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Dato il periodo di festività mi pare una buona idea riproporre un mio recente studio su una particolare moneta di Pio IV: il testone della Resurrezione!

 

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Pio IV (Giovan Angelo Medici): ritratto e stemma. Le insegne del papa sono quelle della famiglia fiorentina dei Medici[1].

Il pontificato relativamente breve di Pio IV[2], tra il 1559 e il 1565, fu caratterizzato da una monetazione apparentemente monotona per parte della zecca di Roma: non vi furono emissioni auree, mentre con l’argento furono coniati testoni, giuli, e grossi. I primi, del valore di 3 giuli, titolo 920 millesimi e peso 9,596 gr.[3], senza data e col contrassegno dello zecchiere, presentavano al diritto lo stemma papale con una grande varietà di fogge, e al rovescio la tradizionale figura di S. Pietro nimbato, seduto di fronte su trono e, in una rara tipologia, Cristo nel tempio fra i dottori con legenda TV AVTEM IDEM IPSE ES.

Scrive Muntoni che “nato originariamente come pezzo da un quarto di ducato (…) ma con il valore di due giuli e mezzo, il testone assunse con Paolo III quello di 3 paoli (giuli), pur costituendo sempre la quarta parte del ducato di camera, come dimostrano chiaramente i capitoli per l’appalto della zecca di Roma nel 1545 che così descrivono la moneta «moneta grossam argenteam Tertios Paulos noncupatam quorum quatuor constituant unum ducatum auri in auro de camera». Infatti con il deteriorarsi del giulio, il valore del fiorino di camera era passato da 10 a 12 giuli.”. E ancora: “La fortuna di questo nominale è documentata dal fatto che, pur con successive riduzioni, sopravvisse per 3 secoli e cioè fino al pezzo da 30 baiocchi di Gregorio XVI.”.

 

[1] Illustrazione da: Oldoini 1677, p. 868. Non esistono indizi di un legame con la casata fiorentina dei Medici, anche se Clemente VII prima e Cosimo I poi, per riconoscimento verso i servigi militari resi da Gian Giacomo (fratello maggiore di Giovan Angelo), detto il Medeghino, ovvero per assicurarsi i favori del futuro pontefice, allusero in più d'una circostanza a rapporti di parentela coi Medici milanesi, fino a concedere loro, probabilmente con la nomina a cardinale di Giovan Angelo nel 1549, l'uso del proprio stemma, le sei palle in campo d'oro. (da Enciclopedia dei Papi. Pio IV)

[2] Pio IV papa. - Giovanni Angelo Medici di Marignano (1499 - 1565). Milanese, proveniente da una famiglia di umile condizione, arcivescovo di Ragusa nel 1545, cardinale nel 1549, protetto da Giulio III e avversato invece da Paolo IV perché filospagnolo e contrario alla rigida politica del predecessore; fu eletto pontefice dopo uno tra i più lunghi conclavi della storia, durato 4 mesi, il 26 dicembre 1559. Sostenitore della restaurazione cattolica, fu in ciò coadiuvato dal nipote Carlo Borromeo, il grande santo della diocesi milanese; contro la minaccia protestante, specie in Francia, riconvocò e portò a conclusione (1562-63) il Concilio di Trento, pubblicandone i decreti di riforma della Chiesa e curandone l'attuazione tramite la Congregazione del Concilio. Fu di carattere accomodante: non scomunicò Elisabetta d'Inghilterra, cercò di regolare la procedura della Inquisizione romana e di limitare la giurisdizione di quella spagnola. Aveva rimproverato il nepotismo del suo predecessore, ma egli stesso vi incorse agevolando la carriera ecclesiastica dei numerosi nipoti (futuri cardinali, vescovi, abati commendatari, candidati ai maggiori uffici curiali e amministrativi, nonché destinatari di pingui rendite ecclesiastiche). Se da un lato non badò a spese assicurando lusso e fasto alla sua corte, dall’altro abbellì Roma finanziando diverse opere pubbliche; fu protettore di artisti, tra cui Michelangelo, cui affidò la costruzione di Porta Pia e la trasformazione delle Terme di Diocleziano nella Basilica di S. Maria degli Angeli. Morì il 9 novembre del 1565, e il suo corpo, sepolto dapprima in S. Pietro, fu definitivamente trasferito in S. Maria degli Angeli il 4 gennaio 1583 (da Enciclopedia dei Papi. Pio IV).

[3] Il giulio, fino al 1551 al taglio di 102 ½ per libbra (cioè gr. 3,308), fu portato in quell’anno a 104 per libbra (gr. 3,260) e nel 1554 a 106 per libbra (gr. 3,199); il peso del testone ne deriva di conseguenza. Vedi: Martinori 1918, p. 16 e p. 21.

