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Bronzi provinciali romani e mitologia greca


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La parola greca dikaiosýne deriva dal sostantivo diké e significa giustizia, direttiva, indicazione, ordine. Per la mitologia greca Diké era il nome di una delle figlie di Zeus e partecipava con lui al governo del mondo. La giustizia è quindi, nel mondo grecoromano, una regola che guida l’agire fornendo una norma a cui gli uomini si devono attenere.

Da https://www.gionata.org/dikaiosyne-per-quelli-che-hanno-sete-di-giustizia/

 

Themis, dike e dikaiosyne: iconografia, culti e santuari nel mondo greco

Abstract

Le figure coinvolte con la giustizia nel mondo greco sono molteplici, e rivestono solitamente ruoli molto differenziati, agendo anche a livelli molto diversi per lo meno nelle attestazioni delle fonti, in cui si muovono numerose1, da Themis a Dike, da Dikaiosyne a Nomos, da Nemesis a Poinè e alle stesse Erinni/Eumenides, determinando così una poliedricità della giustizia estremamente interessante. Non tutti gli aspetti della giustizia, comunque, presentano caratteristiche divine, anzi spesso si tratta di personificazioni abbastanza ibride, in cui il livello di divinizzazione può cambiare anche in base al periodo o alla regione. Dal punto di vista iconografico, inoltre, non sempre si delineano distinte differenziazioni tra schemata relativi alle diverse personificazioni, che possono addirittura scambiarsi caratteristiche e attributi nel corso del tempo, anche in base alle evoluzioni culturali, sociali e politiche.

O. Menozzi

Da https://ricerca.unich.it/handle/11564/712429

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Assarion ai tempi di Gallieno che raffigura Dikaiosyne al rovescio e al dritto il re Mida con berretto frigio decorato da stelle (Leu 3).

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Roman Provincial
PHRYGIA. Prymnessus. Pseudo-autonomous issue. Assarion (Orichalcum, 22 mm, 5.61 g, 7 h), time of Gallienus, 253-268. MIΔAC BACIΛЄYC Draped and cuirassed bust of King Midas to right, wearing Phrygian cap decorated with stars. Rev. ΠPYMNHCCIЄΩN (sic!) Dikaiosyne standing front, head to left, holding scales in her right hand and grain ears in her left. SNG Copenhagen 663 corr. (same dies, but I in reverse legend overlooked). SNG von Aulock 3938 var. (differing reverse legend). Von Aulock, Phrygien II, 962-967 (same dies). Rare. A remarkably attractive example of this interesting issue. Minor areas of weakness, otherwise, nearly extremely fine.

Base d’asta: 600 CHF. Valutazione: 750 CHF. Risultato: 900 CHF.

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Mida è il re frigio meglio conosciuto per il suo 'tocco d'oro', perché quando gli fu offerta una ricompensa a sua scelta da Dioniso per il trattamento ospitale del padre adottivo ubriaco del dio Silenos, l'avido re desiderò che tutto ciò che toccava fosse trasformato in oro. Tuttavia Mida si rese presto conto che il dono divino era in realtà una maledizione, dato che ora non era in grado di mangiare o bere. Affamato e morente di sete, implorò Dioniso: 'Padre Lenaios, perdonami! Abbiamo peccato. Ma abbi pietà di me, ti prego, e salvami da questo costoso male! (Ovidio met. XI, 133.4). Il dio misericordioso perdonò il re e gli ordinò di lavarsi nella sorgente del Pattolo per consegnare il potere divino al fiume, che così spiegava la sua ricchezza di oro alluvionale che veniva usato per battere la prima moneta di elettro lidio.

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Mida e le orecchie d’asino, ovvero la tragedia di Marsia

Marsia era un sileno che viveva nella regione della Frigia, in Anatolia. La sua tragedia è legata a uno strumento musicale chiamato aulos, un flauto a doppia canna inventato dalla dea Atena per riprodurre il lamento lanciato dalle Gorgoni quando Perseo decapitò Medusa. Accadde però che la dea della Sapienza si accorse che mentre suonava l’aulos le altre dee dell’Olimpo ridevano di lei perché il soffiare, gonfiando le guance, le deformava il viso. Atena, stizzita, buttò via lo strumento proprio in Frigia, sulle rive del fiume Meandro, mentre passava di lì Marsia.

