagnoli (in E. Spagnoli-M. Taliercio Mensitieri, Ripostigli dalla piana lametina, Soveria Mannelli 2004, 49 ss.):

 (da Perri 2003, 57)

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Inviato

La moneta di Taranto, non citata dall’Orsi, è pertanto nota solo attraverso la notizia di Vlasto nel catalogo redatto da Ravel (n. 68):

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Essa inoltre compare nel catalogo della Spagnoli (p. 54, n. 1) ma non in quello della Perri, che (inspiegabilmente) non fa alcuna menzione del pezzo. Si osservi che il peso dell’esemplare registrato nel catalogo Vlasto (n. 68) e riportato dalla Spagnoli (gr. 8,09) risulta sensibilmente più alto di quello indicato nella vendita NAC (gr. 7,98).

Ma prescindendo da queste omissioni e imprecisioni, pure non secondarie, il dato interessante, come si vedrà, appare che solo Vlasto fosse a conoscenza dell’originaria provenienza del pezzo. Paolo Orsi non ne fa alcuna menzione, né quando diede notizia preliminare della scoperta (Orsi 1916), né nella successiva pubblicazione del ripostiglio che per l’epoca può dirsi alquanto precisa benché solo parzialmente illustrata (Orsi 1917).

Le modalità attraverso cui il collezionista ne entrò in possesso restano tuttavia ignote ma in ogni caso concorrono a rimarcare i caratteri di un’attività collezionistica particolarmente intensa e implementata con significativa evidenza proprio dai numerosi rinvenimenti monetali, per lo più fortuiti, che si andavano susseguendo in Italia meridionale (e a Taranto in particolare) nei decenni iniziali del XX secolo: IGCH 1886 (Calabria 1920), 1901 (Taranto, dintorni 1914), 1903 (Lecce 1920), 1916 (“Ionian Shore” 1908), 1922 (Taranto 1929), 1927 (Taranto 1933), 1928 (Carosino 1904), 1929 (Taranto 1925), 1932 (Taranto 1883), 1933 (Taranto 1919), 1934 (Torre dell’Ovo 1912), 1950 (Monteparano 1905), 1956 (Taranto, via Mazzini, 1929), ecc.

Solo pochi anni prima che venisse alla luce l’accumulo di Curinga, Vlasto aveva inoltre acquistato in momenti diversi due dei quattro lotti (rispettivamente 168 e 100 pezzi) in cui venne frammentato un altro cospicuo ripostiglio (o presunto tale: IGCH 1874) scoperto a Taranto in anni molto vicini (1911) al rinvenimento di Curinga.

Per quanto concerne gli incusi si osserva che ben 4 esemplari di Taranto di provenienza nota erano finiti nella collezione Vlasto: il primo rinvenuto a Taranto nel 1915 (Fischer-Bossert 11.a = Vlasto 62), il secondo (Fischer-Bossert 8.a = Vlasto 64) scoperto nel 1906 a Lecce; il terzo dal ripostiglio noto come “Italia meridionale ante 1903” (IGCH 1878: Fischer-Bossert 5.d = Vlasto 66), l’ultimo proveniente dal ripostiglio rinvenuto nel 1927 a Crotone, loc. Ameri, (IGCH 1898: Fischer-Bossert 13.c = Vlasto 69) e battuto dallo stesso conio di incudine dell’esemplare di Curinga. Ad essi si aggiunge un esemplare indicato da Vlasto come rinvenuto nel 1936 nei dintorni di Taranto (Vlasto 73) ma successivamente ritenuto contraffatto (Bulletin on Counterfeits 13, 2 1988, p. 28.1; Fischer-Bossert, p. 398, F12).

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Se pertanto Orsi non vide (e registrò) l’esemplare, ciò può essere imputabile solo al fatto che il nucleo recuperato in progresso di tempo non costituiva affatto la totalità del rinvenimento in quanto, per ammissione dello stesso Orsi, “altre monete sono ancora in mano di contadini calabresi, dai quali non ci fu modo di trarlo; ma trattasi di assai piccole partite” (Orsi 1916). In realtà queste “partite” tanto piccole non dovettero essere e se la stima di circa 300 pezzi coglieva nel segno all’appello mancavano circa un centinaio di monete.