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Un possibile ulteriore ‘testone ‘viene citato tra le coniazioni di Pio IV da vari autori, a far data dalla fine del XVII secolo, trascurato da alcuni e ritenuto forse ‘medaglia’ da altri: si tratta di tipologia estremamente rara, che fu oggetto di attenzione da parte di Franco Bartolotti nel 1990, in una pubblicazione poco nota e che tuttavia ebbe il pregio di definirne alcune caratteristiche fondamentali. Desideriamo qui riprendere i commenti dell’autore e svilupparli, confidando di apportare un ulteriore valido contributo su questo argomento.

 La ‘moneta’ può essere così descritta:

D/: © PIVS © IIII © - © PONT © MAX © Stemma ovale di Pio IV sormontato da chiavi decussate e cordonate, e da tiara con infule; bordo con perlinatura a chicchi di riso.

R/: EXVRGAT DEVS all’esergo: AL ROMA || A E • Al centro Cristo risorto sul sepolcro, con la destra alzata, sostiene una croce vessillifera con la sinistra; a destra un soldato in piedi con spada e scudo alzato, a sinistra tre soldati a terra e, sullo sfondo, veduta di città; bordo con perlinatura a chicchi di riso.

Taglio: liscio. Peso g. 7.99 - 8.03. Diametro: mm. 28. Assi monetari alla tedesca (0°).

La rappresentazione del rovescio è stata accostata da F. Bartolotti ad un affresco di Piero della Francesca conservato a San Sepolcro (Arezzo). In realtà presenta evidenti analogie con un’opera dipinta nella parete d’ingresso della Cappella Sistina da Domenico Ghirlandaio, rovinata da un crollo nel 1522 e sostituita da analogo soggetto di Hendrik van den Broeck durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585; Figura sotto). E’ verosimile che quest’ultimo abbia ripreso la medesima composizione scenica, pena un evidente anacronismo.

 

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“Resurrezione di Cristo” di Domenico Ghirlandaio e Hendrik van den Broeck – Domenico Ghirlandaio fu uno degli artisti fiorentini che nel 1481 vennero chiamati a Roma da Papa Sisto IV per affrescare la Cappella Sistina. A lui vennero affidate due scene della vita di Cristo, la “Vocazione dei primi apostoli” e la “Resurrezione”. Gli affreschi della Parete d’ingresso della Cappella Sistina (i due episodi conclusivi dei cicli di Cristo e di Mosè: la Resurrezione di Cristo [Matteo 28, 1-8], del Ghirlandaio, e la Disputa sul corpo di Mosè [Lettera di Giuda 9], di Luca Signorelli, furono danneggiati nel crollo dell'architrave della porta avvenuto nel 1522 e sostituiti durante il pontificato di Gregorio XIII (1572 - 1585) dalle opere di identico soggetto eseguite rispettivamente da Hendrik van den Broeck e Matteo da Lecce. Al tempo in cui fu pubblicata “LE VITE DE' PIÚ ECCELLENTI ARCHITETTI, PITTORI, ET SCULTORI ITALIANI, DA CIMABUE INSINO A' TEMPI NOSTRI” del Vasari (1550), l’affresco era lesionato, così come riportato dall’Autore stesso che scrisse: “[Il Ghirlandaio] fu chiamato a Roma da papa Sisto IIII a dipignere con altri maestri la sua cappella, e dipinsevi quando Cristo chiama a sé da le reti Pietro et Andrea, e la Resurressione di esso Iesú Cristo, della quale oggi è guasta la maggior parte per essere ella sopra la porta respetto a lo avervisi avuto a rimettere uno architrave che rovinò.”.


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Quattro sono gli esemplari monetari ad oggi noti: uno è quello della Collezione Reale, classificato dal CNI; il secondo, facente parte della collezione “Castiglioni”, fu esitato in asta nel 1985 e da allora episodicamente riappare al pubblico incanto (vedi figura iniziale #1 e Tabella sotto); gli altri due, apparentemente non coincidenti coi primi, sono quello descritto dallo Scilla e quello della collezione Gnecchi (figura sotto).

