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Vasi straordinari emergono da una tomba etrusca. Sulle ceramiche anche immagini della guerra di Troia

Una notevole scoperta archeologica è stata compiuta a Norchia, Comune in provincia di Viterbo, come ha annunciato la Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio Etruria Meridionale. In una delle tombe sottoposte in queste settimana a scavi archeologici, è stato recuperato un corredo funebre di straordinaria qualità storico-artistica.

“Il settore della tomba Lattanzi di Norchia è oggetto di un progetto di ricerca iniziato nel 2020, sotto la forma di una collaborazione tra Soprintendenza, l’Esercito Italiano tramite il Comando Militare della Capitale e CNRS/École normale supérieure de Paris, titolare di una concessione di scavo triennale sul sito dal 2022. – spiega la Soprintendenza – I lavori sono stati finanziati dall’UMR 8646 del CNRS (Paris), dall’École normale supérieure (Paris), dalla fondazione ARPAMED (Paris) e dalla fondazione Rovati (Milano)”.

“La campagna di scavo eseguita nel corso dell’estate 2022 – dicono gli archeologi della Soprintendenza – si è concentrata sul gruppo di tombe minori, di cui 4 sono state finora indagate. Tutte oggetto di depredazioni realizzate, almeno per ultimo, nel corso del secolo scorso. Le tombe 2, 4 del tipo a camera e semidado e 8 del tipo a spina di pesce hanno restituito pochissimo materiale archeologico, mentre, nel caso della tomba 3, a semidado, i tombaroli non hanno portato a termine il loro lavoro”.

“In quest’ultima sono emersi vari frammenti ceramici di skyphoi, grandi vasi da banchetto etruschi con decorazione a figure rosse; due kylikes figurate del Gruppo Sokra con decorazione sovradipinta in rosso, esoprattutto uno stamnos etrusco a figure rosse integro”.

“Si tratta – prosegue la Soprintendenza dell’Etruria meridionale – di uno dei grandi vasi da banchetto aristocratico a figure rosse del cosiddetto Gruppo dell’Imbuto. Però, a differenza di tutti gli altri, che di solito hanno solo uno o due personaggi su ogni lato, qui ve ne sono cinque, tutti impegnati nella guerra di Troia, e identificabili grazie ad iscrizioni etrusche sovradipinte: Achille, Aiace, Troilo e una figura armata, femminile, a cavallo, forse Polissena. La scena sembra rappresentare l’uccisione di Troilo da parte di Achille, con due righe in etrusco a commentarla. Lo sfondo è a motivi vegetali sovradipinti.
Questo a ribadire l’eccezionalità di tale stamnos, per la ricchezza iconografica e delle epigrafi, assenti negli altri vasi dello stesso tipo. Il restauro e la pulizia di tutta la superficie del vaso forniranno in seguito dettagli importanti in merito. Così come successive indagini scientifiche porteranno ad individuare il suo contenuto, forse vino, grazie alle tracce presenti”.
“Il rinvenimento di tale vaso permette di ricostruire oggi nuove e importanti pagine della nostra storia di questo territorio, in passato devastato dall’azione sconsiderata dei clandestini. Confidiamo, appena conclusi i lavori di restauro, di presentare questa importantissima scoperta ad un più ampio pubblico”.

https://www.stilearte.it/vasi-straordinari-emergono-da-una-tomba-etrusca-sulle-ceramiche-anche-immagini-della-guerra-di-troia/

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Norchia

Il nome antico non è noto, ma non poteva discostarsi dalla forma  Orcla/Orclae, attestata a partire da un documento del 775 d.C. (la forma con «n» è accolta nell'uso scritto a partire dalla carta geografica di J. Oddi del 1637). Appare verosimile un rapporto con il nome gentilizio etrusco variamente continuato in latino da Orculnius, Orgolnius, Urgulanius: nome portato nella prima metà del IV sec. a.C. dal re di Caere spodestato, secondo gli Elogia Tarquiniensia, da Aulo Spurinna.

Il comprensorio di N. fu frequentato e abitato a più riprese nella preistoria: nel Paleolitico Superiore (riparo sul Biedano), nell'Eneolitico (tombe a grotticella nelle valli del Pile e dell'Acqualta), tra il Bronzo Antico e le fasi iniziali del Medio (facies di Asciano e di Grotta Nuova, quest'ultima in particolare sul Piano del Casalone), tra il Bronzo Recente e il Bronzo Finale, con particolare intensità nella fase di Allumiere (X secolo). Resti di due grandi capanne dell'epoca, a pianta subcircolare con muri disfatti di pietre calcaree, sono stati tagliati dal muro etrusco di cinta costruito alla radice del pianoro, mentre nella valle del Pile si è rinvenuto un riparo con ceramiche in relazione a una capanna distrutta dall'impianto delle tombe etrusche.