Marsia vide l’aulos e tentò di prendere lo strumento guadagnandosi il disprezzo della dea che lo percosse anche se non riuscì a farlo desistere. In silenzio si mise al coperto e aspettò che la dea se ne fosse andata per impadronirsi di quel meraviglioso oggetto. Lui, già brutto di suo, non si fece problemi di deformità e cominciò a suonare così bene che chiunque lo ascoltava diceva che la sua musica e il suo talento erano almeno quanto, se non migliori, del dio del sole Apollo, che oltretutto era anche il dio della musica.

Nella Grecia del mito, appena qualcuno era paragonato a un dio veniva visto da subito in malo modo nell’Olimpo. Le cose poi non miglioravano se il “virtuoso” non fermava le voci o faceva peggio, come godere degli applausi. Questo malcostume era detto hybris (ὕβϱις) cioè il peccato di tracotanza, di superbia. Così arrivò puntuale la vendetta di Apollo il quale sfidò Marsia a duello per decretare a chi dovesse essere assegnato il primato nella musica.

Ad arbitrare la contesa furono chiamate le Muse che erano dalla parte del dio; per il sileno fu scelto il re che governava il territorio di Frigia, il re Mida, proprio quello che prima della rottura dell'incantesimo trasformava in oro tutto quel che toccava.

I due iniziarono a suonare uno dopo l’altro alternandosi ognuno col suo strumento: Marsia l’aulos e Apollo la lira. Erano di volta in volta uno più bravo del precedente. Le loro musiche furono una guerra epocale non solo tra il sacro e il profano, tra il dio e il demonio, ma anche tra gli strumenti “puri” perché usavano la proporzione delle corde suonate col tocco della mano e gli strumenti “impuri” che attingevano il suono dalle profondità delle viscere.

Chi si trovò ad assistere rimase estasiato. I giudici non sapevano chi dei due favorire tanto erano bravi i contendenti. Apollo, all’ultimo, fece la mossa furba e vincente: suonò lo strumento al contrario incitando l’avversario a fare la stessa cosa. Con la lira, che è uno strumento a corde si può fare; suonare il flauto aspirando l’aria dal fondo, no. Forse qualche abitante dell’Olimpo avrebbe potuto farlo, ma Marsia, che non era un dio, fu sconfitto trovando il sostegno a suo favore del solo voto compassionevole di re Mida.

Il re di Frigia fu ammonito da Apollo e gli spuntarono due orecchie di asino. Il peggio l’ebbe il sileno. Marsia fu attaccato a un albero e scorticato vivo dalle mani impietose del dio.

Lo piansero tutti i fauni, gli dei del bosco, i satiri, Olimpo, le ninfe e tutti i pastori. Nella metamorfosi Marsia divenne un fiume che porta ancora il suo nome ed è affluente del Meandro.

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Il segreto di Mida

Mida coprì con una tiara le orecchie d’asino fattegli crescere da Apollo per punizione, in modo che il suo barbiere fosse l’unica persona a conoscenza del segreto del “re dalle orecchie d’asino”. Mida gli intima di mantenere il segreto che il barbiere non palesa a nessuno, per paura, finchè un giorno, non potendone più, scava una fossa nel terreno e confida a quella la cosa urlando: “Re Mida ha le orecchie d’asino!”. Apollo, accortosi di tutto, fa crescere delle canne sopra la buca in modo che, mosse dal vento, ripetessero incessantemente la frase del barbiere. Così il mondo intero venne a conoscenza della vergogna del re.

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Bronzo di Alessandro Severo (Abido, Troade) ispirato al mito di Ero e Leandro (CNG 114).

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Roman Provincial
TROAS, Abydus. Severus Alexander. AD 222-235. Æ (32.5mm, 21.47 g, 6h). Laureate, draped, and cuirassed bust right / Leander swimming right across Hellespont toward tower containing Hero standing left, who holds a lighted lamp in extended right hand; to left, sheathed sword set on rock outcropping; above, Eros flying right, holding wedding torch. M. Price, "Greek Imperial Coins" in NC 1971, p. 129 and note 4; BMC 60 (Septimius), p. 7 note; SNG von Aulock 7543. Dark green patina with light earthen highlights/deposits, some light smoothing. VF. Extremely rare.
 

Estimate: 2000 USD. Price realized: 3250 USD.