Tabella dei Passaggi in asta della moneta della coll. Castiglioni.
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- Ex Collezione Castiglioni.
- Asta Leu 36, maggio 1985, lotto 703. Testone or pattern.
- XXIV Asta del Titano, gennaio 1986, lotto 503 bis. Testone.
- XXXVI Asta del Titano, novembre 1988, lotto 639. Testone o medaglia.
- Asta Fritz Rudolf Künker 233, 17 June 2013, lotto 1230. 1/4 Ducato o. J., Rom.
- Asta Negrini 38, 15 novembre 2013, lotto 1492. Testone.
- Asta Nomisma 56, 17 ottobre 2017, lotto 1331. Testone.
- Asta Nomisma 60, 28 ottobre 2019, lotto 299. Testone con la Resurrezione.
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Il primo accenno documentale a questa discussa ‘moneta-medaglia’ fu quello del gesuita, storico e bibliografo Augustino Oldoini, che curò nel 1677 una riedizione commentata della “Storia dei Papi” di Alfonso Ciacconio. Questi, tra le medaglie commemorative di avvenimenti riguardanti la vita di Pio IV, ne menzionò una al n. 17, con lo stemma del pontefice, la rappresentazione di Cristo risorto e legenda “Exurgat Deus”. Nel 1679 il Canonico francese Claudio Du Molinet, autore di un trattato di medaglistica, elencò al n. XXII un tipo analogo con legenda “Exvrgat Devs” e ne disegnò in una tavola il rovescio (figura sotto). Qualche anno dopo, un altro gesuita ed erudito, Filippo Bonanni, scrisse nella sua opera “Numismata Pontificum Romanorum” che gli era stato donato un esemplare in rame con le caratteristiche sopra descritte, ma di averne in seguito reperito un altro d’argento, definendolo “testone” e riportando il disegno fatto dal Du Molinet. Desideriamo tradurre integralmente il relativo testo, nonostante alcuni temi descrittivi esulino dagli scopi del presente lavoro: «XXX - EXVRGAT DEVS. Mi era stata offerta una medaglia di rame, che qui mi proposi di descrivere. Poi la trovai in argento utilizzata come moneta del valore equivalente a tre Giuli, in italiano definita Testone; a tal fine mostra Cristo Risorto con legenda, exvrgat devs che desidero commentare, ed intanto dirò di essermi persuaso che questa moneta sia stata coniata nel tempo in cui, come abbiamo detto per altra medaglia, Papa Pio [IV] soccorse economicamente la Francia sconvolta da contrasti religiosi causati da nemici intestini[1], e in questa stessa moneta abbia voluto indicare i suoi auspici con parole prese dal Salmo 67: Exurgat Deus, et dissipentur inimicis eius, et fugiant qui oderunt eum a facie eius [Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano]. Riguardo a questa espressione della moneta deve notarsi quanto Judocus Clichthovaeus[2] annotò nel Sermone I del giorno di Pasqua, e cioè non doversi credere a quei pittori che dipingono il Signore che esce dal Sepolcro dopo aver rimosso la pietra, come vediamo nella moneta[3]; Cristo infatti uscì dal Sepolcro chiuso, così come con le porte chiuse entrò dai Discepoli [nel Cenacolo][4]; e neppure essere ben rappresentati da alcuni i custodi addormentati, che è verosimile fossero allora ben svegli, altrimenti non avrebbero poturo essere testimoni della Resurrezione, come invece lo furono presso i Farisei. Tutte queste cose sono chiare dai Vangeli. Come, poi, si debba ritrarre lo stesso sepolcro da cui il Signore risorse lo insegna l'opuscolo di Adamnano[5] relativo ai luoghi Santi, che si ritrova citato da Beda[6], libro 5, cap. 17 dell’ ‘Historia Gentis Anglorum”[7] dove si legge quanto segue. “Nella Chiesa di Costantino, chiamata ‘Martyrium[8]’ a Gerusalemme, costruita nel luogo in cui è stata ritrovata dalla madre Elena la Croce del Signore, è scavata nella roccia la tomba tondeggiante del Signore, il cui apice un uomo all’interno può toccare con la mano; avente l’ingresso rivolto ad oriente, al quale è apposta quella grande pietra che mostra a tutt’oggi traccia interna degli strumenti di ferro, ma all’esterno è ricoperta di marmo fino alla sommità del tetto, ed il punto più alto è ornato d’oro e porta una grande croce dorata. Nella parte nord di questa tomba è ricavato nella stessa roccia il Sepolcro del Signore, lungo sette piedi e altro tre palmi dal pavimento, con ingresso a mezzogiorno, dove dodici lampade ardono giorno e notte, quattro entro il sepolcro e otto in alto sul margine destro; la pietra, che era posta all’ingresso della tomba, ora è spaccata, e la sua parte minore forma tuttavia un altare quadrato davanti all’entrata della tomba, mentre quella maggiore costituisce un altro altare quadrangolare all’estremità orientale di quella stessa Chiesa, coperto da teli di lino. Infine si vede il colore di questa tomba e del sepolcro che è misto bianco e rosso».

 

[1] In Francia il pericolo di un scisma degli ugonotti era incombente. Per sventarlo, Pio IV sostenne la lotta del re di Francia contro di essi, fornendo truppe e denaro.

