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IGNORED

Bronzi provinciali romani e mitologia greca


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Bronzo di Julia Domna (Stobi, Macedonia) che raffigura al rovescio Tyche sin piedi a sinistra, con in mano giunco e scettro; ai piedi, a sinistra e a destra, due divinità fluviali (Axios ed Erigon) sdraiate l'una di fronte all'altra, che poggiano i gomiti su urne rovesciate da cui sgorga del liquido (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=515).

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Lot 515
Estimate: 50 EUR. Price realized: 75 EUR
MACEDON. Stobi. Julia Domna (193-217). Ae.
Obv: IVLIA AVGVSTA.
Draped bust right.
Rev: MVNI STOB.
Tyche standing left, holding reed and sceptre; at feet to left and right, two river gods (Axios and Erigon) reclining facing one another, resting elbows upon overturned urns from which liquid flows.

Varbanov 3870.
Rare
Condition: Good fine.
Weight: 11.26 g.
Diameter: 27 mm.

apollonia

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Bronzo di Valeriano I (Magnetes, Tessaglia) che raffigura al rovescio la nave Argo con i rematori (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=523).

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Lot 523
Estimate: 50 EUR. Price realized: 190 EUR.
THESSALY. Magnetes. Valerian I (253-260). Diassarion.
Obv: AVT M ΠΟ VAΛЄΡΙΑΝΟC. Radiate, draped and cuirassed bust right.
Rev: APΓΩ MAΓNHTΩN / B. The galley Argo, with rowers.
BCD Thessaly II 443.4 var. (rev. legend); Rogers 380 var. (same).
Condition: Good fine.
Weight: 4.00 g.
Diameter: 20 mm.

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Il vello d'oro

Tutto ha inizio quando Atamante l’Eolio, re di Beozia, a causa di un oracolo ingannevole era stato sul punto di sacrificare suo figlio Frisso, come avrebbe fatto se non fosse apparso Eracle a distoglierlo dal gesto, convincendolo dell'avversione che suo padre Zeus provava per i sacrifici umani. In seguito Ermes, per ordine di Era o di Zeus, inviò dal cielo Crisomallo, un ariete alato dal vello tutto d’oro. L'animale magico, giunto al cospetto di Frisso, gli ordinò di montargli in groppa e il ragazzo accettò l'invito volando in questo modo verso la Colchide dove sacrificò l'animale. Il vello d'oro rimase intatto e fu conservato dagli abitanti del luogo come un grande tesoro.

Gli Oracoli di Pelia

Il primo oracolo

Pelia, figlio naturale di Poseidone, divenne re alla morte di suo padre adottivo Creteo nonostante il legittimo erede fosse suo fratello Esone. Avvisato da un oracolo che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso, Pelia fece sterminare chiunque avesse un rapporto di discendenza con il dio dei venti. Tutti tranne Esone, che nel frattempo aveva avuto un figlio di nome Giasone. Il bambino fu segretamente trasportato fuori dal palazzo e affidato al centauro Chirone che lo allevò.

Il secondo oracolo

Un altro oracolo mise in guardia Pelia dall'incontro con un giovane che avesse ai piedi un solo calzare. Tempo dopo gli capitò proprio di incontrare su una spiaggia un giovane alto e armato di due lance con un solo piede calzato: si trattava proprio di Giasone che aveva perso un sandalo aiutando pietosamente una vecchina a guadare le acque fangose del fiume Anauro. Sotto le vesti di quella povera vecchia che, fino all'arrivo di Giasone, aveva inutilmente chiesto aiuto ai viandanti, si nascondeva in realtà una teofania di Era, la moglie di Zeus che, continuamente trascurata da Pelia, fu a lui sempre avversa.

Alla vista di quel giovane il re lo interrogò chiedendogli quale fosse il suo nome e chi fosse suo padre, e il giovane gli rispose con franchezza. Al che il sovrano gli chiese come si sarebbe comportato se un oracolo gli avesse predetto che un proprio concittadino stesse per ucciderlo. Giasone, ispirato da Era, rispose che avrebbe inviato quell'uomo nella Colchide, alla ricerca del vello d’oro. Ma quando riconobbe nel suo interlocutore l'usurpatore, Giasone gli chiese di restituirgli il trono e il re in risposta gli pose la condizione che prima avrebbe dovuto salvare il regno da una maledizione.

L’incarico

Pelia gli narrò così di essere tormentato dall'ombra di Frisso, fuggito tempo addietro da Orcomeno e a cui mai era stata data degna sepoltura. Pelia aggiunse che, secondo un oracolo, la loro terra sarebbe rimasta sempre povera fino a quando non fosse stato riportato in patria il vello d'oro, custode dell'anima di Frisso. Promise a Giasone che, se questi avesse accettato l'incarico, gli avrebbe restituito il trono non appena l'eroe fosse ritornato con il vello. Giasone inviò araldi in tutte le terre dell'Ellade a chiedere aiuto, ma poi, indeciso sul da farsi, si rivolse all'oracolo di Castalia che gli suggerì di partire al più presto con una nave. La nave fu costruita e la stessa Atena ne ornò la prua con una polena apotropaica.

(segue)


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Il viaggio

1.La partenza

A comando della spedizione fu inizialmente proposto Eracle, in virtù della sua fama, ma il semidio rifiutò e propose la candidatura di Giasone che, benché giovane e inesperto, aveva organizzato il viaggio. Appena la nave ebbe preso il largo, gli Argonauti sacrificarono due buoi ad Apollo per propiziarsi il viaggio. Mentre il fumo si alzava nel cielo gli Argonauti fecero festa; inebriati e resi violenti dal vino, gli eroi avrebbero sicuramente compromesso l'esito del viaggio se non fosse intervenuto Orfeo che placò gli animi dei compagni con il dolce suono della sua lira.

