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Imperatori romani morti in battaglia


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Inviato (modificato)

La storia delle battaglie di ieri come di oggi e’ costellata di morti , feriti ed invalidi , chi era piu’ fortunato o piu’ bravo a combattere ne usciva indenne .

La maggior parte delle prime tre categorie di combattenti : morti , feriti ed invalidi , era costituita da soldati , sottufficiali e in minor parte anche da ufficiali superiori specialmente quando la battaglia contro il nemico era persa ; nell’ antichita’ si combatteva all’ arma bianca e quando una delle due parti soccombeva aveva inizio la strage del perdente , allora soldato , sottufficiale ed ufficiale non facevano nessuna differenza al vincitore , anzi uccidere piu’ ufficiali possibile era considerato un onore e chi riusciva era fatto oggetto di doni ed onorificenze .

Diverso era il caso di un Imperatore o di un altissimo ufficiale che perdeva una battaglia , di norma si suicidava per non cadere in mano nemica macchiando per sempre la sua onorabilita’ , ma in alcuni casi moriva sul campo di battaglia , come si suol dire “con le armi in mano” , per cause non volute espressamente o accidentalmente per varie concause negative .

Le morti in battaglia di Imperatori romani nella storia dell’ Impero sono molto rare , un Imperatore che moriva in campo era considerato un fatto inaudito come se fosse morta la stessa Roma ; a parte la solennita’ del fatto , quasi aulico , dell’ Imperatore che muore in campo con le armi in mano , in pratica era la peggior cosa che potesse accadere ad un esercito romano .

A mia memoria quattro Imperatori ebbero la “disgrazia” di morire in battaglia , oppure secondo altre fonti , in conseguenza di una sconfitta , la differenza sembra enorme ma in pratica , secondo la mentalita’ degli antichi , non lo e’ .

Di sicuro solo Traiano Decio e Giuliano II morirono in battaglia , mentre per Gordiano III la sua morte in battaglia e’ di sola fonte persiana , mentre Valente , pur ferito in campo , mori’ in conseguenza della sconfitta .

Con l’ aiuto di Wikipedia la storia dei quattro Imperatori che ebbero la sventura di incorrere in sconfitte campali o di morire per conseguenza della sconfitta .

GORDIANO III

Le fonti persiane riportano che, all'inizio del 244, i Persiani e i Romani si scontrarono nella battaglia di Mesiche (l'odierna Falluja), battaglia dall'esito incerto. Sapore I cambiò il nome della città in Peroz-Shapur ("Sapore vittorioso") e celebrò la vittoria con un'iscrizione a Naqsh-i-Rustam in cui affermava di aver ucciso Gordiano.

Le fonti romane, invece, non menzionano la battaglia e suggeriscono che Gordiano sia morto a Circesium, a oltre 300 km a nord di Peroz-Shapur, ma non riportano la causa della morte dell'imperatore, anche se il prefetto del pretorio, Filippo, che gli succedette sul trono, fu spesso descritto come il mandante del suo assassinio. Secondo Zosimo, Filippo appena assunse la carica di prefetto del pretorio, fu preso dall'ambizione di occupare il potere imperiale e fomentò lo scontento dei soldati, inclini alla rivolta. Si racconta che, quando vide che gli approvvigionamenti dell'esercito erano sufficienti, mentre l'Imperatore si trovava con le armate tra Carre e Nisibis, ordinò alle navi che portavano i rifornimenti ai soldati lungo l'Eufrate, di avanzare all'interno, affinché l'esercito oppresso dalla fame e dalla mancanza di viveri si ribellasse. Il piano di Filippo riuscì. I soldati, infatti, circondarono Gordiano e lo uccisero, come unico responsabile della loro rovina.

Secondo la spesso inattendibile Historia Augusta, in seguito alla mancanza di viveri, i soldati avrebbero stabilito che Filippo e Gordiano III avrebbero governato insieme con pari autorità, nominando però Filippo suo tutore. Gordiano III avrebbe reagito prendendo la parola e lamentandosi di fronte ai soldati e agli ufficiali dell'ingratitudine di Filippo nella speranza di far cambiare loro idea, ma invano. Chiese allora ai soldati di votare e fare la loro scelta su chi sarebbe stato il loro imperatore, ma, a causa degli intrighi di Filippo, fu proprio quest'ultimo a spuntarla nel voto. Gordiano III allora chiese invano dapprima che potessero governare insieme con pari autorità, poi che almeno gli fosse attribuita la carica di Cesare o almeno di prefetto; in seguito al rifiuto anche di queste richieste, supplicò che fosse nominato almeno generale e che gli fosse risparmiata la vita. Filippo era propenso ad accettare quest'ultima richiesta, ma poi considerò il fatto che l'intero mondo romano ammirava Gordiano perché era di nobile nascita e aveva liberato l'intero stato da perniciose guerre, dunque, per evitare il rischio che potesse tentare di tornare al trono, per prudenza lo fece uccidere. Altre fonti ricordano che l'esercito romano in ritirata costruì un cenotafio a Gordiano sulla riva dell'Eufrate, a Zaitha.