[2] Celebre teologo del secolo XVI che insegnò alla Sorbona, inizialmente con atteggiamento rivolto ad una visione riformistica del cristianesimo, ma successivamente contrastando il Luteranesimo con gli scritti e l’azione.

[3] In realtà la pietra appare rimossa nella sola medaglia rappresentata dal Bonanni nella tavola di pag. 271 (XXX) e qui riprodotta in Figura 5. Nella moneta Cristo sembra ergersi sopra una tomba chiusa.

[4] A discredito di questo commento, va tuttavia ricordato che il Vangelo di Giovanni (20, 1) riporta che la prima testimone della Resurrezione, Maria Maddalena, trova la tomba aperta “Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.”

[5] Adamnano di Iona (627 - Iona, 704) è stato un monaco irlandese, divenuto abate dell'Abbazia di Iona nell'omonima isola. Fu autore di diversi scritti a carattere religioso, tra i quali è da annoverare il De locis sanctis del 698, nella quale descrive la Palestina basandosi sul resoconto del pellegrinaggio in Terrasanta del monaco e vescovo Arculfo. È considerato santo dalle popolazioni scozzesi e irlandesi.La prima edizione a stampa del trattato vide la luce a Ingolstadt, nel 1619.

[6] Il De locis sanctis di Arculfo e Adamnano fu ampiamente copiato e letto in tutta l'Europa occidentale. Beda il Venerabile (673 circa - 26 maggio 735, dichiarato santo e dottore della Chiesa dalla Chiesa cattolica) cita l'itinerario di Arculfo nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum.

[7] Nelle edizioni critiche moderne il capitolo è il 16.

[8] La basilica di Costantino a Gerusalemme fu costruita attorno alla collina della crocifissione, ed era in realtà composta da tre edifici collegati fra di loro e costruiti sopra tre differenti luoghi santi: 1. una grande basilica (il martyrium), 2. un atrio chiuso colonnato (il triportico) costruito attorno alla tradizionale roccia del Calvario e 3. una chiesa rotonda, chiamata Anástasis ("resurrezione"), che conteneva i resti della grotta che Elena (madre di Costantino), ed il Vescovo Macario avevano identificato come luogo di sepoltura di Gesù.


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Di certo il più autorevole pronunciamento su questo ‘testone’ è quello di Saverio Scilla  che nel 1715 classificò l’esemplare tra le monete (p. 50), scrivendo: «Exurgat Deus, nel Testone con l’impronto della risurezione di Cristo, motto del primo versetto del Salmo 67. Exurgat Deus, et dissipentur inimici ejus, et fugiant qui oderunt eum e facies ejus. Si puote credere battuto per sussidio delle armi Cattoliche contro gl’Eretici, duranti le guerre ciuli di Francia, la detta Moneta è assai varia dall’altre battute in Roma nell’intaglio, e nel peso, che è minore dell’altre. Fra le Monete di questo Pontefice non è comune il Testone, Lira, e mezza Lira di Bologna, il Giulio di Macerata con un’armetta, ed il Testone col Cristo, che disputa fra’ dottori. Raro è l’altro con la risurrezione di Cristo, e rarissimo è quello d’Avignone.». Questo stesso Autore fu l’artefice dell’impronta in carta della ‘moneta’, presa da un esemplare originale e conservata nel codice Ottoboniano 3120 della Biblioteca Vaticana, visibile nella riproduzione fattane dal Serafini presentata in Figura 4C.

Vent’anni dopo, in un altro testo di medaglistica, l’autore Rodolfino Venuti riclassificò alcune medaglie menzionate dal Bonanni come monete o gettoni; tra quelle di Pio IV l’Exurgat Deus venne considerato una moneta.

Proseguendo nel descrivere l’interpretazione fatta di questa ‘moneta’ nei secoli, essa fu accettata quale testone dal Cinagli, che le impartì un grado di rarità piuttosto elevato; comparve nell’asta della collezione Gnecchi tra i testoni (venendo anche fotografata, figura del #3) e vi accennò il grande numismatico Solone Ambrosoli in un articolo riguardante le medaglie di Papa Pio IV, definendola “leggiadro testone[1].

Figura 4L.jpg

Rappresentazione del R/ della moneta “EXVRGAT DEVS” (A) e disegno della medaglia descritta dal Du Molinet e dal dal Bonanni (B) nei confronti di altra medaglia ”ROMA RESURGENS” (C) con accanto il disegno corrispondente del rovescio (sempre dal Bonanni, D). Si noti come le caratteristiche dell’esemplare fotografato “EXVRGAT DEVS” (scena, rilievo basso, bordo, ecc.) differiscano sensibilmente da quelle di una medaglia (di cui l’esemplare C rappresenta un esempio coevo) e non possano essere ad essa assimilate.