2.L’isola di Lemno

La prima isola incontrata dagli Argonauti lungo il viaggio fu Lemno, abitata da sole donne, abili guerriere vittime di una maledizione di Afrodite che le aveva indotte a sterminare tutti i loro uomini. Come avvistarono l'imbarcazione, le abitanti decisero di attaccarla ritenendola una nave nemica, ma Giasone inviò come ambasciatore Echione che riuscì a dissuaderle guadagnandosene l’ospitalità. Infatti gli Argonauti furono ben accolti dalle donne che vollero giacere con loro per procreare una stirpe di eroi. Ipsipile offrì a Giasone il trono del piccolo regno mentendogli sulle circostanze che avvolgevano la scomparsa degli uomini nell'isola, ma Giasone rifiutò ricordandole che lo scopo del suo viaggio era la conquista del vello d'oro.

Ergino, preso in giro dalle donne per la sua canizie, sfidò e vinse nei giochi Calaide e Zete, i due velocissimi figli di Borea, affermando poi che anche ai giovani possono crescere capelli grigi prima del tempo. In quelle notti furono concepiti molti figli, ma alla fine Eracle, stanco di restare solo a guardia alla nave, richiamò tutti gli Argonauti e li obbligò a riprendere il viaggio. Gli eroi partirono alla volta della Samotracia.

3.Re Cizico

Ripreso il viaggio, gli Argonauti si trovarono ad affrontare il terribile passaggio attraverso l'Ellesponto, sapendo che il re troiano Laomedonte non permetteva il libero transito alle navi greche. Attesero quindi la notte per costeggiare lentamente la Tracia, avvicinarsi al mar di Marmara e sbarcare su una penisola chiamata Arto. Il giovanissimo re dei Dolioni Cizico, figlio di Eneo, li accolse come eroi invitandoli alla sua festa nuziale che si sarebbe celebrata di lì a poco. Nella notte gli Argonauti furono svegliati dall'attacco di giganti a sei braccia figli della Terra, ma riuscirono ad avere la meglio. Dopo avere consacrato la loro ancora ad Atena, partirono per il Bosforo, ma una tempesta li fece deviare e approdare su una buia spiaggia dove furono assaliti da guerrieri bene armati. Gli Argonauti ancora una volta vinsero la battaglia, ma ben presto scoprirono chi erano i loro avversari: la sorte li aveva riportati sulla penisola di Arto contrapponendoli inconsapevolmente con i loro ospiti in uno scontro armato; e riconobbero tra gli altri i corpi senza vita dello stesso re e di Artace, il più noto dei suoi sudditi, grandissimo guerriero ed eroe. Nel dispiacere generale si celebrarono i riti funebri, durante i quali, all'improvviso, giunse un alcione che si poggiò sulla prua di Argo. Mopso, che aveva il dono di interpretare i presagi, capì che quell'uccello era stato inviato da Gea, la dea della Terra, come segno della sua offesa per la sorte subita dai giganti a sei braccia, suoi figli. Gli eroi prima di riprendere il viaggio, eressero un simulacro della dea per placarne l'ira.

(segue)


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4.Sulle rive del fiume Chio

Durante questa parte del viaggio, gli Argonauti decisero di sfidarsi in una gara di resistenza: avrebbe vinto chi fosse riuscito a vogare più a lungo. Ben presto rimasero solo Giasone, Eracle e i Dioscuri. Giunti alla foce del fiume Chio, anche i Dioscuri cedettero; poi Giasone svenne ed Eracle ruppe il remo. Decisero allora che era tempo di una pausa. Approdati su un'isola, Eracle si allontanò andando in cerca di un nuovo remo e quando risalì sulla nave, gli fu riferito che Ila, suo scudiero e amante, andato in cerca di acqua, non aveva ancora fatto ritorno. L'eroe si allontanò sulla spiaggia, seguito da Polifemo, lanciandosi alla disperata ricerca del ragazzo. Ma la generosità dei due eroi era destinata all'insuccesso: Ila era stato stregato da alcune ninfe che, invaghitesi di lui, lo imprigionarono per l'eternità. Il mattino seguente la giornata si presentava così ventilata che Giasone decise di fare vela senza i compagni perduti. Inutili furono le proteste di alcuni così come i tentativi di convincere Tifide a cambiare rotta, ma Giasone - appoggiato da Calaide e Zete - fu irremovibile.]

5.Gli Argonauti accerchiano Amico

Proseguendo il viaggio, gli Argonauti raggiunsero l'isola di Bebrico dove regnava un re di nome Amico, figlio di Poseidone, che si vantava di essere un buon pugile. Egli volle mettere alla prova gli Argonauti sfidando Polluce, il migliore tra loro. Fu il dioscuro a uscire vincitore, uccidendo l'avversario e scatenando la furia del popolo. Gli Argonauti ebbero facile sopravvento sulla folla inferocita e poterono saccheggiare il palazzo reale; poi, offerti in sacrificio venti tori per ingraziarsi Poseidone, ripresero l'avventura sul mare.

Una volta giunti sul promontorio di Salmidesso, gli eroi incontrarono il figlio di Agenore, Fineo tormentato dalle Arpie. Calaide e Zete, figli del vento, poterono spiccare il volo e respingere i due mostri. Il re, per ricompensarli, profetizzò sul loro viaggio consigliando loro la rotta più sicura.

