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Statere di elettro di Cizico con un guerriero nudo tranne che per l'elmo, che soffia nella tromba(?) tenuta nella mano destra e tiene la spada inguainata dietro nella mano sinistra, inginocchiato su un tonno.

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Inviato

Sebrerebbe che quelle posture inginocchiate ci siano solo in eta' arcaica.


Inviato (modificato)
39 minuti fa, coinzh dice:

Sebrerebbe che quelle posture inginocchiate ci siano solo in eta' arcaica.

Ed e' coerente con quello che e' stato riportato in post precedenti e cioe' che la soluzione stilistica della "corsa inginocchiata" e' tipica - nell'arte a 360 gradi e quindi di conseguenza anche sulle monete- dell'arcaismo. Dalla fine del VI secolo in poi l'arte greca trova pian piano delle soluzioni diverse per dare l'idea del movimento tra cui lo "scorcio".

Modificato da hobbes
Battitura

Inviato (modificato)
18 ore fa, dracma dice:

Si tratta del cosiddetto “knielauf schema”, espressione con la quale che in ambito archeologico si intende lo “schema del volo o della corsa in ginocchio”. Il personaggio viene generalmente reso con la gamba destra piegata in avanti e la sinistra flessa dietro come se stesse in ginocchio, il busto solitamente reso di prospetto e le braccia flesse come a voler suggerire un’idea di moto e dinamismo. 

Sull'argomento consiglio l'ottima analisi di A. Sapienza:

https://www.ucm.es/data/cont/docs/106-2017-05-02-6. Sapienza.pdf

@dracma molto interessante. Grazie. In sostanza, contrariamente a quanto ho scritto io nel post precedente ( sottolineo che io non "sono nessuno" rispetto agli studiosi o anche solo ai veri appassionati della materia), il documento di A. Sapienza  sostiene che la corsa inginocchiata non sia un elemento stilistico tipico unicamente dell'arcaismo per rendere il movimento ma sia un "simbolo di potere". Porta come evidenza proprio le monete, dimostrando come lo stile non venga abbandonato alla fine del VI secolo circa,ma sia presente anche in monete del V e IV secolo.

Tuttavia mi e' nata qualche domanda. Perche' la soluzione stilistica non si trova anche su vasi e statue del V e IV? Ma " solo" su monete? Mentre nel VI e prima la troviamo in ogni forma artistica? Forse ci si dovrebbe interrogare sul perche' venga mantenuta solo nell'ambito di alcune emissioni di monete. Per necessita' legata agli spazi ridotti?Per coerenza con le emissioni precedenti? 

Modificato da hobbes
Battitura

Inviato

A me sembra una cosa campata in aria dire che la corsa inginocchiata sia un simbolo di potere.

sara' magari valido per le monete persiane di dario ma per le altre monete boh.


Inviato

Le gambe flesse indubbiamente dicono di una situazione di azione, di movimento .

Per gli arcieri anche funzionale : Teucro scoccava quasi sempre inginocchiato dietro l' ampio scudo del fratello Aiace, come spesso gli arcieri, inginocchiati per offrirsi meno all' offesa avversaria essendo armati alla leggera .

Il "Pittore C" , con le gambe flesse, probabilmente vuole trasmettere l' azione di Neottolemo che sta per gettare dalle mura Astianatte, di fronte a Priamo ed Ecuba supplici .

Senza scordare la ricerca di una buona collocabilità delle figure, ad esempio in oggetti  particolari per dimensioni e forma, come ricordavano ( 1956 ) nel loro "Pittura greca" M. A. Levi e A. Stenico, scrivendo del pittore e ceramista Epitteto . 

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Inviato

Il saggio di A. Sapienza assegna al “knielauf schema” una valenza univoca a prescindere dalle classi di materiali (estremamente eterogenee) su cui compare. In realtà, almeno a mio parere, sarebbe stato opportuno operare delle differenziazioni e non solo tra i diversi materiali esaminati ma anche a livello cronologico. 