Con ogni evidenza quell’unico (?) incuso di Taranto, forse per la tipologia assai diversa dalle restanti zecche che componevano il ripostiglio (incusi di Sibari, Crotone e Metaponto a tondello largo e medio), era balzato agli occhi dei rinvenitori e (forse) particolarmente “apprezzato” come oggetto di pregio in metallo prezioso da chi aveva defalcato il tesoro. La sottrazione pertanto fu solo in parte casuale, come scrive la Spagnoli, in quanto “accaparrarsi” una moneta di eccezionale bellezza, rarità, valore e certamente per l’epoca assai rara, sembrerebbe più un atto intenzionale che una scelta casuale. Non escluderei pertanto (ma ovviamente è solo un’ipotesi) che si fosse trattato di qualcuno che aveva ben compreso il tenore del reperto appena portato alla luce dagli operai delle società cooperative di Ravenna, il quale, verosimilmente con grande sagacia, ben si guardò dal riferire del pezzo sia a Paolo Orsi che alle autorità successivamente incaricate del recupero dei lotti.

E così, mentre le 192 monete che compongono attualmente il rinvenimento, recuperate a fatica, trovavano posto nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, la provenienza dell’incuso di Taranto dal ripostiglio di Curinga fu resa nota solo trent’anni dopo la scoperta, nella prima edizione del catalogo della collezione Vlasto (1947). Nulla ne sapeva Noe tanto nella Bibliography of greek coin hoards (1925), precursore dell’ Inventory of greek coin hoards (1973) e dei successivi aggiornamenti (Coin Hoards, 1976-…), quanto nella di poco successiva monografia su Metaponto (The coinage of Metapontum, I, New York 1927) - benché avesse ottenuto i calchi delle monete metapontine del ripostiglio - e, fatto anomalo, nel più tardo studio su Caulonia (The coinage of Caulonia, New York 1958), ben posteriore alla prima edizione della collezione Vlasto (1947), dove addirittura nega la presenza di incusi di Taranto nel tesoro di Curinga (p. 61).

(da Noe, Caulonia, p. 61)

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Come l’esemplare sia confluito nella collezione Vlasto non è certo ma solo ipotizzabile. Di certo non attraverso una vendita all’asta ma (presumibilmente) per acquisto privato da parte del collezionista da qualcuno che ben serbava memoria della provenienza del pezzo. E, direi, fortunatamente. La moneta di Taranto rappresenta ancora oggi l’unica moneta del ripostiglio di Curinga proveniente da quelle famose “partite” non recuperate dalle Forze dell’Ordine. A distanza di oltre un secolo dal rinvenimento del gruzzolo non si ha notizia di ulteriori esemplari, né da bollettini di vendita né da collezioni pubbliche e/o private.

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Inviato

Tutto interessantissimo, ottima ricerca bravo


Inviato

Aggiungo che un altro importante ripostiglio (o presento tale) di monete incuse sarebbe venuto alla luce fortuitamente nel 1910-11 in località S. Stefano di Rogliano (CS) e subito disperso (IGCH 1884).

Composto a quanto pare da svariate centinaia di monete (300?), di questo cospicuo ritrovamento restano appena 19 stateri, frutto di un sequestro effettuato nel 1927 in un'abitazione privata nel comune di S. Stefano di Rogliano e facenti parte di un cospicuo ripostiglio per ammissione dello stesso detentore, come si legge nell'edizione del tesoro (E. Spagnoli, Ripostiglio di S. Stefano di Rogliano, in E. Spagnoli-M. Taliercio Mensitieri, Ripostigli dalla piana lametina, Soveria Mannelli 2004, 121-133). Le monete superstiti sono attualmente custodite presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria.

Secondo Catanuto, a cui si deve la prima notizia della scoperta (NSA 1932, 383), il luogo di rinvenimento andrebbe localizzato "nel territorio di Crotone".

E' interessante che Ettore Gabrici nel 1910 pubblichi un incuso a legenda MO (= So), attribuito ai Sontini, che ebbe modo di esaminare grazie ad un suo "amico di Rogliano (prov. di Cosenza), possessore di una piccola raccolta di monete, che egli aveva acquistato a volta a volta da contadini del suo paese. Di modo che, se mi sfugge il luogo esatto di provenienza, si può esser certi che esso resta nel territorio di Rogliano" (E. Gabrici, Moneta di argento dei SO(ntini), "Numismatic Chronicle", s. 4, vol. X, 1910, 329 ss.).