6.Seguendo i consigli di Fineo

Tutte le navi dirette verso il Bosforo dovevano fare i conti con le insidie delle rocce nascoste nella nebbia eterna, che puntualmente le faceva affondare. Tuttavia Eufemo, seguendo il consiglio di Fineo, fece volare una colomba: gli Argonauti la seguirono e, incoraggiati da Atena e dal suono della lira di Orfeo, riuscirono a evitare gli scogli. Dopo avere costeggiato la sponda meridionale, giunsero nell'isola di Tinia dove ebbero l’apparizione del divino Apollo che mostrò rispetto per la loro avventura. Arrivarono in seguito all'isola di Mariandine dove, dopo avere ricevuto l'avviso di Dimante a riguardo di Amico e averlo sconfitto, il re Lico, felice per la morte del suo rivale (Amico), offrì loro, in segno di gratitudine, suo figlio Dascilo come guida. Il giorno dopo gli Argonauti, in procinto di salire sulla nave, furono assaliti da un enorme cinghiale che ferì Idmone alle gambe, affondandogli le zanne nella carne. Ida giunse in soccorso e uccise la bestia con la lancia, ma l'emorragia di Idmone risultò impossibile da arrestare. L'eroe morì dissanguato e gli Argonauti lo piansero a lungo. Tifide, che fino allora era stato il nocchiero, si ammalò e morì poco dopo lasciando la guida della nave ad Anceo il grande, che in quel ruolo si rivelerà la scelta migliore. Giasone, di fronte alla decimazione dei suoi uomini, decise di fare una breve sosta a Sinope, in Paflagonia, la città che doveva il suo nume alla figlia di Asopo. Qui il comandante scelse tre nuovi membri, i fratelli Deileonte, Autolico e Flogio, vecchi amici di Eracle. Nuovamente in viaggio, gli Argonauti passarono accanto al paese dei Tibareni, un popolo che si distingueva per una singolare caratteristica: durante il parto, i mariti erano in preda alle doglie allo stesso modo delle consorti.

(segue)


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7.L’isola di Ares

Gli Argonauti arrivarono poi davanti alla piccola isola di Dia, sacra ad Ares, il dio della guerra. Subito stormi di uccelli si levarono da quel luogo infausto e attaccarono la nave. Questi uccelli combattevano alla loro particolare maniera, scagliando le proprie piume sugli avversari, e fu in questo modo che Oileo rimase ferito alla spalla. Gli Argonauti si ricordarono allora dei consigli di Fineo e di come questi aveva riferito dell'avversione di questi animali al rumore: indossati gli elmi dispersero lo stormo rivolgendo agli uccelli urla possenti. Metà di loro si diede a remare mentre gli altri li proteggevano sollevando gli scudi e con il clangore prodotto percuotendone la superficie con le spade.

Seguendo ancora i consigli del re, sbarcarono sull'isola e misero in fuga ogni creatura mostruosa vi si nascondesse. Si scatenò quindi un violento nubifragio e al cospetto degli Argonauti apparve una piccola imbarcazione su cui erano quattro naufraghi, Citissoro, Argeo, Frontide e Melanione (o Mela), i figli di Frisso e di Calciope. Gli Argonauti furono ben lieti di trarli in salvo e di cooptarli nella spedizione. Arrivati tutti insieme alla foce del fiume Fasi, che bagna la Colchide, Giasone convocò un'assemblea per decidere come recuperare il vello.

8.La conquista del vello d’oro

Giasone dichiarò subito le sue intenzioni: accompagnato dai figli di Frisso, intendeva recarsi nella città di Ea, su cui regnava Eete, per rivendicare in modo gentile il prezioso oggetto. Solo al rifiuto di Eete avrebbero attaccato battaglia. La proposta fu accolta con applausi; a Giasone volle unirsi Augia, un fratellastro di Eete convinto di potere avere un ruolo. Il gruppo avanzò attraverso il cimitero di Circe dove si presentò ai loro occhi lo spettacolo dei cadaveri esposti sulle cime dei salici (l'usanza del luogo riservava la sepoltura alle sole donne, mentre i corpi dei maschi erano lasciati alla mercé degli uccelli).

9.L’incontro con Calciope

Mentre si avvicinava al palazzo, a Giasone apparve Calciope, la moglie del defunto Frisso. Ella era con Medea una delle figlie che Eete aveva avuto dalla prima moglie, la defunta ninfa Aterodea. Calciope, udendo la storia del salvataggio dei suoi figli, ringraziò il comandante. Sopraggiunse allora Eete che si infuriò nello scoprire che gli Argonauti avevano infranto il divieto imposto da Laomedonte. Chiese allora al suo nipote prediletto Argeo di spiegare il motivo di quella visita. Il ragazzo, senza perdersi d'animo, raccontò la storia del viaggio degli Argonauti narrando anche di come fosse stato tratto in salvo dal naufragio insieme ai suoi fratelli. Ma Eete, al quale un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto, per tutta risposta si infuriò burlandosi del comandante e dei suoi compagni. Disconobbe Augia come fratello e ordinò agli intrusi di fare ritorno ai loro luoghi d'origine, minacciandoli di torture se fossero rimasti. Giasone non rispose alla collera con l'ira: i suoi modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea. Volle contrattare, ma le sue condizioni rimasero inaccettabili.

(segue)


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10.Le condizioni di Eete

Per recuperare il vello d'oro Giasone avrebbe dovuto:

aggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti; fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno;

tracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago: quelli, pochi e perduti, che Cadmo aveva seminato tempo addietro a Tebe.