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Non ho ancora letto il saggio di Anna Sapienza.

Riguardo alla cosiddetta "corsa in ginocchio" della Medusa di Corfù, mi risulta che si tratti di un tentativo dal punto di vista stilistico dell’artista di dare a questa figura l’idea del movimento.

 

Per rendere una figura in movimento rapido, sia in corsa che in volo, i greci svilupparono la rappresentazione convenzionale di figure a metà inginocchiate, con un ginocchio sopra o vicino al suolo, l'altro lievemente flesso e le braccia tese in alto, in basso e lateralmente. In queste figure la parte superiore del corpo è posta pienamente di fronte mentre le gambe sono di profilo, determinando una forte torsione del bacino. Qui siamo in età arcaica, un'epoca in cui gli artisti greci iniziano ad avvertire il bisogno di collocare le loro opere nello spazio. Questo espediente, che potremmo definire un po' rudimentale. della "corsa in ginocchio" rappresenta uno dei primissimi tentativi, in campo scultoreo, di uscire dalla rigida impostazione degli immobili kouroi arcaici per dare alle opere il senso del movimento. Lo ritroviamo ad esempio anche nella più famosa "Nike di Delo", probabile opera di Archèrmos di Chio, che era eretta in cima ad una colonna. Il corpo, che nella parte inferiore è di profilo, in quella superiore è visto di prospetto, mentre la testa è leggermente di 3/4. Qui la "corsa in ginocchio" vuole esprimere un movimento particolare, quello del volo: sia sul dorso che sulle spalle sono stati trovati gli attacchi per quattro ali.

Da http://sitoarcheologico.blogspot.com/2020/05/la-corsa-in-ginocchio-della-medusa-di.html

apollonia


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Statere di elettro di Cizico che raffigura Poseidone nudo tranne per il mantello che pende sulla spalla sinistra, inginocchiato a destra, con un delfino nella mano destra estesa e il tridente rivolto verso il basso nella mano sinistra.

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CNG Triton XXIV. Estimate: 7500 USD. Price realized: 20 000 USD

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Sullo statere di cui sopra troviamo un’immagine insolita di Poseidone tipicamente raffigurato in piedi, con il tridente in posizione verticale e un delfino, oppure che si sostiene eretto al suo tridente mentre si appoggia in avanti con un piede su una roccia o la prua di una nave.

La posizione accovacciata del dio è tipica della zecca di Cizico sulle cui emissioni le figure umane erano raffigurate tradizionalmente sedute, piegate, inginocchiate o in corsa con le gambe piegate, ma è difficile (se non impossibile) interpretare il significato di questa scena che vede come protagonista una delle più potenti divinità dell’Olimpo.

La chiave potrebbe essere il tridente rovesciato di Poseidone anziché rivolto verso l'alto. Nella sua gara con Atena per ottenere il patrocinio di Atene, Poseidone colpì la roccia dell'acropoli con la testa del suo tridente per creare una sorgente di acqua dolce per la città di Atene, ancora senza nome. Tuttavia la sorgente emise solo acqua salata e non era all'altezza del dono di Atena dell'ulivo sacro. Ci furono altri casi in cui Poseidone colpì la terra per creare qualche effetto, ma questo fu il più famoso.

Un’altra possibilità fa riferimento al ruolo di Poseidone nell'onorare Achille, l’eroe greco della guerra di Troia, dovuta alla vicinanza cronologica di questo tipo nella serie di Cizico con uno statere che mostra Teti o una Nereide a cavallo di un delfino. I tipi sono evidentemente contemporanei e quindi possono essere tematicamente correlati. Dopo la morte di Achille nella guerra di Troia, Poseidone promise a Teti che gli avrebbe donato un'isola nel Mar Nero che sarebbe servita come luogo per i sacrifici divini in onore del figlio. Un gruppo di Nereidi si unì a Teti per piangere Achille per diciassette giorni e notti. In seguito le sue ceneri furono sepolte nelle vicinanze del promontorio Sigaeum che domina l'Ellesponto, la stretta via d'acqua attraverso la quale i mercanti ciziceni passavano per raggiungere i porti dell'Egeo e oltre.

apollonia


Inviato

Cizico nella sua vasta iconografia, a volte propone anche figurazioni 'semplici' .