[1] Ambrosoli 1903. « Le non molte monete battute durante il pontificato di Pio IV offrono poco o nulla di notevole, limitandosi più che altro alla ripetizione dei tipi già usati dai precedenti pontefici, ove si eccettui qualche pezzo, come il leggiadro “testone” EXVRGAT DEVS».

 


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Il Martinori, nel fascicolo degli Annali che tratta di Pio IV, distinse medaglia e moneta: la prima prodotta anche in rame, la seconda caratterizzata dalla presenza nell’esergo del R/  di un riferimento alla città di Roma e dalle presunte iniziali di un incisore non ben identificato[1]. Camillo Serafini riportò la ‘moneta’ nel IV volume del suo catalogo del medagliere vaticano, commentandola tra quelle non presenti nella collezione pontificia, manifestando perplessità sulla sua natura e sull’interpretazione delle lettere AE fatta in precedenza. Nel CNI venne considerata testone a tutti gli effetti, e come tale classificata. Nel corso degli ultimi 50 anni Francesco Muntoni non ne fece menzione nella sua opera, in ciò seguito dal Berman, mentre nel recente MIR essa è nuovamente descritta come testone.

Una nuova prospettiva di studio venne proposta da F. Bartolotti: tra gli elementi più significativi l’autore negò potersi trattare di medaglia e riaffermò con decisione la sua natura monetale, ma non di testone quanto piuttosto di “quarto di ducato da due giuli e mezzo”, ravvisando delle strette analogie con una moneta del peso di 8 gr. di Giulio III (1550-1555), in cui il papa veniva raffigurato col triregno[2], e che proprio Muntoni riportò a tale nominale[3]. In realtà va osservato come lo stesso Muntoni avesse in precedenza definito il passaggio del valore del testone da “due giuli e mezzo” a “tre giuli” nel corso del pontificato di Paolo III (1534-1549), dunque antecedentemente ad entrambe le ‘monete’ ed in conflitto con quest’ultima interpretazione. E’ tuttavia possibile che il nominale da “due giuli e mezzo” avesse conservato una sua ragione d’essere, forse in rapporto particolare alla monetazione commemorativa oppure perché inizialmente non chiarito o consolidato il nuovo rapporto di cambio tra ducato e giuli. Sempre Bartolotti interpretò le discusse lettere A • E, poste in esergo al rovescio della ‘moneta’ di cui si discute, come iniziali di Alessandro Cesati, famoso incisore di gemme, cammei e conii di monete e medaglie, detto il “Greco” o il “Grechetto”. Questi, nato a Cipro agli inizi del XVI secolo (da cui il soprannome), fu il più rappresentativo fra gli incisori della scuola romana del Cinquecento, ed operò ad intervalli tra il 1554 e il 1561 nella zecca capitolina, spostandosi anche in quella parmense. Amava fimare le sue opere di solito in lettere greche, ed A.E. è una delle sigle dal lui utilizzate e da intendere come abbreviazione di “ALEXANDROΣ EPOIEI” (Alexander fecit) o “ALEXANDROΣ ELLHN” (Alexander Hellenicus). Infine Bartolotti ritenne che la moneta fosse stata emessa nel gennaio del 1561 per celebrare la indizione della riapertura del Concilio di Trento che doveva avvenire il giorno di Pasqua di quell’anno e fu invece posticipata[4].

 

[1] Martinori E. 1918, p.72 e p. 82. «[p. 72] Lo Scilla ci dà notizia di un altro Testone con lo stesso diritto [cioè: stemma] ma ove nel rovescio si legge EXVURGAT • DEVS • AL • ROMA • (A • E?) la resurrezione di Cristo. Con questa rappresentazione abbiamo una medaglia di Pio IV, con le sole parole EXVRGAT DEVS, che il Bonanni dice di aver veduto in argento del peso di tre Giulii cioè di un Testone ed anche in rame. Le lettere A • E • che si trovano nella descrizione dello Scilla ci lasciano dubbiosi: che si debba invece leggere A • F •, cioè ANGELVS FECIT, nome dell’incisore segreto pel quale troviamo un mandato di pagamento in data 19 ottobre 1561?». «[p. 82] Dicemmo indietro come lo Scilla riporti quale moneta una medaglia di Pio IV  con la Resurrezione di Cristo e con la legenda EXVRGAT DEVS. La differenza fra il Testone (?) riportato dallo Scilla e la medaglia consiste nell’aggiunta che si trova nella moneta  di AL • ROMA - A • E •, che come abbiamo detto crediamo errata nell’ultima lettera che si deve leggere F • (ANGELVS FECIT). Veggasi quanto si è detto in proposito parlando delle monete di Pio IV».