Nell'udire le condizioni Giasone rabbrividì, ma in suo aiuto intervenne il favore degli dei: Eros, il dio dell'amore, fece sì che Medea si innamorasse del giovane comandante. Il dio era in realtà mosso da interessi personali, spinto dalla madre Afrodite ad agire per ottenere in cambio la pietra lucente che desiderava. La dea era in combutta con altre due divinità, Era e Atena, e insieme avevano cospirato alle spalle della ragazza. Medea a lungo cercò di contrastare quel sentimento affiorato così all'improvviso, chiedendosi il perché di tanto interesse verso una persona conosciuta da poco. Alla fine la donna, comprendendo che le prove imposte a Giasone l'avrebbero condotto a morte certa, si risolse ad aiutarlo, convinta che se avesse agito diversamente sarebbe stata fredda come una pietra. Calciope intanto cercò l'appoggio di sua sorella e quando scoprì l'amore di lei per Giasone colse l'occasione e fece da tramite fra i due. Medea decise di aiutare Giasone, ma in cambio voleva diventare sua sposa.

11.La prova di Giasone

La principessa, abile maga, diede al suo amato una pozione nella quale era infuso il sangue di Prometeo, fautore dell'emancipazione del genere umano, che lo avrebbe protetto dal fuoco dei due tori. Arrivato il giorno atteso per la prova, molti erano gli spettatori che si riunirono per assistere all'evento, fra cui lo stesso re. I tori bruciavano l'erba con il fuoco; puntandolo con le loro corna d'acciaio, andarono incontro al figlio di Esone ma l'eroe, grazie alle arti magiche di Medea, non soffriva il calore. Giasone con grande fatica riuscì a domare le bestie e, soggiogatele, le costrinse ad arare per tutto il giorno. A notte iniziò a seminare i denti del drago, da ciascuno dei quali spuntò dalla terra un guerriero; alla fine si formò un esercito che si rivolse contro di lui. Medea lanciò un altro potente incantesimo grazie al quale Giasone scagliò in mezzo a loro un enorme masso, creando una nube di polvere e molta confusione. I guerrieri iniziarono a uccidersi fra loro e continuarono a farlo fino a quando Giasone non ebbe eliminato personalmente i pochi sopravvissuti, superando così la prova.

12.Il drago custode del vello d’oro

Anche se Giasone aveva superato queste prove impossibili, il re Eete si rimangiò la parola data minacciando di dare fuoco alla nave Argo e di ucciderne l'equipaggio. Allora Medea guidò Giasone al luogo dove il vello era nascosto. Un enorme drago, immortale e dalle mille spire, faceva da guardia al tesoro. Il mostro, lungo più della loro nave, era figlio di Tifone, un gigante che in passato era stato ucciso a fatica da Zeus. Medea fece sfoggio di vari incantesimi grazie ai quali riuscì ad ammaliare il drago fino a farlo addormentare. Giasone, approfittando del momento, staccò dai rami della quercia il vello d'oro e lo portò con sé nella fuga. Intanto i sacerdoti di Ares avevano dato l'allarme e i Colchi erano scesi in battaglia contro gli Argonauti, ferendo Ifito, Argo, Atalanta, Meleagro e anche il loro comandante. Medea curò tutti con i suoi filtri magici ma non fece in tempo a completare l'opera, tanto che Ifito morì comunque per le ferite ricevute.

(segue)


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13.Il ritorno

Durante il ritorno, seguendo un altro dei saggi consigli di Fineo, gli Argonauti, inseguiti dalle galere di Eete, navigarono attorno al Mar Nero in senso contrario al giro del sole. Una delle versioni riporta che, quando Eete raggiunse Giasone e i compagni alla foce del Danubio, Medea prese il piccolo Apsirto, il fratellastro che aveva portato come ostaggio, e lo fece a pezzi gettati in mare. Eete, inorridito di fronte a tale orrore, costrinse le navi inseguitrici a fermarsi presso Tomi per recuperare i brandelli del figlio dilaniato. Secondo altri autori, invece, Giasone riuscì a uccidere anche Eete. Secondo la versione più dettagliata, Apsirto, qui presentato come un giovane uomo, inseguì Giasone per ordine di suo padre, mentre gli Argonauti giunsero in un'isola sacra ad Artemide. Qui, una volta sbarcati, avrebbero aspettato il giudizio del re dei Brigi. Medea, che non voleva per alcun motivo essere abbandonata, inviò segretamente un messaggio al fratellastro sostenendo di essere trattenuta con la forza e supplicandolo di venire a salvarla. La sera stessa Apsirto scese sull'isola dove fu inseguito e colpito alle spalle da Giasone. Per evitare di essere perseguitato dalla sua ombra, Giasone leccò e sputò immediatamente alcune gocce del suo sangue e amputò gli arti del ragazzo. Quando Medea tornò sulla nave, gli Argonauti scesero in battaglia contro i soldati che, senza un comandante, fuggirono impauriti.

14.La rotta del ritorno

Dopo la morte di Apsirto, gli Argonauti furono liberi di affrontare la rotta che li avrebbe ricondotti a casa. Fra i mitografi antichi e moderni non vi è accordo sulla rotta intrapresa:

alcuni affermano che invertirono la rotta passando per l’Oceano Indiano, entrando poi nel Mediterraneo dal lago Tritoni;

altri sostengono che la nave risalì il Danubio, per poi passare al Po e scendendo quindi fino all’Adriatico;

altri ancora raccontano che, risalito il Danubio, giunsero all'isola di Circe, passando per il Po e per il Rodano;

altri narrano che risalirono il Don e poi portarono l'Argo fino alle acque di un fiume che sfocia nel Golfo di Finlandia;

altri, infine, raccontano che, percorsi il Danubio e l’Elba, raggiunsero lo Jutland. Una volta giunti in quelle terre si diressero verso l'oceano a occidente arrivando fino all’Irlanda e poi, superate le colonne d’Ercole, arrivarono all'isola di Circe.

