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Noi apparteniamo ormai al tempo del fuoco spento, ma nella mente arde ancora come simbolo massimo di continuità, che nessun potrà mai toglierci.

Queste parole, che chiudono la premessa del libro di Andrea Carandini “Il fuoco sacro di Roma”, esprimono una grande e triste verità: da quando esiste l'uomo siamo i primi ad aver perso contatto e familiarità con questo elemento. Al tempo stesso ci è fortunatamente possibile ricordare, raccontare e soprattutto focalizzare l'attenzione sull'importanza che quel “fuoco antico e profumato che brucia legna” ebbe in ogni società e cultura.

In ambito romano il fuoco è di Vesta ed è Vesta, una figura divina nota ma a tratti enigmatica, sulla quale è possibile veder riflessi gli importanti cambiamenti che segnarono la storia della Repubblica.

Ma è bene, seppur sinteticamente, partire da lontano...

Fin dall'età regia sfera politica e religiosa furono profondamente connesse, tanto da consentirci di definire la religio arcaica con due soli e precisi termini: sociale e cultuale. Tutto confluiva in due figure cardine, quella del rex e quella del pontifex maximus. L'operato di tali sommi rappresentanti risultava fondamentale in termini di coesione sociale e conseguentemente i garanti di tale equilibrio detenevano una forma di prestigio senza pari, tanto da poter esercitare potere punitivo nei confronti dei loro sottoposti, gerarchicamente ordinati in una struttura che, col tempo, divenne sempre più articolata sia in termini numerici che funzionali. Con l'avvento della Repubblica e la conseguente istituzione della figura del rex sacrorum tale complesso subì delle profonde mutazioni, che portarono all'ascesa in termini di potere e prestigio della figura del pontefice massimo, che assunse tutte le funzioni religiose in precedenza di competenza del rex e del rex sacrorum. Il pontifex maximus fu fin dal principio il “sapiente” per eccellenza, esperto dello ius, custode della tradizione religiosa che, giunto materialmente a capo del collegio dei pontefici (composto dal rex sacrorum e dai tre flamini maggori), potè sfruttare tale poter al fine di plasmare le materie di propria somma competenza adattandole a quei cambiamenti politici e culturali propri di una società in continua evoluzione.

Dai tempi di Numa l'accesso a tale alto sacerdozio era poi consentito solo ai patrizi ed è facile intuire quanto questa carica fosse utile al fine di garantire il mantenimento della condizione di supremazia della classe d'elite. Le cose iniziarono però a cambiare nel 300 a.C. con la promulgazione della Lex Ogulnia: il collegio dei pontefici fu incrementato di quattro unità, di provenienza plebea, che passò da cinque a nove membri. Nonostante l'apertura verso i plebei e dunque con l'implicita possibilità anche per un plebeo di poter ricoprire la carica di pontefice massimo, bisognerà attendere quasi mezzo secolo prima di vedere Tiberio Corucano ricoprire tale sommo sacerdozio (254 a.C.).

Lo scontro era però ormai in atto, vivo e pericoloso, il vitale controllo sulla religio da sempre ad esclusivo appannaggio del patriziato, ormai vacillava. E' qui che inizia a prende forma quello che potremmo definire il “conflitto di Vesta”.

Non ci sono dubbi sul fatto che tale divinità, a livello funzionale, possa considerarsi pre-civica e che la sua essenza ed essenzialità possa trarre origine dalle antiche tribù laziali le quali, pur avendo imparato ad usare il fuoco, riscontravano non poche difficoltà nell'accenderlo, se non attingendo ad un focolare comune che, necessariamente, doveva perennemente ardere. Un numen che ha quindi in origine una connotazione tribale ma che si evolverà insieme ai primi tipi di organizzazione sociale, pur mantenedosi incorrotta dalle contaminazioni straniere come poche altre figure divine.

