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Inviato (modificato)

Partendo dai post 4710 e 4711 di questa discussione (https://www.lamoneta.it/topic/355-elenco-libri/page/189/#comments), inizio una nuova discussione, ad ampio respiro, su una tematica complessa: la svalutazione della moneta "piccola" nel medioevo. 

L'occasione per parlare di questo argomento mi è stata data da una frase di Cipolla (storico dell'economia che ha affrontato più volte l'argomento) contenuta nel saggio "Il grosso problema della moneta piccola", a sua volta contenuto in Moneta e Civiltà Mediterranea, oggetto di recente ristampa.

Si badi bene, l'argomento è stato da lui trattato in modo approfondito anche in altri saggi, ma questa frase è di forte impatto. Cipolla, infatti, scrive una considerazione non banale e, se vogliamo, in controtendenza rispetto a quanto si sarebbe portati a pensare:

"In genere - salvo rare eccezioni - gli studiosi di cose monetarie tesero e tendono a nutrire la convinzione che gli slittamenti della moneta piccola e i conseguenti aumenti dei cambi con la moneta grossa abbiano rappresentato movimenti deprecabili, indici o causa di insane situazioni economiche. Ma io devo ammettere che sono piuttosto propenso ad assumere al proposito un punto di vista del tutto eretico, e a ritenere che, per quanto riguarda il Medioevo in ispecie, la progressiva riduzione del fino della moneta piccola e la mancanza di capacità o di volontà di controllarne la quantità in circolazione abbiano rappresentato più un bene che un male. Durante tutto il Medioevo l'offerta di metalli preziosi si dimostrò ovunque, nel lungo periodo, decisamente e progressivamente inadeguata di fronte alla sempre crescente domanda di tali metalli per uso monetario ed industriale. Gli stati che avessero mantenuto stabili il peso e la lega della moneta che costituiva la base de loro sistema di prezzi interni, sarebbero stati colpiti da una deflazione plurisecolare le cui conseguenze avrebbero potuto riuscire disastrose. D'altronde, per gli stati italiani, data la loro funzione ed il loro prestigio sul piano internazionale nei settori commerciale, industriale e bancario, era importante mantenere la stabilità di peso e di lega dei loro pezzi d'oro che costituivano le preferite unità di misura di valore e di scambio nelle transazioni internazionali. Se quegli stati riuscirono a mantenere questa stabilità ed a trarre da tale politica tutti i benefici connessi senza nel contempo venir travolti da una plurisecolare deflazione, ciò avvenne perché, a fianco degli inalterati fiorini e ducati, questi stati ebbero la moneta piccola, slittante ed il sistema interno dei prezzi basato sulla moneta piccola stessa. In altri termini, il progressivo slittamento della moneta piccola annullò la possibilità di una plurisecolare deflazione e rappresentò la valvola di sicurezza che permise la magnifica stabilità del fiorino e del ducato".

 

Modificato da Matteo91
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Inviato

Potrebbe essere interessante affrontare l'argomento sotto il profilo "monetario", analizzando le questioni sollevate da Cipolla, nonché sotto il profilo numismatico, portando esempi di monete che, nel corso degli anni, hanno subito progressive svalutazioni.

Per le considerazioni monetarie, ho evidenziato una frase cruciale, che merita qualche spunto. Per chi è esperto in materia, probabilmente, sarà tutto chiaro, ma per me, apprendista monetarista ( :P ), alcuni interrogativi persistono. Ne sottoporrò qualcuno nel prosieguo della discussione.

 

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Inviato

Venezia è un classico esempio di svalutazione della moneta piccola. Partita nel IX secolo con la parità con il denaro di Verona, nel XII secolo valeva la metà di quello veronese che pure si era svalutato.

Arka

Diligite iustitiam

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Ciao!

Assolutamente d'accordo con l'esempio portato da Arka.