Tutte queste rotte sono frutto della fervida fantasia dei mitografi, ma in realtà impossibili da seguire: la nave Argo, probabilmente, ritornò semplicemente da dove era venuta, dal Bosforo superando l’Ellesponto senza però incontrare le difficoltà della prima volta visto che Eracle, nel frattempo, aveva attaccato e distrutto l'intera flotta troiana per poi giungere fino alla città, dove uccise Laomedonte e mise al suo posto l'ultimo dei suoi figli, Priamo (chiamato anche Podarce).

15.Medea e Giasone

La polena della nave, che aveva poteri oracolari, sentenziò che Giasone e Medea dovevano purificarsi per i delitti commessi. I due scesero dalla nave e andarono incontro alla zia di Medea, Circe, anch'essa maga. La donna, pur non avendo alcuna intenzione di intervenire, li purificò usando sangue di scrofa. Nel frattempo i Colchi riuscirono a scoprire dove Giasone si nascondeva. Una volta arrivati a Corcira, a quei tempi chiamata Drepane, i Colchi si recarono dai regnanti locali, il re Alcinoo e sua moglie Areta. Reclamarono sia il vello che la testa di Giasone, ma il re decise di porre una condizione, che sarebbe stata riferita soltanto il giorno dopo. Areta, ormai amica di Medea, tenne sveglio il consorte tutta la notte, fino a farsi rivelare quale fosse la condizione per liberare, il giorno seguente, la sua amica Medea. La condizione era che Medea fosse ancora vergine. Areta subito avvertì la donna di questo e Giasone sposò la strega la notte stessa nella grotta di Macride. Gli Argonauti banchettarono e il vello d'oro fu messo ai piedi dei due sposi. Il mattino seguente Alcinoo fece il suo proclama ma si sentì rispondere da Giasone che Medea era già sua sposa. I Colchi allora non poterono più eseguire gli ordini imposti e neanche tornare in patria; essi vagarono fondando nuove città. Solo un paio d'anni dopo Eete seppe tutta la verità.

(segue)


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16.La fine del viaggio

Giasone continuò il suo viaggio fino a raggiungere l'isola delle Sirene. Gli Argonauti poterono udire il loro canto, ma la fatale melodia fu vinta da un suono ancora più dolce, quello della lira di Orfeo. Il solo Bute, incantato comunque dalle Sirene, non riuscì a resistere e cercò di raggiungerle gettandosi a mare. La sua morte sarebbe stata certa se Afrodite, obbedendo a un capriccio, non lo avesse salvato e portato con sé. Gli eroi costeggiarono poi la Sicilia dove videro Elio pascolare il suo favoloso gregge, ma riuscirono a tenere a freno i loro desideri e passarono oltre.

17.Avventure nel deserto

All'improvviso una forte burrasca travolse gli eroi, sollevando l'intera nave e gettandola contro le rocce della costa libica dove un deserto senza fine si parò davanti a loro. Stavano per perdere ogni speranza quando la triplice dea Libia apparve in sogno a Giasone. Rincuorato, il comandante decise di recuperare la nave e, sollevando e trasportando a spalla tutti insieme l'imbarcazione, in dodici giorni riuscirono a giungere fino al lago Tritonide. Durante questo lungo periodo scamparono alla sete solo grazie al ritrovamento della sorgente che Eracle aveva fatto scaturire in una delle sue fatiche. Durante il trasporto della nave, Canto, uno degli eroi, vide il gregge di Cafauro e, non riuscendo a resistere alla fame, cercò di rubare qualche capo; il pastore lo scoprì e, infuriato, lo uccise. Subito gli Argonauti lo vendicarono. Durante la cerimonia di sepoltura del loro amico, accadde a Mopso di venir morso al tallone da un serpente; una nebbia calò sui suoi occhi, atroci dolori si diffusero lungo il corpo, i capelli caddero e alla fine spirò. Gli Argonauti, celebrati anche i riti funebri per la scomparsa di Mopso, tornarono alla ricerca del lago. Giasone portava con sé due tripodi di bronzo avuti in dono dall’oracolo della Pizia. Grazie al consiglio di Orfeo, il comandante decise di offrirne uno alle divinità locali. Subito apparve Tritone che prese per sé il tripode; prima che potesse fare ritorno laddove era venuto, Eufemo, preso coraggio, gli si parò innanzi chiedendogli quale via portasse al Mediterraneo. Tritone in risposta gli donò una zolla di terra che avrebbe reso lui e i suoi discendenti sovrani di Libia, e quindi trascinò la nave degli Argonauti fino al mare

18.Verso casa

Ripresa la navigazione, gli Argonauti cercarono di avvicinarsi a Creta dove faceva buona guardia Talo, la sentinella di bronzo opera di Efesto. L'automa, non appena avvistò la nave, iniziò a bersagliare l'equipaggio con pietre, ma Medea ingannò il mostro e lo addormentò con una pozione. La strega si avvicinò poi al gigante e tolse il chiodo che turava la sua unica vena, facendolo morire dissanguato.

Secondo altre versioni, invece, il gigante, incantato dagli occhi della donna barcollò, fino a ferirsi; o, secondo altre, fu ucciso da una freccia di Peante.

(segue)


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19.La morte di Esone

Esone, che già prima della partenza di Giasone si preoccupava per la sorte di suo figlio, della sua famiglia e del suo regno, fu rincuorato da Polimela. «Anche me prenderai come compagna, qualunque evento si appressi. Non rinvierò la mia morte; mio figlio non lo vedrò senza di te; questo cielo, già troppo l'ho sopportato fin dal primo momento, quando egli spiegò le sue vele verso il mare profondo – io che potevo sostenere tanto dolore».