La possibilità che Gordiano sia morto in conseguenza della battaglia di Mesiche è poco considerata dagli storici. La campagna di Gordiano in Oriente fu infatti presentata come una vittoria; in effetti, i Sasanidi non conquistarono altre città, oltre ad Hatra, e Sapore non intraprese ulteriori iniziative militari per i successivi otto anni.

La giovane età ed il buon carattere, insieme alla morte di suo nonno, dello zio e la sua tragedia personale per mano di un altro usurpatore, accattivarono a Gordiano III il favore popolare e del Senato romano. Malgrado l'opposizione del nuovo imperatore, egli fu divinizzato dopo la sua morte per compiacere il popolo ed evitare ribellioni.

TRAIANO DECIO

L'anno successivo (nel 251), la monetazione imperiale celebrò una nuova "vittoria germanica", in seguito alla quale Erennio Etrusco fu proclamato augusto insieme al padre Decio. I Goti, che avevano trascorso l'inverno in territorio romano, in seguito a questa sconfitta offrirono la restituzione del bottino e dei prigionieri a condizione di potersi ritirare indisturbati. Ma Decio, che aveva ormai deciso di distruggere quest'orda di barbari, preferì rifiutare le proposte di Cniva e sul cammino del ritorno dispose le sue armate ed impegnò il nemico a battaglia nei pressi di Abrittus, in Dobrugia.

Secondo la versione di Zosimo, la fine di Decio fu causata dal tradimento di Treboniano Gallo:

«[..] Gallo, deciso a ribellarsi [a Decio], inviò dei messaggeri presso i barbari, invitandoli a partecipare al complotto contro Decio. Accolta in modo favorevole la proposta, mentre Gallo rimaneva a guardia, i barbari si divisero in tre armate: disposero la prima in una località davanti alla quale si estendeva una palude. Dopo che Decio ebbe ucciso molti di loro, subentrò la seconda armata, e quando anche questa fu messo in fuga, apparvero solo pochi soldati presso la palude del terzo contingente. Gallo consigliò allora a Decio di attraversare la palude e inseguire i barbari. L'Imperatore, che non conosceva quei luoghi, mosse all'attacco senza alcuna precauzione. Bloccato, però dal fango con tutto l'esercito e colpito da ogni parte dagli arcieri dei barbari, fu ucciso insieme alla sua armata, non potendo più fuggire. Questa fu la fine di Decio, che aveva regnato in modo eccellente.»

(Zosimo, Storia nuova, I, 23.2-3.)

Decio aveva cinquant'anni circa e regnava da tre: fu il primo imperatore romano morto in battaglia contro il nemico. Rimase imperatore il figlio minore, Ostiliano, il quale fu a sua volta adottato dall'allora legato delle due Mesie, Treboniano Gallo, a sua volta acclamato imperatore in quello stesso mese. Gallo, accorso sul luogo della battaglia, concluse una pace poco favorevole con i Goti di Cniva: non solo permise loro di tenersi il bottino, ma anche i prigionieri catturati a Filippopoli, molti dei quali di ricche famiglie nobili. Inoltre, furono loro garantiti sussidi annui, dietro alla promessa di non rimettere più piede sul suolo romano. Ma Ostiliano, rimasto a Roma, dopo essere stato associato al trono da Treboniano, morì poco dopo per cause naturali.

GIULIANO

La mattina dopo, malgrado l'opinione contraria degli aruspici, fece levare le tende per riprendere la ritirata verso Samarra. Durante la marcia, presso il villaggio di Toummara, si accese un combattimento nella retroguardia: Giuliano accorse senza indossare l'armatura, si lanciò nella mischia e un giavellotto lo colpì al fianco. Cercò subito di estrarlo ma cadde da cavallo e svenne. Portato nella sua tenda, si rianimò, credette di star meglio, volle le sue armi ma le forze non risposero alla volontà. Chiese il nome della località: «è Frigia», gli risposero. Giuliano comprese che tutto era perduto: un tempo aveva sognato un uomo biondo che gli aveva predetto la morte in un luogo con quel nome.

Il prefetto Salustio accorse al suo capezzale: lo informò della morte di Anatolio, uno dei suoi amici più cari. Giuliano pianse per la prima volta e la commozione prese tutti gli astanti. Si riprese, Giuliano: «È un'umiliazione per noi tutti piangere un principe la cui anima sarà presto in cielo a confondersi con il fuoco delle stelle». Quella notte fece il bilancio della sua vita: «Non devo pentirmi né provare rimorso di alcuna azione, sia quando ero un uomo oscuro, sia quando ebbi la cura dell'Impero. Gli dèi me lo concessero paternamente ed io lo conservai immacolato [...] per la felicità e la salvezza dei sudditi, equanime nella condotta, contrario alla licenza che corrompe le cose e i costumi». Poi, com'è degno di un filosofo, conversò con Prisco e con Massimo della natura dell'anima. Le sue guide spirituali gli ricordarono il suo destino, fissato dall'oracolo di Elio:

«Quando avrai sottomesso al tuo scettro la razza persiana,
inseguendoli fino a Seleucia a colpi di spada,
allora salirai all'Olimpo su un carro di fuoco
attraverso le vertiginose orbite del cosmo.
Liberato dalla dolorosa sofferenza delle tue membra mortali,
raggiungerai la dimora senza tempo della luce eterea,
che abbandonasti per entrare nel corpo di un mortale.»