Durante l'Età del Ferro il sito sembra deserto. Del tutto isolato è rimasto il recupero nel fondovalle del Biedano di alcuni bronzi; abbandonati da scavatori clandestini, tra i quali due dischi-corazza e parte di uno scudo composito del tipo dell’ancile, decorati nello stile geometrico tardo-villanoviano. Una ripresa di vita è sicura solo tra gli inizî del VI e quelli del V sec. a.C., con tenui testimonianze sia abitative sia funerarie. Di queste ultime la più notevole è una piccola tomba a camera con banchina tricliniare, poco a E del Casalone, il cui corredo, databile intorno al 500 a.C., includeva a quanto pare in origine una completa panoplia di guerriero (come si verifica a Vulci e a Bomarzo).

È solo con la metà del IV sec. a.C. che N. assurge a una posizione di primo piano nell'Etruria interna, divenendo la base dell'espansione politico-militare di Tarquinia in direzione di Viterbo, del Tevere e dell'agro falisco (la sua gens più eminente, i Churcle, ha lasciato probabilmente il proprio nome al centro falisco di Corchiano: è anche possibile che Vitorchiano non sia altro che un Vetus Orclanum) . La città, retta da proprie magistrature (sono noti due zιlαθ e uno zilc parχis, titolo quest'ultimo che N. condivide con Musarna), occupava una superficie di circa 10,5 ha, difesa sul lato S da un'enorme  fossa trasversale alla collina, larga m 25 e profonda m 6. Lo sbarramento era completato da un muro a doppia cortina isodoma di tufo, largo m 1,50, integrato sul ciglio interno da un'unica torre quadrata di avvistamento. Fossa e muro erano attraversati dalla via proveniente da Blera, che entrava in città con una tagliata forse un tempo scavalcata dal muro con un arco. Un percorso alternativo, ancor più facilmente ostruibile in caso di bisogno, era offerto da una contigua rampa in galleria. Un secondo ingresso alla città si trovava dal lato del Pile, presso la diruta chiesa di S. Giovanni, al sommo di uno scenografico percorso a tornanti fronteggiato da tombe rupestri, utilizzato già in epoca arcaica.

L'acropoli coincideva con la parte settentrionale del pianoro, estesa per c.a 2 ha, dove si restrinse e si addensò l'insediamento medioevale, difeso da quattro fossati, da una torre e da una rocca. Un saggio di scavo vi ha messo in luce, tra l'altro, un frammento di pocolom con elefante da guerra e iscrizione latina. La via principale discendeva al Biedano con una lunga trincea, scavalcando il fiume con un ponte a tre archi in opera quadrata di tufo, probabilmente del I sec. a.C. La via superava quindi l'opposto ciglio, in direzione di Tuscania (e di Tarquinia, via Torrionaccio), con un'angusta tagliata, la «Cava Buia», profonda fino a 10 m e lunga nel complesso quasi 400 m, tra le più impressionanti d'Etruria. Probabilmente anch'essa del I sec. a.C., a giudicare da due iscrizioni latine scolpite sull'alto delle pareti, è rimasta in uso, come provano altre iscrizioni e simboli, per tutto il Medioevo. In precedenza l'ascesa avveniva con una tagliata più ripida e breve, ma anche più stretta. Si esita a identificare una tale via, percorribile solo a senso unico, con la Clodia, ma finora, nonostante le molte ricerche, non si è riusciti a indicare per la via consolare un percorso più convincente.

Intorno al pianoro della città, sui  fianchi scoscesi delle valli del Biedano, del Pile e in parte dell'Acquatta, si estende la grande necropoli di tombe a facciata rupestre di IV-III sec. a.C. La massima concentrazione di tombe si osserva nella valle del Pile, che è stata per questo oggetto di ricerche e scavi sistematici tra il 1969 e il 1981. Nei settori Pile A e B, fronteggianti l'acropoli della città, le tombe si dispongono fino in quattro ordini sovrapposti, creando un paesaggio architettonico di rara suggestione. L'ordine più basso, a livello di fondovalle, è composto prevalentemente da piccole tombe a dado, costruito o appoggiato a massi erratici, mentre negli ordini superiori le tombe sono a semidado o a falso dado, sempre però con terrazza («piattaforma») accessibile con una scala laterale e dotata di cippi infissi per il culto dei defunti. Frequente, secondo un modello verosimilmente di invenzione locale, è la strutturazione della fronte su due piani, con un vano addossato alla facciata inferiore, spesso conformato a portico di colonne tuscaniche, per lo più esteso lateralmente a squadro e con il tetto scolpito a tegole e coppi. Il complesso di maggiore monumentalità è costituito dalle due tombe della gens Smurina (Pile B), con portico in comune di sei colonne e ricco campionario di cippi di 

nenfro in situ sulle terrazze: i sarcofagi rinvenuti nelle camere postulano una data nel secondo quarto del III sec. a.C. Assai imponente anche la coppia di tombe dei Tetatru, a facciata e vano di sottofacciata unici (Pile C), databile nella seconda metà del III sec. a.C.