(Valerio FlaccoArgonautica , Libro I, versi 763-766, commento di Polimela)

Poco dopo la partenza degli Argonauti, Pelia, incurante della promessa fatta a Giasone, scelse di sterminarne la famiglia. Il primo a cadere fu proprio Esone; dopo di lui il re frantumò la testa di Promaco, figlio di Esone. Polimela, disperata ma fiera, non si lasciò uccidere e scelse di morire per mano propria.

20.La morte di Pelia

Una sera di autunno gli Argonauti riuscirono ad approdare alla spiaggia di Pegase, presso Iolco, dove appresero che si era sparsa la voce della loro morte; seppero anche del massacro perpetrato da Pelia. Udite queste notizie, Giasone proibì a chiunque avesse visto l'attracco di parlarne; convocò quindi un consiglio nel quale tutti gli Argonauti furono d'accordo nell'uccidere il re. Ad Acasto, che non poteva certo uccidere il proprio padre, fu concesso di ritornare a casa. Molti tra gli Argonauti sostennero però l'impossibilità di compiere la vendetta, anche perché Iolco era una città molto ben munita. Di fronte al profilarsi di una rinuncia generale Medea assunse solo su sè stessa l'intero compito di espugnare la città.

21.Il piano di Medea

La maga disse agli Argonauti di nascondersi in attesa di un suo cenno. Trovò un simulacro cavo della dea Artemide e ordinò quindi alle sue ancelle di vestirsi in strano modo e di portarlo a turno. Medea si travestì da vecchia e, presentatasi alle porte di Iolco, offrì la fortuna di Artemide sulla città se solo le avessero aperto le porte. I guardiani non poterono rifiutare e, una volta entrate, le serve della strega ingannarono la gente inscenando finte crisi religiose. Pelia, dubbioso, si rivolse allora alla vecchia chiedendole cosa volesse la dea da lui. La risposta fu che, se avesse creduto in Artemide e nel suo operato, avrebbe ricevuto in cambio eterna giovinezza. Il re non le volle credere e allora Medea prese un vecchio ariete, lo fece a pezzi, lo bollì e pregando la dea di assisterla e usando tutte le formule magiche a sua conoscenza, riuscì, con uno stratagemma, a fare credere che l'animale fosse ringiovanito. Questo convinse il re che si denudò e, sdraiatosi, si fece ipnotizzare. Medea chiese alle figlie del re, Alcesti, Evadne e Anfinome, di tagliare a pezzi il proprio genitore. Dapprima rifiutarono ma la strega, usando altri inganni e piccoli incantesimi, riuscì a persuadere Evadne e Anfinome. I pezzi finirono nel calderone mentre, sempre su richiesta della finta vecchia, le due assassine agitavano delle torce: doveva essere un'invocazione rivolta alla dea luna, ma in realtà era il segnale convenuto per l'ingresso in città degli Argonauti che poterono prendersi così la rivincita. Giasone, temendo la collera del figlio di Pelia, loro compagno di viaggio, non avanzò pretese sul trono: accettò l'esilio impostogli da Acasto lasciandogli anche il trono. Secondo l'antica usanza, alla morte del re furono dedicati dei giochi funebri nei quali gli Argonauti ebbero occasione di dare prova della loro abilità vincendo diverse prove.

apollonia


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Bronzo di Caligola (Corinto, Corinzia) con Pesago in volo sul rovescio (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=525).

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Lot 525
Estimate: 50 EUR. Price realized: 100 EUR
CORINTHIA. Corinth. Caligula (37-41). Ae. P. Vipsanius Agrippa and M. Bellius Proculus, duoviri.
Obv: C CAESAR AVGV.
Bare head right.
Rev: M BELLIO PROCVLO IIVIR / COR.
Pegasus flying right.
RPC I 1173; BCD Corinth 405-6.

Condition: Very fine.
Weight: 6.24 g.
Diameter: 20 mm.

apollonia


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Bronzo di Settimio Severo (Corinto, Corinzia), che raffigura al rovescio la ninfa Pirene seduta su una roccia con un’anfora (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=528).

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Lot 528
Estimate: 50 EUR. Price realized: 100 EUR
CORINTHIA. Corinth. Septimius Severus (193-211). Ae.
Obv: Laureate, draped and cuirassed bust right.
Rev: Nymph Peirene seated left on rock with amphora.
BCD Corinth 867.

Condition: Very fine.
Weight: 12.38 g.
Diameter: 25 mm.

Nella mitologia greca la ninfa Pirene era una naiade figlia di Metope, mentre il padre, a seconda delle fonti, viene indicato come Acheloo, Ebalo o Asopo. Da Poseidone ebbe Leche e Cencrea; alla morte di quest’ultimo pianse così tanto da trasformarsi in una fonte situata alle porte di Corinto e nota come fontana Pirene.

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Le Ninfe

Le Ninfe costituiscono una classe numerosissima di divinità che rappresentano le forze della natura. Esse abitavano in luoghi dove esercitavano i loro poteri assumendo da tali luoghi il nome che le divide in varie categorie: Oceanine, le ninfe del gran fiume Oceano che gira intorno alla terra; Potameidi, le ninfe dei fiumi; Naiadi, le ninfe delle fonti; Napee, le ninfe delle valli; Oreadi, le ninfe dei monti; Driadi, le ninfe dei boschi, tra le quali Euridice che fu la sposa di Orfeo; Amadriadi, che vivevano nel tronco degli alberi, inseparabili dal destino della pianta a cui appartenevano, al punto da morire quando la pianta appassiva; Meliadi, le ninfe dei frassini. Esse erano concepite come giovani e avvenenti fanciulle. Le Nereidi, figlie di Nereo, “il vecchio del mare”, erano le ninfe dell’Egeo; tra esse vi erano Galatea e Teti. Sia Giove sia Bacco furono nutriti nella loro prima infanzia dalle ninfe dei boschi e delle grotte. Le caste compagne di Diana vengono genericamente chiamate ninfe; armate di arco e frecce e con la faretra a tracolla, vanno a caccia con la dea o si bagnano con lei nelle fonti dei recessi montani. Spesso vengono importunate dai lascivi satiri. Come paladine della castità puniscono Cupido spuntando le sue frecce.

