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Tasso scava la tana e scopre un tesoro: trovate 209 monete romane in una grotta in Spagna

foto crediti Museo Archeologico delle Asturie

Sembrerebbe una vicenda degna delle pagine di una novella di Luis Sepúlveda. La storia del tasso che voleva costruirsi una tana per ripararsi dal freddo e invece trovò un tesoro di monete romane. Poco gustose per lui, ma succulente per gli archeologi. Non a caso, la grotta che ha fatto da cornice alla particolare storia è stata anche ribattezzata “la grotta del tasso”. Siamo in Spagna, a Berció, presso Grado, nella regione delle Asturie, nella grotta de La Cuesta. E’ qui che gli archeologi spagnoli hanno scoperto un tesoretto di 209 monete romane datate dal III al V secolo d.C. Secondo gli studiosi si tratta di un «ritrovamento eccezionale», perché è il «più grande tesoro di pezzi romani rinvenuto in una grotta in Spagna».

MONETE DA COSTANTINOPOLI E LONDRA

 

L’aspetto importante è che le monete provengono da Antiochia, Costantinopoli, Salonicco, dal sud della Francia e persino da Londra, quest’ultima, una moneta unica, la più grande, della metà del IV secolo. «A parte la qualità e la quantità dei pezzi, queste monete permettono di affermare che nel mezzo del V secolo, tra la fine dell’Impero Romano e l’istituzione del Regno delle Asturie, vi fu un movimento internazionale di monete romane che raggiunse le Asturie». Quando si dice davvero, una scoperta avvenuta per puro caso. Complice, la curiosità e lo spirito di osservazione di un buon archeologo. 

 

L'ESCURSIONE 

 

La storia è stata raccontata dai ricercatori Alfonso Fanjul, Antonio Juaneda e Roberto García. Tutto è partito da un tour fotografico lungo le rive del fiume Nalón. Doveva essere un’escursione naturalistica fino a quando non hanno intercettato una grande grotta semi nascosta, che sembrava interessante dal punto di vista archeologico. Intuizione, fiuto, pazienza. Di lì è stata organizzata l’splorazione del sito. Addentrandosi nella cavità, per quasi sedici metri dall’ingresso, gli archeologi hanno cominciato a notare una sorta di conca nel terreno che culminava in una vera e propria tana, «probabilmente di un tasso - ha detto Fanjul - L’animale aveva perforato un deposito di monete e alcune di esse erano venute in superficie». Proprio lì sul terreno, tra erbe e arbusti, muschio e terra, hanno cominciato a rinvenire le prime monete. Uno spettacolo inaspettato e impressionante. Rimaste lì per 1600 anni, almeno fino a che non le aveva riportate alla luce il tasso.

L’animaletto, forse per fame e freddo, aveva scavato il terreno alla ricerca di qualche larva. Durante l’impresa, l’animale si era imbattuto nello strano tesoretto poco commestibile evidentemente, ma su cui aveva lasciato anche qualche graffio. Proprio lì, a vista, gli archeologi hanno trovato un totale di 115 monete. Un’indagine più approfondita, con uno scavo pianificato ha restituito il resto delle monete, per un tesoro complessivo di 209 monete. Diverse le ipotesi interpretative di un simile pozzetto di monete: forse qualcuno ha voluto nascondere in un luogo sicuro e inaccessibile i propri denari, guadagni, averi, per paura di una razzia. Alla luce dell’imminente arrivo del popolo germanico degli Suebi (o Svevi), proveniente dal Mar Baltico, che invase secondo Tacito la Spagna nel 409. La scoperta che è stata messa a segno sotto l’egida del Ministero della Cultura, tanto che le monete sono state tutte trasportate al Museo Archeologico delle Asturie.

L’impresa risale alla primavera estate del 2021, ma ora la stampa spagnola l’ha rilanciata sui media perché grazie a finanziamenti e autorizzazioni, l’équipe di archeologi può ricominciare le indagini nella grotta. Secondo gli studiosi, infatti: «Devono esserci altre monete». Un secondo scavo del rifugio La Cuesta potrà chiarire se si trattava di un insediamento umano o solo di un nascondiglio. Forse utilizzato in un contesto conflittuale, di lotte tra tribù, dopo la romanizzazione delle Asturie. È un «tempo oscuro», di transizione verso il regno delle Asturie. Al momento, ritengono possibile che le monete siano state in circolazione per molto tempo dopo essere state coniate perché «sappiamo che continuano ad essere utilizzate fino al VII secolo», commentano gli archeologi.

 

 


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