La moneta veneziana spicciola, quella del popolo, quella legata ai salari ed alle spese quotidiane di merci e servizi (non esclusivamente quella "nera"), veniva sempre e nel tempo "rosicchiata" nel peso e nel fino a seconda delle scelte politiche. Ogni nuova emissione nascondeva, generalmente, questa riduzione a tutto beneficio del ducato d'oro (poi zecchino) che, invece, fluttuava e libero da cambi forzosi si rivalutava.

saluti

luciano

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Buonasera,

un piccolo contributo:

“Moneta grossa e moneta piccola. Oggi sia i ricchi sia i poveri usano le stesse banconote e le stesse monete metalliche: sono diverse solo le quantità in gioco. In passato non è stato così. Per secoli sono esistiti due sistemi monetari separati, due monetazioni diverse e indipendenti. Da una parte c’era la moneta grossa, usata dai grandi mercanti e dai banchieri, dalle élite, in particolare negli scambi internazionali. Il capitolo 2, “I dollari del Medioevo”, parla delle quattro monete che nel corso del Medioevo svolsero il ruolo che nella seconda parte del Novecento avrebbe assunto il dollaro statunitense: furono monete internazionali. Il solidus d’oro dell’Impero Bizantino predominò dal quinto al settimo secolo. Il dinar musulmano, coniato dalla fine del settimo secolo, spezzò il monopolio del solidus. Poi dal 1252 le repubbliche italiane iniziarono a battere una moneta d’oro. Tra il 1250 e il 1400 prevalse la moneta di Firenze, il fiorino. Nel XV secolo la moneta internazionale diventò il ducato di Venezia (coniata a partire dal 1284). I quattro ‘dollari’ del Medioevo pesavano tra i 3,5 e i 4,5 grammi ed erano di oro puro. Solidus, dinar, fiorino e ducato si affermarono per l’alto valore unitario, la stabilità del contenuto aureo, il sostegno di economie forti.
Ma solo i più ricchi possedevano le monete grosse. La gran parte della popolazione usava la moneta piccola – dove l’argento veniva mischiato con il rame – che prevaleva negli scambi di ogni giorno, nel piccolo commercio, nei pagamenti dei salari. La moneta grossa mantenne il suo contenuto originario di metallo prezioso. La moneta piccola, invece, sperimentò una diminuzione progressiva del metallo prezioso in essa contenuto.
Esistevano inoltre fasce della popolazione nelle quali perfino l’uso della moneta piccola era raro. Lo racconta Cipolla in un aneddoto di quel libro bellissimo che è Storia economica dell’Europa pre-industriale (1974). Gli agricoltori andavano dalla campagna a Firenze, dove si svolgeva il mercato. Vendevano frutta e verdura, e venivano pagati con moneta piccola. Si affrettavano a spendere subito al mercato la moneta ricevuta, ad esempio comprando un paio di scarpe: una volta tornati a casa, nessuno nelle campagne avrebbe accettato una moneta che era diffusa soprattutto nelle città. Il baratto rimase frequente nelle campagne fino all’Unità d’Italia.”

 

da: https://rosa.uniroma1.it/rosa04/moneta_e_credito/article/download/17304/16529/34736

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Inviato

In realtà negli ultimi anni è stata rivalutata la circolazione monetaria, che sembra essere stata molto più capillare di quanto ritenuto finora. Interessante da questo punto di vista lo studio di Cecile Morrison su un villaggio sperduto nei balcani abbandonato nel IX-X secolo, dove furono trovate molte monete spicciole in quello che doveva essere il mercato e dove si pensava non venisse usata moneta da secoli.

Arka

Diligite iustitiam

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Inviato (modificato)

Ciao!

Sempre relativamente a Venezia, ritengo giusto fare un sempio "sul campo"; parliamo del soldino in argento, dalla sua prima emissione all'ultima (dal 1329 al 1577 circa) ti elenco il peso ed il titolo dell'argento fino impiegato, a seconda delle differenti emissioni effettuate sotto i relativi Dogi:

  • Francesco Dandolo titolo = 670 - peso gr 0,96
  • Andrea Dandolo titolo = 965 - peso gr 0,55
  • Andrea Contarini titolo = 952 - peso gr 0,50
  • Tommaso Mocenigo = 952 - peso gr 0,40
  • Agostino Barbarigo = 948 - peso gr 0,32
  • Pietro Loredan = 600 - peso gr 0,45

Come si può notare, ogni singola differente emissione ha interessato la modifica del peso e/o del titolo (o entrambi), ma se proviamo a moltiplicare il titolo per il peso, il risultato è una serie di dati calanti nel tempo:

643,20 - 530,75 - 476,00 - 380,80 - 303,36 - 270,00

saluti

luciano

Modificato da 417sonia
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Inviato

Il discorso di Cipolla, come detto in altro post, si inserisce nel ricco e complesso dibattito sulle cause e i giudizi del fenomeno della svalutazione iniziato già alla metà del settecento, in una maggioranza di opinioni risolutamente contrarie che vedevano in questo fenomeno unicamente una volontà di frode e lucro dell'autorità statale ai danni delle popolazioni, spiccavano le posizioni di Carlo Antonio Broggia e di Ferdinando Galiani, il primo era contrario alle alterazioni materiali della moneta, che si prestavano a suo parere a tutta una serie di guasti ed effetti collaterali dannosi per il commercio e l'economia, ma era favorevole ad alterazioni inerenti il solo valore legale, che giudicava necessarie in tutti i casi di mutazione del prezzo di mercato dei metalli preziosi...Per Galiani invece l'alterazione anche materiale della moneta poteva essere necessaria per iniettare più liquidità nel mercato e scongiurare i danni di una penuria di circolante, è la tesi su cui si basano le riflessioni di Cipolla e di altri studiosi del tema, e in effetti gli studi successivi in merito suggeriscono la coesistenza di più cause possibili nel fenomeno dell'alterazione monetaria da valutare caso per caso, gli esempi sono molteplici, la secolare e inarrestabile alterazione dell'intrinseco del denaro carolingio è l'esempio per eccellenza di un processo finalizzato a produrre più moneta, il denaro era l'unica moneta effettivamente coniata nella maggior parte degli stati dell'Europa occidentale nel periodo VIII-XII secolo, inizialmente di 1,7 grammi e ottimo intrinseco d'argento, arriverà nel XII secolo a contenere solo una minima parte di argento, è la base del processo di svalutazione della lira di conto descritto in un altro famoso testo di Cipolla, "Le avventure della lira", ma accanto alle svalutazioni lente e secolari potevano coesistere quelle più rapide, spinte da necessità di fare cassa, cause belliche e militari potevano rendere più arduo e complicato l'approvvigionamento di metalli preziosi o finalizzarli alle spese di guerra con il conseguente scarico delle tensioni sulle monete piccole di mistura, il caso per eccellenza e più noto è la continua svalutazione dei denari in mistura coniati da Federico II, perennemente in guerra contro i comuni dell'Italia centro-settentrionale.

Per i secoli dell'epoca moderna, dal cinqucento al settecento compreso, vi è un prezioso studio di un altro grande maestro di sapienza monetaria storica, Giuseppe Felloni, disponibile in versione digitale a questo link: https://www.storiapatriagenova.it/Scheda_vs_info.aspx?Id_Scheda_Bibliografica=1249

L'autore mette in discussione la diffusa opinione che la svalutazione dell'unità di conto derivasse necessariamente da un aumento incontrollato della produzione di moneta piccola, ma nelle sequenze statistiche presentate nel saggio si evince piuttosto il contrario, nei periodi di massima svalutazione le coniazioni, anche e soprattutto di moneta piccola, si presentano molto più sporadiche e limitate, da ciò ne deriva un'interessante riflessione sulle cause più profonde del fenomeno che sono da ricollegarsi in gran parte al già discusso problema della carenza di afflusso dei metalli in zecca, cosa che poteva derivare o da un più difficoltoso reperimento delle paste metalliche o dalla mancata convenienza dei privati a portare metallo in zecca a causa di un prezzo legale attribuito dallo stato alla moneta non in linea con i valori reali di mercato, il rincaro dei metalli conseguente e gli agi pagati dalle istituzioni come sovrapprezzo sul prezzo legale comportavano spesso la necessità delle magistrature di zecca di rivalersi sul contenuto metallico delle coniazioni contemporanee, quasi sempre le monete di taglio minore, abbassando peso o intrinseco e causando il fenomeno visibile della svalutazione, un fenomeno che si riverberava come effetto collaterale sulla moneta piccola, ma originava innanzitutto da carenze o alterazioni nel prezzo dei metalli preziosi, oro e argento...