Si narra (Ovidio, Metamorfosi, vv. 572-641) che il dio fluviale Alfeo venne preso d’amore per la ninfa Aretusa mentre questa, in tutta innocenza, si bagnava nelle sue acque. Aretusa fuggì per monti e valli inseguita da Alfeo; quando le forze iniziarono a mancarle, Diana venne in suo soccorso avvolgendola in una nube e mutandola in un ruscello sotterraneo. Una delle nereidi, Galatea, di cui s’era invaghito Polifemo, venne da lui scoperta nelle braccia di Aci, il bellissimo giovane da lei amato. Polifemo, infuriato, lanciò un enorme masso che uccise Aci. Nel Rinascimento spesso è stato rappresentato il “trionfo di Galatea”. Si tratta di una scena molto vivace e movimentata. Galatea è in piedi sul suo veicolo (una conchiglia tirata da delfini, dotata nell’antichità classica e nel Rinascimento di pale rotanti), circondata da una folla di creature acquatiche. Tritoni che soffiano nelle conchiglie marine, nereidi e ippocampi. Il gruppo è sorvolato da alcuni amorini che dirigono le proprie frecce su Galatea.

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Raffaello Sanzio – Trionfo di Galatea – 1511 ca – Affresco 295x225 cm – Roma, Villa Farnesina

 

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Bronzo di Caracalla (Corinto, Corinzia) che raffigura al rovescio un guerriero a cavallo che scaglia la lancia contro un nemico caduto sotto il cavallo (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=530).

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Lot 530
Estimate: 50 EUR. Price realized: 160 EUR
CORINTHIA. Corinth. Caracalla (197-217). Ae.
Obv: M AVRELIVS CAESAR ANTONINVS. Laureate and cuirassed bust right. c/m: male(?) head right within oval incuse.
Rev: CLI COR. Warrior on horseback right, spearing fallen enemy below horse.
BCD Corinth 936; BMC -; SNG Copenhagen -.
Condition: Very fine.
Weight: 5.41 g.
Diameter: 24 mm.

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Se non già citato in questa discussione:

 

https://www.biddr.com/auctions/navillenumismatics/browse?a=4854&l=5877073

★ Amongst the finest portrait of Sarapis in the Alexandrinian coinage. ★

Egypt, Alexandria Hadrian, 117-138 Drachm circa 131-132 (year 16), Æ 37.50 mm., 27.13 g.
Laureate, draped and cuirassed bust r. Rev. Draped bust of Sarapis r., wearing kalathos and laurel wreath; in field, LI-Ϛ. RPC 5795.

Extremely rare only three specimens listed on RPC, apparently the second specimen in private hands; of an exceptional quality possibly the finest specimen knwon for a rappresentation of Sarapis on Hadrian coinage, nice light brown-green patina and Extremely Fine/Good Extremely Fine.

Amongst the finest portrait of Sarapis in the Alexandrinian coinage.

 

Lotto n. 414 Auction 91 Naville Numismatics Ltd.

Greek, Roman and Byzantine Coins

Dom., 11.08.2024, dalle ore 17:00 CEST

Per la cronaca: il Lotto è stato aggiudicato al prezzo di 4'400 GBP con partenza da 2'000 GBP, primo classificato in ordine discendente di prezzo di realizzo in asta al netto dei relativi diritti.

Serapide o Sarapide (in greco Σέραπις o Σάραπις) era un dio greco-egizio, il cui culto fu introdotto ad Alessandria d'Egitto attorno al 300 a.C. da Tolomeo I, che vi fece costruire il Serapeo. Era il Signore dell'Universo, il dio dell'oltretomba, della fecondità, della guarigione e del Sole.

Saluti.

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Altro bronzo con il ritratto di Serapide in https://rpc.ashmus.ox.ac.uk/coin/66141

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Qui si vede bene lo stigma = 6 dell’anno 16 corrispondente al 131-132 d. C.

Per Serapide vedi anche https://www.lamoneta.it/topic/205717-bronzi-provinciali-romani-e-mitologia-greca/page/7/#comment-2295068

 

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9 minuti fa, apollonia dice:

Altro bronzo con il ritratto di Serapide in https://rpc.ashmus.ox.ac.uk/coin/66141

66141d.jpg.d348c9146194cd43f3ca3fb5a8b9069f.jpg  66141r.jpg.1540589e12c6f493690ebf8e1eedb570.jpg

Qui si vede bene lo stigma = 6 dell’anno 16 corrispondente al 131-132 d. C.

Per Serapide vedi anche https://www.lamoneta.it/topic/205717-bronzi-provinciali-romani-e-mitologia-greca/page/7/#comment-2295068

 

apollonia

 

Grazie,

su questo esemplare, infatti, è ben visibile lo stigma.

image.jpeg


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Bronzo di Adriano (Pergamo, Misia), Cephalion stratego per la seconda volta, che raffigura al rovescio Telesforo in piedi, di fronte, con mantello e cappuccio (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=570).

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Lot 570
Estimate: 50 EUR. Price realized: 40 EUR

MYSIA. Pergamon. Hadrian (117-138). Ae. Cl. Cephalion, strategos for the second time.
Obv: ΑVΤΟ ΚΑΙ ΝЄΡ ΤΡ ΑΔΡΙΑ. Laureate bust right, with slight drapery.
Rev: ΠЄΡΓΑ ЄΠΙ СΤΡΑ ΚΛ ΚЄΦΑΛΙΩΝ / ΤΟ Β. Telesphorus standing facing, wearing mantle with hood.
RPC III 1733; SNG France 2093-6.
Condition: Very fine.
Weight: 2.31 g.
Diameter: 17 mm.