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Si tratta, insieme al citato tesoro di Curinga e a quello di Sambiase, di alcuni tra i più importanti e cospicui rinvenimenti di moneta incusa in Italia meridionale e a cui si aggiunge  - sperando in una pubblicazione dei materiali - il gruzzolo "di monete achee" citato in numerosi interventi.

https://bertolamifineart.com/un-ripostiglio-di-monete-incuse-della-magna-grecia-coniate-tra-il-vi-e-il-v-secolo-a-c/

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Non ho capito se  l’esemplare di Sontini è esposto adesso a Reggio Calabria oppure è disperso. 


Inviato
12 ore fa, D'Aragona II dice:

Non ho capito se  l’esemplare di Sontini è esposto adesso a Reggio Calabria oppure è disperso. 

 

Non credo che l’esemplare illustrato da Gabrici sia in collezione statale. All’epoca fu un privato a mostrarglielo, fornendo informazioni sulla provenienza e consentendo (suppongo) la pubblicazione.

Si tratta in ogni caso di una moneta rarissima di cui restano (a quanto mi risulta) appena tre esemplari e per questo motivo il dato di provenienza – se accertato – costituirebbe un’informazione preziosa, considerato l’alone di mistero che avvolge questa particolare emissione e le incertezze sulla localizzazione del centro emittente.

Oltre al pezzo da Rogliano (mm. 27, gr. 5.30) sono noti gli ess. di Londra (ex Lockett 662) e della vendita Hirsch del 1911.

 

BM 1955.1107.11 (Lockett 662: mm. 25, gr. 5.78)

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Hirsch XXX, 11.5.1911, 218 (mm. 26.5, gr. 5.40)

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Buongiorno @dracma,

 

E se fossero solo due gli esemplari?

 

Non ne sono sicuro ma il pezzo della Hirsch XXX ha peso e diametro molto prossimi alla moneta osservata da Gabrici (tanto da poter giustificare la discrepanza nelle misurazioni come un margine accettabile forse?).

Al netto della qualità delle foto e del fatto che l’immagine della vendita di Jacob Hirsch proviene da un calco: le visibili tracce della doppia battitura al rovescio, la forma del tondello e la centratura dei conii sembrano collimare in numerosi, forse troppi, dettagli.

E del resto l’edizione della Numismatic Chronicle é del 1910 e lì Gabrici dice che la moneta “mi fu recata in esame tempo fa”, quindi presumibilmente qualche anno prima della vendita Hirsch. Se “l’amico di Rogliano” avesse deciso di porre in asta la sua raccolta?

Riporto un’immagine più chiara della vendita Hirsch per chi volesse esprimersi sulla mia domanda.

Aggiungo inoltre immagine (pubblicato solo il dritto) e descrizione della vendita Sambon/Canessa che Gabrici cita nella nota 1 del suo articolo. Questo esemplare dovrebbe invece essere quello del British riportato sopra.

 

 

Ex Hirsch XXX/218, nel catalogo viene posta la domanda “wohl beamtenname?” - “probabilmente nome ufficiale?” :

A8993574-0811-467C-BDC4-CCF1A451DCF8.thumb.jpeg.ec8d0aa5be4c181ace470814fd4dfb7a.jpegBF8D54DC-17A7-4928-8B92-A10B0F1E15AF.thumb.jpeg.4c845561979f9f4eae76b812c2886960.jpeg

 


 

Ex Sambon & Canessa 11-12-1901 lotto 121, descritto come imitazione di Sibari:

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Ps: Sul peso Gabrici ipotizza un legame con le emissioni calcidesi dello stretto.

Ti chiedo che se non possa essere un nominale inusuale, un 2/3 di statere (?!) .. lo so che brancolare nel buio non porta a molto, però è un quesito che mi è passato per la testa.

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Inviato

Unisco dal vecchio libro di Gorini, l' esemplare  SO ( SNG Lockett , 662 ) lì pubblicato, con le relative note .

SO 001.jpg

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Inviato
5 ore fa, Archestrato dice:

Buongiorno @dracma,

 

E se fossero solo due gli esemplari?

 

Non ne sono sicuro ma il pezzo della Hirsch XXX ha peso e diametro molto prossimi alla moneta osservata da Gabrici (tanto da poter giustificare la discrepanza nelle misurazioni come un margine accettabile forse?).

Al netto della qualità delle foto e del fatto che l’immagine della vendita di Jacob Hirsch proviene da un calco: le visibili tracce della doppia battitura al rovescio, la forma del tondello e la centratura dei conii sembrano collimare in numerosi, forse troppi, dettagli.