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Inviato

Un esempio di svalutazione di emergenza è dato dal Carrarese da quattro soldi di Francesco I da Carrara. Ogni tre mesi veniva coniata una nuova emissione con minore intrinseco e la vecchia valuta doveva essere sostituita dalla nuova. In questo modo Francesco cercava di finanziare la guerra contro Venezia e Milano.

Arka

Diligite iustitiam

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Inviato
12 ore fa, talpa dice:

che sono da ricollegarsi in gran parte al già discusso problema della carenza di afflusso dei metalli in zecca, cosa che poteva derivare o da un più difficoltoso reperimento delle paste metalliche o dalla mancata convenienza dei privati a portare metallo in zecca a causa di un prezzo legale attribuito dallo stato alla moneta non in linea con i valori reali di mercato, il rincaro dei metalli conseguente e gli agi pagati dalle istituzioni come sovrapprezzo sul prezzo legale comportavano spesso la necessità delle magistrature di zecca di rivalersi sul contenuto metallico delle coniazioni contemporanee, quasi sempre le monete di taglio minore, abbassando peso o intrinseco e causando il fenomeno visibile della svalutazione, un fenomeno che si riverberava come effetto collaterale sulla moneta piccola, ma originava innanzitutto da carenze o alterazioni nel prezzo dei metalli preziosi, oro e argento...

 

Ciao!

Necessità di guerra, vero. Le guerre, però, erano solo uno dei motivi per drenare valuta ed erano motivi contingenti e limitati.

Altro motivo, per me più frequente per la "Serenissima", era la carenza di metallo prezioso (o l'aumento del suo valore in ambito internazionale).

La possibilità di approvvigionarsi dei metalli necessari alla zecca per la coniazione in monete, soprattutto quelli preziosi, dipendeva naturalmente dall’andamento di mercato degli stessi in ambito internazionale a cui Venezia non poteva sottrarsi; la scoperta di nuove miniere e l’adozione di tecniche che consentissero una maggiore estrazione di metallo, così come l’esaurimento delle stesse o la perdita di qualche “mercato” importante, condizionavano la sua politica monetaria.

La maggior quantità di metallo arrivava a Venezia dalle miniere tedesche e balcaniche; di tutto il metallo importato, i mercanti stranieri, avevano l’obbligo di versarne parte alla zecca per trasformarlo in moneta; in genere era la quinta parte del metallo prezioso che conducevano, con tale percentuale la zecca coniava le monete che erano ritornate ai mercanti come pagamento del quinto ricevuto. L’obbligo venne più volte nel tempo abrogato e reintrodotto.

A riprova di quanto fosse mutevole l’approvvigionamento del metallo, si registra che nel primo periodo del dogato di Francesco Foscari, fino al 1430 circa, la quantità di argento che si coniava in moneta era abbondantissimo, tanto che questo metallo poteva essere venduto ed acquistato in qualsiasi luogo di Venezia e ciò a scapito dell’oro che, invece, arrivava in zecca in quantità minima.

Nel secondo periodo invece si instaurò una forte penuria di ambedue i metalli, tanto che la Repubblica fu costretta ad emettere delle leggi perché anche la compravendita dell’argento, così come lo era già per l’oro, venisse sottoposta a misure di controllo via via più restrittive, tanto da ottenere di fatto il monopolio commerciale.

Giacché erano frequenti tale congiunture, Venezia riduceva l'impatto negativo attuando vari correttivi (non sempre efficaci); poteva, a seconda dei casi e come detto sopra, togliere o ridurre l'obbligo di versare il quinto, oppure poteva ridurre o azzerare le spese di coniazione, così come poteva ridurre o azzerare il signoraggio; in alcuni casi anche il salario dei lavoranti nella zecca e ciò a beneficio dei mercanti ai quali veniva maggiormente apprezzato il loro metallo. Di fatto veniva incentivata la consegna di tali metalli a Venezia.

saluti

luciano

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Inviato

Sono d'accrodo con Luciano. Avendo avuto modo di approfondire i fenomeni inflativi delle zecche lombarde del XII-XIII secolo, mi sono convinto che questi fossero principalmente dovuti più a un aumento del prezzo dell'argento, che ad altre cause. Cioè penso che fosse più un problema di offerta del metallo, di carenza di argento, che faceva aumentare il prezzo del metallo monetabile, più che un accresciuto bisogno di moneta. un caro saluto a tutti

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