[2] «Dato quindi che si tratta di una moneta, è chiaro che non può essere un testone che, come già detto, a quel tempo equivaleva a tre giuli e un giulio pesava  gr. 3,20 quindi il testone gr. 9,60 (e non gr. 8). (…) A questo punto è opportuno prendere, come termine di paragone, un’altra moneta, quella di Giulio III (Munt 7,8), emessa pochi anni prima (1553) similmente controversa, dove il papa è per la prima volta ritratto col triregno (foto n° 8), moneta che ha caratteristiche comuni a quella in esame di Pio IV: stesso peso, stesso diametro, soggetto inconsueto, firma ancora insufficientemente spiegata, secolare incertezza di classificazione, grande rarità; esiste forse anche come medaglia. Pertanto, se è esatta la classificazione del Muntoni per la moneta di Giulio III, e lo è, anche il cosiddetto “testone della Resurrezione” di Pio IV deve correttamente definirsi quarto di ducato da due giuli e mezzo».

[3] Muntoni 1972, p. 195, nota 7-8. « [Giulio III, 1550-1555]. Ritengo che gli esemplari qui descritti [GENS ET || REGNVM || QVOD NON || SERVIERIT || TIBI || PERIBIT] possano essere effettivamente monete, ma non testoni, bensì quarti di ducato da due giuli e mezzo, come dimostra il loro peso che, per gli esmplari ben conservati corrisponde esattamente ai g 8,00 (3,20 x 2,5) teorici di un nominale siffatto. Giulio III coniò, sebbene molto sporadicamente, anche il testone da tre giuli (v. N. 6) (…).

[4] Il Concilio di Trento fu convocato la prima volta da Paolo III nel 1545, trasferito due anni dopo a Bologna, sospeso e poi riaperto nuovamente a Trento da Giulio III nel 1551, interrotto l’anno seguente. La nuova bolla di convocazione (“Ad Ecclesiae regimen” del 29 novembre 1560) frutto della grande capacità diplomatica di Pio IV, fatta di compromessi e dissimulazioni, fu redatta in maniera vaga e generale, con formule ambigue e diversamente interpretabili, per evitare la reazione contraria di alcune potenze cristiane. Prevedeva il nuovo inizio dei lavori per la Pasqua dell’anno seguente, 29 marzo 1561, ma vari ostacoli e gravi ritardi nell'invio dei delegati dei diversi paesi, consentirono al Concilio di  riprendere solamente il 18 gennaio 1562, giungendo comunque ad una rapida conclusione nel dicembre dell’anno successivo.


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Fin qui la storia degli esemplari conosciuti e di chi li ha descritti e considerati. Crediamo ora necessario ripercorrere e commentare, unitamente agli aspetti metrologici propri della ‘moneta’, anche alcune sue peculiarità morfologiche e stilistiche che ci paiono imprescindibili per ogni possibile ulteriore interpretazione. Una sostanziale certezza, che deriva dal calco eseguito da Saverio Scilla e dalla descrizione fattane, è che essa era presente, con le caratteristiche con cui la stiamo descrivendo, nella collezione di questo studioso durante la prima metà del XVIII secolo, e confluì quindi nella raccolta del Medagliere Vaticano, poi dispersa[1].

Vogliamo riconoscere alla scena della Resurrezione, posta nel rovescio, una tecnica incisoria estremamente raffinata e, come detto, una costruzione ispirata all’affresco collocato sopra l’ingresso della Cappella Sistina, di cui riprende iconografia e movimenti; i rilievi sono bassi e, nonostante l’elevata conservazione degli esemplari noti, si osservano evidenti debolezze di conio a carico della figura di Cristo. Il diritto consta di uno stemma papale similare a quelli rappresentati in altri testoni di Pio IV, ma ad essi non sovrapponibile, in particolare per l’andamento dei cordoni che legano le chiavi allo scudo: essi non si riflettono nell’ansa della corrispondente impugnatura ed appaiono meno distanziati dallo stemma stesso, che presenta internamente una puntinatura del tutto particolare (figura sotto, A e C).

La perlinatura delle due facce è certamente inusuale per il XVI secolo: i vari testoni, giuli e grossi di Pio IV, come pure quelli dei papi che lo precedettero o seguirono immediatamente, mostrano al bordo globetti più o meno fitti o piccoli cerchietti o infine una cordonatura circolare differente dal perlinato a “chicchi di riso” qui presente, che ricorda invece quello “striato” che si affermò nella monetazione papale della seconda metà del Seicento e nel secolo successivo (pur differenziandosi da esso per una certa irregolarità di lunghezza e spaziatura dei singoli elementi, (figura sotto A, D e F).