E del resto l’edizione della Numismatic Chronicle é del 1910 e lì Gabrici dice che la moneta “mi fu recata in esame tempo fa”, quindi presumibilmente qualche anno prima della vendita Hirsch. Se “l’amico di Rogliano” avesse deciso di porre in asta la sua raccolta?

Riporto un’immagine più chiara della vendita Hirsch per chi volesse esprimersi sulla mia domanda.

Aggiungo inoltre immagine (pubblicato solo il dritto) e descrizione della vendita Sambon/Canessa che Gabrici cita nella nota 1 del suo articolo. Questo esemplare dovrebbe invece essere quello del British riportato sopra.

 

 

Ex Hirsch XXX/218, nel catalogo viene posta la domanda “wohl beamtenname?” - “probabilmente nome ufficiale?” :

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Ex Sambon & Canessa 11-12-1901 lotto 121, descritto come imitazione di Sibari:

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Ps: Sul peso Gabrici ipotizza un legame con le emissioni calcidesi dello stretto.

Ti chiedo che se non possa essere un nominale inusuale, un 2/3 di statere (?!) .. lo so che brancolare nel buio non porta a molto, però è un quesito che mi è passato per la testa.

 

Credo invece che tu abbia pienamente ragione. La foto di Hirsch (suppongo da un calco) e quella di Gabrici non sono proprio chiarissime (siamo agli inizi dello scorso secolo) ma certo è che le analogie sono molte e potrebbe trattarsi dello stesso esemplare. In tal caso l’elenco che ne fornisce Parise e sul quale mi sono basato anch’io andrebbe ridimensionato.

Sul piano interpretativo non ti nascondo che nutro non poche riserve su quanto ipotizzato dagli studiosi che si sono occupati di questa emissione. A cominciare dalla attribuzione, in verità del tutto ipotetica, ai Sontini, popolazione della Lucania menzionati da Plinio (NH III, 11, 28) stanziata a ridosso del Vallo di Diano in un’ipotetica Sontia, identificata con l’odierna Sanza.

C’è poi la questione del sistema ponderale, che viene considerato calcidese e il nominale identificato come dracma. Dal momento che il peso rimanda oltre che alle città dello Stretto, anche a quelle dell’Etruria meridionale, l’emissione è stata interpretata in vario modo

a) come strumento di collegamento tra l’area di influenza di Sibari e i centri commerciali etruschi adiacenti (Breglia, Stazio)

b) come segno della aspirazione di Reggio a una penetrazione nella fascia costiera tirrenica alla vigilia della dissoluzione dell’impero sibarita (Lepore).

Per quanto incusi di piede calcidese, seppur di una certa rarità, non siano ignoti (v. il caso di Reggio), trovo piuttosto singolare che una moneta che sembrerebbe del tutto affine a quella sibarita per caratteristiche tecniche (rovescio incuso) e tipologiche (toro retrospiciente; bordo perlinato entro doppio lineare al D/ e radiato al R/) adotti un peso calcidese. A ciò si aggiunge che il diametro di mm. 25/27, pur trovando corrispondenza nell’esemplare di Rhegion, nelle monetazioni di piede “acheo” qualifica lo statere e peraltro in fasi alquanto tarde, prossime al 510.

Considerata poi l’estrema rarità degli esemplari e le incertezze sulla localizzazione del centro di emissione purtroppo si può dire ben poco. La Taliercio sottolinea di queste monete la “marcata proiezione tirrenica non solo perché è questa la fascia geografica di pertinenza dello standard calcidese, ma per la diretta convertibilità, sulla base di un rapporto semplice, con il sistema foceo-fenicio di Velia e Poseidonia”. Mele evidenzia che le monete a legenda So, insieme a quelle di piede acheo di Ami (altrettanto rare) e di Sirinos/Pux-Puxoes, sono le uniche ad adottare tipi sibarita ed etnico locale e pertanto dovettero godere di una posizione privilegiata all’interno dell’impero sibarita. Si trattava di comunità, probabilmente periferiche, a cui fu accordato un qualche privilegio da Sibari e che battendo moneta rivendicavano forse una forma di autonomia locale.

In realtà l’esiguità degli esemplari e la frammentarietà delle fonti costituisce un grave limite che impone le dovute cautele nel formulare ipotesi interpretative.

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