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Bronzo di Abido (Troade) che raffigura al diritto il busto del giovane Commodo (regno di Marco Aurelio), ispirato al mito di Ero e Leandro (British Museum).

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Province              Asia

Subprovince      Conventus of Cyzicus

City        Abydus 

Region  Troas

Reign    Marcus Aurelius

Obverse inscription        ΑV Κ Λ ΑΥΡΗ ΚΟΜΟΔΟϹ ΓƐΡΜ

Obverse design laureate-headed bust of Commodus (youthful) wearing cuirass and paludamentum, r., seen from rear

Reverse inscription         ƐΠΙ ΑΡΧ ΑΙΛ ΖΩΙΛΟV ΤΟ Β ΑΒΥΔΗΝ

Reverse design in centre, Leander swimming, r.; below, fish; above, Eros flying, r., holding torch; to l., rock with helmet, cloak, sword and shield; to r., Hero standing on top of tower, holding lamp

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Bronzo di Alessandro Severo (Sesto, Tracia) ispirato al mito di Ero e Leandro (Roma Numismatics 42).

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Roman Provincial
Severus Alexander Æ27 of Sestos, Thrace. AD 222-235. AV KMA CE ALEΞANΔPOC, laureate, draped and cuirassed bust right / CHCTIΩN, Leander, nude, swimming right across the Hellespont to meet Hero, standing atop tower holding oil lamp in outstretched right hand, which is lit by Eros flying right above Leander. Gorny & Mosch 125, lot 302 (same dies); cf. Mionnet Suppl. II 539, No. 97 (Caracalla); cf. Coins Weekly Article: 'Sestos and Abydos, Hero and Leander: a Love Story in Coinage' by Claire Franklin'. 9.70g, 27mm, 2h.
About Good Very Fine. Depicting one of the most enduring and tragic love stories from ancient mythology. Extremely Rare, perhaps the second known example.
 

Base d’asta: 320 GBP. Valutazione: 400 GBP. Risultato: 2.400 GBP

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Bronzo di Massimino I (Abido, Troade) ispirato al mito di Ero e Leandro (Museo di Berlino).

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Province              Asia

Subprovince      Conventus of Adramyteum

City        Abydus 

Region  Troas

Reign    Maximinus

Obverse inscription        ΑΥ Γ ΙΟΥ ΟΥΗ ΜΑΞΙΜƐΙΝΟϹ

Obverse design laureate, draped and cuirassed bust of Maximinus, r., seen from rear

Reverse inscription         ΑΒΥΔΗΝΩ

Reverse design Leander swimming, r., towards Hero standing on top of tower, l., holding lamp

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Bronzo di Settimio Severo (Abido, Troade) ispirato al mito di Ero e Leandro (CNG, Triton X).

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Hero and Leander

Septimius Severus. AD 193-211. Æ 37mm (23.74 g, 12h). Abydus mint. Faba Proclus, archon. AV KAI L CEPTIMIOC CEOVHPOC PERTIN, laureate, draped, and cuirassed bust right / EPI APX FABA PROKLOV, ABVDHN, in exergue, Leander swimming right across Hellespont toward tower containing Hero standing left, who holds a lighted lamp in extended right hand; below Leander, two dolphins swimming right, one left. Cf. Kraft pl. 56, 21 (for obv. type); SNG Copenhagen -; SNG München -; BMC 60 corr. (ABVDH) and pl. III, 2; SNG von Aulock -. Good VF, black-green and brown patina.
 

Estimate $5000. Sold For $5750

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Il bronzo di Settimio Severo è citato nel mio articolo Un evento storico e un mito nell’Ellesponto. Su due bronzi di Settimio Severo in Panorama Numismatico nr. 274 – giugno 2012, pag. 23, dove il mito è descritto come segue.