E' già in epoca monarchica che la Roma sviluppatasi intorno al Palatino si appropria di Vesta, essenza pubblica di quel fuoco comune intorno al quale si sviluppò quell'insediamento civicamente sempre più organizzato. Nel tempo immediatamente successivo alla fondazione, col già citato Numa Pompilio, fu quindi creato il sacerdozio delle Vestali, incaricate di mantenere vivo quel sacro fuoco che fu definitivamente spento solo con Teodosio, tradizionalmente 1.150 anni dopo.

Si potrebbero scrivere pagine e pagine in merito a questa dea ed alle sue sacerdotesse, ma il percorso punta a capire come possa la fonte numismatica dirci qualcosa in merito a questa figura ed alla storia della Repubblica di Roma... qualcosa di importante.

Vesta non appare certo con frequenza sulle emissioni repubblicane ma questo non deve sorprendere. E' lo stesso Ovidio (Fasti, VI, 295-299) a dirci “effigiem nullam Vesta nec ignis habet” (né Vesta, né il fuoco, possono essere effigiati), ed è solo dal I secolo a.C. che l'aniconica dea iniziò ad essere rappresentata, proprio su alcune emissioni monetali.

Stiamo parlando del denario di P. Sulpicius Galba del 69 a.C., cui seguirono le due emissioni della Cassia, rispettivamente del 63 e del 55 a.C.

 

Già si è scritto molto sul forum soprattutto in merito ai denari con la "scena di votazione", ma non mi pare che si sia andati oltre alla "semplice" narrazione degli eventi del 113 a.C. che videro per protagonista Lucio Cassio Longino Ravilla. In queste tre tipologie monetali, che concettualmente possono essere ridotte a due, c'è molto di più, su questi denari si combatte il “conflitto di Vesta” che, pur interessando questa specifica figura divina, come si vedrà avrà ripercussioni molto più ampie e profonde.

Prima di proseguire, qualsiasi commento, spunto o ampliamento delle tematiche fin qui toccate (che sono davvero numerose e dunque solamente accennate) è ovviamente gradito.

 

Modificato da Rapax
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Un personale contributo all' interessante e bel post :

Siamo al tempo di Stilicone e di sua moglie Serena quando la religione pagana era ormai al tramonto , non senza una accanita resistenza dell' elite del governo romano custode delle antiche tradizioni e degli "arcana imperii"

24 Febbraio 390/1 , si spenge il sacro fuoco di Vesta :

https://www.la-notizia.net/2021/03/13/lo-spegnimento-del-fuoco-di-vesta-a-roma-e-la-maledizione-di-serena/

Il 24 febbraio 391 , per effetto del primo dei Decreti Teodosiani , tesi a cancellare ogni culto diverso dal Cristianesimo ed in particolare la religione politeista degli Dėi nell’ Impero Romano , fu spento il Fuoco Sacro che ardeva da un millennio nel Tempio della Dea Vesta nel Foro di Roma , simbolo sacro della Dea e della città stessa di Roma ed in stretta connessione simbolica con il Calendario Sacro legato alle attività agricole ed alla fertilità della terra .

Quello stesso giorno fu sciolto l’ ordine delle Vestali che avevano l’incarico di mantenere il fuoco perennemente acceso e di custodire gelosamente il Palladio , uno dei sette “pignora imperi” , oggetti sacri che garantivano il potere e la sicurezza di Roma . Sulle sorti del Palladio resta il mistero . L’ oggetto sarebbe stato portato in Italia da Enea direttamente da Troia , poi fatto scomparire dalla Vestali nel 394 per evitarne la profanazione , ma le versioni non sono concordanti (Sul Palladio vedi Dionigi di Alicarnasso , Antichità romane I 69, 2-4 oppure Virgilio, Eneide, II 164-166)

A conferma del periodo teodosiano che fu perido di stravolgimenti politico religiosi ci arriva anche una testimonianza di Zosimo , pagano , che narra di un fatto sacrilego compiuto da Serena moglie di Stilicone .

da Zosimo "Storia Nuova" :