Sentendosi soffocare, Giuliano chiese dell'acqua: appena ebbe finito di bere, perse conoscenza. Aveva 32 anni e aveva regnato meno di venti mesi: con lui, moriva l'ultimo eroe greco.

VALENTE

Dopo una breve sosta con lo scopo di rafforzare le proprie truppe e ottenere un caposaldo in Tracia, Valente uscì dalla città, andando incontro all'armata barbarica il 9 agosto 378; la fonte primaria per la battaglia è Ammiano Marcellino.

I tentativi iniziali di trattativa furono interrotti quando un'unità romana ruppe lo schieramento caricando e diede così inizio ai combattimenti. I Romani stavano ancora resistendo quando furono travolti dall'arrivo a sorpresa della cavalleria gota che mandò nel caos l'esercito imperiale. Valente aveva lasciato una discreta parte delle proprie forze a guardia del suo tesoro personale. L'ala destra dello schieramento, la cavalleria, giunse all'accampamento nemico prima dell'ala sinistra, stancandosi senza supporto strategico.

Nel frattempo Fritigerno mandò ancora un emissario con proposte di pace, nella sua continua manipolazione della situazione. Il ritardo risultante mostrava il logoramento subito dai Romani. Le risorse dell'esercito furono ancora diminuite quando un attacco fuori tempo da parte degli arcieri rese necessario richiamare l'emissario di Valente, il comes Ricomere. Gli arcieri furono battuti e si ritirarono.

Quindi la cavalleria dei Goti colpì sotto il comando di Alteo e Safrace, e la cavalleria romana dovette soccombere, in quello che fu probabilmente l'evento decisivo della battaglia. La fanteria, abbandonata a se stessa, fu circondata e fatta a pezzi. Valente fu ferito e venne trasportato alla sua tenda. I Goti la circondarono e la misero a fuoco, ignari del suo prezioso ospite; secondo Ammiano Marcellino questa fu la fine dell'imperatore. Alla fine della battaglia, i due terzi dell'armata imperiale giacevano morti a terra. Erano morti anche molti degli ufficiali; ciò che rimaneva dell'esercito fu condotto via nottetempo dal comes Ricomere e dal generale Vittore.

La battaglia fu un grave colpo per Roma: l'imperatore Graziano, diciannovenne, era sopraffatto dalla disgrazia e non fu in grado di affrontare la catastrofe che seguì finché non nominò Teodosio I nuovo imperatore d'oriente.

In foto quattro monete degli Imperatori trattati 

GORDIANO III.jpg

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GIULIANO II.jpg

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Modificato da Cremuzio
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Inviato

Si potrebbe anche ricordare che Erennio Etrusco, Augusto associato all' impero, cadde in combattimento poco prima del padre Decio, nella stessa battaglia di Abritto .

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Inviato

L. von Matt & H. Kuhner, nel loro "I Cesari" ( 1970 ), ricordano che gli imperatori legittimi furono 81, dei quali 5 caduti sul campo e, altro dato degno di nota, ben 46 furono assassinati .

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Inviato

 

 

16 ore fa, VALTERI dice:

L. von Matt & H. Kuhner, nel loro "I Cesari" ( 1970 ), ricordano che gli imperatori legittimi furono 81, dei quali 5 caduti sul campo e, altro dato degno di nota, ben 46 furono assassinati .

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Quanto scritto nel "I Cesari" non e' completamente esatto , volendo essere pignoli gli Imperatori che certamente morirono sul campo di battaglia furono solo due Erennio Etrusco , come giustamente tu hai ricordato Erennio era diventato Augusto nello stesso anno , 251 , della battaglia di Abritto , e Traiano Decio .

Gli altri tre morirono in circostanze diverse , pur derivanti da una sconfitta in battaglia , mentre per Gordiano la sua morte rimane dubbia .

Come scrivevo di Gordiano III , la morte sul campo e' di sola fonte persiana , quindi molto dubbia , infatti secondo Giulio Capitolino sembra che l' iscrizione trilingue sulla tomba di Gordiano a Circesio recitasse : <Al Divo Gordiano vincitore dei Persiani , vincitore dei Goti , vincitore dei Sarmati , trionfatore di ogni rivolta scoppiata a Roma , vincitore dei Germani , ma non dei Filippi>

Questa iscrizione pare fosse stata in seguito distrutta da Licinio che si riteneva discendente dai Filippi .

Giuliano II mori in tenda a seguito di una ferita di lancia ricevuta in battaglia , forse "amica" 

Valente , anch' esso fu ferito in campo , ma mori a causa di un incendio appiccato dai Goti , inconsapevoli che Valente fosse stato ferito sul campo di battaglia ed era stato portato in salvo per ricevere i soccorsi .


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