Abido e Sesto segnano gli estremi del passaggio più breve tra le due sponde dei Dardanelli, che in questo punto si restringono a poco più di un miglio. Le due città sono note per il celebre mito di Ero e Leandro, la tragica vicenda qui riassunta. Le città di Sesto ed Abido, che sorgevano una di fronte all’altra sulle due opposte rive dell’Ellesponto, erano separate da un breve braccio di mare. A pochi passi da Sesto si trovava una torre nella quale viveva in solitudine la bellissima Ero, sacerdotessa consacrata ad Afrodite. Ero, nella sua verecondia, rifuggiva tutte le tentazioni cui pure avrebbe potuto condurla il fiore della sua giovinezza, evitando di partecipare alle danze dei coetanei o di trattenersi in conversazioni con altre ragazze. Ma neppure così potè schivare gli strali dell’amore. Giunse infatti il giorno della grande festa che si celebrava a Sesto in onore di Adone ed Afrodite, cui convennero in gran folla non solo genti dalle città vicine, ma anche dalle isole egee e da Cipro, dalla Tessaglia e dalla Frigia, dal Libano e dalla Fenicia. Anche la vergine Ero mosse verso il tempio della dea, irradiando grazia dal volto: le sue membra sembravano un prato di rose. Mentr’ella incedeva silenziosa per compiere i sacrifici in onore degl’immortali, molti giovani s’infiammarono a rimirarla, desiderandola come compagna di letto. Ma uno, Leandro, nativo di Abido, non trattenne la fiamma del petto: colto dapprima da stupore, poi da audacia, poi da tremore e vergogna, poi ancora da audacia, stupì del bellissimo aspetto e, tra la calca, si fece più vicino alla ragazza, cercandone gli occhi con sguardo che implorava amore: ed Ero, per la prima volta, gioì della propria bellezza, anch’ella volgendo più volte gli occhi sul suo tacito ammiratore. Sul far della sera il giovane ruppe finalmente gli indugi e, favorito dalla scarsa luce, non visto la trasse in disparte; quindi raccolse il coraggio e le chiese di mantenere quanto gli occhi avevano già promesso. Straniero, rispose la ragazza arrossendo di vergogna, davvero nuovo è per me il turbamento del cuore che mi desti, ma noi non possiamo accostarci apertamente a sante nozze, perché questo non piace ai genitori miei. Essi vollero che io, abitando con una sola ancella davanti alla riva ondosa, avessi per casa una torre famosa e per solo vicino il mare. Nulla di buono è possibile per noi. Allora Leandro le ribattè: O fanciulla, per amor tuo varcherò anche il mare furioso, quand’anche ribollisse come per un gran fuoco e l’onda non fosse navigabile; per giungere al premio del tuo letto non temo violenta tempesta, né il risonante fragore del mare. Ogni notte io, rugiadoso consorte, venendo a te attraverserò a nuoto l’Ellesponto: non lungi infatti, di fronte alla tua città, io abito il castello di Abido. Ti prego solo di accendere una lampada sull’eccelsa tua torre, affinché faccia da stella al mio solitario cammino. Così essi stabilirono di unirsi in occulte nozze: al calar delle tenebre, Ero esponeva una lampada alla sommità della torre; alla vista di quella luce Leandro, che stava in attesa al castello di Abido, si tuffava in acqua per raggiungere l’amata. La notte allestiva loro le nozze, né mai l’aurora sorprese lo sposo Leandro nel ben noto letto; egli nuotava di nuovo verso il popolo dell’opposta Abido, ancora insaziato. Ed Ero, di nascosto ai genitori suoi, sacerdotessa di giorno, era sposa la notte. Ma breve tempo durò la loro vita, né a lungo gioirono delle rose di Afrodite. Giungeva infatti la stagione poco adatta ai naviganti, quando il nocchiero traeva la nera nave sull’asciutta terra e schivava il mare procelloso e malfido. Benché sempre più difficile riuscisse al nuotatore l’approdo all’amata riva, i giovani non si rassegnavano a starsene divisi: né Ero smetteva di accendere la fiaccola, né Leandro di sfidare i flutti. Una notte, mentre tutti i venti fischiavano minacciosi avventandosi sul mare, e già l’onda si sollevava sull’onda, e il mare si mescolava al cielo, il misero Leandro, tra gorghi implacabili, più volte pregò la marina Afrodite, più volte lo stesso dominatore del mare, Poseidone: ma nessuno gli diede soccorso. Gran copia d’acqua gli scorreva giù per la gola, e bevve suo malgrado fiotti di salso mare; finché un crudele vento spense insieme l’infida lampada e la vita dell’imprudente Leandro. Ero aspettava insonne nell’alcova; l’affanno del petto le toglieva il respiro. Venne l’aurora, e non vedeva ancora lo sposo. Da ogni parte spingeva l’occhio sull’ampio dorso del mare, nel caso che in qualche luogo lo scorgesse, smarrito per la luce spenta. Ma quando, proprio ai piedi della torre, vide il corpo del consorte lacerato dagli scogli, senza vita, stracciatasi sul petto la bella veste si lanciò a capofitto per condividerne la sorte. E gioirono l’uno dell’altra per l’ultima volta.