La figura dello statere in post 34, potrebbe anche ricordare una persona matura in atto di offrire un pesce ed il tridente, in fondo, è anche una fiocina .


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Inviato

Potrebbe anche essere…

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Gli studiosi sono propensi a ritenere che sia raffigurato Poseidone in una posa realistica insolita rispetto ad altre monete che tipicamente lo raffigurano in piedi e con il tridente in mano in modo più autorevole, come si conviene al signore supremo dei mari. La composizione della scena suggerisce un'azione successiva che coinvolge il delfino, poiché il suo tridente è tenuto in modo neutrale e il suo sguardo è in avanti, come se si stesse preparando a mettere in movimento il delfino. Come tale, sembra improbabile che questa sia una commemorazione di un evento che coinvolge la marina di Cizico, ma piuttosto una scena legata alla mitologia della città.

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Inviato
47 minuti fa, apollonia dice:

Potrebbe anche essere…

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Gli studiosi sono propensi a ritenere che sia raffigurato Poseidone in una posa realistica insolita rispetto ad altre monete che tipicamente lo raffigurano in piedi e con il tridente in mano in modo più autorevole, come si conviene al signore supremo dei mari. La composizione della scena suggerisce un'azione successiva che coinvolge il delfino, poiché il suo tridente è tenuto in modo neutrale e il suo sguardo è in avanti, come se si stesse preparando a mettere in movimento il delfino. Come tale, sembra improbabile che questa sia una commemorazione di un evento che coinvolge la marina di Cizico, ma piuttosto una scena legata alla mitologia della città.

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Potrebbe raffigurare Poseidone che, dopo aver percosso la sabbia col tridente, rendendo scure le acque, invia il delfino alla ricerca della nereide Anfitrite, che era fuggita in Iperborea.


Inviato

La raffigurazione di una divinità, Poseidone, armata di tridente, in posizione “abbassata” e con delfino in mano non è esclusiva della zecca cizicena. Al di là di varianti nelle raffigurazioni.

In Sicilia abbiamo esempi da Mozia e Panormos, come si può leggere nel topic allegato:

 


Inviato

Non ricordavo @Archestrato l'interessante discussione di 5 anni or sono .

Indubbiamente la litra attribuita a Panormo propone al rovescio una figurazione, Poseidone seduto, il suo tridente, il delfino, che ha gli stessi elementi della figurazione sullo statere di Cizico : la figurazione dunque potrebbe non essere occasionale .

una buona giornata 


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L’ipotesi di @chievolan mi dà lo spunto per ricordare la storia del delfino di Poseidone che vediamo rappresentata in cielo tratteggiata nelle cinque stelle della costellazione.

 

Zeus, dopo aver preso il potere detronizzando il padre Crono, spartì i tre regni coi suoi fratelli: l'abisso dominato dall’acqua lo diede a Poseidone, quello sprofondato nei recessi dilaniati della terra lo ebbe Ade mentre la gloria del cielo e della terra la tenne per sé. Assegnando il mare a Poseidone tolse lo scettro finora appartenuto a Nereo, figlio di Gea e di Ponto. Nereo era chiamato da tutti il vecchio del mare essendo stato il primo dio a governare sulle acque. Egli, dopo essersi unito a Teti, fu padre di cinquanta figlie conosciute come Nereidi o come Oceanine a seconda che fossero indicate con la discendenza paterna o materna, poiché Teti era figlia di Oceano. Le Nereidi erano rinomate per la loro straordinaria bellezza e nessuna poteva competere con loro. Solo una regina ardì sfidarle, Cassiopea d’Etiopia, e per la sua tracotanza il popolo etiope venne minacciato a lungo da un mostro marino inviato da Poseidone.