“……….Quando Teodosio il Vecchio (I) dopo aver abbattuto la tirannide di Eugenio venne a Roma , ed indusse tutti a trascurare i riti sacri , vietando che le cerimonie fossero organizzate a spese pubbliche , sacerdoti e sacerdotesse vennero espulsi e nei templi non si tennero piu’ le sacre funzioni . Allora Serena , deridendo queste cose , volle visitare il Tempio della Grande Madre , appena vide che la statua di Rea portava una collana degna del Culto riservato ad una Dea , la tolse dal collo della Statua e la mise sul suo . Quando una Vecchia , una delle vergini Vestali , che era rimasta nel Tempio , le rinfacciò la sua empietà, essa la oltraggiò ordinando al suo seguito di cacciarla via . Allora costei lancio’ contro Serena , il marito e i figli tutte le imprecazioni che il suo atto sacrilego meritava . Ma Serena non tenne in nessun conto queste parole e usci’ dal Tempio splendidamente ornata . Spesso ebbe sogni e visioni che le annunciavano la prossima morte , lo stesso toccò anche a molti altri . E la Giustizia che colpisce gli empi riuscì a compiere il suo dovere . Serena pur essendo stata avvertita , non potè sfuggire al suo destino , ma porse al cappio quel collo che aveva cinto con l’ ornamento della Dea”

Modificato da Cremuzio
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Una volta lessi un autore (purtroppo non ricordo quale) che paragonava il tradizionalismo romano alla gestione di un magazzino, dive le cose sono state ammucchiate, nei secoli, dal fondo verso l'ingresso. Quindi, quando apri, vedi le cose più moderne; se però scavi, dietro di quelle trovi cose antiche, antichissime. 

 

Da questo punto di vista, la figurs di Vesta mi ha sempre affascinato. Scavando dietro al suo culto, si intravede ancora viva una tradizione preistorica, proveniente direttamente da popolazioni che sapevano conservare il fuoco, ma non accenderlo.

Sembra di guardare negli occhi un'epoca remotissima 

 

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Inviato

Si puo' affermare , con una buona probabilita' di verita' , che la scoperta prima e poi l' addomesticazione del fuoco avvenuta circa 120.000 anni fa , seguita molto tempo dopo dall' invenzione della ruota intorno al 3500 a.C. , hanno segnato entrambe una svolta decisiva verso l' inizio della civilta' umana .

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"Un'effige femminile velata e severa nell'aspetto, quale si conveniva alla più nobile, casta e pura divinità della religione romana, con l'orecchio nascosto e senza gioielli". Così Alteri, Tipologia delle monete della Repubblica di Roma, descrive il ritratto.

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Direi che le effigi di Vesta sulle monete postate descrivano perfettamente quanto detto sopra da L. Licinio Lucullo, ovvero l'austerità, la severità e la semplicità. Sono splendide.

Interessante il verbo che ha utilizzato ad inizio discussione Rapax, ovvero "focalizzare". Ecco che ritorna il fuoco.

Un saluto a tutti da Stilicho

Modificato da Stilicho
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Oltre che nel ritratto sui denarî RRC 406/1, 413/1, 428/1 e 428/2 citati da Rapax, Campana e Amisano la identificano anche nel ritratto sull’aureo RRC 466/1 (invero, abbastanza differente dai precedenti), Alteri in quello sul denario RRC 419/3 e nella figura, stante o seduta, sugli aurei RRC 494/1 e 512/1 e sul denario RRC 512/2.

Forse, infine, compare anche su un quinario cesariano, RRC 452/3.

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@L. Licinio Lucullo

Se riesci posta qualche immagine, grazie?


Inviato
3 ore fa, Stilicho dice:

@L. Licinio Lucullo

Se riesci posta qualche immagine, grazie?

 

Domani provvedo.

 

Intanto ricorda che puoi vedere TUTTE le monete repubblicane sul nostro catalogo, https://numismatica-classica.lamoneta.it/.

 

Basta che nella barra di ricerca metti il numero del RRC


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Grazie, è vero. Non ci avevo pensato. 