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Il mito di Ero e Leandro è anche rievocato da Dante nel XXVIII Canto del Purgatorio che ha per argomento l’ingresso del Poeta nell’Eden.

Entrato nell’Eden e giunto al fiume Lete, Dante si ferma e spinge lo sguardo al di là del fiume, dove scorge d'improvviso una giovane e bella donna (Matelda) che cammina solitaria e canta, mentre coglie vari fiori dal prato che percorre. Dante si rivolge a lei chiamandola bella donna e affermando che sembra ardere d'amore, invitandola poi ad avvicinarsi a lui sulla riva del fiume, in modo che possa comprendere che cosa stia cantando. La donna, aggiunge Dante, gli ricorda Proserpina quando fu rapita da Plutone, evento in seguito al quale il mondo perse la primavera.

Matelda si volge a Dante come una donna che danza e muove i passi lentamente uno dopo l'altro, procedendo tra i fiori rossi e gialli e abbassando gli occhi come una pudica vergine. Si avvicina tanto quanto serve a Dante per comprendere il suo canto e non appena è giunta sulla sponda del Lete alza i suoi occhi guardando il poeta. Lo sguardo della donna è pieno d'amore, non meno di quello di Venere quando venne trafitta dal figlio Cupido e si innamorò di Adone. Matelda ride sull'altra riva, mentre con le mani intreccia i fiori che ha raccolto: solo tre passi separano lei e Dante, che odia il fiume che si frappone a loro non meno di quanto Leandro odiava l'Ellesponto che lo divideva dall'amata Ero.

Tre passi ci facea il fiume lontani;

ma Elesponto, là ‘ve passò Serse,

ancora freno a tutti orgogli umani, 72

più odio da Leandro non sofferse

per mareggiare intra Sesto e Abido,

che quel da me perch’ allor non s’aperse. 75

Fonte https://divinacommedia.weebly.com/purgatorio-canto-xxviii.html

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Leandro che nuota nell’Ellesponto verso una torre dall’alto della quale Ero gli fa luce con una lampada è raffigurato anche nell’affresco monocromo della Galleria dei Carracci, in Palazzo Farnese a Roma.

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La storia d’amore tra Ero e Leandro, narrata da Ovidio nella lettera XIX delle Heroides, ha ispirato quelle di Giulietta e Romeo e di Tristano e Isotta, come pure musicisti famosi come Franz Liszt (Ballata n.2 per pianoforte).

La storia era tanto popolare durante il Romanticismo da coinvolgere Byron a tal punto che volle verificarne la credibilità attraversando lui stesso l’Ellesponto a nuoto.

Per i nostri campioni Gregorio Paltrinieri e Domenico Acerenza sarebbe una passeggiata, anche con il mare grosso!

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Bronzo di Antonino Pio con la testa di Giove/Zeus Ammone sul rovescio (https://rpc.ashmus.ox.ac.uk/coins/4/4250)

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Province                                                                                                       Macedonia

City                                                                                                                 Cassandrea 

Region                                                                                                          Macedonia

Reign                                                                                                             Antoninus Pius

Obverse inscription                                                                                 T AEL CAESAR ANTONINVS (A shaped as Λ)

Obverse design                                                                                         bare head of Antoninus Pius, r.

Reverse inscription                                                                                  COL IVL AVG CASSANDRENS (A shaped as Λ)

Reverse design                                                                                          head of Jupiter/Zeus Ammon, l.

 

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Zeus Ammon è una divinità greco-egiziana che mescola le caratteristiche del dio egizio Amon e del dio greco Zeus. Appare nell'iconografia greca in forma umana, i suoi templi circondati da corna di montone. Il dio indossa frequentemente, nei tipi monetari e nella statuaria, una corona d'alloro (simbolo del suo potere mantico?). Appare spesso in presenza di arieti, o addirittura, come Zeus, con in mano un'aquila.

Zeus Ammone appare sulla monetazione di Cirene alla fine del VI sec. a. C. Possiamo supporre che sia attraverso la monetazione che l'immagine del dio viaggi in Grecia. Delle monete alessandrine, dall'ultimo terzo del IV sec. a. C. è Alessandro quello che vediamo apparire con le corna di montone. Questo tipo monetario era uno dei più diffusi in tutta l'Antichità. La fabbricazione continuò a lungo dopo la morte del conquistatore, in Macedonia fino all'avvento di Demetrio Poliorcete e in Asia Minore fino alla battaglia di Magnesia.