Fra le Oceanine ve n’era una di cui il dio si innamorò follemente. Il suo nome era Anfitrite, splendida fanciulla dalla pelle dorata e dal corpo flessuoso accarezzato da vaporose onde di capelli corvini. Poseidone desiderava farla sua sposa ma lei al contrario voleva rimanere pura, come l’acqua in cui si muoveva, ora veloce ora piano, lasciando dietro di sé una scia di piccole bolle trasparenti. Nulla le dava un maggior senso di libertà e di pace dello stare lì, a contatto con quel mondo incontaminato, quel silenzio e quei mille colori e creature multiformi, senza legami con alcuno. Poseidone tuttavia non si arrendeva, anzi riteneva che la sua sovranità gli assicurasse il diritto di appropriarsi di tutto ciò che dimorava nel regno, e dunque ad Anfitrite non era lecito rifiutarlo. Tormentata dalle insistenze del dio, la giovane decise di fuggire. Attese la notte, quando tutti riposavano fra le braccia cedevoli di Hypnos, il sonno. Percorse miglia e miglia di mare in direzione nord, lasciandosi alle spalle le terre di Macedonia, di Tracia, del Chersoneso Taurico, finché di lei si persero le tracce. Era finita nella terra degli Iperborei, dove la volta celeste poggiava sulle spalle possenti di Atlante, il titano.

[…] Atlante, il quale del mare
tutto conosce gli abissi,
regge le grandi colonne,
che terra e cielo sostengono da una parte e dall’altra.
(Omero, Odissea, I, 52-54)
 