Non mancano anche nella valle del Pile arricchimenti scultorei (Tomba delle Tre Teste nel Pile C, così chiamata dalle protomi sovrapposte alla finta porta della facciata; Tomba del Charun nel Pile A, con il demone ritto sulla finta porta), ma non tuttavia paragonabili a quelli di alcune tombe delle valli del Biedano e dell'Acquatta, che si annoverano tra le più significative manifestazioni dell'architettura protoellenistica in Italia centrale: la Tomba Lattanzi e le due Tombe a Tempio o Tombe Doriche. Il motivo del vano porticato assume nella Tomba Lattanzi una dimensione ingigantita e architettonicamente elaborata, con alto podio, colonne alte quasi quanto la facciata, anta contigua alla scala sorretta da un toro (?) accosciato e fregio della trabeazione con grifi contrapposti a motivi vegetali. Inoltre la consueta terrazza sommitale ha per fondale un finto portico tetrastilo con intercolumnì incavati a formare tre recessi intonacati e forse dipinti. La tomba, esplorata nel 1852, conteneva cinque sarcofagi scolpiti, i più antichi dei quali, del tipo a cassa lignea con defunto supino, si datano tra il terzo e l'ultimo quarto del IV sec. a.C. (il che rende solo apparente il proposto confronto con l’Archokràteion di Lindos, di circa un secolo più recente).

Affatto diverse le tombe a tempio, che riproducono realisticamente la facciata di due tempietti distili in antis, con portici però non agibili, in origine distinti ma successivamente unificati dalla scultura a rilievo sulla parete di fondo di un corteo magistratuale sovrastato da armi appese e includente una figura di demone alato. Il fregio dorico della trabeazione alterna normali triglifi a protomi femminili e sottostà a una dentellatura ionica (cfr. il sarcofago di Scipione Barbato). I due frontoni, a volute angolari includenti grandi  gorgòneia al posto delle testate dei mutuli, sono tra le prime testimonianze in Etruria del tipo a fondo chiuso, scolpito con storie epico-mitologiche di incerta interpretazione, ma affini a quelle tanto spesso rappresentate sui coevi sarcofagi tarquiniesi. Sia lo stile delle sculture sia la tipologia delle camere nella fase iniziale suggeriscono una datazione verso il 300 a.C.

Dopo il 200 a.C. non si scolpiscono più tombe a facciata ma si continua per buona parte del II sec. a.C. a utilizzare le camere di quelle già esistenti, ampliandole con fosse disposte a «spina di pesce», chiuse talora da coperchi scolpiti. Una tenue ripresa di frequentazione si registra in età augustea e giulio-claudia, con sepolture a cremazione per lo più in nicchie esterne alle camere. Un solitario mausoleo a torre, la c.d. Torraccia, sul pianoro a S della città, nei pressi della via di Blera, è l'unica testimonianza monumentale di età romana avanzata.

N. si ripopola tra l'VIII e il IX sec. d.C., prima come munito insediamento di confine della Tuscia longobarda, poi come luogo di rifugio della popolazione costiera minacciata dalle incursioni saracene. Venuta in possesso della Chiesa, fu rifondata come Castrum da Adriano IV poco dopo la metà del XII secolo. Restano di questa età gli imponenti ruderi della pieve romanica di S. Pietro e del castello, oltre a innumerevoli grotte di abitazione, pestarole, colombaie e vie cave.

https://www.treccani.it/enciclopedia/norchia_(Enciclopedia-dell'-Arte-Antica)/

Modificato da ARES III
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Ricostruzione

Screenshot_20220918-163953~2.png

etruscan-corner-necropoli-di-norchia-ricostruzione.jpg

Modificato da ARES III
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Inviato
Il 18/9/2022 alle 16:12, ARES III dice:

lazio-tombe-etrusche-copertina-1024x512.jpg

lazio-tombe-etrusche-vaso-2-1020x1536.jpg

lazio-tombe-etrusche-vaso-1020x1536.jpg

 

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