Buona notte


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Prima di proseguire completiamo giustamente l'apparato iconografico anche con le rappresentazioni "dubbie":

RRC 466/1  R-49288R-49289

RRC 419/3  R-37499R-37500

RRC 512/1  R-11448R-11447

RRC 512/2  R-48752R-48753

RRC 452/3  R-41234R-41235

 

Sul denario RRC 419/3 il riferimento è molto probabilmente alla vestale Emilia che, in data imprecisata ma plausibilmente intorno al 206 a.C. (un passo di Livio parla di un non meglio precisato spegnimento del fuoco sacro in quella data), affidò la custodia del fuoco sacro ad una novizia (il trentennale servizio delle Vestali prevedeva 10 anni di noviziato, 10 di effettuazione dei riti ed i restanti 10 di insegnamento) che, malauguratamente, lo fece spegnere. Il segno, interpretato come un'interruzione della pax deorum, portò i pontefici a credere che una sacerdotessa avesse compiuto i rituali cui era preposta in condizione di impurità ed Emila venne vista come la responsabile.

Professatasi innocente chiese direttamente la protezione di Vesta, invocandone l'aiuto. Strappò un lembo di lino dalla propria veste, lo gettò sulla cenere ormai spenta ed il fuoco tornò sorprendentemente ad ardere, dimostrando l'innocenza dell'accusata.

La tradizione ci tramanda anche la preghiera pronunciata da Emilia:

"Vesta protettrice di questa città, se dopo trent’anni che sono al servizio dei tuoi altari io non ho alcuna cosa a rimproverarmi né quanto alla vigilanza, né quanto all’onestà che tu richiedi nelle tue ministre, rendi in oggi la tua presenza sensibile, soccorrimi nel frangente in cui mi trovo, e non soffrire che io perisca con una morte ignominiosa: o se io ho commesso un errore di qualunque sorta, vendicati sopra di me col supplizio, il più crudele, e preserva i cittadini dai tristi effetti della tua collera".

In questa occasione la vestale fu prosciolta dalle accuse ma come ben sappiamo non andò sempre così... trovarono la morte Pinaria sotto Tarquinio Prisco, poi Oppia o Opimia (483 a.C.), Orbinia (472 a.C.), Minucia (337 a.C.), Sextilia (273 a.C.), Caparronia (266 a.C., suicida), Opimia e Floronia (216 a.C., la seconda suicidatasi prima della sepoltura), Aemilia, Licinia e Marcia (114-113 a.C.), Varronilla e le due sorelle Oculatae (82-83 d.C., triplice suicidio), Cornelia, virgo maxima (91 d.C.), Aurelia Severa, Clodia Laeta, Pomponia Rufina, Cannutia Crescentina (213 d.C., tre sepolte, la quarta suicida). 

Non è possibile parlare di Vesta senza parlare delle sue sacerdotesse, le vergini vestali appunto. Anche qui la letteratura disponibile è numerosissima ma qualche accenno è doveroso.  

"Ti prendo, Amata, perché tu compia i sacri riti che secondo le prescrizioni deve compiere una secerdotessa Vestale, per il popolo romano dei Quiriti, sulla base di un’ottima legge"

Questa è la formula tramandataci da Aulo Gellio con la quale il pontifex maximus effettuava la captio della Vestale, strappandola alla propria famiglia. Alla "presa della Vestale", che ricorda indiscutibilmente ciò che è un vero e proprio ratto matrimoniale, seguiva la sua inauguratio, che aveva lo scopo di potenziare a livello mistico e religioso la novizia per tramite di Giove.

Come poi riportato da Massimo Gusso (I processi alle Vestali, accuse di violazione ai loro doveri sacrali), "condizione essenziale del loro servizio era la verginità, iscritta nella loro stessa denominazione, e ovviamente la castità, di modo che la condizione di verginità originaria fosse mantenuta per il tempo prescritto . In molti popoli primitivi la verginità, che in genere doveva recar con sé o comportare poteri mistici e magici del tutto particolari, veniva intesa soprattutto come stato intermedio tra femminilità e mascolinità: ciò determinava, in una società dominata dal diritto e dai rapporti giuridici, come quella romana (anche arcaica), speciali deroghe allo status di minorità cui altrimenti le sacerdotesse – in quanto donne – avrebbero dovuto soggiacere. Esse risultavano infatti sottratte alla tutela, anche a quella paterna; potevano testimoniare in giudizio, e persino disporre con pienezza dei loro beni: alla stregua di un uomo libero, verrebbe da dire".