Monete con le sembianze di Giove Ammone furono coniate in epoca romana.

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I santuari di Zeus Ammon

Siwa

In origine, questa oasi era un luogo di culto di un dio delle tribù del deserto libico, personificato da un ariete. Gli egizi identificavano questo dio con il loro dio supremo Amon e chiamavano questo dio oracolare "Amon de Siwa".

Di tutta la storia del santuario di Zeus Ammon a Siwa, la consultazione con Alessandro Magno è sicuramente il momento più importante. Durante la sua visita a Siwa intorno al 331 a. C., un oracolo  lo annuncia come figlio del dio e i sacerdoti lo “riconoscevano” come tale.

Oltre a Siwa, Zeus Ammon era onorato in vari luoghi del mondo greco: ad Aphytis, in Calcidica, a Tebe, a Sparta e a Gythio in Laconia.

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La fondazione di Alessandria d’Egitto

https://www.archeologiaviva.it/6123/sulle-tracce-di-alessandro/

Sulle tracce di Alessandro - Un pellegrinaggio di 2300 anni fa

Archeologia Viva n. 44 – marzo/aprile 1994
pp. 18-31

di Maurizio Damiano-Appia

Nel 331 a. C. Alessandro si inoltrava nel deserto egiziano per cercarvi l’oracolo di Amon e farsi proclamare figlio del dio.

[Nel 1992 d.C. quattro ricercatori si spingono negli stessi luoghi per ritrovare la pista del giovane conquistatore di imperi.]

Nell’autunno del 332 a. C. Alessandro Magno entrava a Pelusio sulla costa nei pressi di Alessandria per conquistare il paese dei faraoni. La sua giovane età ne faceva un fiume impetuoso dalla forza inarrestabile. Conquistato l’Egitto gli ci voleva qualcosa per confermare e completare la sua autorità sulla costa mediterranea: una città. Inoltre Alessandro aveva deciso di recarsi all’oasi di Siwa per consultare il celebre oracolo di Zeus-Ammone.

Partì da Menfi per recarsi sulla costa, con l’intento di seguirla sino a Paraetonium, da dove partiva la pista per Siwa. Ma arrivato in un’area presso il villaggio di Rhakotis fu colpito dal luogo e decise di fondarvi la sua città sul Mediterraneo.

Fu così che – secondo la tradizione – il 7 aprile del 331 a. C. veniva fondata Alessandria. Benché i lavori non fossero molto avanti al momento della morte di Alessandro, Tolomeo I impiegò tutti i mezzi per accelerarne la costruzione e Tolomeo II (285-246 a. C.) portò a termine i lavori: sotto il suo regno Alessandria era già capitale, soppiantando Menfi, e nel giro di poco tempo divenne un faro economico e culturale. È dalla visita dei suoi antichi resti che iniziamo il nostro viaggio. La città, progettata dall’architetto Dinocrate, era concepita per diventare la perla del Mediterraneo. Obiettivo che raggiunse ben presto. Alessandria, ricca di templi, teatri, palazzi colossali, era splendida; ma di tanta gloria non resta molto, dato che la città moderna le è cresciuta sopra. Tuttavia, anche l’Alessandria di oggi ha un suo fascino, che emana anche dalle tracce dell’antica grandezza che appaiono in vari punti. […]

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Bronzo dell’isola di Tino (Tenus) nelle Cicladi; iscrizione ΤΗΝΙΩΝ, regno incerto (https://rpc.ashmus.ox.ac.uk/coins/1/1302)

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Æ, diametro medio 21 mm, peso 8,43 g, asse di conio 2. Raffigura al dritto Poseidone in piedi con il tridente sopra un delfino e al rovescio Anfitrite in piedi con un braccio alzato e uno scettro in mano (rif. BMC 33).

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L'antica città di Tino era ubicata nella parte sudoccidentale dell'isola e fuori della città, nella pianura Chionia, si trovava il santuario di Poseidone e Anfitrite, collegato al mare da una strada lunga 150 m, che è stato identificato con quello nominato da Filocoro e da Strabone e comprendeva, oltre al tempio, un altare monumentale, una stoà, i propilei e altri edifici di culto.