Presso di lui ella si rifugiò e nessuno tranne le sue sorelle sapeva dove si era nascosta. Poseidone inizialmente non si allarmò per l’assenza di Anfitrite, era certo che si trattasse di una fuga di poche ore, al massimo un paio di giorni e nemmeno in posti lontani, dopodiché Anfitrite si sarebbe ripresentata a casa e stavolta non gli sarebbe più sfuggita. Invece i giorni passarono; uno, due, cinque e l’Oceanina non riappariva mai. Il dio del mare a quel punto non poté attendere oltre. Interrogò a gran voce le Nereidi ordinando loro di dirgli dove si era nascosta la ribelle, ma esse non si lasciarono intimorire e fingendosi preoccupate quanto lui, gli dissero che non sapevano nulla della sorella. La collera accecò allora il signore del mare. “Se non esci tu dal tuo nascondiglio, ti verrò a tirare fuori io!”, gridò e detto questo, alzò il tridente e battendolo poi più volte sulla sabbia cedevole, lo impose su tutto il suo regno. Le tre punte di ferro presero a scintillare bieche mentre il fondale veniva rivoltato divenendo torbido. Il mare era sconvolto; dall’Olimpo Zeus vide la superficie dell’Egeo scurirsi e incresparsi sempre più fino a trasformarsi in una serie ininterrotta di marosi, che da altezze incredibili si riavvolgevano su sé stessi per schiantarsi con un tonfo sul suolo d’acqua. Poseidone scatenò tutta la sua potenza, ma inutilmente: di Anfitrite nemmeno l’ombra. Dopo essersi placato, decise di inviare i pesci più veloci in ogni direzione alla ricerca della nereide. Ordinò loro di non tornare fino a quando non l’avessero trovata. Fra di essi vi era anche un delfino che, unico, osò spingersi là dove l’acqua si fissa in enormi lastre di ghiaccio. Sfidando il freddo artico il mammifero giunse là dove Anfitrite aveva tratto il suo riparo. Quando la testa del delfino emerse dall’acqua, per qualche istante nella malinconia dei suoi occhi neri, parve fissare incantato il cielo tempestato di stelle. Sotto di esso l’immensità di Atlante, una mole granitica di muscoli puntellata su un ginocchio, le spalle ampie a sorreggere il firmamento. Poi scendendo con lo sguardo fino ai piedi del titano, finalmente eccola: Anfitrite giaceva addormentata, bella come non mai. L’indomani quando il sole si posò sul cristallo di quella terra immobile, riflessi accecanti si sparsero in quell’aria rarefatta. Il delfino allora si esibì in salti e tuffi per richiamare l’attenzione della giovane e lei, vistolo, si immerse nell’acqua con un guizzo. Quando lo ebbe raggiunto lo abbracciò forte. Calde lacrime le rigarono il viso, sentiva nostalgia del suo mare e delle sue sorelle. Il delfino, con la dolcezza del suo sguardo e il sorriso che gli pare disegnato addosso, le parlò di Poseidone, di quanto l’amore che le dichiarava fosse vero e di come aveva devastato l’Egeo per il dolore di aver perso la sua amata. Anfitrite ascoltava con attenzione il racconto dell’animale e per la prima volta vide il fratello di Zeus sotto una luce diversa, un dio disperato per amore, un dio che non si dava pace. Per la prima volta sentì di amarlo. Abbracciando di nuovo il delfino, gli chiese di riportarla a casa. Il mammifero però volle che Poseidone la vedesse in tutto il suo splendore e così, quando giunse nei pressi di Ege, fece adagiare Anfitrite su una bellissima conchiglia rosata che spinse fino alla soglia del palazzo marino. Agitando le pinne strillò e in poco tempo una folla di pesci, molluschi e cavallucci si radunarono davanti alla reggia. Le Nereidi accorsero presagendo l’evento e nello stesso istante Poseidone spalancò il portone reale: Anfitrite, finalmente Anfitrite… Di una bellezza travolgente stava lì, perla di luce nella sua conchiglia merlettata. E lei, allo stesso modo, osservava il suo re: il crine blu come gli abissi marini fluiva lungo le tempie posandosi sotto le spalle, occhi di smeraldo penetravano i suoi lasciandola nuda, mentre le membra erano un fascio di nervi che proclamavano il loro potere. Il carro lo innalzava ulteriormente e i cavalli nitrivano mentre si impennavano scatenando centinaia di bolle che si addensavano e si dissolvevano in turbinii evanescenti. Poseidone scese dal carro e si avvicinò ad Anfitrite. Le tese la mano che per la prima volta lei non rifiutò e alzandola dalla conchiglia, la tirò a sé. In un sussurro liquido le chiese di sposarlo e lei acconsentì abbandonandosi nel verde dei suoi occhi. La residenza di Poseidone venne preparata per le nozze e il signore del mare volle che a celebrarle fosse proprio il delfino.

Da https://www.storiedelcielo.it/index.php/19-10-costellazioni-di-ottobre/68-01-delfino-mito

apollonia

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Pensando alle divinità del mare, vale un cenno ricordare una altra Nereide, la bellissima Tetide ( o Teti ) sposa di Peleo e madre di Achille .

Quando ( Odissea XXIV ) l'esercito acheo era radunato per le esequie di Achille, il mare si aprì e ne uscirono le divinità di quegli abissi guidate da Tetide .

Solo Nestore trattenne i terrorizzati Achei dicendo " Non fuggite figli degli Achei ! Esce dal mare la madre in compagnia delle ninfe immortali per visitare il figlio defunto "

 


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Notare che anche Zeus è raffigurato in ginocchio su stateri e frazioni di statere della zecca cizicena. In questo Hecte (Roma Numismatics Limited, Auction 5) lo troviamo drappeggiato, inginocchiato a destra, con lo scettro nella mano destra e un’aquila che si prepara a prendere il volo dalla mano sinistra estesa. Sotto un tonno a destra, simbolo della città di Cizico.

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Mysia, Kyzikos EL Hekte. Circa 450-400 BC. Zeus, nude to waist, kneeling right, holding sceptre with his right hand, eagle taking flight from his extended left hand / Quadripartite incuse square. Von Fritze 145 (stater); cf. SNG France 296 (stater). 2.67g, 11mm. Extremely Fine. Very rare denomination of an already scarce type.