Il loro status era indubbiamente elevatissimo, se accusate le Vestali si ponevano addirittura al di fuori della legge, per loro non vi erano processi "laici", non comparivano in giudizio davanti al popolo riunito, non subivano sentenze pronunciate da un giudice, non potevano contare su un difensore. Il solo potere punitivo ad esse applicabile era quello del pontefice massimo, che tuttavia, in caso di incestus, altro non faceva che farsi carico, come sommo tra i sacerdoti e responsabile della captio, di una somma purificazione:

"Bisognava salvaguardare il benessere comune, strappare ogni radice che legasse i colpevoli al suolo patrio. Di conseguenza, ritengo che, sin dall'età regia, anche la sepoltura della Vestale consistesse non in una pena, bensì in una procuratio prodigi, una cerimonia espiatoria diretta all'eliminazione di un mostro".

Mariangela Ravizza, Pontefici e Vestali nella Roma repubblicana (p. 142)

 

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Questa lunga ma necessaria premessa non va certo vista come una trattazione completa ed esaustiva sulla figura di Vesta e sulle sue sacerdotesse, ma si spera possa risultare utile nei suoi punti essenziali al fine di comprendere meglio la valenza iconografica delle prime emissioni denariali recanti la figura di tale divinità. Il denario della Sulpicia può essere infatti visto come espressione della Vesta tradizionale, legata per tramite del suo sacro fuoco al destino ed all'esistenza stessa di Roma; una dea simbolo assoluto del conservatorismo patrizio, legata a livello cultuale e rituale al collegio pontificale, al suo massimo esponente ed alle massime caste sacerdotali, vergini vestali su tutte. Il rovescio è parte integrande del messaggio portato dall'esponente di questa famiglia: coltello sacrificale, scure e culullo sono strumenti propri ed esclusivi di pontefici e vestali, simboli della loro reggenza su tutto ciò che è rito, su tutto ciò che è sacer. Il destino di Roma è legato ad una corretta condotta dei riti, sono le massime cariche sacerdotali a garantire la pax deorum, è per merito delle più prestigiose famiglie che il fuoco sacro di Roma continua ad ardere. Tra i Sulpici Galbae, nel periodo antecedente la data di emissione del denario, vi furono due pontefici (200 e 120 a.C.) ed un pontefice massimo (203 a.C.), cosa che li contraddistinse dagli altri differenti rami della gens, che nel suo complesso annoverò numerosi consoli, un dittatore e svariati magistrati.

Ben sappiamo tuttavia che intorno al 69 a.C., anno di emissione del denario con la prima rappresentazione di Vesta, il potere del pontefice massimo non era più incontestabile: l'ultima roccaforte dell'oligarchia repubblicana aveva subito una significativa violazione.

Publio Sulpicio Galba, come da tradizione, propose sul proprio denario un monumentum gentilizio (un "ricordo", da monere, ovvero "ricordare"): fama, virtù e reputazione non appartengono all'individuo, ma sono espressione del prestigio e dei trascorsi della gens di appartenenza.

Anche se le "armi iconografiche" a disposizione furono le medesime, pochissimi anni dopo Lucio Cassio Longino riuscì però a proporre un'immagine di rovescio carica di una valenza totalmente differente, paragonabile ad un coltello che si rigira nella piaga dei conservatori.