Poseidone, il dio litigioso e vendicativo, era anche romantico e questo aspetto fu determinante per far breccia nel cuore di Anfitrite, la primogenita del titano Nereo che fu l’antico sovrano degli oceani prima di lui. Infatti Anfitrite inizialmente aveva per Poseidone un odio viscerale, ma lui riuscì a conquistarla con il dono di una collana di conchiglie.

Poseidone aveva saputo che l’amata preferiva raccogliere conchiglie a differenza delle sorelle che amavano nuotare e giocare sulla spiaggia, e fu proprio mentre Anfitrite stava raccogliendo delle conchiglie per farsi una collana da indossare nel raduno delle nereidi a Nasso che un piccolo granchio strisciò sulla sabbia avvicinandosi a lei. Anfitrite sorrise alla piccola creatura marina e abbassò una mano sfiorando con un dito la parte posteriore del guscio. “Bene, piccolo amico, queste basteranno?” chiese al granchio osservando le conchiglie riunite davanti a lei. Erano tutte bianche come perle e lisce ed era sicura che sarebbero state più che sufficienti per la sua collana, ma pensò che avrebbe potuto averne anche più del necessario. Il granchio battè le chele in segno di approvazione e la fece sorridere. “Molto bene, allora comincerò a lavorarci”, disse Anfitrite che, a differenza delle sorelle che preferivano vestirsi di blu e di viola per intonarsi al mare, amava vestirsi di bianco e color panna, colori corrispondenti alle spiagge sabbiose, alle perle e alle conchiglie come quelle che adesso aveva davanti a sè. Così ne prese alcune e strappò un lungo filo di seta dal suo vestito. “Un piccolo aiuto, per favore” chiese Anfitrite porgendo il filo al granchio che lo tagliò nella lunghezza giusta per lei. Anfitrite sorrise e poi cominciò a inserire abilmente le conchiglie nel filo. Mentre lei era impegnata nel produrre il suo gioiello, il granchio cominciò a girare intorno alle sue dita dei piedi e a rincorrere e a scappare dalle onde che si avvicinavano e si allontanavano dalla spiaggia. Completata la collana, Anfitrite se la mise al collo: “Tutto fatto”, disse al granchio che aveva ripreso a scavare nella sabbia davanti a lei. Il granchio sospese momentaneamente il suo lavoro e la guardò. “Beh, mio piccolo amico, sarà meglio che io vada se voglio arrivare in tempo a Nasso.”, disse Anfitrite accarezzando ancora una volta il suo guscio prima di incamminarsi lungo la spiaggia, lasciando una morbida scia di impronte dietro di sé.

 

Poseidone fece dono della collana ad Anfitrite mentre passeggiavano silenziosi lungo la spiaggia, dicendo:

 «Avrei portato un piccolo dono per te.» Anfitrite lo guardò per nulla incuriosita: si aspettava che lui avrebbe cercato di comprarla offrendole dei gioielli preziosi. Ma non avrebbe mai ceduto a delle volgari pietre preziose, non le erano mai piaciute più di tanto. Fin da piccola aveva apprezzato di più le corone floreali, o le collane fatte con le conchiglie trovate in riva al mare. «Sarebbe stato scortese non portarti nulla, dato che non deve essere stato semplice per te accettare. Ammetto che è stato molto difficile scegliere le più adatte,» distogliendo lo sguardo da lei, lui le porse la collana fatta con delle splendide conchiglie bluastre. «spero possano piacerti.»
Anfitrite gliele tolse dalle mani con una fulminea rapidità. La sua espressione indifferente e spenta lasciò spazio ad un genuino stupore.
«Dove le hai prese?» chiese lei rimirandole, ricordando un lontanissimo giorno in cui il padre, quando ancora era sovrano degli Oceani, portò la piccola Anfitrite con sé, in un'isola remota, lontanissima dal loro palazzo.
«Ho cercato in lungo e in largo delle conchiglie che potessero essere degne della tua bellezza, e queste mi hanno colpito.» rispose lui arrossendo.
Anfitrite rimase molto colpita: quelle erano delle conchiglie assai rare. Lei stessa ne aveva trovate pochissime quel giorno di tanto tempo fa, e da allora le aveva conservate come il più inestimabile dei tesori. Ogni tanto apriva il suo portagioie per ammirare quel prezioso ricordo di quell'infanzia che non sarebbe mai più tornata.
Avere fra le mani un'intera collana fatta di quelle stesse conchiglie l'aveva lasciata senza fiato.
«Ti... ti ringrazio.» rispose lei sinceramente grata, la voce quasi tremante. Arrossì lievemente, ma voleva evitare che il Dio capisse quanto lei avesse apprezzato il gesto. Non le aveva portato qualcosa di valore come l'oro o le pietre del ricco Averno, ma per lei, quella semplicissima collana di conchiglie, era davvero stupenda. Affrettò il passo, dirigendosi verso il giardino della madre.
Allora Poseidone, cercando di sfruttare ogni minuto a sua disposizione, le raccontò delle sue giornate, di quello che faceva, e di alcuni dei suoi progetti futuri per il Regno.