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Non c’è lo statere di Cizico dedicato ad Ade (o Hades), che ricevette la sovranità del mondo sotterraneo e degli Inferi quando l'universo fu diviso con i suoi due fratelli Zeus e Poseidone, i quali ottennero rispettivamente il regno del cielo e del mare.

In rappresentanza dell’oltretomba abbiamo lo statere di Cerbero, uno dei mostri a guardia dell’ingresso del regno di Ade (NAC 77).

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Greek Coins
Mysia, Cyzicus
Stater circa 500-450, EL 15.87 g. Cerberus l.; below, tunny. Rev. Quadripartite incuse square. von Fritze 103. Boston 1538. Extremely rare. A very intriguing and fascinating issue, good very fine Privately purchased in 2001.

The hellhound Cerberus appears with some frequency on Roman provincial coins, yet rarely on Greek coins. Indeed, the creature may only be represented by an issue of electrum staters and hectai of Cyzicus and on extremely rare Epirote bronzes of the 4th Century B.C. issued at Elea and Thesproti (either at the city of that name, or by the tribe). On the coins of Epirus the creature is shown with three heads and is paired with the facing portrait of Demeter, the goddess whose annual torch-lit journey into Hades brought forth winter in the terrestrial world. The mythological hellhound is best known for having been captured by Heracles in his twelfth and final labor, which was by far his most dangerous. After delivering Cerberus to King Eurystheus, he then returned to chain the creature at the gates of Hades, which he continued to guard. Cerberus is typically described as having three heads of wild dogs, though often with just two, as here on this Cyzicene stater; but as with most every aspect of Greek mythology there are various traditions and little agreement, such that Cerberus is described as possessing somewhere between one and one hundred heads. He is said to have had the claws of a lion, a tail in the form of a serpent, and his mane sometimes is described as being composed of a great mass of serpents. Barclay Head suggested that this type was struck in reference, or homage, to Cimmerium (Kimmerikon), a city on the southern shore of the Cimmerian Bosphorus that earlier had been called Cerberion. He reasoned that this city would have been a familiar destination for the intrepid Cyzicene merchants. However, Greenwell notes that Cyzicus was particularly attached to the story of the Argonautic expedition – especially to Heracles’ involvement – and to the goddess Persephone, who Appian says had received Cyzicus as a marriage gift from Zeus. Since Cerberus is associated with both Heracles and Persephone, this type perhaps is best seen as part of a larger display of designs associated with those deities.

Starting price: 10.000 CHF - Estimate: 12.500 CHF - Result: 21.000 CHF

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I miti di Ade

Il mito più famoso di Ade è indubbiamente quello che coinvolge Persefone. Il dio era innamorato della dea e la rapì mentre questa stava cogliendo un Asfodelo ai piedi dell’Etna, trascinandola sullo spaventoso cocchio guidato da quattro cavalli neri (Aetone, Meteo, Nonio e Abaste) nel suo regno. Demetra, dea del grano e dell'agricoltura (nonché del ciclo delle stagioni), disperata per la scomparsa della figlia, la cercò per nove giorni arrivando fino alle regioni più remote: il decimo giorno, con l'aiuto di Ecate ed Helios, seppe che il rapitore era il dio degli Inferi. Adirata, Demetra abbandonò l'Olimpo e scatenò una tremenda carestia in tutta la Terra, affinché questa non offrisse più i suoi frutti ai mortali e agli dèi. Zeus tentò allora di riconciliare Ade e Demetra, per evitare la fine del genere umano: inviò il messaggero Ermes al fratello, ordinandogli di restituire Persefone a patto che ella non si fosse cibata del cibo dei Morti. Ade non si oppose all'ordine ma, poiché Persefone era effettivamente digiuna da quando era stata rapita, la invitò a mangiare prima di tornare dalla madre: le offrì così in dono un melograno, frutto proveniente dagli Inferi. In procinto di mettersi sulla via di Eleusi, uno dei giardinieri di Ade, Ascalafo, la vide mangiare pochi grani del melograno: in questo modo si compì dunque il tranello ordito da Ade affinché Persefone restasse con lui negli Inferi. Allora si scatenò nuovamente l'ira di Demetra e Zeus propose un nuovo accordo, per cui, dato che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell'oltretomba solamente per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno; avrebbe trascorso così sei mesi con il marito negli Inferi e sei mesi con la madre sulla Terra. La proposta fu accettata da entrambi e da quel momento si associano la primavera e l’estate ai mesi che Persefone trascorre sulla Terra dando gioia alla madre, e l’autunno e l’inverno ai mesi che passava negli Inferi, durante i quali la madre si strugge per la figlia.