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Bronzo di Commodo (Alessandria, Troade) che raffigura al rovescio Apollo Smintheus in piedi a destra, con arco e phiale, faretra sulla spalla; a destra, tripode illuminato (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=576).

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Lot 576
Estimate: 50 EUR. Price realized: 70 EUR
TROAS. Alexandria. Commodus (177-192). Ae.
Obv: IMP CAI M AVR COMMOD AVG. Laureate, draped and cuirassed bust right.
Rev: COL AVG TROAD. Apollo Smintheus standing right, holding bow and phiale, quiver over shoulder; to right, lighted tripod.
Cf. RPC IV online 174 (obverse bust and legend); cf. SNG Copenhagen 125 (same); cf. Bellinger, Troy A 191 (for obverse type).

Condition: Good very fine.
Weight: 5.16 g.
Diameter: 25 mm.

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Bronzo di Lucio Vero (Magnesia al Meandro, Ionia) che raffigura al rovescio la statua frontale di Artemide Leukophryene che sta per essere incoronata da due Nike svolazzanti ai lati, con due divinità fluviali a braccio alzato ai piedi (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=593).

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Lot 593

Estimate: 50 EUR. Price realized: 280 EUR
IONIA. Magnesia ad Maeandrum. Lucius Verus (161-169). Ae.
Obv: ΑV ΚΑΙСΑΡ Λ ΑV ΟΥΗΡΟС. Laureate and draped bust right.
Rev: ΜΑΓΝΗΤΩΝ. Facing statue of Artemis Leukophryene, with supports and being crowned by two Nikai flying to left and right; to left and right below, river gods Maeandrus and Thorax reclining, each raising arm.
RPC IV online 1026.
Extremely rare
Condition: Near very fine.
Weight: 25.49 g.
Diameter: 38 mm.

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Dupondio di Nemausus (Gaul) che raffigura al dritto le teste di Agrippa e di Augusto, e al rovescio un coccodrillo incatenato a una fronda di palma (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=8305&lot=339).

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Lot 339

GAUL, Nemausus. Augustus, with Agrippa. 27 BC-AD 14. Æ Dupondius (27mm, 12.77 g, 7h). Struck circa 9/8-3 BC. Heads of Agrippa left, wearing rostral crown and laurel wreath, and Augustus right, wearing laurel wreath, back to back / Crocodile right chained to palm frond with short fronds; wreath with long ties above, palms fronds below. RPC I 524; SNG Copenhagen 699. Dark green patina, flan adjustment marks. Good VF.

Ex G. Hirsch 361 (24 September 2020), lot 2265; Guy Weill Goudchaux Collection (Triton XIII, 5 January 2010) lot 307; Classical Numismatic Group 72 (14 June 2006), lot 1129.

 

Bronzo della CNG Auction 127 che si chiuderà il 17-18 settembre 2024. La stima è di 750 USD e l’offerta corrente è di 450 USD.

Vedremo dove arriverà.

apollonia


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Inviato

L’esemplare della Leu Numismatik AG, Auction 13, 27 May 2023, migliore come stile e conservazione, è stato aggiudicato a un hammer di 4000 CHF da base 500 (https://www.coinarchives.com/a/openlink.php?l=2207133|5313|234|aa3afa040a72cd49b807eb7de73788f4).

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Lot number: 234
Augustus, with Agrippa, 27 BC-AD 14. As (Bronze, 27 mm, 12.62 g, 12 h), Nemausus, circa 9/8-3 BC. IMP / DIVI F Heads of Agrippa, on the left, wearing rostral crown combined with laurel wreath, and of Augustus, on the right, wearing oak-wreath, back to back. Rev. COL - NEM Crocodile standing to right, chained to large palm; below, two short palm fronds; above palm-tip, wreath with long ties. RIC 158. RPC I 524. SNG Copenhagen 699. A very attractive example with a beautiful grey and green patina. Light adjustment marks and with minor weakness on the obverse, otherwise, good very fine.

From the Aes Augustorum Collection, ex Helios 1, 17 April 2008, 415.
Estimate: 500 CHF. Price realized: 4000 CHF.

apollonia


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Inviato

A proposito di Augusto, ho letto proprio ora un aneddoto che lo riguarda.

Un cortigiano disse un giorno ad Augusto: “Si dice in giro che tu voglia farmi un bel regalo” e l’imperatore gli ribattè: “Non dare ascolto alle chiacchiere della gente!”.

apollonia


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Inviato

Emissione pseudo-autonoma di Maeonia (Macedonia), al tempo di Marco Aurelio, che raffigura al dritto la testa di Eracle e al rovescio lo stesso Eracle che avanza a destra, tenendo in mano una pelle di leone e una clava sulle spalle (https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=1362&lot=619).

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Lot 619
Estimate: 50 EUR. Price realized: 65 EUR
LYDIA. Maeonia. Pseudo-autonomous. Time of Marcus Aurelius (161-180). Ae.
Obv: MAIONΩN. Head of Herakles left.
Rev: AΠΠAC CTP TO Γ. Herakles advancing right, holding lion skin and club over shoulder.
BMC 40.
Condition: Good very fine.
Weight: 5.20 g.
Diameter: 20 mm.

apollonia


Inviato

DE GREGE EPICURI

Ciao @apollonia, che cosa significa secondo te la scritta del rovescio ΑΠΠΑC  CΤΡ ΤΟ Γ ?


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