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Bronzo di Perinto (Tracia) che raffigura il busto di Poseidone con tridente a destra sul diritto e sul rovescio un delfino che nuota verso destra (Numismatik Naumann 62).

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Base d’asta: 80 EUR. Valutazione: 100 EUR. Risultato: 110 EUR

Lotto 409. THRACE. Perinthus. Pseudo-autonomous. Time of Nero (54-68). Ae.
Obv: Head of Poseidon right; trident to right.
Rev: ΠΕΡΙΝΘΙΩΝ
Dolphin swimming right.
RPC I 1766.
Condition: Very fine.

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Forse il busto di Poseidone sul dritto di questo bronzo di Bizya, in Tracia, che raffigura al rovescio Artemide che avanza a destra, estraendo la freccia dalla faretra con la mano destra e tenendo l'arco con la mano sinistra (Busso Peus AUCTION 413).

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Lotto 28. Thrakien Bizye
Bronze 2. Jhdt. Büste des Poseidon (?) / Artemis mit Pfeil und Bogen. Jurukova, Bizye 174 4.88 g.; Schwarzgrüne Patina Sehr schön Bearbeitet

Base d’asta: 160 EUR. Valutazione: 200 EUR. Risultato: non venduto.

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Altro esemplare della VAuctions, TRISKELES SALE 17 con testa del dritto attribuita a Eracle.

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Lotto 331. Thrace, Bizya. Pseudo-autonomous issue. 2nd century A.D. Æ (17 mm, 4.29 g, 7 h). Head of Herakles left / BIZVH-[N]ΩN, Artemis advancing right, drawing arrow from quiver at shoulder and holding bow. Youroukova 174; Moushmov 3448a; Peus 413, 28 (same obv. die). Dark green patina.

Base d’asta: 45 USD. Valutazione: 75 USD. Risultato: 45 USD

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Il bronzo precedente è stato coniato nella zecca di Bizia, un’antica sede arcivescovile autocefala della provincia romana di Europa identificabile con Vize nell'odierna Turchia.

Dalla stessa zecca è uscito un medaglione di Filippo I raffigurato con Asclepio, Igea e Telesforo, la famiglia del dio greco della medicina.

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Bronzo del regno di Adriano con il busto drappeggiato a testa nuda di Antinoo, a sinistra, sul dritto e sul rovescio Antinoo in veste di Poseidone in una biga trainata da due ippocampi, a destra, che tiene il tridente nella mano destra (Kunsthistorisches Museum, Vienna (Austria))

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Province              Bithynia-Pontus

City        Tium 

Region  Bithynia

Reign    Hadrian

Obverse inscription        ΑΝΤΙΝΟΩΙ ΗΡΩΙ (sic)

Obverse design bare-headed draped bust of Antinous, l.

Reverse inscription         ΤΙΑΝΟΙ

Reverse design Antinous as Poseidon in a biga drawn by two hippocamps, r., holding trident in r. hand; behind him, small figure

 

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Antinoo (110-130 d.C) fu un giovane della Bitinia, una antica provincia romana situata nell’odierna Asia minore, che intrecciò una relazione sentimentale e omosessuale con l’imperatore Publio Elio Adriano. Il ragazzo accompagnò l’imperatore durante i suoi viaggi attraverso le province orientali dell’impero, e alla sua tragica morte, avvenuta per annegamento nelle acque del Nilo, la sua figura venne divinizzata, raggiungendo per un certo periodo una popolarità simile a quella di Gesù.

https://scriptamanentitalia.it/antinoo-imperatore-adriano/

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