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A parte la leggenda del rapimento di Proserpina, Ade si vede appena in un altro mito, in rapporto questa volta con quello di Eracle. L’Iliade racconta che, durante la discesa dell'eroe agli Inferi, Ade volle proibirgli l'accesso al proprio regno; lo incontrò sulla «porta» degli Inferi, ma Eracle lo ferì con una freccia alla spalla, tanto che Ade dovette essere portato in gran fretta sull'Olimpo dove Peone, il dio guaritore, gli applicò un balsamo meraviglioso e la sua ferita fu ben presto cicatrizzata.
Alcune varianti mostrano Eracle che stende il dio con una pietra enorme, ma comunque si siano svolti i fatti, la vittoria rimane sempre al figlio e non al fratello di Zeus.

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I tradimenti di Ade

Dopo tutta questa fatica per tenersi Persefone, uno si aspetterebbe un po’ di fedeltà alla moglie da parte di Ade, ma invece questi l’ha tradita con due ninfe, Menta e Leuce.

Menta o Minta era una bellissima ninfa partorita nel fiume infernale Cocito, affluente dell’Acheronte, e viveva nel regno infernale comandato da Ade di cui era la concubina. Persefone, gelosa del marito, si dispiacque dell'unione e si infuriò quando Minta proferì contro di lei minacce spaventose e sottilmente allusive sul suo modo di amare. La dea degli Inferi, sdegnata, perse la pazienza e fece a pezzi la giovane ninfa. Ade le consentì di trasformarsi in erba profumata, la menta, ma Demetra la condannò alla sterilità, impedendole di produrre frutti.

Un'altra versione del mito, citata anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, suggerisce che fu Persefone stessa a trasformare Minta in pianta, scegliendo una forma insignificante che non destasse attenzione né potesse essere paragonata ad altre piante per bellezza o utilità.

Un'altra versione ancora racconta che Zeus (o Zeus Katactonio, cioè Ade stesso), innamoratosi di Minta, ebbe da lei un rifiuto in seguito a una proposta. Sdegnato del comportamento, la tramutò in una pianta fredda così come la bella ninfa era stata con lui.

 

Leuce era la più bella delle ninfe figlie di Oceano e di Teti, amata da Ade che la rapì portandola con sé nel regno delle ombre. Qui visse per tutta la vita e quando morì, il dio infernale cercò consolazione creando un memoriale adatto del loro amore: nei Campi Elisi, dove i pii trascorrono la loro vita dopo la morte, la fece rinascere sotto forma di pioppo bianco presso la fontana della Memoria. Sulla via del ritorno dagli Inferi, Eracle si intrecciò una corona con le fronde di quest'albero. Le foglie marginali di tale corona rimasero nere perché questo è il colore dell'Oltretomba; ma le foglie che aderivano alla fronte dell'eroe furono tinte in bianco-argento dal suo sudore. Per questo il pioppo bianco gli è sacro in quanto il significato del colore delle sue foglie a due facce, una bianca e una scura, è che Eracle ha compiuto le Fatiche in ambedue i mondi.

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