Un altro elemento che ha focalizzato la nostra attenzione è l’uso della triscele come segno di interpunzione per separare le parole della legenda: sebbene incostante nella monetazione, esso è tuttavia consono al periodo (fine del XVI secolo) e si ritrovano monete che, come questa, presentano trisceli e globetti  su facce opposte di uno stesso esemplare; anche la morfologia dei caratteri e la loro disposizione appare coerente con la monetazione del periodo, come il confronto delle immagini A e C permette di ben valutare.

Questa ‘moneta’ manca di un qualsiasi elemento identificativo dello zecchiere Girolamo Ceuli, che durante la sua attività segnava il rovescio dei tipi emessi in Roma con una minuscola C entro globo crucigero (figura sotto G); al suo posto compaiono le due lettere AE, che potrebbero indicare, come sopra ipotizzato, le iniziali dello pseudonimo di Alessandro Cesati, valente incisore e tuttavia non soprintendente di Zecca.

Il tondello su cui è coniata risulta più sottile e regolare in rapporto agli standard dell’epoca, ed il suo contorno si presenta liscio (e non rigato, come invece erroneamente riportato dal CNI[2]), quantunque si evidenzino alcune linee ad andamento verticale che sembrano indizio dell’utilizzo di un tagliolo a fustella per la sua tranciatura, modalità che si affermò a partire dal secolo successivo.


Figura 6L.jpg

Particolari del "testone della Resurrezione" (A, D; ex coll. Castiglioni) in confronto a quelli di altri testoni di Pio IV (B, C, E, G) e ad un testone di Innocenzo XI del 1684 (F). A. Perlinatura: si noti in A e D l’aspetto a chicchi di riso che si differenzia da altri testoni di Pio IV (B, globetti; C, anelli; E, treccia) ma assomiglia alla radiatura del testone di Innocenzo XI (CNI XVI 68, Munt. 71; con data 1684) seppure con aspetto più tozzo ed irregolare. Sempre in A si notino i cordoni che dipartono dall’ansa delle chiavi e differiscono da C (Pio IV, CNI 56, Munt. 9), le trisceli e i caratteri invece sostanzialmente identici a quelli rappresentati in C. Infine in G (stesso esemplare di figura C) viene presentato il segno distintivo del maestro di zecca Ceuli, interposto tra le sillabe RO e MA, in esergo, tra due punti. Particolare B, Pio IV CNI 85, Munt. 12; particolare E: Pio IV, CNI 59, Munt.9 variante.


[1] Serafini 1910, p. XXII-XXX. Gli eredi Scilla vendettero nel 1746 per 800 Scudi all’allora Pontefice Benedetto XIV, la collezione di monete del padre composta di 5067 pregevoli monete papali, insieme a 5 volumi contenenti finissime impronte in carta di oltre 4114 monete. Esse confluirono nelle raccolte della Biblioteca Vaticana, ed in seguito furono disperse.

[2] Un tondello col contorno rigato sarebbe stato assolutamente anacronistico per il periodo, comparendo nella monetazione pontificia romana solo nel corso del secolo XVIII.


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Per quanto riguarda la coniazione, gli esemplari noti non paiono impressi a “martello”: mancano infatti le ribattiture caratteristiche. Si noti poi che gli assi di rotazione delle 2 facce risultano fra loro allineati a 0°, e ciò rappresenterebbe una evenienza estremamente improbabile se attribuita al semplice caso e non ad un preciso posizionamento del tondello sotto il conio[1] (cosa quest’ultima almeno inconsueta per quei tempi e per la tecnica considerata). E’ possibile sia stata coniata col maglio a caduta (ma i bassi rilievi tendono a smentire tale ipotesi) o attraverso conii incernierati, pinze o altro strumento che permettesse una contrapposizione fissa dei conii stessi.

Dunque quali conclusioni trarre? Riassumendo riteniamo possano essere solo interlocutorie, mancando una chiara prova a fronte dei molti indizi.

Vari aspetti tra quelli sopra elencati generano perplessità qualora si voglia considerare il ‘testone della Resurrezione’ come un prodotto della seconda metà del Cinquecento: parzialmente anacronistiche appaiono la tecnica di produzione e le caratteristiche del tondello, la modalità di coniazione, la perlinatura e forse la raffigurazione del rovescio; difformi la morfologia dello stemma al diritto e l’assenza della segnatura dello zecchiere, mentre contrastanti appaiono la sua estrema rarità ed i variabili giudizi espressi nei secoli da valenti numismatici. Non vi sono dati relativi al titolo dell’argento ma quelli ponderali sembrano compatibili con il peso e lo spessore di un testone eventualmente posteriore; d’altronde, se ne volessimo postdatare la produzione, il calco dello Scilla lo farebbe collocare al massimo entro il primo quarto del XVIII secolo[2]. Due ulteriori considerazioni appaiono proponibili: l’elegante incisione lo inquadra in un ambito di “Scuola” e non di semplice “Bottega Artigiana”; inoltre esso non può essere considerato una medaglia: troppo sottile il tondello, basso il peso e bassi i rilievi, irregolare il contorno cosicchè, confortati dall’opinione di vari studiosi, rigettiamo decisamente questa congettura.