La scena di votazione sul verso del denario della Cassia è anch'essa un monumentum gentilizio ed il riferimento, come già accennato, è agli eventi accaduti tra il 114 ed il 113 a.C.:

"Mentre il II secolo a.C. stava per chiudersi, furono alcune sconfitte militari, la minaccia di invasione dell’Italia da parte dei Cimbri e dei Teutoni, unitamente alle sedizioni civili ad eccitare gli animi e, come era accaduto nel passato, si vollero individuare come capri espiatori di misteriosi e inquietanti prodigi i colpevoli di comportamenti moralmente riprovevoli. Ovviamente furono le denunce contro le Vestali a rappresentare il clou dello scatenamento del fanatismo religioso (e della demagogia che accompagnava sempre tali fenomeni). La folla eccitata, in buona sostanza, chiedeva vittime umane: tre Vestali, Emilia, Licinia e Marcia, vennero allora accusate d’aver avuto rapporti carnali con esponenti del ceto emergente dei cavalieri (si trattava di una manovra politica che mirava senz’altro a colpire anche questo gruppo sociale).

Evidentemente le accuse erano state, almeno in parte, costruite. Lo sappiamo perché il pontefice massimo in carica, Lucio Cecilio Metello Dalmatico, personaggio autorevolissimo, cercò di resistere alla pressione dell' opinione pubblica ormai scatenata.

Alla fine i suoi risulteranno giudizi col sapore del compromesso: il 16 dicembre del 114 a.C. egli giudicherà la Vestale Emilia (colpevole); il 18 dicembre toccherà a Licinia (innocente); e innocente sarà giudicata anche Marcia, in una data non precisata, entro la fine di quell’anno.

Ma il furore superstizioso del popolo non era più contenibile e quelle tre sentenze pontificali non furono accettate: con procedura inaudita uno dei tribuni della plebe, Lucio Peduceo, presentò a tamburo battente – all’inizio del nuovo anno 113 a.C. – una proposta di legge ai comizi (che la approvarono, è il caso di dirlo, ‘a furor di popolo’): essa sottraeva al pontefice massimo, almeno per tale circostanza la competenza a condurre il processo alle Vestali, rimettendolo ad un tribunale straordinario, una quaestio extraordinaria, presieduta da un inquisitore (quaesitor), individuato nel severissimo Lucio Cassio Longino Ravilla (già console nel 127 a.C.) Per il popolo fu come votare direttamente la morte delle Vestali, le quali, nonostante venissero difese da valenti avvocati, quali Lucio Licinio Crasso (per Licinia), vennero infatti tutte e tre condannate e sepolte vive, mentre vari complici e presunti tali vennero suppliziati.

E non bastò. Tale fu l’orrore pubblico dell’evento che la città volle purificarsi dal delitto compiuto e, in una spirale di (per noi ripugnante) fanatismo – così come era accaduto nel 216 a.C. –, venne ordinato un sacrificio umano."

Massimo Gusso (I processi alle Vestali, accuse di violazione ai loro doveri sacrali)

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E' incredibile come, sapendo leggere con attenzione le iconografie apparentemente legate al mondo del sacro (come sai fare tu), si disvelino chiaramente logiche di natura politica. La raffinatezza psicologica di chi sceglieva questi tipi mi lascia stupefatto

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Ero davvero curioso, leggendo il titolo, di sapere cosa volessi intendere con "conflitto". 

Ora ho capito. Come dice giustamente L. Licinio Lucullo, e' sorprendente come la lettura attenta delle monete possa svelarci significati così importanti dal punto di vista storico e politico. Devo dire che, quando avevo letto qualcosa su Vesta a proposito del riflesso del suo culto nella monetazione imperiale, non mi ero soffermato su questo aspetto che ritengo fondamentale. 

Sono contento. Ho imparato ancora. 

Stilicho

 

 

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Il 14/5/2022 alle 02:01, Rapax dice:

Quest'immagine, sicuramente minacciosa agli occhi del patriziato, ricorda dunque quanto avvenne cinque decenni prima e le parole di Augusto Fraschetti (La sepoltura delle Vestali e la Città) ci fanno cogliere perfettamente l'importanza dell'evento:

Del resto 8 anni dopo un altro esponente della medesima gens, Q. Cassio Longino, propone lo stesso tema sul denario RRC 428/1, dove il riferimento al medesimo processo è ancora più esplicito per la presenza delle tavolette recanti "A"(bsolvo) e "C"(ondemno).

 

E che mi dici delle altre presunte attribuzioni di raffigurazioni denariali alla medesima dea?


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