Suggeriamo che possa trattarsi di una prova o saggio di zecca, coniata nel XVII secolo, le cui matrici (o quantomeno quella del rovescio) furono incise da un abile artista[3], con ciò giustificando le caratteristiche monetiformi ed altri aspetti come stile, rarità, modalità inusuali di composizione e coniazione. A sostegno di quest’ultima ipotesi, tuttavia, non possiamo addurre alcuna certezza ma solamente invocare la ragionevole esclusione di altre teorie concorrenti.

Il ‘testone della Resurrezione’, dunque, dibattuto e ammirato nei secoli, continua a serbare in buona parte i propri segreti, ammaliando nel contempo il ricercatore numismatico che ad esso si avvicini.

 

[1] Il rilievo sugli assi della ‘moneta’ è stato direttamente accertato dall’autore sui 2 esemplari della ex collezione Castiglioni e della collezione Reale.

[2] Riguardo al peso del testone nel XVIII secolo vanno considerati i seguenti valori: g 9,165 fino al chirografo di Clemente XII (12 settembre 1733), poi g 8,407 fino al 1753 (riforma dei nominali argentei di Benedetto XIV) e g 7,947 sucessivamente (Balbi De Caro, Londei 1984, pp. 57-133). Tuttavia il ‘testone della Resurrezione’ era già stato descritto e riprodotto ben prima della riforma di Clemente XII.

[3] E’ possibile che si tratti di Alessandro Cesati (Bartolotti 1990): non siamo infatti riusciti a trovare, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Settecento, nessun altro incisore o Zecchiere in Roma le cui iniziali fossero EA. In tal caso non si può escludere un rimaneggiamento dei conii originali in epoca successiva.


Inviato

Bibliografia

- Balbi De Caro S. 1980, Cesati Alessandro detto il Greco o il Grechetto, in: Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 24. http://www.treccani.it/enciclopedia/cesati-alessandro-detto-il-greco-o-il-grechetto_(Dizionario-Biografico)/
- Bartolotti F. 1990, Pio IV - Il «Testone» della Resurrezione. Memorie dell’Accademia Italiana di Studi Filatelici e Numismatici, vol. IV, pp. 139-147.
- Bonanni F. 1699, Numismata Pontificum Romanorum quae a tempore Martini V. usque ad annum M.DC.XCIX. vel authoritate publica, vel privato genio in luce prodiere, vol. 1, Roma.
- Cinagli A. 1848, Le monete dei Papi, Fermo.
- Du Molinet C. 1679, Historia summorum pontificum a Martino V ad Innocentium XI per eorum numismata, ab anno 1417 ad anno 1678, Parigi.
- Hamburger L. & L. 1902, Italianische Münzen. Collezione Gnecchi, Francoforte.
- Martinori E. 1918, Annali della zecca di Roma. Da Giulio III a Pio IV, Roma.
- Oldoini A. 1677, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S.R.E. Cardinalium ab initio nascenti Ecclesiae usque ad Clementem IX P.P.M., Roma.
- Scilla S. 1715, Breve notizia delle monete Pontificie antiche e moderne sino all’anno XV del regnante Pontefice Clemente XI, Roma.
- Serafini C. 1910, Le monete e le bolle plumbee pontificie del medagliere vaticano, vol. 1, Milano.
- Serafini C. 1928, Le monete e le bolle plumbee pontificie del medagliere vaticano, vol. 4, Milano.
- Toffanin A. 2018, Monete Italiane Regionali. Stato Pontificio, vol. 2, Pavia.
- Venuti R. 1744, Numismata Romanorum Pontificum praestantiora a Martino V ad Benedictum XIV, Roma.

L'articolo completo può essere qui scaricato (assieme al fascicolo che lo contiene): http://www.socnumit.org/doc/Comunicazione_2021_78.pdf

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Inviato

Un vero e proprio trattato, straordinario esempio di cultura numismatica. Si legge che è una meraviglia. Bravissimo! ??


Supporter
Inviato

Complimenti vivissimi!
Domenico


Inviato

Scheda esaustiva e Testone molto bello e molto raro, come precedentemente fatto notare.

odjob 


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